giovedì 1 novembre 2012

Se ti dico che ti amo...



Titolo: Se ti dico che ti amo...
Parring: Diego/Caparezza
Genere: molto real person slash e un po' what if... ? (e se...?) perché sappiamo che "realmente" non si sono mai separati, artisticamente.... :)
Warning: NC 17
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia, e come sempre niente è fatto a scopo di lucro

..non ricordava Diego chi dei due si spinse a dare un bacio all’altro, forse fu simultaneo, ma ricordava che scoppiarono a ridere a più non posso, cadendo all’indietro sul letto, lottando e azzuffandosi...


Il  concerto a Parma  era appena terminato. Giusto il tempo di darsi una sistemata, e Michele era già fuori  a firmare autografi e fare fotografie con i fan. Nonostante la stanchezza, non rinunciava mai a questo rituale, e finché anche l’ultima persona non era stata accontentata, Michele non se ne andava.
Diego lo guardava da lontano, la testa riccia che sovrastava di parecchio la folla che lo circondava, e cercava dentro di sé il coraggio di parlargli, dopo.
Si era già preparato mille discorsi, e li aveva cestinati tutti.
Da quanti anni si conoscevano: il loro era stato un vero colpo di fulmine. Dopo cinque minuti che parlavano, avevano già capito che la loro sarebbe stata un’amicizia speciale, perché avevano la stessa visione delle cose.
Quando Michele gli aveva chiesto di fare la sua seconda voce, a Diego non era parso vero. Certo che lo voleva: così nel 2006 Diego era entrato a far parte della band.
Si erano messi al lavoro, due vulcani in eruzione; le idee nascevano facilmente, e si trovavano sempre d’accordo. Diego poi era un istrione, aggiungeva sempre qualcosa e Michele approvava incondizionatamente.
Come nel  lavoro, anche nella vita privata erano diventati inseparabili. Durante il tour condividevano sempre la stessa stanza e lo stesso letto.  Questa intimità forzata non li turbava minimamente, anzi, a volte era proprio di notte, coricati vicini, che nascevano le idee più brillanti.
Diego ricordava benissimo la prima volta che il loro rapporto si evolse in qualcosa di più.
Erano particolarmente stanchi, quella notte, avevano viaggiato da un capo all’altro dell’Italia per raggiungere la città del concerto; la data non era prevista ma Legambiente aveva chiesto a Michele di partecipare  a una serata, e Michele nonostante il breve preavviso, non aveva certo rifiutato.
Non avrebbero dovuto cantare più di tre o quattro canzoni,  ma i fan in fibrillazione avevano chiesto sempre di più, e alla fine avevano cantato per più di un’ora.
Quando tornarono in albergo erano talmente stanchi che non si fermarono nemmeno a mangiare, si fecero portare qualcosa in camera e salirono subito a farsi una doccia.
Uscendo dal bagno in accappatoio, Diego trovò Michele seduto sul letto ad aspettarlo, col vassoio davanti. Il ristorante si era sbagliato, e aveva consegnato un solo piatto di tagliatelle. Nessuno dei due aveva una gran fame quella notte, e decisero di farselo bastare: comunque poi c’era dell’altro da mangiare.
Michele caricò la forchetta e si mangiò un boccone di tagliatelle, quindi tentò di imboccare Diego, che protestò dicendo che sapeva mangiare anche da solo; ma poiché anche la forchetta era una sola, alla fine Diego accettò.
Michele rise, chiedendo a Diego se si ricordasse di Lilli e il Vagabondo. Anche Diego scoppiò a ridere “tu saresti Vagabondo immagino”. “Certo non puoi esserlo tu, tutto perfettino come sei!” e Michele, acchiappata una tagliatella, ne prese un capo in bocca infilandone l’altro nella bocca dell’amico. Quando alla fine si ritrovarono a un centimetro di distanza, si guardarono negli occhi: non ricordava Diego chi dei due si spinse a dare un bacio all’altro, forse fu simultaneo, ma ricordava che scoppiarono a ridere a più non posso, cadendo all’indietro sul letto, lottando e azzuffandosi.
Michele ebbe presto la meglio sull’amico, fermandogli le mani e inchiodandolo al letto sulla schiena, in una confusione di lenzuola e accappatoi .
