Titolo: Soli nel mezzo del mondo, Autori: Annina e Giusipoo Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini Genere: Storico/Romantico/Introspettivo Rating: PG, slash, Disclaimer: come sempre è tutto
frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i
nomi per ispirazione artistica. Il titolo prende spunto da: Quello che conta,
di Luigi Tenco Warning! NC 17
Capitolo
3
Dopo un sonno che gli sembrò catartico,
Diego si svegliò per la prima volta in Australia. Ne fu sicuro non solo perché
fu destato dal gallo e da altri uccelli che cantavano con passione, ma anche
perché lo sparo di un fucile in pieno centro di Torino, non lo avrebbe mai potuto udire.
La pancia era ancora imbrattata di sperma e il cuscino umido di lacrime. Si
ricordò di Michele e si maledisse. Perché aveva pensato a lui mentre... Non gli
era mai successo di pensare nitidamente a qualcuno mentre si toccava. Aveva
sentito i discorsi dei suoi amici, i compagni di scuola dei Salesiani, loro
avevano i giornaletti proibiti, ma alcuni si accontentavano di rievocare zie
scosciate, visioni di seni rubacchiate in qualche film notturno sulle
televisioni private. Addirittura un suo amico che dimostrava vent’anni, si
vantava di aver visto un film a luci rosse in un cinema per adulti. Ma Diego
non ci credeva, dopotutto nemmeno gli interessavano le donnine nude, non gli
erano mai interessate. Se fosse stato un po’ più sveglio e sincero con se
stesso, avrebbe dovuto ammettere di aver passato troppi minuti a contemplare
l’immagine del David di Michelangelo sul libro di Storia dell’arte. Si morse il
labbro spaventato da come facesse il paro con quella specie di sogno che aveva
fatto prima di dormire e poi fu sicuro di averlo anche sognato a quel tizio
tutto sporco e con quella balza di capelli ricci. Oscillando la testa concluse
che fosse ora di vestirsi. Presto il sole sarebbe sorto e lui doveva andare a
scuola. Il suo primo giorno di scuola.
Sotto trovò sua madre già perfettamente
sveglia. Evidentemente il fuso orario era ancora lontano da smaltire. Latte e
fette di pane imburrato attendevano di essere mangiate ma, complice la
nottataccia che aveva passato, lo stomaco dell’adolescente si contrasse. “Mamma
mi fai un tè? Non mi sento tanto bene...”
“Ma certo cucciolo” era abituata
all’inappetenza del figlio, fin da quando era nato aveva tribolato per farlo
nutrire e da quando era depresso per la morte del padre, sembrava più che mai
disinteressato al cibo.
“Mi lavo i denti e vado” annunciò tirandosi
in piedi.
Rosa gli preparò dei panini (sua cognata le
aveva fatto trovare la dispensa piena) e li mise nel suo tascapane.
Pochi minuti dopo Diego era fuori, in attesa
dello scuola bus, i suoi cugini appena pochi distanti da lui. Essendo più
grande, Samuele non frequentava più il liceo ma l’università, però il mezzo che
li avrebbe portati tutti a Melbourne era lo stesso. Non c’erano mezzi pubblici
che unissero il villaggio che sulle cartine geografiche non aveva nemmeno un
nome ma che gli abitanti e anche gli altri avevano denominato Wild Italy, e non serve spiegarne il
motivo. Per questo a Wild Italy tutto faceva virtù e se uno aveva una cosa, ad
esempio la mietitrebbia, la prestava agli altri. Una piccola comune, uno
spaccato di socialismo vero che affascinava quelli dei villaggi vicini, con
nome e sindaco, i quali non riuscivano nemmeno a decidere il nome di una via
senza scannarsi.
O, anche loro avevano avuto delle magagne in
passato, tipo quando si era trattato di erigere una chiesa. I più comunisti,
certi toscani di Pistoia, avevano messo veto assoluto, ma, alla fine, gli
immigrati del sud, tra cui Augusto, stanchi di dover fare miglia per andare a
messa, avevano avuto la meglio e da circa sei anni avevano pure una piccola
chiesa, con tanto di parroco e perpetua.
Immobili, in attesa del furgone, Samuele
domandò al cugino: “Do you like Australia?”
provocatorio. Diego rispose sfacciato: “Overly
sky for me” e si voltò dalla parte di dove si aspettava arrivasse il mezzo
di trasporto. Tim e Samuele si guardarono e poi scoppiarono a ridere. Il più
piccolo, con la sua parlata ancora più strana del fratello, continuò a
provocarlo: “Ti mancano i palazzi, i portici?”
