Titolo: L’amore è
blu
(fanfiction a puntate)
Autore: giusipoo
Pairing: Diego
Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU, romance, eros, introspettivo, ironico, grottesco
Story line: Fine anni ‘90
Rating: NC17
Disclaimer: come
sempre è tutto frutto di fantasia e non si vuole in alcun modi ledere
all’immagine dei protagonisti e insinuare qualcosa
Ogni masochista nasconde un sadico nell'armadio
Dopo
l’Havana, per Diego fu difficile concentrarsi al lavoro. Era confuso e svagato
come raramente gli accadeva. Tutti invece lo conoscevano per essere un tipo
molto scrupoloso e diligente. Era un maniaco della precisione sul suo lavoro, che
poi consisteva più che altro nello scartare imballaggi, riporre articoli per la
casa e il tempo libero, qualche volta, aiutare i clienti. La sua cura
nell’occuparsi del reparto era spesso motivo di sfottò da parte dei suoi
colleghi, che prendevano meno sul serio di lui la questione. Ma pure per Diego
quello alla Crai era un lavoro temporaneo, in attesa di qualcosa più
sostanzioso. Aveva una zia impiegata statale, ma non sembrava propensa ad
aiutare i figli di sua sorella, Diego e Martino, a trovare qualcosa di più
stabile e redditizio. Il fratello maggiore di Diego era disoccupato e a
ventinove anni non sembrava preoccuparsi affatto di campare sulle spalle dei
genitori. E tutti e due vivevano ancora a casa con loro, in perfetta
contraddizione con la mentalità europea, che lentamente stava contagiando anche
la città di Torino, e il nord tutto.
A
Diego piaceva disegnare, era pure piuttosto bravo. Dopo il liceo artistico non
aveva proseguito gli studi, scoraggiato dall’alto tasso di disoccupazione che
riguardava i neo laureati dell’accademia delle belle arti. Così, quando la Crai
lo aveva chiamato per i canonici tre mesi, aveva accettato. Secondo suo fratello Martino lui
aveva la sindrome del bravo ragazzo. “Diego ce l’ha, io no”
diceva ai suoi genitori. Invece lui faceva solo lavoretti saltuari, tipo il
barista nei locali notturni oppure il vetrinista, quando capitava, sempre
lavori temporanei, che gli davano il tempo di gozzovigliare in giro, di
divertirsi. Ma Diego no. Da quattro anni era nel grande supermercato con un
contratto a tempo indeterminato, e poco importava che percepisse un salario
quasi ridicolo e che non esistessero sbocchi di carriera. Poteva permettersi
una macchina, portare a cena fuori Tatiana, la sua fidanzata da ben dieci anni,
praticamente da quando erano entrambi adolescenti, e mettere anche qual cosina
da parte per il futuro. Apparentemente non c’era niente in lui che lo
differenziasse da uno dei tanti bravi figlioli del mondo. Eppure c’era, e lui e
pochi altri, sapevano che non era così, che tutta quella rettitudine era solo
apparenza. Una facciata da mantenere sempre e comunque. Ed erano in giorni come
quelli che la maschera che portava, finiva per stringersi attorno ai connotati
maligna, come se volesse soffocarlo, distruggerlo. L’unica cosa che lo teneva
in piedi era l’appuntamento con Tatiana e i suoi amici la sera in birreria,
dove insieme alle altre due coppie, avrebbero parlato di vacanze, di Palma de
Maiorca. Ed ecco che dopo il commesso dell’Havana, quello che lo aveva
infastidito la mattina, diveniva la sua ancora di salvezza. Diego voleva con
tutte le forze spazzare via la lussuria, ma non ci riusciva mai, e cadeva nel
vizio. Sempre.
Quel
pomeriggio la lussuria era in una cassetta ancora rinchiusa nel suo cartone
marrone. Non erano certo le pornoattrici che avevano lavorato in quel film a
mandargli in pappa la ragione. Ma colui che glielo aveva dato il film a farlo
sentire schiavo dei suoi guai, dei suoi desideri.