Fu a quel punto che si guardarono e stupiti si avvidero dell’eccitazione che tutti e due provavano; si guardarono indecisi, incerti se continuare il gioco, non sapendo cosa l’altro avrebbe potuto pensare.
Michele fissò Diego negli occhi e con un ghigno malandrino gli disse che avrebbe potuto fare di lui tutto quello che voleva. Diego lo guardò con aria di sfida. Piano le loro teste si avvicinarono, e le bocche si unirono. In un crescendo di erotismo si sfiorarono, si accarezzarono, si cercarono…
A questo punto il cervello di Diego schizzò via. Si guardò intorno quasi a verificare se qualcuno poteva aver capito cosa gli stava passando per il cervello, ma nessuno si curava di lui, seminascosto nell’ombra. Tornò ai suoi ricordi…
I loro giochi erotici si erano ripetuti nel tempo, ma nessuno dei due aveva mai cercato di portare il loro rapporto a un livello più alto. Diego aveva la sua ragazza a Torino, dalla quale tornava quando era in pausa, Michele aveva lasciato da poco la sua, e già usciva con una più giovane e carina, senza tanti patemi d’animo, e tutto sembrava andare bene.
Non era così. Non più, per Diego. Erano stati fermi nella settimana precedente, e lui era tornato a casa. Quei giorni senza Michele gli erano parsi interminabili. La presenza della sua ragazza anziché renderlo felice, lo infastidiva, non aveva voglia né di parlare, né tantomeno di fare l’amore con lei, il pensiero costantemente rivolto all’amico.
Ora Diego stava lì seduto con una birra in mano, cercando  di attingere un po’ di coraggio dall’alcool; lui che sembrava così spavaldo, che era sempre pronto a fare casino, a far divertire gli amici con le sue trovate, in realtà era timido. Cosa avrebbe ottenuto parlando con Michele? Sapeva che per lui era solo un grande amico, che non avrebbe mai rappresentato altro che il miglior compagno di giochi. Ma voleva tentare, voleva chiedergli… “Cosa gli chiedo, la sua mano? Mi manderà al diavolo!”.
Finalmente Michele fu libero e si avvicinò a Diego; lo vide pensieroso e ne diede la colpa alla stanchezza.
“Andiamo a mangiare qualcosa, forza, stasera ho una fame…” disse Michele.
Senza fiatare, Diego si alzò e seguì l’amico verso il pulmino, dove il resto della band stava già aspettando, e si avviarono verso il ristorante.
Dopo cena, tornati in albergo Diego si sedette sul terrazzino, tormentandosi il piercing al naso, cercando di decidere se farsi bastare quello che aveva o se chiedere di più, pretendere tutto. La sua paura era quella di perdere. Perdere quella bella amicizia che lo univa a Michele, che probabilmente era soddisfatto così del loro rapporto.
Michele si rese finalmente conto che quella sera Diego non era il solito, che qualcosa lo affliggeva.
Uscì e si sedette a terra vicino a lui: “che succede Diegone? Hai la luna di traverso stanotte?”
Diego si girò a guardarlo, e complice il buio che gli impediva di vedere bene in viso Michele, le parole gli uscirono di getto: “Michi ascolta, io non sono  più contento di questa situazione, ho bisogno di qualcosa di più, ma non so bene come spiegartelo, a malapena riesco a spiegarmelo io…”.
Michele lo guardò, stupito: “Quale situazione? Il fatto che ti considerino “quello che canta con Caparezza”? Ma non è più così, lo sai. Da quando è uscito il tuo cd solista soprattutto, hai un sacco di fan, lo hai sentito anche tra il pubblico stasera, l’affetto che hanno per te. Tra pochi mesi, finito il mio tour, comincerai ad organizzare il tuo, ti darò una mano, puoi starne certo. Anzi, se vuoi ti posso fare io  da seconda voce! Ma non sono bravo come te a cantare” rise.
“No, no non è quello. Io…”
Michele lo interruppe: “dai Diego, porta pazienza, ancora pochi concerti, poi spiccherai il volo!”.
“No Michele, perché non vuoi capire? Non sto parlando dei concerti, sto parlando della nostra vita…”.
“Cosa c’è che non va nella nostra vita? Mi sembra che fili tutto a meraviglia”.
