sabato 17 novembre 2012

Soli nel mezzo del mondo, Capitolo 6



Titolo: Soli nel mezzo del mondo,
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Storico/Romantico/Introspettivo  
Rating: slash,
Warning: NC 17



Capitolo 6

Di sudore, di erba, di fango, di sperma e di lacrime. Così conciato quando, ormai erano passate le sei, Diego si gettò sotto la doccia. Sua madre già cucinava la colazione. La tradizione voleva che ogni domenica una famiglia del villaggio preparasse la colazione a tutti e poi ci si recasse a messa insieme. Almeno la parte cattolica credente. Ed essendo la prima domenica per Rosa e Diego, questo piacevole ma impegnativo rituale toccava a loro. La colazione per oltre cinquanta persone non era proprio una passeggiata di salute e Diego si sentì chiamare, mentre, ancora nel vortice dei turbinii sessuali, si stava di nuovo toccando. Superando il frastuono dell’acqua che lo accarezzava, gridò: “Sono sotto la doccia, ora vengo” e qualche minuto dopo venne schizzando sulle piastrelle attaccate alla peggio dell’unico bagno-doccia.
Cercando di riprendere fiato appoggiò la bocca alla parete e gli scappò un sorrisetto. Ripensò con autoironia a tutti gli avvenimenti delle ultime ore, dal serpente che stava per pestare, alla compagnia di Michele, al suo abbraccio, ai suoi complimenti dopo la partita. Alla visione di lui in mutande, ma, soprattutto, alla visione di lui nudo fuori dalle acque cristalline, al suo gran cazzo... era appena venuto ma ripensare a lui gli fece tornare l’acquolina. Sono da ricovero mio Dio... Pensò che forse avrebbe dovuto farsi vedere da uno di quei dottori della testa, uno psichiatra. O da un prete esorcista.
Una volta nella sua stanza, scoprì che sua madre si era già preoccupata di preparargli i vestiti per l’avvenimento giornaliero. Cazzo, la colazione! Ci mancava solo questo... Sospirò, ora gli toccava di nuovo rivedere Michele. Riflettendo sulla notte appena trascorsa si domandò che diavolo ci facesse a quell’ora alla laguna. Deglutì, i ricordi erano ancora così vividi.
L’Australia, dopo nemmeno una settimana, stava sconvolgendo ogni sua cellula, solo di questo era sicuro.
Le due ore successive le passò aiutando sua madre ai fornelli. Li raggiunsero pure Augusto, Assunta e i suoi adorati cugini, i quali non mancarono di fare battutacce sulla sua fuga dallo spogliatoio. Rosa fece finta di non capire mentre, instancabile, continuava a sbattere uova.
Alla chetichella arrivarono gli ospiti. Essendo impossibile contenere tutti nel tavolo della dependance, apparecchiarono fuori. Una lunga tavolata che a Diego ricordò un banchetto di matrimonio al quale era stato invitato anni prima. Quando si avvicinò anche Michele, Diego ebbe un mezzo collasso. Non bastavano le emozioni del giorno prima, ora una nuova calamità gli capitava tra capo e collo. Accanto a Michele, una bella mulatta riccia quasi quanto lui e con un bellissimo visetto. La donna di colore più attraente che lui avesse mai avuto modo di vedere. Strinse i pugni notando i modi confidenziali che i due avevano. E così Michele aveva una donna, si rassegnò ma la gelosia aveva cominciato a roderlo dentro come una sorgente, che a lungo andare corrode la roccia. Ma lui si sentiva tutt’altro che roccia e solo e sconsolato prese posto accanto ai cugini.
Per tutto il tempo della colazione Diego si sentì uno straccio. Non solo non aveva dormito, il giorno prima si era drogato, aveva rischiato di morire morso da un serpente e si era beccato tanti di quei lividi giocando i suoi primi minuti di rugby, ora si ritrovava a vedere l’uomo che aveva sconvolto i suoi sogni, la sua realtà da adolescente alla ricerca di se stesso, in compagnia di una ragazza stupenda, che sembrava saperci fare anche con gli altri, figli di lui compresi. Ormai, con il cuore ridotto a brandelli, annunciò di avere mal di testa e si andò a rifugiare nella sua stanza. Nessuno lo notò, troppo presi a mangiare e a parlare di politica.
Mentre Diego strimpellava Vedrai Vedrai con gli occhi lucidi di rabbia e dolore, l’intera popolazione credente del villaggio si spostò in chiesa. Rosa venne a chiamarlo ma il ragazzo fu irremovibile. La madre conosceva le sue idee politiche nonché il suo essere agnostico convinto e non insisté. Mise il suo cappello e si accomiatò raccomandandolo di riposare.

