Titolo: Se ti dico che ti amo...
Parring: Diego/Caparezza
Genere: molto real person slash e un po' what if... ? (e se...?) perché sappiamo che "realmente" non si sono mai separati, artisticamente.... :)
Warning: NC 17
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia, e come sempre niente è fatto a scopo di lucro
..non ricordava Diego chi dei due si spinse a dare un bacio all’altro, forse fu simultaneo, ma ricordava che scoppiarono a ridere a più non posso, cadendo all’indietro sul letto, lottando e azzuffandosi...
Il concerto a Parma era appena terminato. Giusto il tempo di
darsi una sistemata, e Michele era già fuori
a firmare autografi e fare fotografie con i fan. Nonostante la
stanchezza, non rinunciava mai a questo rituale, e finché anche l’ultima
persona non era stata accontentata, Michele non se ne andava.
Diego lo guardava da lontano, la
testa riccia che sovrastava di parecchio la folla che lo circondava, e cercava
dentro di sé il coraggio di parlargli, dopo.
Si era già preparato mille
discorsi, e li aveva cestinati tutti.
Da quanti anni si conoscevano: il
loro era stato un vero colpo di fulmine. Dopo cinque minuti che parlavano,
avevano già capito che la loro sarebbe stata un’amicizia speciale, perché
avevano la stessa visione delle cose.
Quando Michele gli aveva chiesto
di fare la sua seconda voce, a Diego non era parso vero. Certo che lo voleva: così
nel 2006 Diego era entrato a far parte della band.
Si erano messi al lavoro, due
vulcani in eruzione; le idee nascevano facilmente, e si trovavano sempre
d’accordo. Diego poi era un istrione, aggiungeva sempre qualcosa e Michele
approvava incondizionatamente.
Come nel lavoro, anche nella vita privata erano
diventati inseparabili. Durante il tour condividevano sempre la stessa stanza e
lo stesso letto. Questa intimità forzata
non li turbava minimamente, anzi, a volte era proprio di notte, coricati
vicini, che nascevano le idee più brillanti.
Diego ricordava benissimo la
prima volta che il loro rapporto si evolse in qualcosa di più.
Erano particolarmente stanchi,
quella notte, avevano viaggiato da un capo all’altro dell’Italia per
raggiungere la città del concerto; la data non era prevista ma Legambiente
aveva chiesto a Michele di partecipare a
una serata, e Michele nonostante il breve preavviso, non aveva certo rifiutato.
Non avrebbero dovuto cantare più
di tre o quattro canzoni, ma i fan in
fibrillazione avevano chiesto sempre di più, e alla fine avevano cantato per
più di un’ora.
Quando tornarono in albergo erano
talmente stanchi che non si fermarono nemmeno a mangiare, si fecero portare
qualcosa in camera e salirono subito a farsi una doccia.
Uscendo dal bagno in accappatoio,
Diego trovò Michele seduto sul letto ad aspettarlo, col vassoio davanti. Il
ristorante si era sbagliato, e aveva consegnato un solo piatto di tagliatelle.
Nessuno dei due aveva una gran fame quella notte, e decisero di farselo
bastare: comunque poi c’era dell’altro da mangiare.
Michele caricò la forchetta e si
mangiò un boccone di tagliatelle, quindi tentò di imboccare Diego, che protestò
dicendo che sapeva mangiare anche da solo; ma poiché anche la forchetta era una
sola, alla fine Diego accettò.
Michele rise, chiedendo a Diego
se si ricordasse di Lilli e il Vagabondo. Anche Diego scoppiò a ridere “tu
saresti Vagabondo immagino”. “Certo non puoi esserlo tu, tutto perfettino come
sei!” e Michele, acchiappata una tagliatella, ne prese un capo in bocca
infilandone l’altro nella bocca dell’amico. Quando alla fine si ritrovarono a
un centimetro di distanza, si guardarono negli occhi: non ricordava Diego chi
dei due si spinse a dare un bacio all’altro, forse fu simultaneo, ma ricordava
che scoppiarono a ridere a più non posso, cadendo all’indietro sul letto,
lottando e azzuffandosi.
Michele ebbe presto la meglio
sull’amico, fermandogli le mani e inchiodandolo al letto sulla schiena, in una
confusione di lenzuola e accappatoi .
