Titolo: Soli nel mezzo del mondo, Autori: Annina/Giusi-poo Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini Genere: Au/ Storico/Romantico/Introspettivo Rating: PG, slash, Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono
originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica.
Il
titolo prende spunto da: Quello che conta, di Luigi Tenco
Capitolo 1
Partirono di notte, Diego e sua
madre, erano in un Boing qualcosa in una freddissima sera di Febbraio, a
Milano. Due valigioni giganti per uno, una chitarra, e un altrettanto gelo nel
cuore. La decisione di Rosa era stata perentoria e precipitosa: raggiungere suo
fratello in Australia, per allontanarsi da Torino, probabilmente dalla povertà,
dalla fame addirittura. Quando realizzò di non avere nemmeno i soldi per una
bombola del gas e dunque lei e suo figlio destinati a morire congelati, capì
che non poteva restare nella sua città, quella dove era nata trentasette anni
prima, figlia di emigrati siciliani. La sua vita di aiuto-sartina ad un certo
punto era cambiata, esattamente nel millenovecentocinquantacinque, diciannove anni
prima, quando conobbe il commendador Moschino, il doppio dei suoi anni e una
barbetta e baffone alla Vittorio Emanuele secondo. Affascinante ma non
propriamente bello, capo industria dei filati, tra i due era stato, come si
suol dire in questi casi, il classico colpo di fulmine.
Era la sua storia, la storia di
Rosa e Diego.
E con la morte dell’eminentissimo
Moschino, morivano anche loro. Sì perché Rosa, con quelle venti lire che
guadagnava ogni tanto con i suoi lavoretti di sartoria, non poteva certo
permettersi l’appartamento al centro che il suo compagno aveva riservato per loro,
lei, la sua concubina, e l’illegittimo, il bastardo, come si diceva a quei
tempi. Il figlio della vergogna. Sì perché quando il quasi quarantenne e la
quasi ventenne si conobbero, il commendador Moschino aveva già una bella moglie
introdotta nell’alta società, e due figlie. Ecco perché, con l’improvvisa e
prematura morte di Moschino, perivano anche le agiatezze di Diego e Rosa.
Niente più Salesiani, niente più rendita vitalizia garantita, niente più libri
per il ragazzo, niente più giacchetti di ermellino per Rosa. Niente teatro,
cinema. Solo tanto freddo e la paura che un giorno di questi, gli scagnozzi che
la vedova Moschino aveva ingaggiato per dare una solenne lezione alla
sgualdrina e al suo bastardo, l’avrebbero trovata per finire lei e suo figlio
di cazzotti.
Ora no.
Ora che erano protetti dentro
quel prodigio di tecnologia che era l’aeroplano Alitalia, che dopo varie tappe,
avrebbe toccato le terre australiane, ora non avevano più paura, o non
avrebbero dovuto averla. Si era dovuta disfare di parecchi regali costosi del
suo amante per poter comprare quei due biglietti aerei sola andata e
raggiungere quel fratello che non vedeva da quando era bambina. Ora che teneva
il moncone restante del suo ticket per la libertà, mentre il rullare pesante
sembrava perforargli i timpani, ora si rendeva conto che era fatta. Lei e suo
figlio avrebbero continuato a stare bene, a non patire il freddo e la fame.
Certo, niente cene fuori, regali costosi, giocattoli intagliati a mano, o di
plastica, moderni, che il poco presente ma tanto generoso padre elargiva a
quell’unico figlio maschio che amava più dei suoi occhi. Quella parte era
finita.
Diego si riscosse. Stava di nuovo
pensando a Tenco, a come doveva essersi sentito quegli ultimi secondi prima di
spararsi. Quando ha preso in mano la pistola o quando ha scritto quelle ultime
parole.
Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente
cinque anni della mia vita.
Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come
atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a
chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi
No, non era solo perché a Diego
piacesse Tenco, suonare la chitarra e comporre qualche cosa ogni tanto, come
scrivere poesie e disegnare, che poi era la sua più grande passione. Purtroppo
c’era altro che legava Diego al suicidio del cantautore sfortunato. L’idea del
suicidio, di farla finita. Era sempre stato affascinato da l’idea di scegliere
quando farla finita, di non lasciarlo fare ad un’entità suprema che in molti
chiamano Dio; lui non ci credeva più, nonostante studiasse dai preti. Lui ci
pensava da sempre e quando sua madre, in lacrime e nel pieno di una crisi
isterica, gli aveva annunciato che suo padre era morto, da quel giorno Diego aveva
pensato che fosse anche per lui ora di farla finita. Dopotutto era già nato
sfortunato essendo figlio illegittimo, che futuro poteva avere uno come lui?
