giovedì 22 novembre 2012

2Pianeti prima parte



Titolo: 2Pianeti
Sottotitoli: vari, saranno specificati via via
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e non per insinuare qualcosa!


In 2 sull’Ortica (1)




“Ma che cazzo hai da abbagliare, passa no?” Michele guarda dal finestrino il Suv che lo sorpassa e schizza via, a una velocità sicuramente superiore a quella ammessa dalla legge.
Guarda l’orologio, le tre di una notte senza luna e senza stelle. Buio pesto, e autostrada senza curve, troppo noiosa per poter restare sveglio ancora a lungo.
Al prossimo autogrill mi fermo e dormo un po’, sto per sforare, da ieri sera non ho ancora staccato.
Nemmeno la musica riesce più a tenerlo vigile; chissà perché poi la notte le radio mettono quelle lunghe serie di canzoni senza una parola che interrompa la monotonia. Ho anche rotto l’Mp3, porca… Ecco l’autogrill. Michele mette la freccia ed entra nel parcheggio destinato ai camion. Pensa di andare a bere qualcosa, se non a mangiare, ma è troppo stanco.
Esce un attimo dalla cabina per stirare un po’ i muscoli indolenziti. Fa due passi verso il recinto che delimita il campo li vicino. Vede un gufo nascosto tra i rami che lo guarda. “Ancora sveglio eh? Faresti meglio a dormire, tu che puoi”.
Quindi torna verso il camion. Michè, ti rendi conto che hai parlato con un gufo? Salta sul camion e  si butta nella cuccetta dietro cercando di rilassarsi. Certo non è comodissimo li dentro, lui che è così lungo, deve sempre rannicchiare un po’ le gambe.
Con le mani incrociate dietro alla testa, quel gran testone di capelli ricci e neri, Michele fissa il soffitto.
Gaja. Chissà cosa sta facendo adesso. Starà dormendo. O starà scopando con quel coglione che ha preso il mio posto. Maledetto bastardo.
Michele si gira sul fianco e prova a dormire. Già. Io sono il coglione. Io che non mi sono accorto di niente. Io che intanto che facevo il perimetro dell’Italia, e pensavo che regalo portarle dalle città che toccavo, lei se ne stava nel mio letto con quel fottutissimo architetto, pieno di soldi per di più. Magari non nel mio letto, nel suo, dell’architetto. In qualunque letto fossero, le corna le mettevano a me...
Niente, chi se ne importa, non me ne frega niente, era una stronza. A dispetto dell’ultimo pensiero, una lacrima brilla negli occhi neri. Fa ancora troppo male aver perso la donna della sua vita o, quanto meno, quella che aveva imparato a sopportarlo così bene. Almeno così sembrava a lui.
Finalmente, nel silenzio del parcheggio, rotto solo dal canto di qualche uccello notturno, Michele si addormenta.
Si risveglia alle sette del mattino. Si stiracchia come può, e si mette a sedere, prendendo la solita testata contro la cabina. Anni che guida e dorme su quel camion, e ancora non ha preso bene le misure!
Bestemmiando in barese scende dal camion e rimane un attimo interdetto a guardarsi intorno: è rimasto solo lui nel grande parcheggio di quell’autogrill nelle campagne toscane.
Devo pisciare. Con andatura ancora irregolare, grattandosi la testa si avvia verso il bordo del parcheggio, e si infila dietro un albero. Con un sospiro di sollievo, si sistema i jeans e fa per andarsene, quando qualcosa attira la sua attenzione: in fondo alla fila di acacie, gli pare di vedere due gambe stese sul prato.
Inquieto, sentendosi piombare improvvisamente in una puntata di Quarto grado, Michele si avvia lentamente verso la figura che intravvede tra i cespugli.
Facendo un bel respiro, si allunga al di sopra degli arbusti che coprono la visuale, e vede un ragazzo rannicchiato a terra.
Subito Michele si china vicino a lui per vedere se è vivo o… no, è vivo, respira. Anche Michele riprende a respirare: ha temuto il peggio.
“Hey ragazzo, cosa fai qui nel prato? Ci saranno tre gradi, vuoi morire assiderato?”.
Il giovanotto apre gli occhi e lo guarda spiritato: un ciuffo di capelli arruffati sulla testa, il volto pallido con fonde occhiaie che sottolineano due grandi occhi, in questo momento assolutamente inespressivi.
“Parla, stai bene? Chi ti ha portato qui? Dimmi se devo chiamare la polizia” insiste Michele, prendendolo per le spalle.
Finalmente negli occhi pesti del ragazzo brilla un lampo di paura: “No, no niente polizia” mormora con un filo di voce; fa per alzarsi, ma le gambe non lo reggono. Michele è pronto a prenderlo al volo, per evitare che cada a terra.