A
fine turno recuperò la cassetta nel suo armadietto e la guardò un attimo, indeciso
se aprirla e sbirciare o lasciarla là, al riparo dai possibili occhi indiscreti
di casa sua. No, decise di non aprirla, di lasciarla dentro l’armadietto. Dopotutto
aveva ancora tre giorni disponibili prima di restituirla, solo a quel punto
l’avrebbe sbollata per dimostrare che il film l’aveva visto davvero. Richiuso
l’armadietto si precipitò a grandi passi verso il parcheggiò destinato ai dipendenti.
Un rapido saluto ad una collega e poi eccolo dentro alla Nissas Micra
celestina. Appena seduto un senso di stordimento lo colse, come se dovesse
svenire. Quando accadeva, dava la colpa al prodotto che usavano
all’autolavaggio. E dopo aver ripreso a respirare normalmente, ingranò la
marcia e si avviò verso l’uscita. La musica di una radio locale lo distrasse e
per un po’ riuscì a non pensare a Michele. O a pensarci vagamente, ed erano
sempre pensieri leggeri, quasi innocui. Ma una volta solo a casa sua, sua madre
e suo padre al lavoro, sua nonna dalla vicina a spettegolare di qualche amico
comune o a raccontarsi l’ultima puntata della loro soap preferita, scoprì di
essere solo. Si sentì il padrone di quei centoventi metri quadri e tirò fuori
dall’armadio i capi d’abbigliamento che avrebbe messo per l’uscita serale, alla
madre avrebbe detto: Non preparare per
me, vado in birreria con Tatiana, si mangerà sicuro qualcosa, sì, avrebbe
detto così, era prevedibile. Ora restava solo il compito più duro: spogliarsi.
E non era nemmeno freddo, tutt’altro. Maggio era quasi finito e nel condominio
i riscaldamenti non li accendevano da un bel pezzo. Eppure gli pesava come se
di gradi ce ne fossero stati due togliersi i pantaloni marroni chiari e la
camicia, il gilet, tutta la divisa di lavoro. E lo fece convulsamente, anche i
calzini, le scarpe rigorosamente antinfortunistica, che avevano il pregio di
farlo sembrare più alto. Una volta nudo, il senso di soffocamento lo colse di
nuovo, come dentro la macchina ma più forte. Il cuore iniziò a martellargli
nelle orecchie e si disse: passa Diego,
passa. Tu fallo passare... si ripeté come in una lenta nenia. Ma non
passava e il tremore divenne parossistico. Dove
cazzo è l’accappatoio. Nell’armadio ovviamente! Sua madre lo aveva riposto
là, mentre lui preferiva appenderlo dietro la porta, ma lei, che era persino più fissata di lui
per quanto riguardava ordine e pulizia, tendeva sempre a nascondere le cose. E
lui l’armadio non lo voleva aprire. Apparentemente non c’era niente di
vergognoso in quell’armadio, niente che non aveva già visto prendendo la
camicia, la giacca di velluto e i jeans prima. Ma ora era nudo, e sull’anta
c’era lo specchio, e adesso che si vedeva costretto a recuperare l’accappatoio,
avrebbe dovuto scontrasi con il suo corpo esposto. Cosa che lo atterriva e non
poco. Certo, se il suo inconscio non avesse voluto tirargli quello scherzetto
si disse, avrebbe potuto prendere l’accappatoio insieme ai vestiti no? Prima di
spogliarsi. Ma lui si disse convinto davvero che l’accappatoio fosse rimasto
appeso dietro la porta, proprio dove l’aveva lasciato il giorno prima e non in
un angolo nascosto. “Cazzo” sibilò. Dopo un lungo respiro, aprì l’anta,
raggelato come se fosse stato sul punto di lanciarsi da un aereo con il
paracadute per la priva volta. L’accappatoio era appeso alla parte opposta
dello specchio, eppure l’occhio cadde sulla propria immagine. Non c’era da
stupirsi che odiasse così tanto il suo corpo, si diceva, per come lo trattava!