Fu a quel punto che si guardarono
e stupiti si avvidero dell’eccitazione che tutti e due provavano; si guardarono
indecisi, incerti se continuare il gioco, non sapendo cosa l’altro avrebbe
potuto pensare.
Michele fissò Diego negli occhi e
con un ghigno malandrino gli disse che avrebbe potuto fare di lui tutto quello
che voleva. Diego lo guardò con aria di sfida. Piano le loro teste si
avvicinarono, e le bocche si unirono. In un crescendo di erotismo si
sfiorarono, si accarezzarono, si cercarono…
A questo punto il cervello di
Diego schizzò via. Si guardò intorno quasi a verificare se qualcuno poteva aver
capito cosa gli stava passando per il cervello, ma nessuno si curava di lui,
seminascosto nell’ombra. Tornò ai suoi ricordi…
I loro giochi erotici si erano
ripetuti nel tempo, ma nessuno dei due aveva mai cercato di portare il loro
rapporto a un livello più alto. Diego aveva la sua ragazza a Torino, dalla
quale tornava quando era in pausa, Michele aveva lasciato da poco la sua, e già usciva con una più giovane e carina, senza
tanti patemi d’animo, e tutto sembrava andare bene.
Non era così. Non più, per Diego.
Erano stati fermi nella settimana precedente, e lui era tornato a casa. Quei
giorni senza Michele gli erano parsi interminabili. La presenza della sua
ragazza anziché renderlo felice, lo infastidiva, non aveva voglia né di
parlare, né tantomeno di fare l’amore con lei, il pensiero costantemente
rivolto all’amico.
Ora Diego stava lì seduto con una
birra in mano, cercando di attingere un
po’ di coraggio dall’alcool; lui che sembrava così spavaldo, che era sempre
pronto a fare casino, a far divertire gli amici con le sue trovate, in realtà
era timido. Cosa avrebbe ottenuto parlando con Michele? Sapeva che per lui era
solo un grande amico, che non avrebbe mai rappresentato altro che il miglior
compagno di giochi. Ma voleva tentare, voleva chiedergli… “Cosa gli chiedo, la sua
mano? Mi manderà al diavolo!”.
Finalmente Michele fu libero e si
avvicinò a Diego; lo vide pensieroso e ne diede la colpa alla stanchezza.
“Andiamo a mangiare qualcosa,
forza, stasera ho una fame…” disse Michele.
Senza fiatare, Diego si alzò e
seguì l’amico verso il pulmino, dove il resto della band stava già aspettando,
e si avviarono verso il ristorante.
Dopo cena, tornati in albergo
Diego si sedette sul terrazzino, tormentandosi il piercing al naso, cercando di
decidere se farsi bastare quello che aveva o se chiedere di più, pretendere
tutto. La sua paura era quella di perdere. Perdere quella bella amicizia che lo
univa a Michele, che probabilmente era soddisfatto così del loro rapporto.
Michele si rese finalmente conto
che quella sera Diego non era il solito, che qualcosa lo affliggeva.
Uscì e si sedette a terra vicino
a lui: “che succede Diegone? Hai la luna di traverso stanotte?”
Diego si girò a guardarlo, e
complice il buio che gli impediva di vedere bene in viso Michele, le parole gli
uscirono di getto: “Michi ascolta, io non sono
più contento di questa situazione, ho bisogno di qualcosa di più, ma non
so bene come spiegartelo, a malapena riesco a spiegarmelo io…”.
Michele lo guardò, stupito: “Quale
situazione? Il fatto che ti considerino “quello che canta con Caparezza”? Ma
non è più così, lo sai. Da quando è uscito il tuo cd solista soprattutto, hai
un sacco di fan, lo hai sentito anche tra il pubblico stasera, l’affetto che
hanno per te. Tra pochi mesi, finito il mio tour, comincerai ad organizzare il
tuo, ti darò una mano, puoi starne certo. Anzi, se vuoi ti posso fare io da seconda voce! Ma non sono bravo come te a
cantare” rise.
“No, no non è quello. Io…”
Michele lo interruppe: “dai
Diego, porta pazienza, ancora pochi concerti, poi spiccherai il volo!”.
“No Michele, perché non vuoi
capire? Non sto parlando dei concerti, sto parlando della nostra vita…”.
“Cosa c’è che non va nella nostra
vita? Mi sembra che fili tutto a meraviglia”.
