Titolo: Un giro di giostra
domenica 18 novembre 2012
Un giro di giostra
Titolo: Un giro di giostra
Genere: AU
Autore: Annina
Parring: Diego/Caparezza
NC 17 per scene di sesso
Disclaimer: è tutto frutto di fantasia, come sempre e niente è fatto a scopo di lucro.
Come tutti gli anni in ottobre le
giostre rallegravano le giornate della piccola cittadina sulle rive del Po per
tutta la durata della festa d’autunno.
Erano poche, non un vero Luna
Park, ma i bambini e i ragazzi comunque aspettavano sempre con ansia il loro
arrivo. Arrivavano numerosi anche dai
paesi vicini, e per qualche giorno sembrava di essere ancora in vacanza,
nonostante la scuola fosse già iniziata da tempo.
Seduto sulla panchina davanti
alla bancarella dello zucchero filato, Diego guardava il viavai dei ragazzi che
si portavano da un’attrazione all’altra.
Le ragazze si tenevano sempre per mano, ridendo tra loro e accogliendo
le amiche che arrivavano con gridolini e baci fruttati, i ragazzi cercavano di
farsi notare colpendo i punching-ball col massimo della forza o cercando di
vincere al tiro a segno qualche peluches da regalare.
Da quando quattro anni prima era
morta sua madre, le giostre erano diventate un appuntamento fisso e solitario
per Diego: l’ultima sera l’avevano passata lì, su quella panchina a parlare
mangiando zucchero filato.
La mamma era sempre così allegra e piena di vita:
tutti e due amavano la stessa musica e gli stessi artisti, e durante i viaggi
in macchina cantavano sempre a squarciagola col sottofondo della radio.
Purtroppo abitavano in un grande
paese ipocrita e bigotto, dove la maggior parte delle persone non avevano
simpatia per quella donna, che vestiva in modo eccentrico, portava grandi
collane e orecchini e cantava sempre, né ne avevano per il figlio, decisamente
anticonformista a sua volta. Non andavano nemmeno in chiesa perbacco!
Quando Diego compì 17 anni la
mamma si ammalò: di una brutta malattia dissero (ma ce ne sono di belle?). Lei
cercò fino alla fine di non far pesare a nessuno e tanto meno al figlio questa
situazione. Il primo giorno della festa di ottobre di quattro anni prima, pur
stando male, volle a tutti i costi “farsi bella”, così disse, e andare con
Diego alla festa e poi alle giostre. Nonostante tutto fu una bella serata;
Diego e la mamma si sedettero sulla panchina e parlarono fitto per tutto il
tempo. Fu quella sera che lui confidò a sua mamma il suo cruccio segreto, e che
la mamma sorridendo gli disse “lo so da tanto tempo angelo mio, ma dovevi
essere tu a dirmelo”.
“Mamma, io non ce la faccio però
a viverla bene questa cosa” sospirò Diego.
“Diego, non te lo dico perché sono tua madre, ma
perché è così: sei bello e hai una bella anima, vedrai che qualcuno prima poi
si accorgerà che sei una persona
meravigliosa e ti amerà per come sei; non esistono gay o etero, esistono solo persone che amano,
che si amano. Resisti piccolino, vedrai che arriverà anche per te il giorno in
cui troverai qualcuno che ti renderà felice”.
La mamma guardò quel suo fragile
figliolo solitario, piccolo e un po’ troppo magro, con quel gran ciuffo sulla
testa e tutti quei piercing disseminati sul bel viso, “il mio bel figliolo
punk” rise. Diego rise a sua volta.
Si alzarono e presero la strada
di casa, dandosi la buonanotte davanti alle rispettive camere.
Il giorno dopo, la mamma non si risvegliò.
Diego si riscosse, guardandosi
intorno. Vide arrivare un gruppo, si accorse che erano i suoi vecchi compagni
delle medie. Lui non frequentava nessuno al paese, e nessuno lo cercava.
“Diego, sempre l’anima della
festa tu, vero?” urlarono al suo indirizzo, ridendo sguaiati e prendendolo in
giro “ frocio di merda!”.
Diego non rispose, non li guardò
nemmeno. Si appoggiò meglio alla panchina
e raccolse le gambe stringendole tra la braccia.
Improvvisamente davanti ai suoi
occhi si materializzò un bastoncino di zucchero filato. Seguendo con gli occhi
il braccio che lo teneva, vide il
ragazzo che teneva la piccola giostra dei bambini, lì da parte.