Non c’era niente di apparentemente visibile ad occhio nudo, certe cicatrici si
possono nascondere in fretta, certe cicatrici non si vedono se non le vuoi
vedere. Diego non si faceva mai vedere nudo dalla sua ragazza. Scopavano sempre
mezzi vestiti, anche quando avevano la possibilità di farlo a casa di lei, che
non c’erano i genitori in casa. E lei era troppo timida per chiedergli il
motivo di tanta riservatezza o del buio. Il buio doveva esserci sempre. Ma
eccole ora le cicatrici che tanto spaventavano il povero Diego. I segni non erano
davvero molto visibili, tutto sommato non cadeva nel vizio da qualche
settimana. Ma c’erano certi punti della sua pelle ormai sfigurati. Diego cercò
di non eccitarsi ma era tutto un fremito e se si fosse sbrigato avrebbe potuto
farsi una sega, calmando il suo corpo. Tanto non c’erano dubbi che lo avrebbe
fatto: la doccia, sempre sotto la doccia. E oggi aveva anche un motivo ispirante
potente, non si chiamava Nico, non faceva il capotreno e non lo cercava solo
quando aveva bisogno di una scopata divertente a Torino, ovviamente solo quando
passava di là per lavoro. Oggi non c’era lui ma un altro pugliese ad aver serrato
in una morsa mortale la sua mente, ad averlo gettato nei desideri carnali
irrisolti. Dopo tutto, la masturbazione non è sesso ma la sua sublimazione. E
l’atto di per sé per lui era di sicuro più vergognoso. Quasi in lacrime dal
nervoso e dall’imbarazzo, si infilò nell’accappatoio e piombò dentro il bagno
come in trance. Si chiuse a chiave. Aprì il rubinetto dell’acqua e subito i
fumi del vapore gli annebbiarono la vista. Via l’accappatoio, miscelato per
bene, si gettò sotto il getto potente. Per un attimo il calore ebbe il potere
di rilassarlo. Un altro tipo di piacere si propagò in ogni sua cellula. Ma non
bastò. Appoggiata la fronte alle piastrelle, rivisse fotogramma per fotogramma
l’incontro con Michele, il commesso del pornoshop. Dall’umiliazione della carta
d’identità, com’è stato eccitante! Dal
contatto ravvicinato alle sue spalle, con quello sguardo profondo sempre
addosso. L’altra umiliazione della finta intervista statistica, con tutte
quelle domande personali, per di più davanti ai suoi colleghi! Non perse più tempo,
iniziò a toccarsi febbrilmente, rivivendo mentalmente tutto il film che aveva
registrato in testa. Una volta raggiunto l’appagamento, per qualche attimo si
sentì addirittura contento, in qualche modo tornato in pace con il mondo e con
se stesso. Ma quella sensazione durava sempre poco, troppo poco. A volte
piangeva, altre volte non faceva proprio niente. Si ripuliva la mano, si
asciugava dopo essere uscito dalla cabina doccia, stretto nell’accappatoio,
tornava nella sua stanza. E fu lo stesso quel giorno. Fuori dal bagno, scoprì
che Tatiana gli aveva lasciato un messaggio in segreteria. Aveva sentito il
telefono suonare, ma non poteva rispondere. Amore,
ci vediamo davanti al Pagoda alle nove e mezzo. Mi passano a prendere la
Federica con Bobo. A dopo. Così si espresse la vocina. La sua vita reale,
quella lontana dalle cicatrici, da Nico e ora dal commesso del pornoshop,
spingeva per entrare. E lui fu ben lieto di lasciarla entrare. Più sereno,
tornò nella sua stanza e si rivestì. Una volta pronto trovò sua madre e sua
nonna alle prese con i fornelli: “Mamma non preparare per me, vado in birreria
con Tatiana, si mangerà sicuro qualcosa”
“Ora
si inizia di martedì?” s’intromise la nonna, quella più pedante delle due.
