Di sudore, di erba, di fango, di
sperma e di lacrime. Così conciato quando, ormai erano passate le sei, Diego si
gettò sotto la doccia. Sua madre già cucinava la colazione. La tradizione
voleva che ogni domenica una famiglia del villaggio preparasse la colazione a
tutti e poi ci si recasse a messa insieme. Almeno la parte cattolica credente.
Ed essendo la prima domenica per Rosa e Diego, questo piacevole ma impegnativo
rituale toccava a loro. La colazione per oltre cinquanta persone non era
proprio una passeggiata di salute e Diego si sentì chiamare, mentre, ancora nel
vortice dei turbinii sessuali, si stava di nuovo toccando. Superando il
frastuono dell’acqua che lo accarezzava, gridò: “Sono sotto la doccia, ora
vengo” e qualche minuto dopo venne schizzando sulle piastrelle attaccate alla
peggio dell’unico bagno-doccia.
Cercando di riprendere fiato
appoggiò la bocca alla parete e gli scappò un sorrisetto. Ripensò con
autoironia a tutti gli avvenimenti delle ultime ore, dal serpente che stava per
pestare, alla compagnia di Michele, al suo abbraccio, ai suoi complimenti dopo
la partita. Alla visione di lui in mutande, ma, soprattutto, alla visione di
lui nudo fuori dalle acque cristalline, al
suo gran cazzo... era appena venuto ma ripensare a lui gli fece tornare
l’acquolina. Sono da ricovero mio Dio... Pensò
che forse avrebbe dovuto farsi vedere da uno di quei dottori della testa, uno
psichiatra. O da un prete esorcista.
Una volta nella sua stanza,
scoprì che sua madre si era già preoccupata di preparargli i vestiti per
l’avvenimento giornaliero. Cazzo, la
colazione! Ci mancava solo questo... Sospirò, ora gli toccava di nuovo
rivedere Michele. Riflettendo sulla notte appena trascorsa si domandò che
diavolo ci facesse a quell’ora alla laguna. Deglutì, i ricordi erano ancora
così vividi.
L’Australia, dopo nemmeno una
settimana, stava sconvolgendo ogni sua cellula, solo di questo era sicuro.
Le due ore successive le passò
aiutando sua madre ai fornelli. Li raggiunsero pure Augusto, Assunta e i suoi
adorati cugini, i quali non mancarono di fare battutacce sulla sua fuga dallo
spogliatoio. Rosa fece finta di non capire mentre, instancabile, continuava a
sbattere uova.
Alla chetichella arrivarono gli
ospiti. Essendo impossibile contenere tutti nel tavolo della dependance,
apparecchiarono fuori. Una lunga tavolata che a Diego ricordò un banchetto di
matrimonio al quale era stato invitato anni prima. Quando si avvicinò anche
Michele, Diego ebbe un mezzo collasso. Non bastavano le emozioni del giorno
prima, ora una nuova calamità gli capitava tra capo e collo. Accanto a Michele,
una bella mulatta riccia quasi quanto lui e con un bellissimo visetto. La donna
di colore più attraente che lui avesse mai avuto modo di vedere. Strinse i
pugni notando i modi confidenziali che i due avevano. E così Michele aveva una
donna, si rassegnò ma la gelosia aveva cominciato a roderlo dentro come una
sorgente, che a lungo andare corrode la roccia. Ma lui si sentiva tutt’altro
che roccia e solo e sconsolato prese posto accanto ai cugini.
Per tutto il tempo della colazione
Diego si sentì uno straccio. Non solo non aveva dormito, il giorno prima si era
drogato, aveva rischiato di morire morso da un serpente e si era beccato tanti
di quei lividi giocando i suoi primi minuti di rugby, ora si ritrovava a vedere
l’uomo che aveva sconvolto i suoi sogni, la sua realtà da adolescente alla
ricerca di se stesso, in compagnia di una ragazza stupenda, che sembrava
saperci fare anche con gli altri, figli di lui compresi. Ormai, con il cuore
ridotto a brandelli, annunciò di avere mal di testa e si andò a rifugiare nella
sua stanza. Nessuno lo notò, troppo presi a mangiare e a parlare di politica.