*******
Diego sbirciò fuori per controllare se fosse rimasto qualcuno nei pressi del tavolo ma, a parte le stoviglie, non c’era più nessuno. Fece un lungo sospiro e poi si accoccolò sul letto. Dopo un piantarello si addormentò profondamente.
Tre ore più tardi lo svegliarono le note della sua chitarra. Strizzò gli occhi verso colui che suonava, anzi, storpiava le note di Jimi Hendrix in American Woman, cantandola con dizione praticante perfetta.
“Michele... ” sussurrò cercando di metterlo a fuoco. Lui era ai suoi piedi e continuava a canticchiare sereno. Poi smise e ripose la chitarra accanto al letto: “In realtà so suonare solo poche note. Tu immagino avrai preso lezioni”
Diego arrossì ma non lo negò. Faceva parte del passato ormai. Michele si avvicinò a lui pericolosamente. I visi ad un niente. “Mi dici perché sei scappato in quel modo ieri? Eh, ragazzino, rispondi?” lo spronò strattonandogli un braccio. Diego, che era sensibile ad ogni contatto, si alzò di scatto allontanandosi dal letto e sperando che il suo cervello formulasse una risposta adatta. Ma gli venne solo un vaghissimo: “Stavo male”. Ma Michele, non affatto soddisfatto, si alzò a sua volta e con la mole del suo corpo lo piegò al muro. “E alle quattro del mattino alle cascate che ci facevi?”
“E tu? Invece tu che ci facevi alle quattro del mattino, il bagno nella laguna...” questa gli venne di getto. Frank-Michele-Zappa fece un sorrisetto sghembo, poi gli passò le dita tra i capelli biondi e spettinati. “Ti è piaciuto quello che hai visto?” lo provocò. A Diego lo sguardo cadde inevitabilmente verso il basso e, ripensando a quello che il suo persecutore celava sotto i jeans, ebbe uno sbandamento. La testa gli girò e temette di svenire di nuovo, ma per fortuna non accadde e si limitò a rispondere con un meraviglioso e sincerissimo: “Sì...” corretto subito con: “NO! NON SONO FROCIO IO!” gridato.
In qualche modo riuscì a sgusciare via dalle braccia di Michele ma questi lo riprese afferrandolo per un polso. “Dove credi di andartene monello, stavamo parlando” un dolore serio impedì a Diego di tentare di nuovo la fuga e sospirando, si ritrovò nuovamente con le scapole attaccate allo stesso muro di prima, lo sguardo accigliato e il terrore di quello che sarebbe potuto succedere, restando così a lungo solo con Michele.
Con modi più gentili (ma data la situazione, Diego avrebbe preferito continuasse a torcergli il polso) la punta delle dita di Michele definì il viso scarno ma indubbiamente attraente.
“Cazzo ragazzino, sei proprio... charming...” si morse le labbra pensieroso: “Come si dice in italiano... uhm... avvenente mi pare. Sì avvenente... ” dopo aver perso tempo con la poca peluria del mento, il pollice raggiunse la fossetta sotto il collo. Diego iniziò a sospirare rumorosamente. Ogni sua cellula stava per ribellarsi alla razionalità e tutte insieme saltare addosso a Michele, ma ebbe la forza di ribattere un patetico: “Perché non te ne torni dalla tua ragazza...” lo biascicò odiandosi. Ecco, ora penserà che sono geloso! Cristo, sono un coglione! Lo sentì ridere odiosamente. “Non è la mia ragazza. Ci scopo ma non stiamo insieme. Un uomo ha bisogno di uno sfogo, presto lo capirai” si distanziò da lui fino a raggiungere il comodino dove prese in mano Baudelaire.
“Lascialo stare” Diego stava per rimpossessarsi del volume ma Michele lo fece volteggiare verso l’alto, rendendo al giovane impossibile riacciuffarlo. “Che bastardo sei...” si morse il labbro e gli occhi si velarono di lacrime.
