venerdì 16 novembre 2012

Soli nel mezzo del mondo, Capitolo 5

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Titolo: Soli nel mezzo del mondo,
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Storico/Romantico/Introspettivo  
Rating: slash,
Warning: NC 17



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Capitolo 5


Mentre preparava il borsone sportivo, Diego non sapeva cosa sperare: sapeva che non avrebbe giocato oggi, dopo solo una settimana di allenamento era impensabile. Eppure da quando aveva scoperto che anche Michele amava il rugby, avrebbe voluto farsi vedere da lui in partita, voleva che fosse fiero di lui.
Uscì di corsa da casa salutando appena la madre, contenta che Diego finalmente mostrasse un po’ di entusiasmo per qualcosa. Se solo avesse immaginato!
Saltò sul furgone di Michele gettando la borsa in un angolo e sorridendo si sedette accanto a lui.
“Ma davvero ti piace il rugby?” gli chiese.
Michele lo guardò sorridendo a sua volta: “Certo che mi piace; ci gioco anch’io, e ci giocano i miei figli. E’ uno sport duro, ma le sue regole ti preparano alla vita. Il rugby è aiutarsi, sostenersi, aver rispetto per gli avversari. E non credere che siano cazzate, è tutto vero, te ne accorgerai”.
“Tanto non giocherò oggi, non sono allenato, e con tutte le regole che ci sono, non ci ho capito molto”.
“Vedrai che giocherai. Ti hanno già dato un ruolo? Così magro come sei, ti avranno messo ala o mediano di mischia no?”
“Ala” rispose laconicamente Diego. Era già stanco dell’argomento rugby, voleva tornare a parlare con lui di politica, o di musica, voleva ancora il suo braccio attorno alle spalle, appoggiare la testa fino a sentire i capelli sfiorare i propri... Sentì che aveva di nuovo voglia di piangere, e girò la testa da una parte per non farsi vedere.
Michele se ne accorse e gli disse: “Stai tranquillo Diego, piangi pure se vuoi. Dopo aver fumato le emozioni sono amplificate, può capitare di ridere all’infinito, o di aver voglia di piangere, è normale”.
Diego si chiese se fosse normale anche aver voglia di fare l’amore con un trentenne capellone, hippy e scorbutico. Magari anche quello faceva parte dell’effetto del trip.
Accavallò le gambe cercando di nascondere l’erezione e chiuse gli occhi.
Arrivati al campo, lo zio Augusto corse subito incontro a loro e prendendo Michele per un braccio gli urlò. “Non sai cos’è successo! Jacob l’allenatore ieri ha giocato una partita con gli Old, e si è beccato una commozione cerebrale! E’ ancora ricoverato in osservazione! Sostituiscilo tu Michele, come quando il vecchio Frank ci ha salutati per andare ad ingrassare i cavoli” Augusto, attorniato da altri uomini preoccupati, insisté: “Non possiamo scendere in campo senza!”.
Michele rimase un attimo interdetto a causa della foga con cui lo avevano praticamente aggredito, ma subito rispose: “Certo, non c’è problema, vengo io. Segnatemi pure sul ruolino della partita”.
Diego sentì che gli si rizzavano i capelli: già non era pronto ad averlo tra il pubblico, ora era il suo allenatore! Si può essere più sfigati di me! Oscillò la testa guardando verso il basso.
Michele lo guardò e lo prese per un braccio: “Forza andiamo, che devo distribuire le maglie” e se lo trascinò nello spogliatoio.