Mentre Diego strimpellava Vedrai Vedrai con gli occhi lucidi di
rabbia e dolore, l’intera popolazione credente del villaggio si spostò in
chiesa. Rosa venne a chiamarlo ma il ragazzo fu irremovibile. La madre
conosceva le sue idee politiche nonché il suo essere agnostico convinto e non
insisté. Mise il suo cappello e si accomiatò raccomandandolo di riposare.
*******
Diego sbirciò fuori per
controllare se fosse rimasto qualcuno nei pressi del tavolo ma, a parte le
stoviglie, non c’era più nessuno. Fece un lungo sospiro e poi si accoccolò sul
letto. Dopo un piantarello si addormentò profondamente.
Tre ore più tardi lo svegliarono
le note della sua chitarra. Strizzò gli occhi verso colui che suonava, anzi,
storpiava le note di Jimi Hendrix in American
Woman, cantandola con dizione praticante perfetta.
“Michele... ” sussurrò cercando
di metterlo a fuoco. Lui era ai suoi piedi e continuava a canticchiare sereno. Poi
smise e ripose la chitarra accanto al letto: “In realtà so suonare solo poche
note. Tu immagino avrai preso lezioni”
Diego arrossì ma non lo negò. Faceva
parte del passato ormai. Michele si avvicinò a lui pericolosamente. I visi ad un
niente. “Mi dici perché sei scappato in quel modo ieri? Eh, ragazzino,
rispondi?” lo spronò strattonandogli un braccio. Diego, che era sensibile ad
ogni contatto, si alzò di scatto allontanandosi dal letto e sperando che il suo
cervello formulasse una risposta adatta. Ma gli venne solo un vaghissimo:
“Stavo male”. Ma Michele, non affatto soddisfatto, si alzò a sua volta e con la
mole del suo corpo lo piegò al muro. “E alle quattro del mattino alle cascate che
ci facevi?”
“E tu? Invece tu che ci facevi alle
quattro del mattino, il bagno nella laguna...” questa gli venne di getto. Frank-Michele-Zappa
fece un sorrisetto sghembo, poi gli passò le dita tra i capelli biondi e
spettinati. “Ti è piaciuto quello che hai visto?” lo provocò. A Diego lo
sguardo cadde inevitabilmente verso il basso e, ripensando a quello che il suo
persecutore celava sotto i jeans, ebbe uno sbandamento. La testa gli girò e
temette di svenire di nuovo, ma per fortuna non accadde e si limitò a
rispondere con un meraviglioso e sincerissimo: “Sì...” corretto subito con:
“NO! NON SONO FROCIO IO!” gridato.
In qualche modo riuscì a
sgusciare via dalle braccia di Michele ma questi lo riprese afferrandolo per un
polso. “Dove credi di andartene monello, stavamo parlando” un dolore serio
impedì a Diego di tentare di nuovo la fuga e sospirando, si ritrovò nuovamente con
le scapole attaccate allo stesso muro di prima, lo sguardo accigliato e il
terrore di quello che sarebbe potuto succedere, restando così a lungo solo con
Michele.
Con modi più gentili (ma data la
situazione, Diego avrebbe preferito continuasse a torcergli il polso) la punta
delle dita di Michele definì il viso scarno ma indubbiamente attraente.
“Cazzo ragazzino, sei proprio... charming...” si morse le labbra
pensieroso: “Come si dice in italiano... uhm... avvenente mi pare. Sì
avvenente... ” dopo aver perso tempo con la poca peluria del mento, il pollice
raggiunse la fossetta sotto il collo. Diego iniziò a sospirare rumorosamente.