A quel punto Diego ebbe la certezza che Michele non avrebbe capito. Lui lo considerava un amico: il migliore, certo, quello che appena non lo vedi ti manca, ma niente di più di un amico. Improvvisamente la tristezza si trasformò in rabbia: “Senti Michele, visto che non vuoi capire lasciamo perdere. Però ti chiedo per favore di lasciarmi andare: lasciami abbandonare il tour. Mancano poche date, puoi chiamare Stefanino, un favore te lo fa di sicuro. Io non ce la faccio. Non ce la faccio più”.
Michele addolorato lo prese per le spalle: “ma Diego, da quanto tempo ti tieni dentro tutto questo? Ma non puoi comunque, non puoi abbandonarmi così”.
Diego si alzò, scrollandosi di dosso le mani dell’amico: “ti prego, se sei mio amico lasciami andare” quasi urlò.
“Se è davvero questo che vuoi, va bene, non vorrei mai farti del male. Ma mi preoccupa questa cosa, sei il mio migliore amico, e non avevo capito quanto eri amareggiato… adesso dove vai con quello zaino?”
“Vado Michele, vado a casa ora”.
“Ma è notte, cosa ti prende? Aspetta almeno domani mattina, dove vai a quest’ora da solo?”.
“Tranquillo, non mi perderò” Diego lo abbracciò, gli diede un bacio veloce e uscì.
Michele rimase allibito, in piedi al centro della stanza, cercando una spiegazione che gli sfuggiva.
La mattina, dopo una notte insonne, Michele salì sul furgone e spiegò rapidamente ai compagni la nuova situazione: Diegone se n’era andato, il tour sarebbe proseguito senza di lui. I ragazzi chiesero spiegazioni, stupiti e addolorati per l’abbandono improvviso di Diego, ma Michele rimase muto, girato verso il finestrino a guardare il nulla.
Anche i ragazzi ammutolirono, e il viaggio cominciò nel silenzio; per la prima volta non fu quella festa che era di solito quando macinavano chilometri senza accorgersene, tra scherzi e battute. Dopo tanti anni, fu il primo viaggio triste.
*****
Diego scese dal treno e si incamminò. Non aveva voglia di salire su un taxi, non aveva voglia di nulla. Doveva camminare, stordirsi, non voleva pensare. Si fermò a fare un po’ di spesa, il minimo indispensabile, e andò a casa.
Appena aperta la porta, il gatto si precipitò a strusciarsi contro le sue gambe. Diego appoggiò borse e zaino, e lo prese in braccio sedendosi sul divano. Non aprì nemmeno le imposte,  e rimase per ore al buio, il gatto che faceva le fusa sulle sue gambe.
Si svegliò la mattina dopo, quando il gatto saltò a terra miagolando.
“Va bene, va bene, hai fame. Beato te” disse Diego mettendogli i croccantini nella ciotola.
Quindi riaccese il cellulare. Tre chiamate di Michele.
Non richiamò, telefonò alla sua fidanzata, dicendole che era a casa, che al gatto avrebbe pensato lui e che  magari la sera l’avrebbe raggiunta a casa sua.
Non che avesse una gran voglia di vederla, ma voleva  tentare di ricominciare a vivere come prima, quando era il cantante dei Medusa, quando non aveva ancora incontrato Michele.
Si sedette al tavolo della sala cercando di creare con il synth qualcosa di nuovo; si stufò presto, e prese a disegnare. Gli uscirono disegni tristi, cupi: spostò con disgusto i fogli, si alzò e si preparò un panino. Più tardi uscì  per raggiungere la fidanzata.
Lei  gli chiese di rimanere in casa, era da tanto che non si vedevano, ma Diego la convinse ad uscire, e ad andare nel solito locale, dove incontrarono la maggior parte dei loro amici.
Diego bevve fin quasi a ubriacarsi, finendo la serata coricato sui divanetti.
Andò avanti così per giorni, finché la sua ragazza si rifiutò di continuare a vederlo.
“Tu non vuoi parlare, non vuoi spiegarmi cosa sta succedendo, ma io sono stanca di questa situazione, e comunque ho capito che io per te non conto più niente. Penso sia meglio finirla qui”.
Diego la guardò, annuì e andò a prendersi un'altra birra. Fabio, suo amico da una vita, cercò di impedirglielo, ma lui lo respinse vagamente con un braccio e andò al bar.