“Ce la fai? Ti tengo io, ce la fai a camminare?” Michele lo tiene stretto alla vita e il ragazzo si stabilizza.
“Si, aspetta un attimo; ho le gambe intorpidite” risponde a fatica.
“E non solo le gambe mi sembra! Il cervello non mi sembra messo meglio!” Michele pensa che il giovane sia sotto l’effetto di qualche sostanza.
“Oh, che cazzo vuoi tu dalla mia vita? Non ti ho detto io di darmi una mano” ribatte lui con veemenza, resa inefficace dalla voce tremante.
Michele all’improvviso, lo lascia andare e lui barcolla un attimo per poi cadere miseramente a terra.
“Stronzo” sibila sedendosi.
“Sì, sì sono uno stronzo infatti; tu che sei così furbo invece, arrangiati un po’ come credi” e Michele si allontana verso l’autogrill.
Fatto qualche passo però Michele si volta a guardare. Il ragazzo è ancora a terra, seduto con le gambe raccolte e la schiena contro la staccionata. Michele ha il cuore tenero in fondo e prova una gran pena per lo sbandatello.
Sbuffando, torna sui suoi passi si ferma davanti a lui e gli tende la mano.
Il ragazzo lo guarda torvo, poi allunga la mano a sua volta e si rialza.
“Vieni che ci beviamo qualcosa di caldo, credo che serva a tutti e due” e Michele passa un braccio attorno alle spalle del biondino, che non dice più niente e si avvia al suo fianco.
L’autogrill a quell’ora è quasi vuoto. Il ragazzo siede pesantemente su una panca, e accetta il cappuccino e la brioche che Michele gli offre.
“Io sono Michele” dice tendendogli la mano. L’altro a sua volta allunga la sua, che scompare quasi fra quella grande di Michele. “Diego”.
“Com’è che hai messo tutti quegli anellini sulla faccia?” chiede Michele sedendosi di fronte a lui. Diego infatti sfoggia dei cerchietti al labbro, al naso e sulla punta dell’orecchio sinistro.
“Che domanda del cazzo. Io potrei chiederti perché ti porti in giro quella testa enorme di capelli ricci” Diego è decisamente indisponente.
Michele lo guarda indeciso se tirargli un ceffone o piantarlo lì con la colazione da pagare, ma decide di lasciar perdere. E’ un ragazzino in fondo, avrà poco più di vent’anni.
Non che io sia molto più vecchio, pensa Michele guardandolo.
Diego si avventa sulla brioche come se non mangiasse da una settimana.
“Hai del cioccolato sul naso” fa Michele, togliendoglielo con un dito.
Diego lo guarda, e gli scappa un sorriso. “Tu hai mezza bustina di zucchero sulla barba se è per quello” ridacchia. Una risatina sgraziata ma simpatica. A Michele dà l’impressione che non rida da un po’. E dopo uno sbuffo, e cercando di pulirsi la barba alla meglio col tovagliolo, scoppia a ridere pure lui.
“Grazie comunque per la colazione, Michele detto il ricciolone”.
“Ah, ma sai essere un bambino educato a volte, anche se di norma, scommetto che sei terribilmente insolente” ribatte Michele, guardandolo severamente.
Diego arrossisce e non commenta.  “Allora, me lo dici come sei finito qui? Cosa pensi di fare adesso?” chiede Michele.
Diego guarda dalla vetrata dell’autogrill il traffico che si è fatto più intenso. Poi torna a guardare Michele. “Non lo so... ” e si stringe fra le braccia. Venuta meno l’arroganza, Diego sembra solo un ragazzino indifeso.
“Senti, io devo ripartire, non posso perdere troppo tempo. Facciamo un patto. Io ti do un passaggio, e strada facendo, mi spieghi cosa ti è successo. Va?”
“Io non devo spiegare niente a nessuno, tanto meno a te” ribatte Diego, con un rigurgito di insolenza.
Michele alza gli occhi al cielo, poi guarda Diego: “Avrei una mezza idea di sculacciarti, per farti passare quella boria. Comunque è l’ultima occasione, o sali sulla mia ortica o tra cinque minuti ti spedisco qui quei tre poliziotti che sono appena arrivati nel parcheggio?”.
Diego guarda dalla vetrata la pantera della polizia e scatta in piedi con una forza che non pensava di avere, e si avvicina a Michele: “Va bene, va bene, vengo con te. Però mi spieghi cosa è questa cazzo di ortica, ok?”. Michele nasconde il sorrisetto dietro la mano.
“L’ortica è il mio tir. L’ho rinominato così e forse un giorno capirai perché, ma ne dubito. Andiamo” Sorridendo bieco, Michele lo prende sottobraccio, e lo guida all’uscita. “Hai ancora fame?” chiede.
Diego lo guarda e fa il secondo sorriso della giornata: “Un po’, sì, ma non importa, andiamo”.
“Sei più simpatico quando sorridi. Aspetta” Michele, dopo aver fatto la fila alla cassa per pagare anche due panini e del cioccolato, finalmente si avvia verso l’uscita con Diego al suo fianco.