Ogni sua cellula stava per ribellarsi alla razionalità e tutte insieme saltare
addosso a Michele, ma ebbe la forza di ribattere un patetico: “Perché non te ne
torni dalla tua ragazza...” lo biascicò odiandosi. Ecco, ora penserà che sono geloso! Cristo, sono un coglione! Lo
sentì ridere odiosamente. “Non è la mia ragazza. Ci scopo ma non stiamo
insieme. Un uomo ha bisogno di uno sfogo, presto lo capirai” si distanziò da
lui fino a raggiungere il comodino dove prese in mano Baudelaire.
“Lascialo stare” Diego stava per
rimpossessarsi del volume ma Michele lo fece volteggiare verso l’alto, rendendo
al giovane impossibile riacciuffarlo. “Che bastardo sei...” si morse il labbro
e gli occhi si velarono di lacrime.
“Eddai... sei colto baronetto? O
come dovrei chiamarti, principino? Se invece di leggere le stronzate di un
poeta francese drogato ogni tanto ti facessi vedere ai campi” e lo gettò in
terra. Diego iniziò a piangere piano e quando contemporaneamente Michele a ridere
sguainato, iniziò a prendere a cazzotti il suo ventre. “Ti odio, ti odio!”
sibilò disperato. Michele gli bloccò le braccia continuando a ridere. “Non mi
odi per niente, anzi... ti sei innamorato di me, vero ragazzino?” smise di ridere
guardandolo con amore e attrazione.
“Nemmeno per idea. Sei brutto,
rozzo e puzzi di stalla. Puzzi come gli struzzi che ti somigliano pure, vai via
ora!”
“Ma non sei proprio capace a
mentire!” Michele gli tirò su il mento con la mano. Abbassò la voce come se
temesse che qualcuno, Rosa o Augusto, potessero udirlo. “Mi piace fare il bagno
di mattina ogni tanto, con la luna piena. Ormai ti sei imparato bene dove sta
quel bel posticino, no? Se una di queste notti mi raggiungi, ti chiarisco io le
idee. Ti faccio diventare un uomo” garantì. Prima di andarsene gli stampò un
bacino sulla fronte.
Inebetito e sempre più confuso,
Diego restò a fissare la porta dal quale Michele era appena uscito.
Appoggiato al muro, Diego avrebbe
voluto rincorrerlo ma le gambe non rispondevano ai suoi comandi.
Rimase lì a dirsi non devo pensare a lui, non devo pensare a
lui, io non sono un frocio, cazzo non sono un frocio. Si guardò alle
specchio dell’armadio: magro, piccolo e pallido… come aveva detto Michele? Charming…
mi prende in giro. Per forza! Si prende
gioco di questo povero cretino depresso... Osservandosi si toccò il viso,
sentendo ancora le dita di Michele che lo accarezzavano…
Si riscosse, e ripensando agli
accordi stonati di Michele, gli scappò un sorriso.
Mi ha detto di raggiungerlo alle cascate, che mi farà diventare un
uomo. Ma cosa vuole da me? E io cosa voglio da lui?
Senza nemmeno pensare, Diego
prese la chitarra, e le sue mani iniziarono a comporre i primi accordi: “How many roads must a man walk down,
before you call him a man? Yes, 'n' how many seas must a white
dove sail, before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly, before they're forever
banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind, The answer is blowin' in the
wind”.
Rosa lo chiamò, quella sera erano
a cena dagli zii, doveva muoversi. Ripose la chitarra e salutando mentalmente Bob
Dylan uscì.
La cena fu stressante; Diego non
sopportava proprio i cugini, che quella sera mettevano un particolare impegno
nel dargli il tormento. Sua madre e le zie parlavano di abiti, di plissé, di
pizzi da cucire, e non facevano caso al suo disagio, e per lo zio tutto questo
era un normale comportamento tra ragazzotti.
Improvvisamente Augusto si batté
una mano sulla fronte, e disse a Diego: “Mi stavo dimenticando, Michele mi ha
chiesto se ti farebbe piacere prendere qualche lezione di rugby da lui, in modo
da portarti un po’ avanti con gli allenamenti. Naturalmente gli’ho detto di sì.
