sabato 10 novembre 2012

Soli nel mezzo del mondo, capitolo 1




Titolo: Soli nel mezzo del mondo,
Autori: Annina/Giusi-poo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Au/ Storico/Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica.
Il titolo prende spunto da: Quello che conta, di Luigi Tenco




Capitolo 1



Partirono di notte, Diego e sua madre, erano in un Boing qualcosa in una freddissima sera di Febbraio, a Milano. Due valigioni giganti per uno, una chitarra, e un altrettanto gelo nel cuore. La decisione di Rosa era stata perentoria e precipitosa: raggiungere suo fratello in Australia, per allontanarsi da Torino, probabilmente dalla povertà, dalla fame addirittura. Quando realizzò di non avere nemmeno i soldi per una bombola del gas e dunque lei e suo figlio destinati a morire congelati, capì che non poteva restare nella sua città, quella dove era nata trentasette anni prima, figlia di emigrati siciliani. La sua vita di aiuto-sartina ad un certo punto era cambiata, esattamente nel millenovecentocinquantacinque, diciannove anni prima, quando conobbe il commendador Moschino, il doppio dei suoi anni e una barbetta e baffone alla Vittorio Emanuele secondo. Affascinante ma non propriamente bello, capo industria dei filati, tra i due era stato, come si suol dire in questi casi, il classico colpo di fulmine.
Era la sua storia, la storia di Rosa e Diego.
E con la morte dell’eminentissimo Moschino, morivano anche loro. Sì perché Rosa, con quelle venti lire che guadagnava ogni tanto con i suoi lavoretti di sartoria, non poteva certo permettersi l’appartamento al centro che il suo compagno aveva riservato per loro, lei, la sua concubina, e l’illegittimo, il bastardo, come si diceva a quei tempi. Il figlio della vergogna. Sì perché quando il quasi quarantenne e la quasi ventenne si conobbero, il commendador Moschino aveva già una bella moglie introdotta nell’alta società, e due figlie. Ecco perché, con l’improvvisa e prematura morte di Moschino, perivano anche le agiatezze di Diego e Rosa. Niente più Salesiani, niente più rendita vitalizia garantita, niente più libri per il ragazzo, niente più giacchetti di ermellino per Rosa. Niente teatro, cinema. Solo tanto freddo e la paura che un giorno di questi, gli scagnozzi che la vedova Moschino aveva ingaggiato per dare una solenne lezione alla sgualdrina e al suo bastardo, l’avrebbero trovata per finire lei e suo figlio di cazzotti.
Ora no.
Ora che erano protetti dentro quel prodigio di tecnologia che era l’aeroplano Alitalia, che dopo varie tappe, avrebbe toccato le terre australiane, ora non avevano più paura, o non avrebbero dovuto averla. Si era dovuta disfare di parecchi regali costosi del suo amante per poter comprare quei due biglietti aerei sola andata e raggiungere quel fratello che non vedeva da quando era bambina. Ora che teneva il moncone restante del suo ticket per la libertà, mentre il rullare pesante sembrava perforargli i timpani, ora si rendeva conto che era fatta. Lei e suo figlio avrebbero continuato a stare bene, a non patire il freddo e la fame. Certo, niente cene fuori, regali costosi, giocattoli intagliati a mano, o di plastica, moderni, che il poco presente ma tanto generoso padre elargiva a quell’unico figlio maschio che amava più dei suoi occhi. Quella parte era finita.
Diego si riscosse. Stava di nuovo pensando a Tenco, a come doveva essersi sentito quegli ultimi secondi prima di spararsi. Quando ha preso in mano la pistola o quando ha scritto quelle ultime parole.  
Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita.
Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi
No, non era solo perché a Diego piacesse Tenco, suonare la chitarra e comporre qualche cosa ogni tanto, come scrivere poesie e disegnare, che poi era la sua più grande passione. Purtroppo c’era altro che legava Diego al suicidio del cantautore sfortunato. L’idea del suicidio, di farla finita. Era sempre stato affascinato da l’idea di scegliere quando farla finita, di non lasciarlo fare ad un’entità suprema che in molti chiamano Dio; lui non ci credeva più, nonostante studiasse dai preti. Lui ci pensava da sempre e quando sua madre, in lacrime e nel pieno di una crisi isterica, gli aveva annunciato che suo padre era morto, da quel giorno Diego aveva pensato che fosse anche per lui ora di farla finita. Dopotutto era già nato sfortunato essendo figlio illegittimo, che futuro poteva avere uno come lui? Ora che anche i beni materiali che quel padre non aveva mai fatto mancare venivano meno, e loro due, come due poveracci qualsiasi, costretti ad emigrare in quella landa desolata con i canguri e il deserto, che senso aveva vivere? Dell’Australia questo sapeva. Aveva visto delle foto dei suoi cugini, bambinetti dei primi anni sessanta sdentati, con i calzoni al ginocchio, che lui non portava più già da un po’. Con il fiato creò una nuvoletta di fumo che andò ad infrangersi sul vetro del finestrino. In pochi secondi sparì. Come sarebbe sparito lui quando avrebbe avuto abbastanza soldi per comprarsi una pistola e sparsi sulla fronte come Tenco.