Diego si guarda insistentemente attorno, dentro la cabina del tir che Michele ha denominato l’ortica da tempo immemore. Da quando certi affari di famiglia sono andati a mare e lui si è rimboccato le maniche, e ha preso la patente C e via, in giro con l’ortica. Perché l’ortica prude ma ci devi stare. È il suo pane. “Ti piace guidare?” domanda Diego sgranocchiando la sua cioccolata. Michele gli lancia un’occhiataccia mentre pensa che ben presto si sporcherà fino agli occhi. “No, lo detesto!”
“Potevi sceglierti un altro mestiere allora”
“Non sempre è possibile scegliere” poi lo squadra torvo, non si era accorto che di profilo, esibisce una bella rasatura sopra l’orecchio. Ha mezza testa rasata e l’altra mezza super capelluta, compreso il ciuffo davanti agli occhi. “Tu invece hai scelto di essere un punk che si sveglia in mezzo al parco di un autogrill e non si ricorda nemmeno come ci è arrivato?”
“Me lo ricordo eccome. Non sono un punk... non più” tira su col naso distrattamente e, dopo aver sistemato l’involucro attorno alla barretta, domanda: “Dove stiamo andando?” s’informa guardandolo con gli occhi ora belli sgranati e decisamente più svegli rispetto a quando Michele lo ha raccolto.
“Tu dove vorresti andare?”
“Io sto a Torino, ma davvero non so come sono arrivato a Figline Val d’Arno”
“Ecco, vedi che sei un cazzaro? Poco fa hai detto di sì”
“Va bene, sono un cazzaro, ora mi dici dove stiamo andando?”
Michele oscilla la testa mentre controlla il navigatore. “La prossima tappa è Dresda. Ma forse a te non interessa sconfinare no?” dopo un lungo sospiro continua: “Posso fermarmi a Bologna, ti prendi un treno e te ne torni a casa. E se vuoi un consiglio fallo e fatti pure un bagno”
“A casa non mi aspetta nessuno...” fa Diego laconicamente guardando ora fuori dal finestrino. Michele si domanda se gli stia proponendo di restare con lui fino in Germania. Ma forse ha capito male. La cosa, se ci pensa proprio bene ma bene, bene, non gli dispiace. Lui è un lupo solitario, raramente carica autostoppisti, anche perché è contro le regole, e lui comunque le regole è solito rispettarle e le fa rispettare anche agli altri, soprattutto quando si tratta di salvaguardare la vita della gente. Dormire sempre regolare, ad esempio, è quello che si raccomanda sempre ai colleghi del sindacato. Perché prima o poi se  non si dorme abbastanza, si ammazza qualche famigliola, non c’è niente da fare. “Sì, puoi restare ma hai un documento. Cioè la carta d’identità che l’hai? Non voglio avere problemi per colpa tua”
“Michele sto provando a schiacciare un pisolino, mi molli?” Si agita sul sedile cercando la posizione migliore: “Ce l’ho la fottuta carta d’identità e sì, va bene, andiamo a Dresda, non ci sono mai stato”
“Non ti sei perso niente. Anche perché io non vado a fare turismo ma a scaricare tre tonnellate di pelati destinati alla filiera dei supermercati. Non è proprio il massimo del divertimento, non quello che conosci tu quanto meno” Michele non lo dice ma ha quasi chiaro cosa sia successo a Diego. “Sei stato in una di quelle feste, come si chiamano: a sì, rave party no? Ti sei fatto e hai perso l’orientamento. Ho ragione?” Ma Diego non gli risponde, si è appisolato davvero. Dorme appoggiato allo sportello, la guancia sul giacchetto usato a mo di cuscino e la testa infilata dentro il cappuccio della felpa. Le labbra appena schiuse. “Va bene dormi, che razza di compagnia che mi fai... fossi almeno una bella figliola!” Sogghigna guardando davanti a sé. La strada è ancora tanta, e lunga, e monotona.



5 commenti:

  1. Devo ammettere che mi piace questo Michele camionista. Mi fa venire in mente tante fantasie. Diego invece mi mette una grande tenerezza, mi chiedo come mai abbia così paura della polizia tanto da rischiare di seguire un perfetto sconosciuto fino a Dresda. Penso si senta solo e desideroso di qualcuno che si prenda cura di lui. Ha trovato forse il suo salvatore? Per esprimermi dovrei approfondire di più la psicologia di Michele, ma soprattutto quella più complessa di Diego che da quello che immagino nasconde parecchie cosette.

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  2. Ecco, sono già innamorata anche di questa storia... ragazze, siete un team infallibile! :D
    Chissà quanti segreti nasconde questo Diego e se Michele riuscirà a scoprirli durante questo viaggio! (E poi "Ortica" è un nome troppo azzeccato per il suo tir! :D)

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