Clara, sua madre, era meno spigolosa della donna più anziana, ma allo stesso
appiccicosa e pignola. Prima che il figlio minore uscisse, iniziò con le solite
raccomandazioni: vai piano, non bere
troppo e non ti appartare nei postacci. Cose così. Sbuffando Diego
si allontanava da casa, ma dentro di sé gli piaceva che le sue due mamme lo
adorassero così. Ma sapeva che amavano il bravo ragazzo, non la mela marcia che
nascondeva nell’armadio. Il lato oscuro lo celava bene, non fosse basto lo
sguardo da cucciolo indifeso.
Sotto
casa incontrò suo padre che tornava dalla briscolata con gli amici al bar.
Erano quasi le nove. Dopo il lavoro (faceva il garagista) si intratteneva nel
retrobottega di un locale. “Papà, io esco” con un sorriso alquanto arzillo,
evidentemente aveva bevuto a stomaco vuoto, si raccomandò: “Trattala bene
quella ragazza. È così carina” fece l’occhiolino.
“Usciamo
tra amici papà”
“E
tu non metterla incinta lo stesso, che poi fai la mia fine che a tua madre me
la sono dovuta sposare. Sai come si dice no? Se puoi avere il latte gratis,
perché comprare la vacca?” e mise dietro una bella risata sonora. Diego fu
sicuro che fosse alticcio e fu grato dell’uscita con gli amici di non beccarsi
la filippica che sua madre e sua nonna avrebbero fatto al beone.
La
serata in birreria trascorse bene, sotto ogni punto di vista. Diego, come
sempre sereno, in perfetta pace con l’ambiente, sorseggiò la sua media e
spiluccò il mais tostato ascoltando rilassato il programma della vacanza a
Palma de Maiorca. Tatiana, a prima vista perpetuamente persa nell’estasi
dell’amore, appoggiava la guancia sulla spalla del suo ragazzo stringendosi al
suo braccio e facendo sì con la testa a tutto. Avendo un carattere molto
accomodante, le stava bene ogni cosa e quando qualcosa non le stava bene,
faceva valere le sue ragioni con garbo e grande pacatezza. Non era mai sopra le
righe e anche se viaggiava sempre su tacco dodici, non sembrava una vamp, una superficiale.
La sua migliore amica, Paola, nonché collega di studi, la chiamava Amelie per
via del film. E chiamava lei e Diego due bambini innamorati. Tant’è che Paola, un
tipino molto più grintoso di lei e che a differenza di lei faceva
giurisprudenza per diventare un magistrato per sbattere in galera i cattivi e
non per fare l’avvocato d’ufficio e diventare la paladina degli oppressi come
sognava Tatiana, sospettava che nemmeno scopassero, e più di una volta lo aveva
spifferato all’amica, la quale, dopo essere diventata rossa in viso, si
schermiva con un lapidario: “Certo che lo facciamo! Noi ci amiamo!” Nemmeno a
Diego piaceva Paola, proprio per la sua schietta e spudorata sincerità. Temeva
che lei, dall’alto del suo metro e settantasei, vedesse quei due lillipuziani
innamorati, la copia scialba dei fidanzatini di Peynet, per quello che erano:
un cumulo di falsità. Due ragazzini che a sedici e quindici anni, avevano
deciso di trascorrere il resto della vita insieme. Cosa che raramente accade,
visto che con gli anni le persone cambiano, cambiano sempre. E Diego era molto
cambiato in quei dieci anni. Tante cose aveva fatto alle spalle di Tatiana,
alle spalle dei suoi amici tutti, che negli anni si erano alternati: da quelli
di scuola a quelli di lavoro e gli amici della sua fidanzata. E, ovviamente, Diego
aveva agito alle spalle della sua famiglia per bene.