A quel punto Diego ebbe la
certezza che Michele non avrebbe capito. Lui lo considerava un amico: il
migliore, certo, quello che appena non lo vedi ti manca, ma niente di più di un
amico. Improvvisamente la tristezza si trasformò in rabbia: “Senti Michele, visto
che non vuoi capire lasciamo perdere. Però ti chiedo per favore di lasciarmi
andare: lasciami abbandonare il tour. Mancano poche date, puoi chiamare Stefanino,
un favore te lo fa di sicuro. Io non ce la faccio. Non ce la faccio più”.
Michele addolorato lo prese per
le spalle: “ma Diego, da quanto tempo ti tieni dentro tutto questo? Ma non puoi
comunque, non puoi abbandonarmi così”.
Diego si alzò, scrollandosi di
dosso le mani dell’amico: “ti prego, se sei mio amico lasciami andare” quasi
urlò.
“Se è davvero questo che vuoi, va
bene, non vorrei mai farti del male. Ma mi preoccupa questa cosa, sei il mio
migliore amico, e non avevo capito quanto eri amareggiato… adesso dove vai con
quello zaino?”
“Vado Michele, vado a casa ora”.
“Ma è notte, cosa ti prende?
Aspetta almeno domani mattina, dove vai a quest’ora da solo?”.
“Tranquillo, non mi perderò”
Diego lo abbracciò, gli diede un bacio veloce e uscì.
Michele rimase allibito, in piedi
al centro della stanza, cercando una spiegazione che gli sfuggiva.
La mattina, dopo una notte
insonne, Michele salì sul furgone e spiegò rapidamente ai compagni la nuova
situazione: Diegone se n’era andato, il tour sarebbe proseguito senza di lui. I
ragazzi chiesero spiegazioni, stupiti e addolorati per l’abbandono improvviso
di Diego, ma Michele rimase muto, girato verso il finestrino a guardare il
nulla.
Anche i ragazzi ammutolirono, e
il viaggio cominciò nel silenzio; per la prima volta non fu quella festa che
era di solito quando macinavano chilometri senza accorgersene, tra scherzi e
battute. Dopo tanti anni, fu il primo viaggio triste.
*****
Diego scese dal treno e si
incamminò. Non aveva voglia di salire su un taxi, non aveva voglia di nulla.
Doveva camminare, stordirsi, non voleva pensare. Si fermò a fare un po’ di
spesa, il minimo indispensabile, e andò a casa.
Appena aperta la porta, il gatto
si precipitò a strusciarsi contro le sue gambe. Diego appoggiò borse e zaino, e
lo prese in braccio sedendosi sul divano. Non aprì nemmeno le imposte, e rimase per ore al buio, il gatto che faceva
le fusa sulle sue gambe.
Si svegliò la mattina dopo, quando
il gatto saltò a terra miagolando.
“Va bene, va bene, hai fame.
Beato te” disse Diego mettendogli i croccantini nella ciotola.
Quindi riaccese il cellulare. Tre
chiamate di Michele.
Non richiamò, telefonò alla sua
fidanzata, dicendole che era a casa, che al gatto avrebbe pensato lui e
che magari la sera l’avrebbe raggiunta a
casa sua.
Non che avesse una gran voglia di
vederla, ma voleva tentare di
ricominciare a vivere come prima, quando era il cantante dei Medusa, quando non
aveva ancora incontrato Michele.
Si sedette al tavolo della sala
cercando di creare con il synth qualcosa di nuovo; si stufò presto, e prese a
disegnare. Gli uscirono disegni tristi, cupi: spostò con disgusto i fogli, si
alzò e si preparò un panino. Più tardi uscì
per raggiungere la fidanzata.
Lei gli chiese di rimanere in casa, era da tanto
che non si vedevano, ma Diego la convinse ad uscire, e ad andare nel solito
locale, dove incontrarono la maggior parte dei loro amici.
Diego bevve fin quasi a
ubriacarsi, finendo la serata coricato sui divanetti.
Andò avanti così per giorni,
finché la sua ragazza si rifiutò di continuare a vederlo.
“Tu non vuoi parlare, non vuoi
spiegarmi cosa sta succedendo, ma io sono stanca di questa situazione, e
comunque ho capito che io per te non conto più niente. Penso sia meglio finirla
qui”.
Diego la guardò, annuì e andò a
prendersi un'altra birra. Fabio, suo amico da una vita, cercò di impedirglielo,
ma lui lo respinse vagamente con un braccio e andò al bar.
