Disclaimer: come
sempre è tutto frutto di fantasia e non si vuole in alcun modi ledere
all’immagine dei protagonisti e insinuare qualcosa
Ogni tanto dovresti fare qualcosa di davvero
trasgressivo, tipo bere birra in un bicchiere di vino. Prova l’ebbrezza del
vero pericolo!
Stanco e
abbacchiato, quel martedì notte, Michele trasferì le proprie chiappe sulla
solita bici e si buttò sulla strada, sul solito ponte. Il gilet catarifrangente
gli evitava di essere investito, sebbene, nonostante il buio, lo avrebbero
notato per via della folta capigliatura che di certo non passava inosservata.
Lo attendeva un sonno ristoratore ma prima una rapida cena. Passò dal solito
chiosco dei panini, rimpiangendo di essere stato così pigro quella mattina di
non essersi preparato qualcosa di caldo: un riso, una minestra. Mezzo minuto al
microonde e via, come appena fatto. Invece eccolo a ingurgitare la sua mezza
baquette con hamburger e peperoni sott’olio. Compensavano la fame, non la
nostalgia che lo aveva attanagliato quel giorno, senza saperne nemmeno la
ragione. Michele si sentiva irrequieto, e non sapeva proprio a chi dare la
colpa di quella inquietudine.
Finita la
libagione, tornò alla bicicletta. Aveva quei sei chilometri da fare. Poi
avrebbe potuto riflettere sul perché si sentisse così strano. Oppure no, si
sarebbe spogliato, docciato, lavato i denti e, una volta infilata la solita
maglietta che fungeva da pigiama, avrebbe dormito fino alle nove e cinque. E poi tutto
sarebbe ricominciato, identico al giorno prima. Solo che era mercoledì. Ma una
volta con il cuscino sotto la testa, la solita fatina che lo accompagnava nelle
fauci del sonno, mancò l’appuntamento. L’una passata da un po’ e gli occhi
spalancati verso il soffitto. Non dovevo
cenare così tardi, devo prendere l’abitudine di portarmi qualcosa! Si
disse, dare la colpa ai peperoni era facile. Sospettava però che non fossero quelli,
anche se la cattiva digestione non collaborava di certo. Provò a ripercorre la
giornata, pensò ai clienti, alle telefonate ricevute. Cosa era successo di
strano da agitarlo così? Tutte le volte che se lo chiedeva la mente gli poneva
di fronte i ragazzi con lo stemma della Crai, in particolare il biondo
piccoletto. Sorrise ripensando a come lo aveva trattato. No, non era quello,
anzi... era stato divertente prendersi gioco di lui. Se c’era stata una nota
positiva in quella giornata era stato proprio Diego Perrone. Cauto si accarezzò
il pizzetto pensando a quando sarebbe tornato a portargli Tre cagne in calore. Chissà
se gli piacerà... pensò. Di solito gli avventori del sesso gli facevano
tutti schifo, senza eccezioni. Maschi o femmine che fossero. Eppure, l’idea del
ragazzetto dall’aspetto infantile che si toccava di fronte alle scene lesbo, lo
stuzzicò. Grazie a quelle fantasie riuscì ad addormentarsi e quando il sole
invadente della primavera lo svegliò, aprì gli occhi pigramente.
Il venerdì
successivo per Michele era previsto riposo, così quella mattina non fece le
stesse cose che faceva sempre: capatina al bagno, colazione, di nuovo alla
toilette per spuntare il pizzetto, vestirsi e via, in sella alla city bike. In
quel giorno di libertà, oziò fino all’ora di pranzo. Prima di uscire perse
tempo a dare una spolverata. Abitava un appartamento di cinquanta metri
quadrati, e per lui erano sufficienti. Dopo essersi fatto un sacrosanto piatto
di pasta caldo, come gli succedeva solo quei due giorni che era a casa, si
stiracchiò sul terrazzino che affacciava sopra ai palazzi, al quarto piano. Diede
un’occhiata ai passanti e alle macchine, poi tornò dentro per controllare la
cottura delle fettuccine. Una volta mangiato e riposto i piatti nella minilavastoviglie,
si fece una doccia e si rivestì. Alle tre circa aveva appuntamento con Manu, la
sua donna di svago. Siccome si trovava dall’altra parte della città, per
recarsi da lei era costretto a prendere dei noiosissimi mezzi. Non facendo più
freddo non era obbligato alla macchina, così da sacrificare il suo prezioso
posteggio. Possedeva una vecchia Volvo che non usava quasi mai.