“Ciao. Visto che non ti decidi a
comprartelo tu, te l’ho preso io”. Il
ragazzo parlava con uno spiccato accento pugliese. “Posso sedermi qui con te o
preferisci stare da solo come sempre?”.
Diego non sapeva cosa dire.
Voleva stare da solo a pensare, ma guardandolo in piedi lì davanti, con un
puffo sulla felpa e lo zucchero filato, gli scappò un sorriso. “Puoi sederti
credo”.
“Credi?” sorrise l’altro di
rimando. “No, sono sicuro” Diego lo osservò: anche da seduto lo sovrastava.
Aveva un viso non bello, ma sicuramente intrigante: bocca circondata dal
pizzetto, occhi neri e profondi dietro gli occhiali dalla montatura nera, e una
gran testa di capelli ricci e lunghi, trattenuti da una fascetta rossa.
“Allora? Hai voglia di parlare un
po’ con me? Vedo che i tuoi amici non sono proprio dei simpaticoni” accennando
al gruppo che si stava allontanando verso l’autopista.
“Non sono miei amici comunque.
Non ho amici qui in paese. Io sono Diego” tendendogli la mano che l’altro
afferrò con piglio deciso “Michele, io sono Michele”.
Si sorrisero e per quelle strane
alchimie che a volte si creano, sentirono entrambi che sarebbe stato
interessante conoscersi.
“Dunque, vogliamo attaccare
questo zucchero, prima che si sciolga del tutto sulla mia mano?” chiese Michele
mentre le prime gocce cominciavano già a cadere sulle sue dita.
Sorridendo Diego annuì. Michele
staccò un grosso pezzo di zucchero passandolo a Diego, e poi ne staccò per sé.
In breve finirono tutto il bastoncino.
“Vuoi leccare anche tu?” propose
ridendo Michele, mentre si succhiava le dita intrise di zucchero.
Diego si girò a guardarlo: vide che anche tra la barba brillavano piccoli cristalli di zucchero. Al pensiero di
leccarglieli via gli si strinse lo stomaco: arrossì violentemente.
“Qualcosa non va?” chiese
Michele, vedendo quella reazione.
“No, no, tutto a posto. Chi ti
sta sostituendo alla biglietteria?”.
“Nessuno, non vedi che la giostra
è ferma? A quest’ora tanto i bambini sono andati a casa. E tu che fai?”
“Non sono proprio un bambino no?”
rise Diego.
“Ma proprio per poco, quanti
anni? Diciotto, diciannove al massimo. Vai ancora a scuola?” chiese Michele.
“Ne ho 23. Vado all’università,
all’Accademia”.
“Un artista. Già, si vede in
effetti, ne hai l’aria. Mi spieghi come mai tutti gli anni arrivi e ti siedi sempre su questa panchina, da solo
tutte le sere?”.
“E tu come lo sai?”
“Ti ho visto. Negli ultimi anni
sei sempre stato seduto allo stesso
modo, sulla stessa panchina, per tutti i giorni in cui sono stato qui. Deve
esserci un motivo serio, alla tua età si ha più voglia di divertirsi che di
passare dieci giorni a pensare seduto su una panchina tra la musica delle
giostre e le risate della gente, no?”.
“Alla mia età. Ma tu non sarai
molto più vecchio di me no? Tu come ti diverti?” Diego rimase colpito dal fatto
che Michele lo osservava da anni, ma non voleva parlare di sè e cercò di sviare il discorso.
“Io giro l’Italia con la mia
giostra, non è un gran divertimento forse, ma mi va bene così, per ora”.
“La tua ragazza? Non l’ho vista
in queste sere…” Diego si morse la lingua, così avrebbe capito che l’aveva
osservato a sua volta.
Michele lo guardò con
un’espressione indecifrabile, poi rispose “Senti hai mangiato tu? Così a
guardarti si direbbe che non mangi da mesi, veramente”.
“No, non ho mangiato niente oggi,
tranne lo zucchero”.
“Andiamo a sederci da qualche
parte, ci sarà pure un pub, una birreria carina in questa città no? Mangiamo
qualcosa e facciamo una chiacchierata. Il posto dove vai di solito”.
“Io non vado da nessuna parte
qui; scendo in città quasi tutti i giorni, conosco qualcuno là; quando torno me ne vado a casa. Non ho nessuno
da incontrare o che mi voglia incontrare in paese” rispose Diego senza enfasi.
Michele si alzò e gli tese la
mano, tirandolo su dalla panchina “dai vittima, andiamo, dammi una mano a
chiudere, che ti porto a cena”.