Quella sera dovettero portarlo a
casa di peso perché non riusciva nemmeno a camminare. Appena arrivati Fabio
dovette portarlo in bagno, dove Diego stette malissimo, e dopo averlo portato a
letto si fermò a dormire sul divano. Non si fidava a lasciarlo solo, e si
ripromise di parlargli seriamente il mattino successivo.
Alle undici Diego si alzò e andò
in soggiorno trascinando i piedi scalzi: la luce che entrava dalla finestra
aperta gli ferì gli occhi come un coltello, la testa che martellava, i pensieri
scheggiati. Fabio lo aspettava con la caffettiera e il pacchetto delle aspirine
sul tavolo.
“Vuoi parlarne?” gli chiese.
“Non penso di essere in grado di
farlo adesso, e sei pregato di non gridare” sussurrò Diego.
“A parte che non sto gridando,
come vuoi comunque. Siamo amici da 20 anni, non devo certo ricordarti che se
hai bisogno io sono qui. Guarda come sei ridotto” fece Fabio.
“Non fare la mammina!”
“Beh, dimmi un po’ chi ti ha
tenuto la fronte mentre vomitavi l’anima sul water, stanotte? Altro che
mammina!”
Diego lo guardò con affetto e gli
fece un mezzo sorriso “lo so Fabio, ma non preoccuparti supererò questo
momento, ne abbiamo superati altri no?”. Bevve il caffè amaro storcendo la
bocca. “Vai a casa, che ti staranno aspettando. Sto bene adesso”.
Si abbracciarono stretti, e Fabio
se ne andò, non senza avergli raccomandato di chiamarlo in qualsiasi momento se
avesse avuto bisogno.
Il cellulare suonava. Diego si
guardò intorno, cercandolo con gli occhi. Lo trovò sotto una pila di fogli:
Michele. Improvvisamente fu assalito da un impeto di rabbia: scagliò il
cellulare sul divano e rovesciò a terra tutto quello che c’era sul tavolo. Si
riprese soltanto quando stava per lanciare anche il Synth… quello no.
Camminando scompostamente tornò in camera e si buttò sul letto. Si addormentò.
Si svegliò prima dell’alba.
“Michele, fatti in là con ‘sti capelli”. Aprì gli occhi: no, non era Michele,
era il gatto acciambellato sul cuscino, attaccato alla sua faccia. Diego rise,
una risata isterica, poi prese il gatto tra le braccia.
“Sono un imbecille. Ma perché
devo rinunciare al mio rapporto con Michele? Ma chi me lo fa fare? Meglio una
briciola che niente del tutto. Non resisto senza di lui. Vado. Tornerà tutto
come prima, me lo farò bastare, non chiederò niente di più di quanto lui sia
disposto a darmi”. Si alzò, fece una doccia e preparò velocemente la sacca. 12
Luglio. Sono ad Arezzo. Se parto subito, ce la faccio.
*****
Michele se ne stava appoggiato al
muro, fuori dai camerini, guardando il viavai di gente. Erano all’Arezzo Wave
quella sera.
Gli ultimi quattro concerti erano
stati un tormento per lui. Sentiva la mancanza dell’amico in ogni momento, in
ogni occasione, con tutto sé stesso.
Non aveva chiamato Stefanino,
come gli aveva suggerito Diego. Non avrebbe avuto senso. Lui ormai era
proiettato verso un’altra carriera, e comunque non avrebbe potuto affrontare
tutto lo spettacolo senza averlo mai provato.
E poi era inutile, nessuno era
come Diego.
Ad ogni concerto, Michele aveva
spiegato al pubblico che erano sorti dei problemi, che Diego aveva dovuto
abbandonare il tour, ma sperava che quanto prima sarebbe tornato. Il microfono
comunque era rimasto al suo posto sul palco. Cantando Michele vi si avvicinava,
come se Diego fosse lì, come se dovessero fare uno dei loro tanti sketch.
Tutta la band aveva risentito
della situazione. Michele e Diego insieme erano due portenti, suonare con loro
era sempre speciale. Ora niente era più come prima. Oh, i concerti riuscivano
bene, Caparezza era Caparezza, il successo era sempre assicurato. Ma mancava
qualcosa.
Durante le prove del pomeriggio i
due amici si scatenavano sempre in qualche cosa di nuovo; c’era sempre uno
scherzo da fare a qualcuno, dovevano sempre stare attenti alle spalle. Ma da
quando Diego non c’era più, Michele era diventato un’altra persona. Serio,
pensieroso, a volte intrattabile.