Dieci fermate di
pullman dopo e altre sette di tram, arrivò finalmente dalla parti della
squillo. Camminò i soliti dieci minuti, e poi, stancamente, suonò al citofono. Lei
rispose con la solita vocina fastidiosa: “Sali pure” disse accomodante e tutta
via scorbutica.
Dentro
l’appartamento, Michele sorprese un uomo che si allacciava le scarpe.
Evidentemente il cliente che lo aveva preceduto. Questi, a testa bassa, si
limitò a biascicare buonasera e per niente vergognoso Michele rispose:
“Buonasera a lei”. Li raggiunse la Manu, sigaretta tra le labbra e accappatoio.
“T’ho, allora sei venuto. Tre settimane che non ti fai vivo” gli accarezzò la
nuca.
“Ho avuto da
fare” rispose. Non era vero, in realtà non gli era arrivato lo stimolo. Ora lo
aveva, ora aveva bisogno di lei, dei suoi servigi. Abituata ai suoi vizi, e
nemmeno tanto contraria in realtà, Manu tirò fuori da una ventiquattrore
riposta nell’armadio gli attrezzi del mestiere. Con un sorrisetto buffo chiese
al cliente: “Te lo faccio prima un caffè?”
“L’ho già preso,
grazie” . Le sembrò strano che avesse fretta di consumare. Di solito Michele
era un metodico. Non gli piaceva la sveltina, tutt’altro. La consumazione
dell’atto si svolgeva con criteri prestabiliti. Gli c’era voluta una vita per
trovare una partner che riuscisse a capirlo così come lo capiva la Manu. Poco
importava che fosse brutta, strillasse perché mezza sorda e avesse non pochi anni
più di lui. Era sua complice, come mai lo era stato qualcuno, tanto meno la sua
ex moglie. Ed era una bella consolazione per lui che non fosse una donna
qualsiasi, una che si aspetta qualcosa. Finito il divertimento, divertimento
per lui, e il lavoro per lei, Michele lasciò le solite cinquantamila lire. Una
seduta di psicoterapia gli sarebbe costata lo stesso, e non era detto che gli
avrebbe fatto più bene di quello che gli faceva dire e fare la Manu.
“Vieni qui e
scioglimi ragazzone. Cos’è quel musetto triste? Ti sei fatto la ragazza di’ la
verità” Michele si tirò su i pantaloni ancora calati.
“Ma che dici,
quale ragazza?”
“Hai la faccia
di uno che si sente in colpa. Quanta fretta di andare via e poi non ti sei
visto per un po’. Scioglimi ti dico perdio” Manu strattonò le cordicelle con le
quali era appigliata alle ante in ferro battuto del letto. “Ecco, e che fretta
hai. Aspetta” Michele la liberò, poi, sospirando si finì di vestire.
“Sai che in
questo palazzo mi odiano tutti. Forse me ne dovrò andare”
“Non è una
cattiva notizia per me. Magari ti avvicinassi un po’ al centro”
“No, mi
costerebbe troppo. Ma qui abitano solo stronzi! Mentre io perdo un sacco di
clienti, quegli schifosi di parlamentari si fanno le leggi a loro piacere!” Cinguettò
con voce acuta.
“Ora che c’entra
la politica” Michele fece una smorfia.
“Michele tu non
hai nessuno, e guadagni benino no? Perché non mi presti qualcosa? Tanto per
andarmene da qui. Poi te li ridò”. Lui sospirò, non era la prima volta che gli
chiedeva qualche extra. E lui gliene dava sempre. Ma quel giorno scarseggiava
di pecunia. “La prossima volta Manu, la prossima volta...”