*****
Complici un paio di birre Diego
si arrese e raccontò a Michele il motivo che lo portava a sedersi ogni anno su
quella panchina. Michele era veramente interessato a lui, alla sua vita e Diego
pensò che probabilmente per la prima volta nella sua vita aveva trovato un
amico vero, qualcuno che sapeva ascoltarlo.
“E tu? Ci sei nato nel Luna
park?”
“ Ma no! Ci sono entrato quando
avevo più o meno la tua età, ora ne ho ventotto. Alla giostrina cercavano un
aiutante, io non sapevo bene cosa fare della mia vita, e mi sono buttato.
Vivevo a Molfetta io, figurati. Poi tre anni fa, mi misi con la ragazza che
avevi visto tu, la figlia della signora del tiro a segno. Ma mi ha piantato da
qualche mese, e se n’è andata anche dalle giostre. Ora vive a Londra”.
“Mi spiace, soffri molto?” chiese
Diego, fissandolo con quei suoi enormi occhi nocciola.
Michele rimase un attimo
incantato a guardare quegli occhi spalancati su di lui “Hai degli occhi
stupendi Diego accidenti! No, comunque non ci soffro, ormai era un rapporto
finito. Adesso poi sono più impegnato, i gestori si sono ritirati, e mi hanno
lasciato solo a condurre il tutto. E’ una vita che mi piace, sono felice. Perché
non parti con me? Mi potresti dare una mano”.
Il cuore di Diego mancò un colpo,
e di nuovo arrossì fino alle orecchie. Forse si era accorto di piacergli ed ora
lo prendeva in giro? “Si certo, come no” rispose.
“Perché no? Cosa ti trattiene
qui? Tua madre non c’è più, i compaesani sono degli stronzi… puoi partire
quando vuoi” rispose Michele.
“Perché vuoi che parta con te? Mi conosci solo
da un paio d’ore, potrei essere uno stronzo anch’io”.
Michele scoppiò a ridere e lo
accarezzò sulla testa: “Beh, certo che potresti essere uno stronzo, e io potrei
esserlo molto più di te! Ma chissà perché sono convinto che tu non lo sia. Mi
sei simpatico, molto, e mi spiace che ti stia spegnendo in un paese come
questo. Non hai niente da perdere, e magari potresti essere felice” .
Essere di nuovo felce… pensò Diego. “Sono stato anche felice sai?
Fin verso i sedici anni ero convinto di esserlo almeno”.
Michele lo guardò attento, e si
allungò a dargli un bacetto sulla bocca “Andiamo dai, riportami all’ovile” si
alzarono, e Diego riportò Michele alle giostre, prima di tornare tristemente a
casa.
Quella notte Diego non dormì
continuando a pensare a quel bacetto leggero che Michele gli aveva dato.
Significava qualcosa? Probabilmente no, era semplicemente un segno di amicizia
per lui. Ma Diego si stava innamorando, ed era spaventato dalla potenza del
sentimento che sentiva crescere dentro. Si era già infatuato altre volte,
certo, ma le sue difese sempre all’erta non gli avevano mai permesso di
incominciare una storia con qualcuno.
“Già, ventitrè anni e non ho mai nemmeno baciato nessuno, figuriamoci.
Se Michele lo sapesse, morirebbe dal ridere. E poi lui mica è gay, aveva una
ragazza fino a qualche mese fa. Quel bacio non significa proprio niente per
lui, sono solo io il povero stupido che ci sogna sopra”.
Il giorno dopo avrebbe voluto
volare da Michele, ma si costrinse ad aspettare la sera.
Quando Michele lo vide arrivare
gli fece un gran sorriso, sbracciandosi da dentro la biglietteria. “Vieni Diego,
vieni a sederti qui con me”.
Diego, il cuore che scalpitava,
entrò nella biglietteria e si sedette sulla panchetta, praticamente appiccicato
a Michele, che finì di dare il resto a
una signora e poi si girò a guardarlo. “Ti aspettavo già nel pomeriggio. Hey,
le tue occhiaie sono ancora più fonde di ieri amico mio. Sei sicuro di stare bene?”.
Al sentirlo preoccuparsi per lui,
un sorriso illuminò il viso stanco di Diego “Sì sto bene, non ho dormito molto
stanotte”.
“Sì, si vede. Troppi pensieri per
la testa?” Michele abbracciò le spalle di Diego, che si sentì diventare di
gelatina. “Mmm, forse sì” ammise sottovoce.