******

Il viaggio fu lungo e sfibrante. Dopo due scali e 24 ore circa di viaggio, finalmente l’aereo atterrò a Melbourne.
Scendendo Diego si trovò a chiedersi se fossero veramente suoi i piedi che lo trascinavano all’uscita. La madre invece sembrava fresca e riposata come mai l’aveva vista. Quelle lunghe ore le erano scivolate addosso senza lasciare segni; probabilmente l’aspettativa di una vita migliore per lei e soprattutto per il giovane figlio, le facevano dimenticare la fatica e l’angoscia.
Non era stata una decisione facile da prendere; ma, d’altra parte, chi l’avrebbe aiutata, in un mondo dove una donna sola, senza soldi e con un figlio illegittimo a carico era considerata poco più della feccia.
Ora aveva una speranza.
Guardò Diego sorridendo, ma lui non ricambiò lo sguardo. Pallido e magro, il volto triste e segnato dalle occhiaie, i capelli cortissimi, Diego lasciava intravedere tutta la sua solitudine e la sua malinconia. Tra le mani teneva ancora i due libri che si era portato per il viaggio. Li aveva già letti, ma erano un po’ i suoi viatici contro il dolore. Aveva tanto sognato su La strada di Kerouac: sognato di partire, fare nuove esperienze, ma in America però. Il suo sogno era la California. Non l’Australia. Non sapeva quasi niente di quel paese.
E quante notti aveva passato sui Fiori del Male, angosciandosi ma stranamente, sentendosi anche meglio dopo che aveva letto qualche pagina. Anche lui si sentiva un maledetto adesso.
La mamma lo prese sottobraccio, e lui non ebbe il coraggio di staccarsi da lei, non voleva ferirla, le voleva bene anche se aveva preso quella decisione senza consultarlo.
Si guardarono intorno, cercando i parenti che dovevano venirli a prendere.
All’improvviso videro un uomo dal viso abbronzatissimo e segnato dalle rughe che si sbracciava correndo verso di loro, due ragazzi erano con lui.
Eh sì, Diego ricordava i cugini come bambinetti, ma era passato del tempo dalle ultime foto che aveva visto, e quei ragazzi erano grandi e muscolosi, abbronzatissimi a loro volta.
La madre corse incontro al fratello, che la sollevò tra le braccia facendola girare. Lei rise come una ragazzina, come da tempo non faceva più.
I nipoti le si fecero intorno, allegri e aperti abbracciandola. Non c’erano dubbi, erano i benvenuti.
Diego rimase indietro, timido e scontroso. Quando lo zio e i cugini gli si fecero incontro stringendolo e strattonandoselo arrossì, e non riuscì a dire una parola, i grandi occhi nocciola sgranati nel tentativo di trattenere le lacrime che sentiva arrivare inesorabili.
“Sei magro ragazzo. Vedrai che qui ti tirerai su, è un paese bellissimo per i ragazzi. Andrai a cavallo, farai surf, e giocherai a rugby con i tuoi cugini.
Domani andremo anche a iscriverti a scuola. Ora andiamo a vedere se ci danno i bagagli, così potremo andare a casa. Assunta è rimasta a controllare i fornelli, ma non vede l’ora di abbracciarvi anche lei”.
Cingendo le spalle della sorella,  si avviò a grandi passi; i cugini guardarono Diego, che era rimasto lì pensieroso e taciturno,  con fare interrogativo.
“Beh, che fai, hai intenzione di fare notte qui?”. Diego si riscosse, li guardò e con un sorriso timido li seguì.
Ritirati finalmente i bagagli, salirono su una Meari scalcagnata, e partirono per la fattoria.
“Vedrete, vi troverete bene. Tu Diego dopo la scuola, comincerai a lavorare un po’ nelle stalle, come fanno Tim  e Samuele. Abbiamo iniziato con un allevamento di cavalli, ma ora ne abbiamo anche uno di struzzi. Magari non li avete nemmeno mai visti! Comunque, qui si mangiano, e da un loro uovo puoi ricavare una frittata per una decina di persone” e rise forte, di gusto. “Piano piano vi ambienterete” disse serio guardando la sorella.
Lei si allungò a dargli un bacio sulla guancia: “Credo di essermi ambientata nel momento stesso in cui sono scesa dalla scaletta dell’aereo. Grazie, davvero, tu e Assunta ci salvate da un destino realmente incerto; non potevo restare in Italia, soprattutto per Diego, non potevo”; nonostante tutto una lacrima solcò il suo bel viso. Sapeva che il figlio era infelice, che non voleva partire, ma sapeva anche che non avrebbe potuto aiutarlo in nessun altro modo.
Tim e Samuele parlavano tra loro in una lingua che Diego non capiva. L’inglese non era un problema, lo studiava dalla prima elementare, era in grado di sostenere una conversazione, ma quello non era inglese.
I ragazzi si spingevano, si prendevano a botte e ridevano in quel modo che unisce tutti gli adolescenti maschi del mondo. Diego stava in disparte, guardando il paesaggio rigoglioso che scorreva davanti ai suoi occhi.
“Ragazzi coinvolgete vostro cugino, non siate maleducati” disse lo zio girandosi a guardarli mentre guidava.
“Ma è lui che non dice niente pa’” disse Tim guardando Samuele e tirandogli un pugno.
Finalmente dopo più di un’ora di viaggio, arrivarono davanti al ranch.




2 commenti:

  1. Wow... sono sempre destabilizzata dalle vostre idee.
    Questa... storia, perché non si può parlare di fanfiction, ha tutte le premesse per diventare una delle mie preferite su queste pagine. L'angoscia e il desiderio di morte che Diego prova... lo sento vicino, e attendo con impazienza il momento in cui tornerà ad amare la vita. :)

    Bravissime, ragazze! Siete un ottimo team! :)

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    1. Grazie tesoro, mi sta prendendo molto scrivere questa storia, e ti assicuro che anche per Annina è lo stesso. Diciamo che ci lasceremo andare a temi ad entrambe cari... ;)

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