Quella sera dovettero portarlo a casa di peso perché non riusciva nemmeno a camminare. Appena arrivati Fabio dovette portarlo in bagno, dove Diego stette malissimo, e dopo averlo portato a letto si fermò a dormire sul divano. Non si fidava a lasciarlo solo, e si ripromise di parlargli seriamente il mattino successivo.
Alle undici Diego si alzò e andò in soggiorno trascinando i piedi scalzi: la luce che entrava dalla finestra aperta gli ferì gli occhi come un coltello, la testa che martellava, i pensieri scheggiati. Fabio lo aspettava con la caffettiera e il pacchetto delle aspirine sul tavolo.
“Vuoi parlarne?” gli chiese.
“Non penso di essere in grado di farlo adesso, e sei pregato di non gridare” sussurrò Diego.
“A parte che non sto gridando, come vuoi comunque. Siamo amici da 20 anni, non devo certo ricordarti che se hai bisogno io sono qui. Guarda come sei ridotto” fece Fabio.
“Non fare la mammina!”
“Beh, dimmi un po’ chi ti ha tenuto la fronte mentre vomitavi l’anima sul water, stanotte? Altro che mammina!”
Diego lo guardò con affetto e gli fece un mezzo sorriso “lo so Fabio, ma non preoccuparti supererò questo momento, ne abbiamo superati altri no?”. Bevve il caffè amaro storcendo la bocca. “Vai a casa, che ti staranno aspettando. Sto bene adesso”.
Si abbracciarono stretti, e Fabio se ne andò, non senza avergli raccomandato di chiamarlo in qualsiasi momento se avesse avuto bisogno.
Il cellulare suonava. Diego si guardò intorno, cercandolo con gli occhi. Lo trovò sotto una pila di fogli: Michele. Improvvisamente fu assalito da un impeto di rabbia: scagliò il cellulare sul divano e rovesciò a terra tutto quello che c’era sul tavolo. Si riprese soltanto quando stava per lanciare anche il Synth… quello no. Camminando scompostamente tornò in camera e si buttò sul letto. Si addormentò.
Si svegliò prima dell’alba. “Michele, fatti in là con ‘sti capelli”. Aprì gli occhi: no, non era Michele, era il gatto acciambellato sul cuscino, attaccato alla sua faccia. Diego rise, una risata isterica, poi prese il gatto tra le braccia.
“Sono un imbecille. Ma perché devo rinunciare al mio rapporto con Michele? Ma chi me lo fa fare? Meglio una briciola che niente del tutto. Non resisto senza di lui. Vado. Tornerà tutto come prima, me lo farò bastare, non chiederò niente di più di quanto lui sia disposto a darmi”. Si alzò, fece una doccia e preparò velocemente la sacca. 12 Luglio. Sono ad Arezzo. Se parto subito, ce la faccio.
*****
Michele se ne stava appoggiato al muro, fuori dai camerini, guardando il viavai di gente. Erano all’Arezzo Wave quella sera.
Gli ultimi quattro concerti erano stati un tormento per lui. Sentiva la mancanza dell’amico in ogni momento, in ogni occasione, con tutto sé stesso.
Non aveva chiamato Stefanino, come gli aveva suggerito Diego. Non avrebbe avuto senso. Lui ormai era proiettato verso un’altra carriera, e comunque non avrebbe potuto affrontare tutto lo spettacolo senza averlo mai provato.
E poi era inutile, nessuno era come Diego.
Ad ogni concerto, Michele aveva spiegato al pubblico che erano sorti dei problemi, che Diego aveva dovuto abbandonare il tour, ma sperava che quanto prima sarebbe tornato. Il microfono comunque era rimasto al suo posto sul palco. Cantando Michele vi si avvicinava, come se Diego fosse lì, come se dovessero fare uno dei loro tanti sketch.
Tutta la band aveva risentito della situazione. Michele e Diego insieme erano due portenti, suonare con loro era sempre speciale. Ora niente era più come prima. Oh, i concerti riuscivano bene, Caparezza era Caparezza, il successo era sempre assicurato. Ma mancava qualcosa.
Durante le prove del pomeriggio i due amici si scatenavano sempre in qualche cosa di nuovo; c’era sempre uno scherzo da fare a qualcuno, dovevano sempre stare attenti alle spalle. Ma da quando Diego non c’era più, Michele era diventato un’altra persona. Serio, pensieroso, a volte intrattabile.