“Eddai... sei colto baronetto? O come dovrei chiamarti, principino? Se invece di leggere le stronzate di un poeta francese drogato ogni tanto ti facessi vedere ai campi” e lo gettò in terra. Diego iniziò a piangere piano e quando contemporaneamente Michele a ridere sguainato, iniziò a prendere a cazzotti il suo ventre. “Ti odio, ti odio!” sibilò disperato. Michele gli bloccò le braccia continuando a ridere. “Non mi odi per niente, anzi... ti sei innamorato di me, vero ragazzino?” smise di ridere guardandolo con amore e attrazione.
“Nemmeno per idea. Sei brutto, rozzo e puzzi di stalla. Puzzi come gli struzzi che ti somigliano pure, vai via ora!”
“Ma non sei proprio capace a mentire!” Michele gli tirò su il mento con la mano. Abbassò la voce come se temesse che qualcuno, Rosa o Augusto, potessero udirlo. “Mi piace fare il bagno di mattina ogni tanto, con la luna piena. Ormai ti sei imparato bene dove sta quel bel posticino, no? Se una di queste notti mi raggiungi, ti chiarisco io le idee. Ti faccio diventare un uomo” garantì. Prima di andarsene gli stampò un bacino sulla fronte.
Inebetito e sempre più confuso, Diego restò a fissare la porta dal quale Michele era appena uscito.
Appoggiato al muro, Diego avrebbe voluto rincorrerlo ma le gambe non rispondevano ai suoi comandi.
Rimase lì a dirsi non devo pensare a lui, non devo pensare a lui, io non sono un frocio, cazzo non sono un frocio. Si guardò alle specchio dell’armadio: magro, piccolo e pallido… come aveva detto Michele? Charming… mi prende in giro. Per forza! Si prende gioco di questo povero cretino depresso... Osservandosi si toccò il viso, sentendo ancora le dita di Michele che lo accarezzavano…
Si riscosse, e ripensando agli accordi stonati di Michele, gli scappò un sorriso.
Mi ha detto di raggiungerlo alle cascate, che mi farà diventare un uomo. Ma cosa vuole da me? E io cosa voglio da lui?
Senza nemmeno pensare, Diego prese la chitarra, e le sue mani iniziarono a comporre i primi accordi: “How many roads must a man walk down, before you call him a man? Yes, 'n' how many seas must a white dove sail, before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly, before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind, The answer is blowin' in the wind”.
Rosa lo chiamò, quella sera erano a cena dagli zii, doveva muoversi. Ripose la chitarra e salutando mentalmente Bob Dylan uscì.
La cena fu stressante; Diego non sopportava proprio i cugini, che quella sera mettevano un particolare impegno nel dargli il tormento. Sua madre e le zie parlavano di abiti, di plissé, di pizzi da cucire, e non facevano caso al suo disagio, e per lo zio tutto questo era un normale comportamento tra ragazzotti.
Improvvisamente Augusto si batté una mano sulla fronte, e disse a Diego: “Mi stavo dimenticando, Michele mi ha chiesto se ti farebbe piacere prendere qualche lezione di rugby da lui, in modo da portarti un po’ avanti con gli allenamenti. Naturalmente gli’ho detto di sì. Michele è un ottimo giocatore, vedrai che nel giro di poco farà di te un uomo, perbacco!”.
Diego arrossì fino alle orecchie, sentendo ripetere dallo zio la stessa frase che Michele aveva detto a lui nel pomeriggio: non era proprio certo che i due uomini intendessero la stessa cosa!
“Diego arrossisce come una ragazza! Michele ti fa questo effetto cugino?” berciò Tim ridendo.
Questa volta però lo zio rimase infastidito, e gli diede uno scappellotto.
Diego rimase in silenzio, ma con un sorrisino sotto i baffi.