“Ma quale
prossima volta! Tu non tornerai più, già lo so. Hai quello sguardo”
“Ma quale
sguardo...” lui la strattonò per allontanare la mano che si era attaccata alla
camicia. Un camiciotto quadrettoni in stile grunge. “Sì, ce l’hai, non te l’ho
mai visto. Hai lo sguardo innamorato. Ti sei trovato un’altra per i tuoi
giochini e della vecchia Manu tu non verrai più”
“Farnetichi, sei
proprio vecchia. Se fai così non ti darò niente...” ruminò tra se: “Stronza”
lei non lo sentì e si chiuse in se stessa. “Allora Ciao” e se ne andò.
Una volta sulle
scale Michele rifletté sulla parole della puttana: non c’era niente di vero,
eppure una di così grande esperienza in fatto di uomini e sentimenti, poteva
anche non sbagliarsi. Non era forse in atto un cambiamento del quale lui ancora
non era padrone? Con quei pensieri fissi tornò in strada per la sua camminata,
la metro e poi l’autobus. Ma anziché arrivare fino al capolinea che lo avrebbe
portato sotto casa sua, scelse di scendere dalle parti del ponte della Madre.
Disse a se stesso che voleva solo camminare un po’ per schiarirsi le idee,
invece finì per passare di fronte alla sua amata prigione. L’Havana, il sexy
shop. Entrò sorprendendo non poco Aziz, il quale gli sorrise dopo averlo
salutato. “Ti mancava?”
“Stavo tornando
a casa e prima volevo appurare che tutto fosse apposto”
“Lo è, torna a casa tranquillo” ma non lo fece. Una forza irresistibile lo
portò dietro il bancone dove troneggiavano alcune cassette restituite, l’occhio
cadde su Tre cagne il calore. La delusione
calò sulla sua faccia, e non sapeva il perché. “C’è stato quel ragazzino della
Crai?”
“Già, ti
cercava”
Michele scrutò
il collega sorpreso: “Mi cercava?”
“Beh mettila
così, è rimasto molto deluso di trovare me e non trovare te. Gli volevo
consigliare il reparto gay, invece ha preso Le
assatanate del Bounty. Un classico”
Michele fece una
faccia strana e poi un sospiro, come di gratitudine. Il ragazzo voleva
rivederlo, e sarebbe tornato. “Diego si chiama Diego” disse ad alta voce.
Aziz lo scrutò
come si guarda un pazzarello: “Diego? Buon per lui” poi alzò la voce: “Michele
che ci fai qui? Torna a casa! Goditeli quei due giorni a settimana che hai. Non
pensare sempre al lavoro” lo spinse fuori affettuosamente e Michele sorrise
rivolto all’immaginaria volta celeste in alto. Il cielo era sereno e ancora non
vi era traccia di notte, eppure in quel momento, a lui sembrò di poterle vedere
le stelle, contarle ad una ad una. Sentendosi strano, quasi pazzo, tornò nel
suo appartamento quasi correndo. Non prese nessun mezzo, e di autobus che
potevano accompagnarlo tranquillamente a casa ne passarono accanto a lui. Si
fece sei chilometri a piedi canticchiando Bocca
di rosa e sorridendo agli uccelli della sera.
Diego era
triste. Aveva fantasticato così tanto sul suo ritorno all’Havana negli ultimi
tre giorni da essere divenuto quasi surreale. Ma era stato invece molto reale
trovarci dietro il bancone un uomo diverso, molto diverso, da Michele. Da colui
che gli aveva tolto il sonno e donato qualche speranza. Che poi quale speranza?
Continuava a chiedersi torturandosi l’unghia del mignolo. Doveva andare a
prendere Tatiana. Niente pianobar, niente
concerto, che poi si fa tardi, si era raccomandato agli amici. E lui la
mattina dopo doveva lavorare. Così sapeva solo che sarebbero stati lui e
Tatiana, magari per una passeggiata romantica. Gli scappò una faccia disgustata.
