domenica 30 settembre 2012

Il cassetto dei sorrisi, capitolo quattro



Titolo: Il cassetto dei sorrisi  

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini

Genere: Romantico/Introspettivo  

Rating: NC 17, slash

Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy Baby, di Diego Perrone




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Capitolo 4


Ero nel pallone. Ora che Elettra sospettava di una mia doppia vita, lasciavo troppe tracce, la mia espressione sempre troppo sorridente e rilassata e non scopavamo praticamente più. Iniziò a farmi discorsi inerenti al futuro; non la vacanza. L’idea di portarmi in Puglia Diego la tenevo in vita, ma non sapevo come liberarmi di Elettra, convinta più che mai a seguirmi a Bari. Alla fine riuscii miracolosamente ad inventarmi un problema inerente a certi backup ed infilarla nell’ultimo posto per un soggiorno all’isola di Creta con tre coppie di amici, promettendole che li avrei raggiunti appena risolto il casino con i computer a Milano. Che ci crediate o no ero stato io ad infestare il sistema di virus. Combattere il sistema alla radice, ingaggiavo un graffito in un centro sociale di Bari vecchia. Ma io mi ero comportato come il più banale dei terroristi.
Libero da fidanzata e dai trojan, impossibilitato ad andare in Puglia perché non avrei avuto la possibilità di tornare a Milano con Diego, avendo il volo per Creta da Roma, decisi di seguirlo io a Torino. Fu una vacanza un po’ assurda. La città era alleggerita, nel senso che tra i portici giravano solo pochi turisti di cui molti stranieri, coperti da cappelli multicolori e armati di borracce. Come molti ricorderanno l’estate del 2003 fu incredibilmente calda e per rifugiarci dall’afa insopportabile, spesso rimanevamo chiusi nella stanza d’albergo. Mentre all’inizio della nostra storia, tutto mi era sembrato normale, cioè non riuscivo a scorgere le differenze tra lui e una qualsiasi ragazza, durante quella vacanza iniziai a soffrire le differenze. Se andavamo per strada e mi veniva voglia di baciarlo in bocca, o di abbracciarlo, Diego si scansava, magari sorridendomi imbarazzato. Io invece ero così innamorato da non pensare agli altri. I suoi genitori non sapevano nulla dell’orientamento sessuale del figlio e quando andammo nella loro casa, in un paesino anonimo dell’hinterland, coperto da un’unica linea ferroviaria, mi guardarono con diffidenza e curiosità. Tranne una sua cuginetta di dieci anni, ospite presso i suoi, che impazziva per i miei capelli e voleva a tutti i costi farmi giocare con lei ai videogiochi che si era portata. Così mi ritrovai quei pomeriggi nella cameretta d’infanzia di Diego, a giocare con una consolle per me troppo moderna, di fronte ad un televisore piccolissimo, mentre Diego cercava di convincere i suoi che il suo posto a Milano non era così pietoso. Alla fine, stanco dei consigli genitoriali, venne a buttarsi con noi e super mario.
Perché in generale, a mente fredda lo posso ammettere tranquillamente, l’idea di essere gay non mi piaceva. Mentendo a me stesso mi dicevo che non era della gente che mi fregava, essenzialmente, era proprio l’idea di essere in un rapporto omosessuale. Con tutto quello che ne consegue. I primi albori del disagio iniziavano a germinare dentro me, ma la passione e l’amore che nutrivo per Diego, per tutto quello che lo riguardava, dalla sua voce canticchiante mentre si faceva la barba, al modo in cui sputava i noccioli delle olive sul piatto, o quando si spuntava i capelli da sé. Dicevamo: l’amore totale era così forte, da non farmi vedere le magagne. Ma a Creta, tra i miei amici, Elettra e i cocktail con gli immancabili ombrellini multicolore, mi rinfrancò. Sorprendendo la diretta interessata, riscoprii un’attenzione erotica per la mia fidanzata, la quale ne restò piacevolmente sorpresa. “Sei tornato come i primi tempi, l’estate non dovrebbe finire mai” mi diceva cose di questo tipo. In verità non ne ero felice. Non potevo non ammettere che cercavo solo di dimostrare al