Il giorno dopo, di ritorno da scuola, Michele fermò Diego prima che scendesse dal camion e gli disse: “Guarda che passo a prenderti fra un paio d’ore; calzoncini e scarpe da tennis” e dandogli una pacca sul sedere lo spinse giù dal carro.
Diego rimase un attimo in mezzo alla strada, poi si riscosse e corse a mangiare qualcosa: andava bene anche il rugby, pur di stare con lui.
Michele lo portò in una radura racchiusa tra alti alberi di eucalipto, faggi e diversi tipi di acacie.
Poco lontano si sentiva il mormorio del fiume Yarra.
Il pomeriggio con Michele volò in un attimo; gli insegnò la corsa giusta, i passaggi, a tenere la palla ovale con un solo braccio per lasciare indietro gli avversari.
Diego era sudato e impolverato, e nonostante la stanchezza mortale, felice.
Una volta fuori dal campo, era già sera, si sedettero sotto un grande eucalipto e Michele prese una bottiglia da sotto un mucchio d’erba, bevve e poi gliela passò. Era solo acqua, ma per Diego fu come bere vino, perché il pensiero di aver bevuto dove Michele aveva appoggiato la bocca, lo stordì.
“Allora, che mi dici? Non è stato così male il primo giorno di allenamento, no?” chiese Michele appoggiandogli una mano su una gamba. Nonostante il caldo, Diego rabbrividì: “No, mi sono divertito, grazie”.
“Bene, allora continueremo”.
“Come posso contraccambiare? Cioè, posso fare qualcosa per aiutarti io?” Diego lo chiese con il cuore in gola, pensando a cosa mai poteva fare lui per Michele.
“Perché no? Potresti aiutarmi qualche volta nei campi; stare un po’ all’aria aperta senza i tuoi soliti libri ti farà solo bene” rispose.
“Ma tu non leggi? Cioè, a te non piace leggere?” chiese Diego, che senza libri non poteva vivere, e gli sembrava strano che invece altri potessero farne tranquillamente a meno.
“Mi piace, ma non faccio solo quello” e Michele sorrise.
“Se vuoi ti presto qualche libro”.
“Grazie, ma non sono più in grado di leggere in italiano” rispose Michele.
“Ti potrei dare qualche ripetizione io… cioè se vuoi… scusa” e Diego abbassò gli occhi, vedendo che il piglio di Michele si era fatto cupo. Con lo sguardo lontano, Michele stette un po’ a pensare, poi guardò il ragazzo e rise al suo indirizzo: “Vorresti  farmi da insegnante ragazzino?”
Diego arrossì, e sentì le lacrime pungergli gli occhi: era proprio stato stupido, aveva rovinato una giornata altrimenti così bella.
“Va bene, ci sto, mi darai qualche lezione, ok” gli disse Michele con un sorriso sghembo.
Diego sorrise a sua volta sollevato. In quel momento Michele si alzò e tese la mano al ragazzo che dopo averla stretta si ritrovò in piedi ad un passo da lui. “Felice di rendermi utile Michi” lo chiamò così per la prima volta vergognandosene. “Figurati, tu puoi essere utile in molte maniere” malignò ma Diego provò a sforzarsi di pensare che si riferisse al lavoro nei campi. Senza rendersene conto si ritrovò tra le sue braccia. Gli era venuto istintivo di abbracciarlo e l’uomo adulto lo strinse a sua volta. Col viso sul petto di Michele, Diego sentì di essere felice: avrebbe voluto fermare il tempo così. Ma Michele lo staccò e, dopo essersi guardato intorno lo trascinò dietro una radura, dove la vegetazione era più fitta. Senza muovere gli occhi dai sui si chinò per baciarlo delicatamente sulle labbra: “E adesso si torna a casa principino” e senza più dire una parola, s’incamminarono verso il furgone. Diego tremante come una foglia e Michele con la sua andatura dinoccolata.