“Coraggio, se ti va di stare qui
ancora per un’oretta, poi ci facciamo un giro sulle giostre, va bene?”.
Diego annuì: si sarebbe buttato
tranquillamente in Po se Michele glielo avesse chiesto.
Quando anche l’ultimo bambino
scese dalla giostra chiusero il botteghino, e si accinsero a fare un giro.
Già nella biglietteria avevano
cominciato a chiacchierare di tante cose, ora camminando si affiatavano sempre
di più, praticamente non vedevano più niente di quello che c’era intorno. Diego
gesticolava e parlava vivacemente, tirando fuori tutto quello che di solito
rimaneva solo nei suoi pensieri, non avendo mai trovato qualcuno con cui
esternare proprio tutto. Michele lo guardava serio, e interveniva pacatamente,
il braccio che continuava a stringere le sue spalle.
Si ritrovarono davanti a una
giostra che aveva le sedute coperte. Michele si sentì chiamare dalla
biglietteria “Michè, se volete salire, è l’ultimo giro, te lo regalo” gridò la
signora bionda all’interno.
Michele guardò Diego, che
sorridendo assentì. “Va bene Dora, allora si va”.
Diego e Michele salirono sulla
giostra, dove ormai sedevano pochi ragazzi.
La giostra partì e piano piano
prese velocità, le capote salirono a coprire i passeggeri. La giostra girava
talmente forte che Diego si trovò sbalzato in aria, quasi seduto in braccio a
Michele, che lo acchiappò e lo strinse a sé “sei troppo magro ragazzo, la barra
di sicurezza non funziona con te!”.
Diego non riusciva nemmeno a
muoversi a causa della forza centrifuga, e si abbandonò tra le braccia di
Michele, appoggiandosi a lui. Michele sentì che quel ragazzo si stava
guadagnato un posto importante nel suo cuore. Alzandogli il mento con la mano,
lo guardò negli occhi e teneramente lo baciò prima in fronte, poi sulla bocca. Diego si sentì morire e tentò debolmente di
sottrarsi, ma Michele lo stringeva fermamente, e tenendogli il viso con una
mano, si abbassò di nuovo sulla sua bocca. Il bacio si fece più profondo questa
volta, e la lingua di Michele saettò ad accarezzare le labbra del compagno,
solleticandolo, chiamandolo a rispondere. Pur inesperto, Diego si unì al bacio,
ma in quel momento si udì la sirena che accompagnava la fermata della giostra.
Si staccarono un attimo prima che si riaprissero
le capote. Diego tremava, senza sapere dove guardare.
I due scesero come ubriachi “che
scoperta Diego mio!” rise Michele guardandolo. Guardandolo a sua volta, Diego
gli prese una mano, ma la lasciò subito, guardandosi intorno. Michele si fece
serio, lo guardò negli occhi e gli prese entrambe le mani “di cosa hai paura
Diego?”. Egli scrollò la testa “è tutto così nuovo per me: non lo so, non so
più niente”.
Michele gli disse “Vieni facciamo
due passi”, e si incamminarono verso il lungo Po.
Camminarono per un po’ in
silenzio, ascoltando il mormorio del grande fiume alla loro destra.
Diego si sedette sulla ringhiera
che costeggiava la riva e Michele si appoggiò vicino. “Qual è il problema
Diego? Io non capisco, mi sembra che stiamo vivendo un bel momento”.
“Non puoi immaginare cosa
significa questo per me, Michele. Non ho mai avuto un sentimento così
importante per qualcuno. Non sono nemmeno mai stato con qualcuno…”.
“Me ne sono accorto” ridacchiò
Michele.
Diego arrossì e si girò a
guardare il fiume.
“Beh, ma non è uno scandalo non
aver mai baciato no? A tutto c’è rimedio”
Michele si appoggiò a Diego e gli prese il viso tra le grandi mani.
“Diego, tira fuori il problema vero, so che c’è qualcosa di serio che non
esce”.
Diego sospirò “Michele, io avevo
solo mia madre che mi capiva, nessun’altro ha mai provato anche solo ad
ascoltarmi, a passare cinque minuti con me; in questi quattro anni mi sono
abituato a stare solo, mi sono obbligato a non aver bisogno di nessun’altro che
di me stesso. Ho paura… tu tra pochi giorni te ne andrai, e io non so…”.