Michele da due mesi si
tormentava, cercando di capire cosa volesse dire Diego in quell’ultimo incontro
al concerto di Parma. Non aveva mai risposto alle sue chiamate, non voleva
parlare con lui, non voleva dare spiegazioni evidentemente.
Era giunto alla conclusione che
Diego forse era stanco di quei loro giochi notturni. Eppure era sicuro che si divertiva
anche lui. Accidenti se si divertiva, non l’aveva certo obbligato a
sottostarvi, anzi, spesso era Diego a prendere l’iniziativa, con quella sua
faccetta, quegli occhioni sognanti, che sapevano diventare molto maliziosi
all’occorrenza!
Magari la situazione era
cambiata, Diego aveva una ragazza a Torino, probabilmente aveva deciso di
troncare una situazione che gli era diventata pesante.
Sì, doveva essere così. “Domani
siamo a Sesto San Giovanni. Finito il concerto parto per Torino, ho tre giorni
liberi, vado, gli dico di stare tranquillo, che non ci sarà più niente tra noi
se non quello che è lecito! Ma lo rivoglio al mio fianco, nei concerti e nella
vita. Non posso fare a meno di lui. Non solo perché è il mio migliore amico
credo. Ma gli giurerò che non ci sarà altro tra noi che quello. Dormiremo in
camere separate se vorrà, ma deve tornare”.
*****
Michele si avvicinò al palco,
dove tra poco più di un paio d’ore si sarebbero esibiti Il Teatro degli Orrori.
Era il suo gruppo preferito, ma avrebbe preferito avere Diego al suo fianco,
che prendeva in giro Pierpaolo con le sue battutine al vetriolo. Si sarebbe
divertito di più.
Si sentì picchiare sulla spalla,
si girò: Diego. Impallidì e chiuse gli occhi: “ecco, ho le visioni ora”. Pensava sempre a lui, ora cominciava a evocarne la presenza.
“Michi, stai male?” fece Diego.
Michele aprì gli occhi “Sei qui
davvero, sei proprio qui, tu sei qui”.
Diego sorrise “Beh, non proprio
un eloquio brillante, vero?”.
Michele si riprese, rise e
abbracciò l’amico, tenendoselo stretto. Poi si ricordò dei suoi propositi e lo
lasciò andare bruscamente. Diego lo guardò, sorpreso e un po’ deluso.
“Senti, vieni, andiamo nei
camerini, ti devo parlare assolutamente, sarei venuto a Torino sabato” disse
Michele. Gli prese la mano, la lasciò subito come se scottasse, e alla fine lo
spinse verso il fondo del campo.
Una volta dentro, chiusero la
porta a chiave, e Michele attaccò “ascolta Diego, io ho capito, non vuoi più
che ci siano rapporti tra noi, al di fuori della nostra amicizia, giusto? Bene,
per me va bene, però non mollarmi più così, torna con noi, torna nel tour, poi
ne parleremo meglio, ma dimmi, va bene per te così?”
“Ma veramente…”
“No, non preoccuparti, non c’è
problema, alla fine ci eravamo lasciati prendere la mano forse, no?” continuò
Michele.
“Lasciami parlare, Michele” disse
Diego, e facendosi coraggio continuò “hai proprio sbagliato stavolta. Io volevo
che il nostro rapporto diventasse un po’ più… solido, e non il contrario”. Lo
guardò negli occhi. “Ma per me va bene continuare come prima, non voglio niente
di più”.
Michele rimase immobile un
attimo, a pensare, poi prese l’amico fra le braccia, lo strinse, gli disse “non
te ne andare mai più Diego, o dovrò smettere di cantare: i duetti col microfono
non mi riescono granché bene”.
Diego si alzò in punta di piedi e
riempì il viso di Michele di baci leggeri sugli occhi, il naso, la bocca, tanti
piccoli tocchi delicati e sensuali. Michele si lasciò sfuggire un gemito, prese
la testa dell’amico fra le mani e si impadronì della sua bocca. Cominciò con
piccoli morsi, poi lo baciò con delicatezza e finalmente le lingue si
incontrarono, il bacio diventò profondo, urgente.
Staccandosi, senza fiato, Diego
guardò maliziosamente Michele e disse: “ le porte sono chiuse no? E abbiamo un
po’ di tempo prima del concerto…”.