La sua vita gli faceva schifo e mai come quel giorno sentiva il peso della sua
maschera, della sua normalità, quella alla quale si aggrappava sempre quando
l’altro Diego, quello oscuro che tentava di eliminare, prendeva il sopravvento.
Ma il giorno il suo progetto era sfumato. Michele non c’era e lui era uscito da
quella videoteca con la coda tra le gambe e
un altro pornazzo che non vedrò pensò silenzioso guardando la pareti di
fronte a lui. Magari avrebbe avuto più fortuna, si disse, ci sarebbe andato
lunedì, sarebbe andato a restituire il film e ci sarebbe stato anche Michele. E
forse avrebbe risolto qualcosa. Accese il computer per distrarsi. Attese i
canonici cinque minuti che si accendesse e poi andò su internet. Scoprì che
Nico gli aveva scritto. “Domenica sono a Torino, ci vediamo?” Domandava.
Rispose che lo avrebbe chiamato il giorno prima per darsi un appuntamento
compatibile con il lavoro, e con Tatiana. Ma non aveva ancora rinunciato di
raccapezzarci qualcosa con il commesso del porno shop. Se non altro il suo
capotreno sapeva cosa gli piaceva, ogni tanto glielo faceva pure. All’idea
sbiancò. Non voleva vedere Nico, questa era la verità, non era avanzare di un
passo verso il precipizio ma gettarsi nel precipizio, solo che alla fine del
precipizio c’è un altro precipizio. Diego iniziò a sudare freddo. Forse avrebbe
dovuto valutare meglio prima di rispondere. Aveva davvero voglia di scopare con
il suo amante omosessuale? Ripensò a come era iniziato tutto mesi prima. Di
come si erano trovati in un sito d’incontri e come si erano subito piaciuti.
Certo Nico non era uno che si fermava. In tutti i sensi. E per Diego era
l’ideale. Maschio latino all’apparenza sicuro di sé, invece nel suo paese lo
consideravano un latin lover, o qualcosa del genere. Trenta anni, moro, con una
sfilata di denti bianchi perfetti e il sorriso malandrino. Piaceva molto e
Diego notava che quando camminavano fianco a fianco per pochi metri prima di
raggiungere quello o quell’altro hotel, le ragazze guardavano Nico, non lui.
Era pure alto, abbastanza alto. Sospirò frustrato. Nico non lo eccitava più.
Non c’era niente da fare. E tutto per colpa di un incontro casuale in un sexy shop.
Non ci guadagnerò niente, si disse
Diego. Rammentò a se stesso che ormai ce l’aveva quella vita, anche se gli
faceva schifo. La fidanzata per far contenti i suoi, l’amante per far contento
il suo culo. Che gli serviva cercare altri diversivi? Doveva per forza
incasinare un equilibrio così perfetto? Non
sarei un perfetto masochista se non mi volessi così male da distruggere quello
che mi fa stare bene. Si rallegrò di avere ancora appetito. Gli erano
arrivati gli odorini del pollo arrosto con patate di sua nonna. Sbirciò sullo
schermo le foto di modelli mezzi nudi sperando di trovare qualcuno che gli
ricordasse Michele, ma desisté. Erano tutti biondi o mori, glabri, muscolosi e
banali.
“La cena è
pronta!” Sentì gridare dall’altra parte. Ora poteva pure riporre tutti i
pensieri, belli e brutti, per riempire lo stomaco.
Due personaggi apparentemente diversi eppure sottilmente uguali. Diego nascosto dietro a una fidanzata di facciata, per non dover affrontare i suoi demoni e il mondo. Michele che si affida alle cure di una "graziosa" pur di non affrontare l'impegno che comporta la costruzione di un rapporto.Le tendenze diverse non possono che attrarli l'uno verso l'altro. Le basi per una storia complicata e piccante ci sono tutte. E noi stiamo già trepidando...
Non posso che essere d'accordo con annina. Diego e Michele nascondono un lato segreto dietro una facciata di normalità, ma il loro incontro ha scatenato una reazione che porterà tutto a galla. Bisogna vedere come reagiranno a questa attrazione reciproca. Io credo che Michele avrà più difficoltà a gestire i propri sentimenti nei riguardi del biondino della Crai, come lo chiama sempre lui.