Michele è un ottimo giocatore, vedrai che nel giro di poco farà di te un uomo,
perbacco!”.
Diego arrossì fino alle orecchie,
sentendo ripetere dallo zio la stessa frase che Michele aveva detto a lui nel
pomeriggio: non era proprio certo che i due uomini intendessero la stessa cosa!
“Diego arrossisce come una
ragazza! Michele ti fa questo effetto cugino?” berciò Tim ridendo.
Questa volta però lo zio rimase
infastidito, e gli diede uno scappellotto.
Diego rimase in silenzio, ma con
un sorrisino sotto i baffi.
Il giorno dopo, di ritorno da
scuola, Michele fermò Diego prima che scendesse dal camion e gli disse: “Guarda
che passo a prenderti fra un paio d’ore; calzoncini e scarpe da tennis” e
dandogli una pacca sul sedere lo spinse giù dal carro.
Diego rimase un attimo in mezzo
alla strada, poi si riscosse e corse a mangiare qualcosa: andava bene anche il
rugby, pur di stare con lui.
Michele lo portò in una radura
racchiusa tra alti alberi di eucalipto, faggi e diversi tipi di acacie.
Poco lontano si sentiva il
mormorio del fiume Yarra.
Il pomeriggio con Michele volò in
un attimo; gli insegnò la corsa giusta, i passaggi, a tenere la palla ovale con
un solo braccio per lasciare indietro gli avversari.
Diego era sudato e impolverato, e
nonostante la stanchezza mortale, felice.
Una volta fuori dal campo, era
già sera, si sedettero sotto un grande eucalipto e Michele prese una bottiglia
da sotto un mucchio d’erba, bevve e poi gliela passò. Era solo acqua, ma per
Diego fu come bere vino, perché il pensiero di aver bevuto dove Michele aveva
appoggiato la bocca, lo stordì.
“Allora, che mi dici? Non è stato
così male il primo giorno di allenamento, no?” chiese Michele appoggiandogli
una mano su una gamba. Nonostante il caldo, Diego rabbrividì: “No, mi sono
divertito, grazie”.
“Bene, allora continueremo”.
“Come posso contraccambiare?
Cioè, posso fare qualcosa per aiutarti io?” Diego lo chiese con il cuore in
gola, pensando a cosa mai poteva fare lui per Michele.
“Perché no? Potresti aiutarmi
qualche volta nei campi; stare un po’ all’aria aperta senza i tuoi soliti libri
ti farà solo bene” rispose.
“Ma tu non leggi? Cioè, a te non
piace leggere?” chiese Diego, che senza libri non poteva vivere, e gli sembrava
strano che invece altri potessero farne tranquillamente a meno.
“Mi piace, ma non faccio solo
quello” e Michele sorrise.
“Se vuoi ti presto qualche
libro”.
“Grazie, ma non sono più in grado
di leggere in italiano” rispose Michele.
“Ti potrei dare qualche
ripetizione io… cioè se vuoi… scusa” e Diego abbassò gli occhi, vedendo che il
piglio di Michele si era fatto cupo. Con lo sguardo lontano, Michele stette un
po’ a pensare, poi guardò il ragazzo e rise al suo indirizzo: “Vorresti farmi da insegnante ragazzino?”
Diego arrossì, e sentì le lacrime
pungergli gli occhi: era proprio stato stupido, aveva rovinato una giornata
altrimenti così bella.
“Va bene, ci sto, mi darai
qualche lezione, ok” gli disse Michele con un sorriso sghembo.