Michele da due mesi si tormentava, cercando di capire cosa volesse dire Diego in quell’ultimo incontro al concerto di Parma. Non aveva mai risposto alle sue chiamate, non voleva parlare con lui, non voleva dare spiegazioni evidentemente.
Era giunto alla conclusione che Diego forse era stanco di quei loro giochi notturni. Eppure era sicuro che si divertiva anche lui. Accidenti se si divertiva, non l’aveva certo obbligato a sottostarvi, anzi, spesso era Diego a prendere l’iniziativa, con quella sua faccetta, quegli occhioni sognanti, che sapevano diventare molto maliziosi all’occorrenza!
Magari la situazione era cambiata, Diego aveva una ragazza a Torino, probabilmente aveva deciso di troncare una situazione che gli era diventata pesante.
Sì, doveva essere così. “Domani siamo a Sesto San Giovanni. Finito il concerto parto per Torino, ho tre giorni liberi, vado, gli dico di stare tranquillo, che non ci sarà più niente tra noi se non quello che è lecito! Ma lo rivoglio al mio fianco, nei concerti e nella vita. Non posso fare a meno di lui. Non solo perché è il mio migliore amico credo. Ma gli giurerò che non ci sarà altro tra noi che quello. Dormiremo in camere separate se vorrà, ma deve tornare”.
*****
Michele si avvicinò al palco, dove tra poco più di un paio d’ore si sarebbero esibiti Il Teatro degli Orrori. Era il suo gruppo preferito, ma avrebbe preferito avere Diego al suo fianco, che prendeva in giro Pierpaolo con le sue battutine al vetriolo. Si sarebbe divertito di più.
Si sentì picchiare sulla spalla, si girò: Diego. Impallidì e chiuse gli occhi: “ecco, ho le visioni ora”. Pensava sempre a lui, ora cominciava a evocarne la presenza.
“Michi, stai male?” fece Diego.
Michele aprì gli occhi “Sei qui davvero, sei proprio qui, tu sei qui”.
Diego sorrise “Beh, non proprio un eloquio brillante, vero?”.
Michele si riprese, rise e abbracciò l’amico, tenendoselo stretto. Poi si ricordò dei suoi propositi e lo lasciò andare bruscamente. Diego lo guardò, sorpreso e un po’ deluso.
“Senti, vieni, andiamo nei camerini, ti devo parlare assolutamente, sarei venuto a Torino sabato” disse Michele. Gli prese la mano, la lasciò subito come se scottasse, e alla fine lo spinse verso il fondo del campo.
Una volta dentro, chiusero la porta a chiave, e Michele attaccò “ascolta Diego, io ho capito, non vuoi più che ci siano rapporti tra noi, al di fuori della nostra amicizia, giusto? Bene, per me va bene, però non mollarmi più così, torna con noi, torna nel tour, poi ne parleremo meglio, ma dimmi, va bene per te così?”
“Ma veramente…”
“No, non preoccuparti, non c’è problema, alla fine ci eravamo lasciati prendere la mano forse, no?” continuò Michele.
“Lasciami parlare, Michele” disse Diego, e facendosi coraggio continuò “hai proprio sbagliato stavolta. Io volevo che il nostro rapporto diventasse un po’ più… solido, e non il contrario”. Lo guardò negli occhi. “Ma per me va bene continuare come prima, non voglio niente di più”.
Michele rimase immobile un attimo, a pensare, poi prese l’amico fra le braccia, lo strinse, gli disse “non te ne andare mai più Diego, o dovrò smettere di cantare: i duetti col microfono non mi riescono granché bene”.
Diego si alzò in punta di piedi e riempì il viso di Michele di baci leggeri sugli occhi, il naso, la bocca, tanti piccoli tocchi delicati e sensuali. Michele si lasciò sfuggire un gemito, prese la testa dell’amico fra le mani e si impadronì della sua bocca. Cominciò con piccoli morsi, poi lo baciò con delicatezza e finalmente le lingue si incontrarono, il bacio diventò profondo, urgente.
Staccandosi, senza fiato, Diego guardò maliziosamente Michele e disse: “ le porte sono chiuse no? E abbiamo un po’ di tempo prima del concerto…”.