piccolo omofobico che si annidava dentro di me, di essere etero. Tanto che alla fine della vacanza, a dispetto degli sms sdolcinati e carichi di passione che ci mandavamo ogni sera, nonostante dovessi evocare i bollenti incontri con il mio piercingato amante maschio per farmelo venire duro, alla fine della vacanza, iniziai a mettere in dubbio la mia storia parallela. Diego mi mancava un sacco, e quando lo rividi, agli inizi di Settembre, mi sentii morire per aver dubitato di noi. Dopo essere venuto, piansi esattamente come la prima volta. Ma in questo caso non leccò via le mie lacrime, ma mi chiese che avevo, e con un tono piuttosto acido. Non riuscii a spiegarlo, scosso da un fremito convulso. Lo vidi sedersi al centro del letto, le dita a premere le meningi. Poi convulsamente a cercare una sigaretta nelle tasche dei pantaloni.
“Mi vuoi lasciare?” mi chiese alla fine di un silenzio minaccioso.
“No!” lo gridai con troppa enfasi e questo lo mise in allarme.
“Perché non torni dalla tua ragazza?” quella frase dette il via alla nostra prima litigata. Ce ne sarebbero state altre, ma all’epoca, provai a risolvere la cosa in fretta.
Grosso errore.
Non avevo considerato che per farmi perdonare i giorni trascorsi a Creta con Elettra, non bastavano un po’ di moine e un ti amo sentito. Ma io l’amavo davvero. È che a Diego non andava di fare l’amante. Non era mai andato ma ora, complice il dolore provato durante la separazione, abbastanza forte per gridarlo. In principio era così incazzato che non riuscì a spiegarsi. Borbottò delle parole, poi si alzò per andarsi a rifugiare in un angolino della stanza. Se provavo ad avvicinarmi, mi tirava la roba sulla scansia.
“Perché non te ne vai?” sbraitò. Mi accorsi che stava piangendo dalla voce; troppo orgoglioso per farsi vedere piangere da me.
“Non me ne vado se prima non facciamo pace” puntai i piedi come un bambino. In effetti, durante quella reunion, i nostri comportamenti furono così infantili da non meritare nemmeno diciotto anni in due! Diego espettorò tanta di quella merda che portava dentro che non so come non ne restai seppellito. Era davvero pieno di acredine verso di me. E quell’idea che mi ero fatto di rapporto moderno, dettato dalla sua, mi illudevo, sessualità evoluta, finì disperso nel mare delle mie illusioni, come le ceneri di un defunto. Ma di una cosa fui certo dopo quel pomeriggio. Per Diego non ero un divertimento passeggero. Era pazzo di me sul serio, e io non sapevo nemmeno come mi ero guadagnato tutto quell’amore. Riuscimmo infine a fare pace. Complice anche Matteo, il suo inquilino, che ci invitò a cenare con lui e altri. Di fronte a un padellone di cous cous elargito su piatti di carta con scodella tipo rancio, le chiacchiere su Berlusconi, sulle tasse universitarie, sui Nirvana, tutto si appiattì. Dopo aver mangiato, Diego appoggiò la guancia sul mio braccio, era il suo modo per dirmi resta, o solo che avevamo fatto pace. Non ci furono bisogno però di parole. Avevo scelto lui.

2 commenti:

  1. Michele, è ovvio che hai scelto lui... l'hai scelto da quando lo hai visto entrare nel tuo ufficio! :3
    Bellissimo capitolo, rivelatore! <3

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  2. Sono davvero curiosa di sapere come terminerà questa bellissima favola metropolitana. Diego è così insicuro del loro rapporto che ha bisogno di conferme, mentre a Michele comincia a stare stretto questo rapporto "Omosessuale" come lo definisce lui, ma poi si rende conto di non poter vivere senza Diego e soprattutto quella vita normale che tanto vagheggiava non lo soddisfa più. E fa al sua scelta: Diego. Mi piace talmente come sono descritti i personaggi, i loro sentimenti così palpabili, le loro pene diventano anche le mie. Vorrei essere nella storia per poter prendere Diego nel suo momento di sconforto e consolarlo o scuotere Michele quando ha quello sbandamento a Creta. Ti prego regalaci presto un nuovo capitolo di questo gioiello

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