“Che ne sai tu dei portici?” Diego gli
imbruttì. Sapeva essere minaccioso con quella sua aria angelica, quando tirava
fuori le palle, quando esibiva una certa espressione truce, riusciva davvero ad
incutere timore e Tim, nonostante fosse alto già un metro ottanta, si accucciò
dietro il fratello. Accompagnate dal padre, arrivarono anche due ragazzine
rispettivamente di dodici e otto anni e poco dopo un altro paio di bambini.
Alle sei e mezzo in punto un furgone aperto vecchio di almeno una dozzina di
anni e conciato piuttosto male, li raggiunse. Diego non riusciva a capacitarsi
che quell’affare fosse in grado di portarli fino in città, e, dall’odore di
olio bruciato che emanava, fu sicuro che non sarebbero andati lontano. A guidarlo,
come anticipato dallo zio Augusto, quell’impiastro che il giorno prima lo aveva
redarguito. Si chiuse ancor di più stringendosi nel giacchetto di jeans.
Nella parte di furgone destinata ai bambini,
ma che Diego avrebbe visto meglio destinata alle balle di fieno, sedevano già
due ragazzi, uno di undici e l’altro di nove anni, i figli di Michele. Il
piccolo aveva capelli corti rasati e occhiali dalla montatura enorme, una testa
piccola ed era magrissimo. L’altro invece già molto alto, più robusto e con i
capelli più lunghi ma stranamente lisci e ordinati, tutto l’opposto di suo
padre. Stavano zitti e seri, distanti dai sui cugini. Diego intuì subito che ci
fossero due fazioni e che i ragazzi dell’uomo
degli struzzi non facevano parte di quella dei suoi cugini. Nonostante
l’ostilità con il loro padre, si sentì di parteggiare per i piccoli, dopotutto
i suoi cugini con quella loro aria altezzosa, che gli parlavano in inglese
australianizzato per farlo sentire diverso, non godevano delle sue simpatie.
Pensò però che sua madre ne avrebbe sofferto e così decise di sotterrare
un’eventuale ascia di guerra ma non si schierò da nessuna parte. Restò nel
mezzo tutto il viaggio. L’unica cosa che non riuscì ad evitare di fare fu di
sbirciare l’autista, almeno la sua chioma. Ma notò che ogni tanto anche questi
si voltava per guardarlo. Quel gioco di sguardi lo eccitò in misura esagerata
tanto che dovette più volte cambiare posizione al suo affarino e fu sicuro che,
all’arrivo a scuola, gli avrebbe fatto male.
*****
Dopo quasi un’ora e mezza di
viaggio, finalmente giunsero in vista della città di Melbourne.
Diego si guardò intorno, il suo
senso artistico allertato, pensando alla Mole, al Palazzo Reale, a tutta quella
Torino antica e bellissima, e vedendo davanti a sé una città moderna ed
essenziale.
Pensò che avrebbe avuto modo di
girarla e osservarla, o almeno lo sperava.
Nel quartiere di Carlton, Michele
fermò il furgone, e i ragazzi cominciarono a scendere.
Anche Diego si alzò,
sgranchendosi la schiena dolorante a causa degli scossoni, e con andatura
indecisa si accinse a seguire i cugini. Scendendo non riuscì a fare a meno di
girarsi verso l’autista, ritrovandosi i suoi occhi neri puntati sul viso: sentì
che stava arrossendo, ripensando alla sera prima, a quando aveva pensato a lui
mentre… Cazzo!
Decise di guardare
definitivamente avanti e saltò giù dal furgone. Samuele li salutò e si avviò
verso l’Università. I piccoli John e Pete, i figli di Michele, lo guardarono
timidamente, facendogli un cenno e avviandosi a loro volta verso la scuola
elementare. Tim lo guardò e gli disse: “dai vieni, stammi dietro, penso che
saremo nella stessa sezione noi due. Vedi di non farmi fare figure di merda con
i compagni”.
Diego gli rispose a tono: “Sono
sicuro che ce la fai senza il mio aiuto” e mostrando una sicurezza che non
aveva, lo seguì.
La High school era una grande
costruzione in stile anglosassone. Entrando, Diego sentì l’agitazione aumentare
a dismisura. Che accoglienza avrebbe avuto?
Lo assegnarono effettivamente
alla stessa sezione di Tim. L’insegnante lo trattenne vicino alla cattedra per
permettergli di presentarsi alla classe. Diego si sentì morire ma cercò di non
darlo a vedere, e come spesso accade ai timidi gli uscì un atteggiamento
arrogante, mentre metteva insieme due parole di presentazione.
Quindi si sedette al posto che
gli venne indicato, in fondo all’aula. I ragazzi lo guardarono con ostilità, le
ragazze al contrario, con interesse. In una classe di ragazzoni sportivi e
muscolosi, Diego era decisamente l’alternativo della situazione. Scapigliato,
con un ciuffo ribelle che gli cadeva su l’occhio sinistro, pallido e magro
com’era, la sua espressione tormentata; non poté che intrigare la fauna
femminile.