Michele gli chiuse la bocca con una mano, poi si strinse la sua testa contro il
petto “Diego, nessuno può mai sapere come andranno le cose, ma non puoi
privarti di qualcosa per paura di perderla, non ha senso. Viviamoci questo
momento” e prendendogli il viso tra le mani cominciò a baciarlo teneramente.
Diego cercò di resistere, ma la
tenerezza era troppa, circondò il collo di Michele e si lasciò andare tra le
sue braccia. Michele gli infilò le mani sotto al maglione e cominciò ad
accarezzarlo stringendolo contro di sé.
Rimasero a baciarsi insaziabili,
finchè Michele si staccò ridendo “devo respirare un attimo”. Diego sorrise, e
si riagganciò al suo collo, tornando a baciarlo.
“Diego, capisco che hai gli
arretrati, ma abbiamo tutta la vita davanti! Andiamo? E’ sceso il freddo,
senti, hai la schiena gelata”.
“E’ colpa tua, mi sollevi la
maglia” disse Diego facendo il broncio.
Michele guardandolo, il viso
imbronciato, gli occhioni nocciola spalancati su di lui sentì dentro un grande
amore per quel ragazzo che la vita gli aveva catapultato al fianco. Lo abbracciò
stretto, e gli sussurrò all’orecchio “dormi con me stanotte? Così ti
riscaldo…”.
Diego si sciolse dal suo
abbraccio, gli occhi ancora tormentati “non so Michele, magari un’altra volta”.
“Va bene, non preoccuparti,
deciderai tu quando”.
Abbracciati si diressero verso il
Luna Park. Diego non disse una parola durante il ritorno.
Sono proprio un idiota. Io voglio andare con lui, voglio stare con lui.
Non ho più molti giorni a disposizione. Se finirà pazienza, almeno avrò
conosciuto l’amore, almeno una volta. “Senti
Michele, ho cambiato idea, voglio venire da te” le parole gli uscirono di
getto, prima ancora che potesse pensarle.
Michele non rispose, solo lo
baciò sui capelli, si fermarono a prendere lo zucchero filato e mangiando si
diressero verso il camper parcheggiato poco lontano.
Diego entrò intimidito ma Michele
lo prese per un braccio e gli fece visitare il suo piccolo regno.
Guardandolo, Diego vide che
l’amico aveva ancora lo zucchero tra la barba, e gli disse “E’ da ieri che
penso di farlo” e si alzò in punta di piedi per lambirgli la bocca con la
lingua, leccando via i dolci cristalli che vi erano rimasti attaccati. Michele
emise un gran sospiro e lo prese tra le braccia, baciandolo e leccandolo a sua
volta, spingendolo contro la parete del camper. Lentamente ma decisamente gli
sfilò felpa e maglietta, accarezzandolo e stringendolo con forza, scendendo a
baciargli il collo delicato, il petto liscio, quasi glabro.
Sentì il cuore di Diego battere
come se volesse scappar fuori. Lo guardò, lo vide ancora più pallido, gli disse
“Diego, io non farò niente che tu non voglia fare. Possiamo anche passare la
notte abbracciati sul letto a chiacchierare, sarà comunque bellissimo”.
Diego aprì gli occhi e con un
filo di voce rispose “Michi, io so che questa sarà la notte più bella della mia
vita; ho paura, ma forse mi piace anche questa paura, mi piace tutto, mi piaci
tu Michi” e abbassò la cerniera della felpa di Michele, gli tolse la maglia e assaggiò
il sapore della sua pelle.
Michele lo prese per mano e lo
fece distendere sul letto, si spogliò e lo spogliò. Finalmente senza barriere
si abbracciarono, si fusero e si strofinarono, le erezioni vibranti.
“Michele, non credo di resistere,
io sto impazzendo” sussurrò Diego, ma Michele in un orecchio con voce alla
Bogart e contemporaneamente leccandoglielo “non è che l’inizio baby”. A
quell’uscita risero entrambi di gusto, ma guardandosi la tensione tornò a
salire.
Michele fece da maestro al
compagno inesperto, ma quando Diego si inginocchiò tra le sue gambe non aveva
più niente da imparare; Michele cercò di resistere, ma si arrese “Diego, vuoi
farmi morire” e prendendogli la testa tra le mani lo attirò a se e si stese
sopra di lui.
“Aspetta, non vorrei mai farti
troppo male” e prendendo un barattolo di crema fece per cospargersene.
“Aspetta, faccio io” Diego prese la crema e la distribuì generosamente sul sesso dell’amico.