Ora che anche i beni materiali che quel padre non aveva mai fatto mancare
venivano meno, e loro due, come due poveracci qualsiasi, costretti ad emigrare
in quella landa desolata con i canguri e il deserto, che senso aveva vivere? Dell’Australia
questo sapeva. Aveva visto delle foto dei suoi cugini, bambinetti dei primi
anni sessanta sdentati, con i calzoni al ginocchio, che lui non portava più già
da un po’. Con il fiato creò una nuvoletta di fumo che andò ad infrangersi sul
vetro del finestrino. In pochi secondi sparì. Come sarebbe sparito lui quando
avrebbe avuto abbastanza soldi per comprarsi una pistola e sparsi sulla fronte
come Tenco.
******
Il viaggio fu lungo e sfibrante. Dopo due
scali e 24 ore circa di viaggio, finalmente l’aereo atterrò a Melbourne.
Scendendo Diego si trovò a chiedersi se
fossero veramente suoi i piedi che lo trascinavano all’uscita. La madre invece
sembrava fresca e riposata come mai l’aveva vista. Quelle lunghe ore le erano
scivolate addosso senza lasciare segni; probabilmente l’aspettativa di una vita
migliore per lei e soprattutto per il giovane figlio, le facevano dimenticare
la fatica e l’angoscia.
Non era stata una decisione facile da
prendere; ma, d’altra parte, chi l’avrebbe aiutata, in un mondo dove una donna
sola, senza soldi e con un figlio illegittimo a carico era considerata poco più
della feccia.
Ora aveva una speranza.
Guardò Diego sorridendo, ma lui non ricambiò
lo sguardo. Pallido e magro, il volto triste e segnato dalle occhiaie, i
capelli cortissimi, Diego lasciava intravedere tutta la sua solitudine e la sua
malinconia. Tra le mani teneva ancora i due libri che si era portato per il
viaggio. Li aveva già letti, ma erano un po’ i suoi viatici contro il dolore.
Aveva tanto sognato su La strada di Kerouac: sognato di partire, fare nuove
esperienze, ma in America però. Il suo sogno era la California. Non
l’Australia. Non sapeva quasi niente di quel paese.
E quante notti aveva passato sui Fiori del Male, angosciandosi ma
stranamente, sentendosi anche meglio dopo che aveva letto qualche pagina. Anche
lui si sentiva un maledetto adesso.
La mamma lo prese sottobraccio, e lui non ebbe
il coraggio di staccarsi da lei, non voleva ferirla, le voleva bene anche se
aveva preso quella decisione senza consultarlo.
Si guardarono intorno, cercando i parenti
che dovevano venirli a prendere.
All’improvviso videro un uomo dal viso
abbronzatissimo e segnato dalle rughe che si sbracciava correndo verso di loro,
due ragazzi erano con lui.
Eh sì, Diego ricordava i cugini come
bambinetti, ma era passato del tempo dalle ultime foto che aveva visto, e quei
ragazzi erano grandi e muscolosi, abbronzatissimi a loro volta.
La madre corse incontro al fratello, che la
sollevò tra le braccia facendola girare. Lei rise come una ragazzina, come da
tempo non faceva più.
I nipoti le si fecero intorno, allegri e
aperti abbracciandola. Non c’erano dubbi, erano i benvenuti.
Diego rimase indietro, timido e scontroso.
Quando lo zio e i cugini gli si fecero incontro stringendolo e strattonandoselo
arrossì, e non riuscì a dire una parola, i grandi occhi nocciola sgranati nel
tentativo di trattenere le lacrime che sentiva arrivare inesorabili.
“Sei magro ragazzo. Vedrai che qui ti
tirerai su, è un paese bellissimo per i ragazzi. Andrai a cavallo, farai surf,
e giocherai a rugby con i tuoi cugini.
Domani andremo anche a iscriverti a scuola.
Ora andiamo a vedere se ci danno i bagagli, così potremo andare a casa. Assunta
è rimasta a controllare i fornelli, ma non vede l’ora di abbracciarvi anche
lei”.
Cingendo le spalle della sorella, si avviò a grandi passi; i cugini guardarono
Diego, che era rimasto lì pensieroso e taciturno, con fare interrogativo.
“Beh, che fai, hai intenzione di fare notte
qui?”. Diego si riscosse, li guardò e con un sorriso timido li seguì.
Ritirati finalmente i bagagli, salirono su
una Meari scalcagnata, e partirono per la fattoria.
“Vedrete, vi troverete bene. Tu Diego dopo
la scuola, comincerai a lavorare un po’ nelle stalle, come fanno Tim e Samuele. Abbiamo iniziato con un
allevamento di cavalli, ma ora ne abbiamo anche uno di struzzi. Magari non li
avete nemmeno mai visti! Comunque, qui si mangiano, e da un loro uovo puoi
ricavare una frittata per una decina di persone” e rise forte, di gusto. “Piano
piano vi ambienterete” disse serio guardando la sorella.
Lei si allungò a dargli un bacio sulla
guancia: “Credo di essermi ambientata nel momento stesso in cui sono scesa
dalla scaletta dell’aereo. Grazie, davvero, tu e Assunta ci salvate da un
destino realmente incerto; non potevo restare in Italia, soprattutto per Diego,
non potevo”; nonostante tutto una lacrima solcò il suo bel viso. Sapeva che il
figlio era infelice, che non voleva partire, ma sapeva anche che non avrebbe
potuto aiutarlo in nessun altro modo.