Cercò di seguire la lezione come
meglio poteva, ma era distratto e aveva nella mente troppe cose che lo
turbavano.
Osservò le ragazze che ridevano e
parlottavano tra loro, guardandolo e mandandogli chiari messaggi.
Valutò che erano tutte piuttosto
carine, ma la cosa in quel momento gli era del tutto indifferente.
Michele ormai occupava tutti i
suoi pensieri, lo aveva costantemente in testa: lo rivedeva alla guida
dell’autocarro mentre lo guardava di nascosto, e risentiva le sue mani sulle
proprie spalle, nella stalla degli struzzi il giorno prima. Il ricordo dello
sguardo minaccioso con cui lo aveva affrontato lo fece sussultare, ma ciò che
veramente lo fece star male fu la frenesia sessuale che questi pensieri gli
mettevano.
Gli stava succedendo qualcosa,
gli stavano succedendo troppe cose tutte insieme, e non sapeva come avrebbe
fatto ad affrontare tutto quanto.
“When I
find myself in times of trouble, Mother Mary comes to me, Speaking words of
wisdom, let it be. And in my hour of darkness She is standing right in front of
me, Speaking words of wisdom, let it be”. Diego si chiedeva chi
sarebbe andato da lui con parole sagge, per toglierlo da quell’angoscia, ma non
sapeva darsi risposta.
Finalmente la mattinata finì, e
Diego si precipitò fuori incurante delle ragazze che avrebbero voluto fermarlo
per parlare un po’ con lui, conoscere quell’italiano misterioso e sfrontato.
Fece di corsa la strada che lo
avrebbe portato al luogo dell’appuntamento col furgone, e lo vide giungere
contemporaneamente a lui.
Nessun altro ragazzo era ancora
arrivato, quindi Diego salì a bordo, timido, senza sapere come comportarsi.
Michele lo tolse dall’imbarazzo
dicendogli con fare dolce e tuttavia burbero: “Scusa ragazzo per ieri, ma stavi
facendo la più grossa cazzata della tua vita, ho dovuto fermarti” lo fissò
accigliato.
Diego arrossì, a quanto pareva
davanti a lui non poteva proprio farne a meno, e disse solamente: “è tutto ok”
sedendosi alle sue spalle. Inspiegabilmente si sentì meglio, e addirittura gli
uscì un sorriso.
In quel momento arrivarono i
figli di Michele. Il padre fece loro una ruvida carezza sulla testa e li spinse
verso il cassone. I ragazzini guardarono Diego, e il piccolo Pete si sedette
subito vicino a lui, fissandolo con gli occhi che sembravano enormi sotto gli
occhiali spessi. John al suo fianco.
Diego osservò a sua volta Pete e
gli sorrise. Il suo sorriso ebbe un riflesso immediato sulla faccia del
bambino.
Pian piano arrivarono anche tutti
gli altri ragazzi, e Tim subito apostrofò Pete dicendogli: “smamma rospo,
quello è il mio posto”. Pete, spaventato si alzò immediatamente, ma Diego lo
trattenne, e facendolo tornare seduto rispose a Tim: “trovatene un altro, non
credo che tu l’abbia pagato no?”. Tim arrossì, ma non ebbe il coraggio di
rispondere a Diego, soprattutto perché Samuele si sarebbe fermato
all’Università per qualche giorno, e non poteva nascondersi dietro di lui. Si
spostò più avanti nel furgone, sibilando all’indirizzo di Diego: “questa me la
paghi”.
Diego alzò le spalle con
noncuranza e girandosi vide tre paia d’occhi ugualmente neri che lo fissavano:
lesse rispetto in quelli di John e Pete, ma non riuscì a decifrare quelli di
Michele.
Scrollò la testa e si accinse ad
affrontare il resto della giornata.
Diego fu l’ultimo a scendere dal
furgone. Salutò Michele e i ragazzini e fece per avviarsi verso casa, ma
Michele lo richiamò. Avvicinandosi a lui gli intimò: “Lascia perdere i miei
ragazzi, devono arrangiarsi da soli, non hanno bisogno di un difensore”.“Ma…”
fece Diego.
“Fai come ti dico. Loro non sono
come te, non cresceranno col culo coperto, i miei ragazzi devono imparare a
guadagnarsi la vita e il rispetto delle persone da soli” continuò Michele. “Ma
sono piccoli, credevo…”. “Non capisci niente, e non mi stupisce. I miei ragazzi
sanno già lavorare come uomini, sanno che presto dovranno lasciare la scuola
per aiutarmi”.