Consegnò le maglie ai giocatori, e assegnò la 22 a Diego. “Tu sarai ala sinistra di riserva. Bene ragazzi, Jacob ha avuto un incidente, niente di grave, ma oggi lo sostituisco io. Manteniamo lo schema che vi aveva assegnato e andiamo a vincere” e si avviò seguito dai ragazzi, un drappello di ragazzini tra i dieci e i diciassette anni.
Le squadre scesero in campo e dopo il saluto si schierarono.
La partita iniziò.
Diego seduto in panchina con le altre sei riserve, cercava di seguire il gioco come meglio poteva per capire bene quale sarebbe stato il suo ruolo.
Man mano che il mach proseguiva, Michele cambiava i ragazzi;  ormai Diego era l’unico a non aver calcato il campo.
A dieci minuti dalla fine la loro squadra perdeva per 24 a 21. Fu a quel punto che Diego, sentendosi morire, sentì Michele che diceva: “Forza Diego, tocca a te. Il tuo ruolo lo conosci, come ti passano la palla, devi portarla tra i pali. Non preoccuparti, nessuno si aspetta grandi cose da te oggi, ma sai che nessun ragazzo rimane in panchina nel rugby. Vai!” e chiamò l’arbitro per il cambio.
L’unica cosa che Diego ricordava era che la palla non si passa mai in avanti, e che lui era sicuramente troppo lento per correre come gli altri.
Le prime due palle le passò velocemente indietro ai compagni, ma alla terza le prime linee gli ringhiarono di correre che loro tenevano! Acchiappò la palla al volo e corse con tutta la poca forza delle sue gracili gambe. Arrivato alla linea di meta lo placcarono violentemente, la palla sotto la pancia e niente aria nei polmoni per respirare! L’arbitro corse, ci fu un violento battibecco con il capitano, ma non assegnò la meta. Diego si rialzò a fatica senza riuscire a respirare bene, la testa che girava. Il cugino lo mandò affanculo. L’arbitro fischiò gli 80; la partita era finita.
I ragazzi si avviarono per il saluto finale, e poi si incamminarono verso gli spogliatoi.
Una volta all’interno della baracca adibita a spogliatoio, tra l’odore acre delle maglie sudate e la puzza di scarpe, Michele riunì tutti vicino a sé per il solito commento che seguiva ogni incontro. “Intanto Tim, non ti permettere più di contravvenire a una regola che conosci benissimo: non si insultano gli avversari ma nemmeno i compagni. Comunque avete giocato tutti benissimo, ci rifaremo al ritorno. Diego, continua a fare respiri brevi, il diaframma si risistemerà; sei stato bravo. Ora doccia e poi terzo tempo, forza!”. E Michele cominciò a spogliarsi.
Diego stava appunto pensando che non sarebbe riuscito a rimanere nudo davanti a Michele, con i ragazzi va bene, ormai si era abituato ai loro lazzi, ma non voleva essere preso in giro anche da lui. E proprio mentre sperava che, finito di parlare se ne sarebbe andato, eccolo che si spogliava come se niente fosse. No, dio, no cazzo! Eccomi ancora alle prese con gli ormoni che schizzano per ogni dove! Michele si spogliava e Diego era già carico! Via, doveva andare via e di corsa, prima che qualcun altro si accorgesse di quello che gli stava succedendo.
Prese il borsone, vi gettò i vestiti alla rinfusa e sempre prendendo brevi respiri, si precipitò fuori, e di corsa si avviò verso casa, seguito dalle risate dei compagni che lo presero in giro e lui sapeva bene a cosa si riferissero, not much coat, no much cock.
“Diego! Diego dove scappi!” Michele uscì dallo spogliatoio chiamandolo, ma certo non poteva rincorrerlo in mutande. Scrollando la testa riccia tornò dentro e si infilò sotto la doccia con gli altri.