Finalmente Michele si appoggiò a
Diego e spingendo piano, per non fargli male lo penetrò. Diego strinse le
lenzuola tra i pugni, ma non fiatò, tenne il ritmo di Michele, che
accarezzandolo, gli baciava la nuca e gli sussurrava qualcosa in un dialetto
che il ragazzo non capiva. Danzarono fino ad arrivare al culmine del piacere,
quando Diego urlò “Michi, ti amo” e poi cascò sul materasso, sfinito.
Michele se lo prese tra le
braccia, e accarezzandogli il viso lo guardò a fondo nei grandi occhi e gli
disse “Anch’io ti amo, Diego mio”. Diego si strinse a lui, sorridendo.
“Tu da qui non te ne vai, capito?
Io non ti lascio andare via, partirai con me vero?” disse Michele.
“Ti seguirei anche all’inferno
Michi”.
“Bene. Domani prendi tutta la
roba che ti serve e ti trasferisci qui, e fra qualche giorno partiremo. Ora si
va al sud, là c’è ancora caldo, al mattino andremo al mare. Ma stai tremando.
Hai così freddo?” Michele raccolse il piumino e lo coprì.
Diego si rannicchiò meglio tra le
sue braccia, e rispose “Così sto benissimo”.
“Devi mettere un po’ di carne su
quelle ossa, piccolo, per forza hai sempre freddo”.
“Beh, allora che ne dici di
scaldarmi ancora un po’?” disse Diego guardandolo e sbattendo le ciglia
maliziosamente.
Michele lo guardò ridendo, lo baciò
appassionatamente e disse “Pronto per un altro giro di giostra?”.
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Dopo aver letto qualche fic di Annina, si capisce perché sia stato così ispirante scovare questa parring. No, non voglio sembrare cinica ma è chiaro che giacché il suo stereotipo preferito è il tormentato, vabbé... basta ascoltare e, a volte, ascoltare oltre la semplicità del concetto. Anche l'aspetto ha la sua importanza. Dunque Annina si ispira e quando scrive tira fuori questi personaggi dolorosamente soli, insicuri, in pieno conflitto con loro stessi. Il copione vuole che arriverà il curatore di questo male interiore che ha radici profonde. Ma nella giostra, il giostraio (mai metafora migliore) cioè colui che fa divertire i bambini ma è altresì condannato a stare dentro un gabbiotto, come se potesse essere l'autore del divertimento ma non il beneficiario (tanto Caparezza!) il gestore della giostra, con già il suo carico di tristezza e saggezza, o di triste saggezza, si fa per l'appunto "carico" dell'angoscia del protagonista, prima osservandolo da lontano, quasi a studiare le sue mosse, poi, finalmente, si fa avanti. Ne esce un dialogo credibile, anche se la storia è strappalacrime. Così, finalmente, dopo essere stato preso per culo dalla vita e dagli ex compagni di scuola, anche il tormentassimo può staccare il biglietto per il suo giro in giostra. Dal romantico bacio sotto la capottina, passando al romantico fiume, con le sue nebbie e le sue rivelazioni e giungere così alla roulotte, che evoca un po' di tutto, ma che sicuramente è un posto originale e sexy dove dividere un letto. Con poche metafore ma nemmeno troppo morboso, il ragazzo triste scopre finalmente la felicità, liberandosi di quel fardello che la vita (e Annina) gli ha messo sul groppo. Il lieto fine un po' stucchevole ma necessario, ci mancava solo l'addio finale al povero Diego! Bravissima per la profondità psicologica, l'esattezza degli ambienti (che mostri descrivendo pochissimo)e l'originalità. Brava soprattutto a far venire fuori i tuoi demoni senza che essi si approprino della storia, dei personaggi. E, soprattutto, fantastica nelle citazioni. "Mi conosci solo da un paio d’ore, potrei essere uno stronzo anch’io”...“Beh, certo che potresti essere uno stronzo, e io potrei esserlo molto più di te!" dimostrando così che anche con poco materiale a disposizione una parring può essere realistica. E i cristalli di zucchero filato sulla barba, sono una sciccheriain senso estetico... al prossimo giro in giostra...
RispondiEliminaChe dolcezza... credo di aver amato praticamente tutto di questa fic: la storia della madre di Diego, i tormenti del giovane per la sua sessualità e il suo essere solitario e triste, l'arrivo del suo salvatore Michele e il nascere e crescere del sentimento che è sfociato nel bel lieto fine!
RispondiEliminaBravissima Annina, hai scritto un altro gioiellino! <3