Diego sorrise a sua volta
sollevato. In quel momento Michele si alzò e tese la mano al ragazzo che dopo
averla stretta si ritrovò in piedi ad un passo da lui. “Felice di rendermi
utile Michi” lo chiamò così per la prima volta vergognandosene. “Figurati, tu puoi
essere utile in molte maniere” malignò ma Diego provò a sforzarsi di pensare
che si riferisse al lavoro nei campi. Senza rendersene conto si ritrovò tra le
sue braccia. Gli era venuto istintivo di abbracciarlo e l’uomo adulto lo
strinse a sua volta. Col viso sul petto di Michele, Diego sentì di essere
felice: avrebbe voluto fermare il tempo così. Ma Michele lo staccò e, dopo
essersi guardato intorno lo trascinò dietro una radura, dove la vegetazione era
più fitta. Senza muovere gli occhi dai sui si chinò per baciarlo delicatamente
sulle labbra: “E adesso si torna a casa principino” e senza più dire una
parola, s’incamminarono verso il furgone. Diego tremante come una foglia e
Michele con la sua andatura dinoccolata.
******
I due giorni seguenti passarono
più o meno allo stesso modo: quando terminavano le lezioni di rugby,
cominciavano quelle di italiano scritto.
Diego aveva preso questa sua
missione molto sul serio; si sedevano sotto il loro grande eucalipto (Diego
almeno lo vedeva così) e spalla contro spalla iniziavano le lezioni. Durante le
prove di lettura, a volte a Michele scappavano delle enormi sciocchezze, e
ridevano tutti e due fino ad avere le lacrime agli occhi. Michele non aveva più
preso in giro il ragazzo, anzi lo trattava con molto cameratismo.
Quella sera erano particolarmente
su di giri, e all’ennesimo errore di Michele, Diego si coricò nell’erba,
tenendosi lo stomaco dal ridere.
Michele guardò giù verso di lui,
ridendo a sua volta, ma poi divenne improvvisamente serio.
Con una mano prese ad
accarezzargli il ciuffo ribelle; poi seguì il profilo del suo viso, gli vezzeggiò
la bocca con delicatezza, più volte, poi scese sul collo. Chinandosi verso di
lui, gli posò le labbra sulla bocca, e lo baciò delicatamente.
Un attimo dopo si sollevò per
osservare la sua reazione. Diego era arrossito, gli occhi nocciola spalancati
sul suo viso, le labbra semiaperte. Le sue mani si alzarono ad accarezzare il volto
di Michele: le sopracciglia folte, il naso, le basette, la barba e i baffi.
Sembrava un gioco tra non vedenti. Un modo per conoscersi, mapparsi. Quando
Diego gli cinse il collo con le braccia, Michele lo baciò, ma sul serio questa
volta. La lingua si fece strada tra le labbra incontrando la sua. Per Diego era
il primo bacio della sua vita, e Michele se ne accorse. Staccandosi lo guardò
ancora negli occhi e sorridendo chiese: “Devo smettere?”.
Diego emise un flebile sospiro, e
si allungò a cercare la bocca di Michele. Si baciarono a lungo coricati
nell’erba alta, fino a perdere la nozione del tempo.
Era il crepuscolo quando Michele
si staccò e si alzò in piedi, tendendo una mano a Diego per aiutarlo ad alzarsi
a sua volta.
Lentamente si avviarono
attraverso la boscaglia, per raggiungere il furgone.
“Vieni che ti riporto a casa
ragazzino” gli disse, passandogli un braccio sulle spalle.
Sentendosi protetto come mai gli
era capitato prima, Diego passò a sua volta il braccio alla vita di Michele,
guardandolo con occhi sognanti.
Michele lo lasciò vicino al
ranch, lo scrutò bene negli occhi e gli disse: “Stanotte c’è ancora la luna
piena; se vuoi venire, ti aspetto dove sai. Pensaci bene Diego...” E
sorridendogli un ultima volta, si girò e se ne andò.
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RispondiEliminaGrazie ale
EliminaOddio... oddio... che capitolo, ragazze!!! Sono in delirio!!!
RispondiEliminaLe carezze, gli abbracci, i baci... è tutto perfetto! Le loro dinamiche sono del tutto perfette!!!
Non ce la faccio ad aspettare per un altro capitolo! Non lasciatemi qui in questo stato, postate al più presto!!! (>o<)
Grazie anna, lavori in corso... ^__^
EliminaGrazie a tutte e due! Stasera dovrebbe arrivare qualcosa credo!
RispondiElimina^o^