******
I due giorni seguenti passarono più o meno allo stesso modo: quando terminavano le lezioni di rugby, cominciavano quelle di italiano scritto.
Diego aveva preso questa sua missione molto sul serio; si sedevano sotto il loro grande eucalipto (Diego almeno lo vedeva così) e spalla contro spalla iniziavano le lezioni. Durante le prove di lettura, a volte a Michele scappavano delle enormi sciocchezze, e ridevano tutti e due fino ad avere le lacrime agli occhi. Michele non aveva più preso in giro il ragazzo, anzi lo trattava con molto cameratismo.
Quella sera erano particolarmente su di giri, e all’ennesimo errore di Michele, Diego si coricò nell’erba, tenendosi lo stomaco dal ridere.
Michele guardò giù verso di lui, ridendo a sua volta, ma poi divenne improvvisamente serio.
Con una mano prese ad accarezzargli il ciuffo ribelle; poi seguì il profilo del suo viso, gli vezzeggiò la bocca con delicatezza, più volte, poi scese sul collo. Chinandosi verso di lui, gli posò le labbra sulla bocca, e lo baciò delicatamente.
Un attimo dopo si sollevò per osservare la sua reazione. Diego era arrossito, gli occhi nocciola spalancati sul suo viso, le labbra semiaperte. Le sue mani si alzarono ad accarezzare il volto di Michele: le sopracciglia folte, il naso, le basette, la barba e i baffi. Sembrava un gioco tra non vedenti. Un modo per conoscersi, mapparsi. Quando Diego gli cinse il collo con le braccia, Michele lo baciò, ma sul serio questa volta. La lingua si fece strada tra le labbra incontrando la sua. Per Diego era il primo bacio della sua vita, e Michele se ne accorse. Staccandosi lo guardò ancora negli occhi e sorridendo chiese: “Devo smettere?”.
Diego emise un flebile sospiro, e si allungò a cercare la bocca di Michele. Si baciarono a lungo coricati nell’erba alta, fino a perdere la nozione del tempo.
Era il crepuscolo quando Michele si staccò e si alzò in piedi, tendendo una mano a Diego per aiutarlo ad alzarsi a sua volta.
Lentamente si avviarono attraverso la boscaglia, per raggiungere il furgone.
“Vieni che ti riporto a casa ragazzino” gli disse, passandogli un braccio sulle spalle.
Sentendosi protetto come mai gli era capitato prima, Diego passò a sua volta il braccio alla vita di Michele, guardandolo con occhi sognanti.
Michele lo lasciò vicino al ranch, lo scrutò bene negli occhi e gli disse: “Stanotte c’è ancora la luna piena; se vuoi venire, ti aspetto dove sai. Pensaci bene Diego...” E sorridendogli un ultima volta, si girò e se ne andò.

5 commenti:

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  2. Oddio... oddio... che capitolo, ragazze!!! Sono in delirio!!!
    Le carezze, gli abbracci, i baci... è tutto perfetto! Le loro dinamiche sono del tutto perfette!!!
    Non ce la faccio ad aspettare per un altro capitolo! Non lasciatemi qui in questo stato, postate al più presto!!! (>o<)

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  3. Grazie a tutte e due! Stasera dovrebbe arrivare qualcosa credo!
    ^o^

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