“Ma non è giusto, non puoi farlo,
i ragazzi hanno il diritto di studiare, non puoi obbligarli” Diego non sapeva
nemmeno il perché, ma sentiva di dover difendere i ragazzini anche dal loro
padre.
“Zitto, tu non sai un cazzo della
vita, sei un figlio di papà che pensa di sapere tutto, ma non è necessario
andare a scuola nella vita per riuscire. E adesso vattene, và, sparisci”
Michele lo spintonò, e tornato alla guida del furgone, ripartì lascandosi alle
spalle una nuvola di polvere.
Diego rimase a guardarlo andar
via con un gran peso sul cuore.
Grazie cara, è merito di entrambe dunque posso non solo ringraziarti ma aggiungere un mio commentino... mi piace tutto! L'atmosfera, la psicologia dei personaggi, la profondità di certe scene e la sintesi di altre. Scrivere con Annamaria è comne scrivere con un mio clone, un clone di Giusi, dunque facilissimo. Come potrei trovare da dire su me stessa? Soprattutto sapendo quanto sono vanitosa e saccente... ihihihihihi grazie cmq ad entrambe... e a presto per il 4
Questo blog è nato per tutti quelli che amano la coppia Caparezza/Diego Perrone (altresì detta Diegorezza) in odor di slash (slash fanfiction) e per coloro che amano Diego Perrone e il mitico Michele Salvemini come artisti, con un occhio speciale e fantasioso sugli altri musicisti che più o meno ruotano (o hanno ruotato) intorno a questa coppia. Welcome.
ATTENZIONE: tutte le fanfiction presenti nel sito che citano Diego Perrone e Michele Salvemini (Caparezza)e altri personaggi reali, sono da considerare sempre e tassativamente frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro. In caso contrario, qualora si racconti un avvenimento "reale" non sarà una fanfction e verrà ben specificato.
Se non vi piace lo slash non leggetelo
Sublimando sul palco................................................................................................................................
-Durante fuori dal tunnel, alla frase: “Mi sento stretto come quando inchiappetto un topolino” (al posto di puffo, per adeguare alla scenetta) mimato un atto omosessuale, nella fattispecie CaparezzaVSDiego.
-Durante Bonobo Power, vengono imitati coiti e Diego, dopo aver tentato Capa al sesso bonobo, si consola prima con il tastierista poi con una banana.
-Durante una nuova versione di Fuori dal tunnel, Caparezza imita un nuovo coito omosex con uno stura lavandini sempre ai danni di Diego.
-Durante il dito medio di galileo, Diego presta il fianco alla famosa frase: “Temono il dito di Galileo tra le chiappe” mettendosi in posa per farsi infilare metaforicamente il dito medio tra le chiappe da Caparezza.
-Durante una delle tante versioni di Abiura di me, Diego dice: “Ti posso cliccare?” e dopo averlo toccato con la freccetta, arriva con un finto dito (tipo sempre mouse del pc) e lo sbatte sui genitali di Capa.
-In un'altra di Abiura, Caparezza impugna il pacman e "mima" di mordere qualcosa che pende dal corpo di Diego, indovina un po' cosa...
-Ancora Abiura di me, Diego fa la principessa del videogioco di Super Mario che amoreggia con Tetris, interpretato da Caparezza.
-Durante Kevin Spacey, Diego Harry Potter, sbatte la bacchetta magica verso il sesso per evocare un sortilegio contro la prostata di Caparezza.
-Durante stango e sbronzo Caparezza prende di petto le dimensioni della scimmietta di Remy (interpretata da Diego) e definisce le dimensioni del suo pene siffrediane.
-Prima di Auditel's family, per parlare del decadimento dei rapporti amorosi, Caparezza imita una telefonata ad una linea erotica e Diego interpreta una centralista hard con tanto di parrucca e movenze.
-Nel live de La fine di gaia, Caparezza spinge nel sedere di Diego la lancia, gesto però non legato ad una scenetta o altro. Così...
-In The auditel family, alla fine Caparezza svende tutto, persino una notte d'amore con Diego. Ma poi si pente e cerca il suo perdono tirandogli un bacio subito ricambiato
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RispondiEliminaWoah. Che incontri turbolenti fra questi due! Mi piace! Da morire!
RispondiEliminaRagazze, siete grandi! <3
Grazie cara, è merito di entrambe dunque posso non solo ringraziarti ma aggiungere un mio commentino... mi piace tutto! L'atmosfera, la psicologia dei personaggi, la profondità di certe scene e la sintesi di altre. Scrivere con Annamaria è comne scrivere con un mio clone, un clone di Giusi, dunque facilissimo. Come potrei trovare da dire su me stessa? Soprattutto sapendo quanto sono vanitosa e saccente... ihihihihihi grazie cmq ad entrambe... e a presto per il 4
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