Questo blog è nato per tutti quelli che amano la coppia Caparezza/Diego Perrone (altresì detta Diegorezza) in odor di slash (slash fanfiction) e per coloro che amano Diego Perrone e il mitico Michele Salvemini come artisti, con un occhio speciale e fantasioso sugli altri musicisti che più o meno ruotano (o hanno ruotato) intorno a questa coppia. Welcome.
ATTENZIONE: tutte le fanfiction presenti nel sito che citano Diego Perrone e Michele Salvemini (Caparezza)e altri personaggi reali, sono da considerare sempre e tassativamente frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro. In caso contrario, qualora si racconti un avvenimento "reale" non sarà una fanfction e verrà ben specificato.
Se non vi piace lo slash non leggetelo
Sublimando sul palco................................................................................................................................
-Durante fuori dal tunnel, alla frase: “Mi sento stretto come quando inchiappetto un topolino” (al posto di puffo, per adeguare alla scenetta) mimato un atto omosessuale, nella fattispecie CaparezzaVSDiego.
-Durante Bonobo Power, vengono imitati coiti e Diego, dopo aver tentato Capa al sesso bonobo, si consola prima con il tastierista poi con una banana.
-Durante una nuova versione di Fuori dal tunnel, Caparezza imita un nuovo coito omosex con uno stura lavandini sempre ai danni di Diego.
-Durante il dito medio di galileo, Diego presta il fianco alla famosa frase: “Temono il dito di Galileo tra le chiappe” mettendosi in posa per farsi infilare metaforicamente il dito medio tra le chiappe da Caparezza.
-Durante una delle tante versioni di Abiura di me, Diego dice: “Ti posso cliccare?” e dopo averlo toccato con la freccetta, arriva con un finto dito (tipo sempre mouse del pc) e lo sbatte sui genitali di Capa.
-In un'altra di Abiura, Caparezza impugna il pacman e "mima" di mordere qualcosa che pende dal corpo di Diego, indovina un po' cosa...
-Ancora Abiura di me, Diego fa la principessa del videogioco di Super Mario che amoreggia con Tetris, interpretato da Caparezza.
-Durante Kevin Spacey, Diego Harry Potter, sbatte la bacchetta magica verso il sesso per evocare un sortilegio contro la prostata di Caparezza.
-Durante stango e sbronzo Caparezza prende di petto le dimensioni della scimmietta di Remy (interpretata da Diego) e definisce le dimensioni del suo pene siffrediane.
-Prima di Auditel's family, per parlare del decadimento dei rapporti amorosi, Caparezza imita una telefonata ad una linea erotica e Diego interpreta una centralista hard con tanto di parrucca e movenze.
-Nel live de La fine di gaia, Caparezza spinge nel sedere di Diego la lancia, gesto però non legato ad una scenetta o altro. Così...
-In The auditel family, alla fine Caparezza svende tutto, persino una notte d'amore con Diego. Ma poi si pente e cerca il suo perdono tirandogli un bacio subito ricambiato
Due personaggi apparentemente diversi eppure sottilmente uguali. Diego nascosto dietro a una fidanzata di facciata, per non dover affrontare i suoi demoni e il mondo. Michele che si affida alle cure di una "graziosa" pur di non affrontare l'impegno che comporta la costruzione di un rapporto.Le tendenze diverse non possono che attrarli l'uno verso l'altro. Le basi per una storia complicata e piccante ci sono tutte. E noi stiamo già trepidando...
RispondiEliminaNon posso che essere d'accordo con annina. Diego e Michele nascondono un lato segreto dietro una facciata di normalità, ma il loro incontro ha scatenato una reazione che porterà tutto a galla. Bisogna vedere come reagiranno a questa attrazione reciproca. Io credo che Michele avrà più difficoltà a gestire i propri sentimenti nei riguardi del biondino della Crai, come lo chiama sempre lui.
RispondiEliminachissà...
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