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Diego impiegò un’ora per tornare a casa; la mamma se lo vide comparire davanti come un fantasma, pallido, sporco, col respiro ancora affannoso, camminando a fatica.
“Diego, ma che hai fatto?” disse abbracciandolo.
Diego se la scrollò di dosso, e con una voce afona rispose: “Mi ambiento no mamma? Mi hanno quasi ammazzato alla partita, e poi mi hanno mandato affanculo. Mi sono proprio divertito oggi” e si chiuse alle spalle la porta della sua camera.
Rosa rimase interdetta al centro della stanza. Senza sapere bene cosa fare, ripose sul tavolo la gonna plissettata che aveva appena iniziato ad imbastire.
In camera Diego si gettò sul letto così com’era: non aveva fame, non aveva sonno, non aveva voglia di lavarsi. Aveva solo un gran desiderio di masturbarsi, duro com’era, ma si disse che doveva smetterla anche di fare quello.
Chiuse gli occhi e Michele si impossessò dei suoi pensieri. Era stato proprio uno stupido. Era andata così bene la mattina, stare in compagnia di quell’uomo era stata la prima cosa bella che gli fosse capitata da un pezzo. Probabilmente da quando era nato. E adesso aveva rovinato tutto. Penserà che sono un povero stupido; scappare via così, come un bambino. Non sono nemmeno riuscito a fare qualcosa di buono nella partita. Però i complimenti me li ha fatti. Si, va beh, ma è normale, cosa doveva dirmi, sei stato una sega? Immerso in quelle riflessioni, Diego non si accorse nemmeno che si era fatto buio.
Sentì la mamma che lo chiamava di là dalla porta, ma non rispose fingendo di dormire. La sentì avviarsi verso la propria camera e chiudere la porta.
Gli mancava un giradischi. Gli mancavano i suoi dischi e i suoi libri. Mamma aveva spedito diverse delle loro cose per nave, quindi non sarebbero arrivate che fra qualche mese.
Prese i Fiori del Male: Baudelaire gli avrebbe fatto compagnia anche quella notte.
Dopo aver letto per diverso tempo, cercò di addormentarsi, ma proprio non ci riusciva. Guardò la sveglia: erano già le quattro e non aveva chiuso occhio.
Osservò fuori dalla finestra: una grande luna piena dominava il cielo stellato. Era davvero esagerato quel cielo, sembrava non avere mai fine.
Fu preso da un’irrequietezza che gli impedì di restare ancora lì fermo.
Muovendosi piano per non farsi sentire dalla madre, Diego uscì, e cercò di ricordare la strada giusta per arrivare alla laguna dove si era ritrovato la mattina, dopo essere stato soccorso da Michele.
La luna illuminava perfettamente il territorio circostante, e nonostante la paura di imbattersi ancora in qualche serpente pericoloso, non avendo Michele armato al suo fianco ora, camminava con sicurezza, alla ricerca del suo posto speciale.
Ci mise una mezz’ora, ma finalmente sentì il rumore di un corso d’acqua, come di cascate. Si inoltrò nella vegetazione  e finalmente trovò la laguna, e non solo quella...
Nascosto dietro alcune rocce, Diego vide Michele che nuotava lentamente nell’acqua resa argentata dalla luna.
Il cuore gli fece una piroetta, e iniziò a battere talmente forte che fu sicuro che Michele lo avrebbe sentito. Rimase un po’ lì a guardarlo, e proprio quando pensava di palesarsi, di venire fuori dal suo nascondiglio, Michele uscì dall’acqua, completamente nudo.
A bocca secca, Diego non riuscì a staccare gli occhi dall’uomo: dalla gran testa di ricci che incorniciavano il viso che sembravano perfettamente asciutti, nonostante fosse appena emerso dalle acque. Scese lungo il corpo tonico anche se non troppo muscoloso, abbronzato, con le lunghe gambe scattanti, terribilmente virile. Pensò che evidentemente non a tutti gli uomini l’acqua fredda faceva lo stesso effetto! O forse l’acqua non era così fredda.
L’eccitazione fu così forte e improvvisa che Diego sentì male all’inguine. Non riuscì a resistere, e protetto dai massi, abbassò i calzoncini da gioco. Frenetico infilò una mano, e con pochi movimenti, continuando a guardare Michele, il piacere arrivò impetuoso liberandolo. Con la testa che girava vorticosamente e cercando di calmare il respiro, Diego cadde in ginocchio, abbracciando i massi davanti a lui, appoggiandovi il capo, sognando di essere abbracciato a Michele, una consistenza calda e armoniosa, non fredda e inospitale. Stette qualche minuto così, quindi si alzò, rimise a posto i calzoni, pulendosi la mano nella maglia. Guardando oltre le rocce vide Michele che si rivestiva.
Piano senza far rumore, Diego si allontanò verso casa.
Michele sentì ugualmente un movimento dietro di lui, e si avvicinò ai massi, giusto in tempo per vedere Diego che si allontanava veloce.

2 commenti:

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  2. Wow. Che capitolo!!! E che immagini vivide! Io davvero non ho parole, questa storia è spettacolare e vorrei abbracciarvi entrambe!

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