Tim e Samuele parlavano tra loro in una
lingua che Diego non capiva. L’inglese non era un problema, lo studiava dalla
prima elementare, era in grado di sostenere una conversazione, ma quello non
era inglese.
I ragazzi si spingevano, si prendevano a
botte e ridevano in quel modo che unisce tutti gli adolescenti maschi del
mondo. Diego stava in disparte, guardando il paesaggio rigoglioso che scorreva
davanti ai suoi occhi.
“Ragazzi coinvolgete vostro cugino, non
siate maleducati” disse lo zio girandosi a guardarli mentre guidava.
“Ma è lui che non dice niente pa’” disse Tim
guardando Samuele e tirandogli un pugno.
Finalmente dopo più di un’ora di viaggio,
arrivarono davanti al ranch.
Wow... sono sempre destabilizzata dalle vostre idee. Questa... storia, perché non si può parlare di fanfiction, ha tutte le premesse per diventare una delle mie preferite su queste pagine. L'angoscia e il desiderio di morte che Diego prova... lo sento vicino, e attendo con impazienza il momento in cui tornerà ad amare la vita. :)
Grazie tesoro, mi sta prendendo molto scrivere questa storia, e ti assicuro che anche per Annina è lo stesso. Diciamo che ci lasceremo andare a temi ad entrambe cari... ;)
Questo blog è nato per tutti quelli che amano la coppia Caparezza/Diego Perrone (altresì detta Diegorezza) in odor di slash (slash fanfiction) e per coloro che amano Diego Perrone e il mitico Michele Salvemini come artisti, con un occhio speciale e fantasioso sugli altri musicisti che più o meno ruotano (o hanno ruotato) intorno a questa coppia. Welcome.
ATTENZIONE: tutte le fanfiction presenti nel sito che citano Diego Perrone e Michele Salvemini (Caparezza)e altri personaggi reali, sono da considerare sempre e tassativamente frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro. In caso contrario, qualora si racconti un avvenimento "reale" non sarà una fanfction e verrà ben specificato.
Se non vi piace lo slash non leggetelo
Sublimando sul palco................................................................................................................................
-Durante fuori dal tunnel, alla frase: “Mi sento stretto come quando inchiappetto un topolino” (al posto di puffo, per adeguare alla scenetta) mimato un atto omosessuale, nella fattispecie CaparezzaVSDiego.
-Durante Bonobo Power, vengono imitati coiti e Diego, dopo aver tentato Capa al sesso bonobo, si consola prima con il tastierista poi con una banana.
-Durante una nuova versione di Fuori dal tunnel, Caparezza imita un nuovo coito omosex con uno stura lavandini sempre ai danni di Diego.
-Durante il dito medio di galileo, Diego presta il fianco alla famosa frase: “Temono il dito di Galileo tra le chiappe” mettendosi in posa per farsi infilare metaforicamente il dito medio tra le chiappe da Caparezza.
-Durante una delle tante versioni di Abiura di me, Diego dice: “Ti posso cliccare?” e dopo averlo toccato con la freccetta, arriva con un finto dito (tipo sempre mouse del pc) e lo sbatte sui genitali di Capa.
-In un'altra di Abiura, Caparezza impugna il pacman e "mima" di mordere qualcosa che pende dal corpo di Diego, indovina un po' cosa...
-Ancora Abiura di me, Diego fa la principessa del videogioco di Super Mario che amoreggia con Tetris, interpretato da Caparezza.
-Durante Kevin Spacey, Diego Harry Potter, sbatte la bacchetta magica verso il sesso per evocare un sortilegio contro la prostata di Caparezza.
-Durante stango e sbronzo Caparezza prende di petto le dimensioni della scimmietta di Remy (interpretata da Diego) e definisce le dimensioni del suo pene siffrediane.
-Prima di Auditel's family, per parlare del decadimento dei rapporti amorosi, Caparezza imita una telefonata ad una linea erotica e Diego interpreta una centralista hard con tanto di parrucca e movenze.
-Nel live de La fine di gaia, Caparezza spinge nel sedere di Diego la lancia, gesto però non legato ad una scenetta o altro. Così...
-In The auditel family, alla fine Caparezza svende tutto, persino una notte d'amore con Diego. Ma poi si pente e cerca il suo perdono tirandogli un bacio subito ricambiato
Wow... sono sempre destabilizzata dalle vostre idee.
RispondiEliminaQuesta... storia, perché non si può parlare di fanfiction, ha tutte le premesse per diventare una delle mie preferite su queste pagine. L'angoscia e il desiderio di morte che Diego prova... lo sento vicino, e attendo con impazienza il momento in cui tornerà ad amare la vita. :)
Bravissime, ragazze! Siete un ottimo team! :)
Grazie tesoro, mi sta prendendo molto scrivere questa storia, e ti assicuro che anche per Annina è lo stesso. Diciamo che ci lasceremo andare a temi ad entrambe cari... ;)
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