Michele lo stava già spogliando, ansioso. Se lo ritrovò davanti nudo, il fisico asciutto, minuto ma scolpito, evidentemente eccitato, così bello… “Nudo con le scarpe non sei un bello spettacolo” attaccò Michele, cercando di calmarsi.
Diego rise e spogliò Michele a sua volta. Il fisico prorompente, quella massa di riccioli neri, quegli occhi altrettanto neri, così profondi…
Michele se lo prese al collo, Diego gli circondò i fianchi con le gambe e si buttarono sulla brandina nell’angolo.
Diego baciò a lungo il suo Michele, scese lungo il collo, stette un po’ a coccolarselo, le dita tra i peli ad accarezzare il petto, la bocca a tormentargli i capezzoli, poi scese baciandolo, sempre più giù, facendolo impazzire.
Poi toccò a Michele che a sua volta esplorò il corpo di Diego baciando, scendendo con la lingua fino al punto in cui Diego lo implorò di smettere e prendendogli la testa lo attirò a sé, lo baciò, si strinse ai suoi fianchi. Fecero l’amore come se fosse la prima volta; quando Michele sentì che Diego avrebbe urlato per il  piacere, lo azzittì baciandolo.
Alla fine si guardarono, si sorrisero, e poi risero come pazzi. La coppia si era riformata.
Dopo la doccia, uscendo per andare a vedere Il Teatro, Diego fermò Michele e gli chiese piano “posso dirti che ti amo, qualche volta?”. Michele lo guardò dritto negli occhioni nocciola e rispose “ tu prova”.
“Ti amo Michele”.
Michele sorrise “ti amo anch’io Diegone” dandogli  un bacio leggero.
“Ora andiamo che Pierpaolo ci aspetta, e poi ci aspetta il nostro concerto!”. Sbuffando e ridendo Diego si incamminò, abbracciato a Michele.
“Amico di mille avventure, fianco a fianco in ogni battaglia, negli stessi furgoni, negli stessi ambienti, a volte persino nello stesso letto…” disse il giorno dopo Michele ringraziando il suo Diego sul palco del Carroponte.

3 commenti:

  1. Cara, momenti bellissimi percorrono questa fiction completa, esaustiva, che va a toccare temi profondi ed intimi. Dove il tema amicizia – amore o il più moderno e cinico trombamicizia, viene sviscerato in maniera profonda e mai banale. Non nega Diego a se stesso quello che sta provando, ma non potendolo avere del tutto scappa, ma più che scappare da Michele, ad un certo punto mi sembra che scappi da se stesso. Ma non ci riesce, e costretto a restare con se stesso (perché non basta farsi lasciare dalla fidanzata di sempre per risolvere i conflitti) capisce che se stesso senza Michele non gli piace. Ci sta pure che insicuro com’è, Michi questa volta prenda una tavanata colossale a non capire al volo il mal contento del suo amico caro. Mi piacerebbe riuscire a fare un commento più dettagliato, così come è ricco di dettagli questo racconto, ma magari riprovo perché ora l’emozione mi ha un attimo stordito. Quella citazione di ringraziamenti mi ha stretto il cuore.... e tu mi puoi capire, sono sicura che quando l’hai riletta anche a te è scappata una lacrima... vero?

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  2. Davvero mozzafiato questa storia. Non posso pensare a Diego che abbandona in quel modo il suo Michele. Doveva essere davvero disperato da compiere un gesto così estremo. Per fortuna si è reso conto che la sua vita non ha significato senza di lui. Quando è a Torino è come se parte della sua anima fosse rimasta con Michele, si sente diviso a metà, incompleto e quando si rende conto che non può continuare in quel modo decide di tornare a costo di seppellire i sentimenti che prova, accettando di restare solo amici, pur di non perdere anche quel poco che avevano. Ogni volta che leggo una tua fic mi commuovo tantissimo, sei bravissima

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  3. Bella... bellissima... <3
    Il povero Diegone confuso che scappa dai suoi sentimenti per paura di essere rifiutato... le incomprensioni fra i due... il momento in cui decidono di venirsi incontro e quando si rivedono e finalmente si parlano chiaramente tutto torna come e meglio di prima... per non parlare dei ringraziamenti finali... mi hai strappato una lacrimuccia...
    Grazie per questa fic! :*

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