Michele lo stava già spogliando,
ansioso. Se lo ritrovò davanti nudo, il fisico asciutto, minuto ma scolpito,
evidentemente eccitato, così bello… “Nudo con le scarpe non sei un bello
spettacolo” attaccò Michele, cercando di calmarsi.
Diego rise e spogliò Michele a
sua volta. Il fisico prorompente, quella massa di riccioli neri, quegli occhi
altrettanto neri, così profondi…
Michele se lo prese al collo,
Diego gli circondò i fianchi con le gambe e si buttarono sulla brandina
nell’angolo.
Diego baciò a lungo il suo
Michele, scese lungo il collo, stette un po’ a coccolarselo, le dita tra i peli
ad accarezzare il petto, la bocca a tormentargli i capezzoli, poi scese
baciandolo, sempre più giù, facendolo impazzire.
Poi toccò a Michele che a sua
volta esplorò il corpo di Diego baciando, scendendo con la lingua fino al punto
in cui Diego lo implorò di smettere e prendendogli la testa lo attirò a sé, lo
baciò, si strinse ai suoi fianchi. Fecero l’amore come se fosse la prima volta;
quando Michele sentì che Diego avrebbe urlato per il piacere, lo azzittì baciandolo.
Alla fine si guardarono, si sorrisero,
e poi risero come pazzi. La coppia si era riformata.
Dopo la doccia, uscendo per
andare a vedere Il Teatro, Diego fermò Michele e gli chiese piano “posso dirti
che ti amo, qualche volta?”. Michele lo guardò dritto negli occhioni nocciola e
rispose “ tu prova”.
“Ti amo Michele”.
Michele sorrise “ti amo anch’io
Diegone” dandogli un bacio leggero.
“Ora andiamo che Pierpaolo ci
aspetta, e poi ci aspetta il nostro concerto!”. Sbuffando e ridendo Diego si
incamminò, abbracciato a Michele.
“Amico di mille avventure, fianco
a fianco in ogni battaglia, negli stessi furgoni, negli stessi ambienti, a
volte persino nello stesso letto…” disse il giorno dopo Michele ringraziando il
suo Diego sul palco del Carroponte.
Cara, momenti bellissimi percorrono questa fiction completa, esaustiva, che va a toccare temi profondi ed intimi. Dove il tema amicizia – amore o il più moderno e cinico trombamicizia, viene sviscerato in maniera profonda e mai banale. Non nega Diego a se stesso quello che sta provando, ma non potendolo avere del tutto scappa, ma più che scappare da Michele, ad un certo punto mi sembra che scappi da se stesso. Ma non ci riesce, e costretto a restare con se stesso (perché non basta farsi lasciare dalla fidanzata di sempre per risolvere i conflitti) capisce che se stesso senza Michele non gli piace. Ci sta pure che insicuro com’è, Michi questa volta prenda una tavanata colossale a non capire al volo il mal contento del suo amico caro. Mi piacerebbe riuscire a fare un commento più dettagliato, così come è ricco di dettagli questo racconto, ma magari riprovo perché ora l’emozione mi ha un attimo stordito. Quella citazione di ringraziamenti mi ha stretto il cuore.... e tu mi puoi capire, sono sicura che quando l’hai riletta anche a te è scappata una lacrima... vero?
RispondiEliminaDavvero mozzafiato questa storia. Non posso pensare a Diego che abbandona in quel modo il suo Michele. Doveva essere davvero disperato da compiere un gesto così estremo. Per fortuna si è reso conto che la sua vita non ha significato senza di lui. Quando è a Torino è come se parte della sua anima fosse rimasta con Michele, si sente diviso a metà, incompleto e quando si rende conto che non può continuare in quel modo decide di tornare a costo di seppellire i sentimenti che prova, accettando di restare solo amici, pur di non perdere anche quel poco che avevano. Ogni volta che leggo una tua fic mi commuovo tantissimo, sei bravissima
RispondiEliminaBella... bellissima... <3
RispondiEliminaIl povero Diegone confuso che scappa dai suoi sentimenti per paura di essere rifiutato... le incomprensioni fra i due... il momento in cui decidono di venirsi incontro e quando si rivedono e finalmente si parlano chiaramente tutto torna come e meglio di prima... per non parlare dei ringraziamenti finali... mi hai strappato una lacrimuccia...
Grazie per questa fic! :*