Quella
notte non accadde nulla di speciale, Diego parcheggiò la sua Micra al posto
dove non potevano fare nulla di sessuale ma si sentivano protetti da qualche
malintenzionato, essendo sotto le abitazioni, tra cui quella di Tatiana e della
sua famiglia. Vivevano in un complesso di recente costruzione, cinque fila di
palazzine tutte uguali. Pomiciavano per una mezz’ora finché Diego non le
diceva: “Ora è tardi, vai che domani hai lezioni” oppure: “Ora è tardi, vai che
domani mi devo svegliare presto”. Invece quel giorno Tatiana disse: “Peccato
che è tardi, e che siamo qui, stasera avevo un certo languore” lo sorprese
mettendogli una mano sul pacco. Subito Diego si agitò: “Ma Tati che fai? Come
te n’esci?”
“Non
sei contento che questa estate stiamo due settimane insieme? Dormiremo insieme.
Come una coppia sposata” gli baciò il dietro dell’orecchio e lui rispose
meccanicamente.
“Non vedo l’ora” mentì. In realtà non vedeva l’ora di andarsene.
“Quando
avrò consegnato la tesi mi metterò sotto con il praticantato. Ma appena inizio
a lavorare sul serio Die’ ci sposiamo, o quanto meno conviviamo. Anche se mia
madre preferirebbe che ci sposassimo, e anche la tua”
Diego
trattenne a stento uno sbuffo: odiava quando lei iniziava a parlare di quella
cosa che iniziava con la M. “Tatina, ci sarà tempo per sposarsi e per convivere
e fare figli. Godiamoci quello che abbiamo no?”
Lei
si ammusò: “Ma che male c’è a sognare di vivere insieme? Io voglio svegliarmi
con te amore, voglio dormire tra le tue braccia” si accoccolò a lui, che di
rimando le baciò i capelli scuri, tenuti da un cerchietto lillà. “Ti amo tanto
Diego”
“Ti
amo tanto anch’io Tatina, e presto lavorerai e avremmo abbastanza soldi per
parlare di convivenza. Ora pensiamo ad oggi. Ok?”
“Ma
sai che hai ragione? Io sono sempre così proiettata verso il futuro, mentre
quello che abbiamo oggi è già tanto! Noi ci amiamo. È tutto perfetto”
“E sì, è perfetto!” ripeté a pappagallo pensando: perfetto una sega, sapessi che combina il tuo perfetto fidanzatino
appena può... Pensò a Michele intensamente. Sapeva benissimo quello che
voleva da lui. S’intristì ma non lo diede a vedere. Qualche minuto dopo riuscì
ad accomiatarsi dalla ragazza e fuggire verso casa. Non si precipitò però
subito nel suo quartiere, fece un giretto in centro. Scoprì che era quasi
mezzanotte, ma la videoteca era ancora aperta. Chissà se c’è Michele... probabilmente no, decretò, qualcuno doveva
dargli il cambio la sera. Pensò di andarlo a trovare, di proporgli una bevuta
da qualche parte, ma se era là dalla mattina sarebbe stato stanco, distrutto.
Che voglia poteva avere uno come Michele di uscire con come lui? Si rammentò. Uno
che non avrebbe mai considerato. Eppure lo sapeva, c’era stato qualcosa tra
loro, non poteva essere solo la sua fantasia, il suo bisogno osceno. Non gli
capitava mica con tutti gli uomini carini che conosceva di provare quella cosa
là. Michele lo aveva sfidato, maltrattato e, allo stesso tempo, posto al centro
dell’attenzione. Michele forse conosceva i suoi bisogni più segreti, era del
mestiere per via del materiale pornografico che traccheggiava. Poteva anche
provarci dopotutto. Con Nico era stato facile, si erano conosciuti in uno di
quei siti... E anche se il commesso del pornoshop lo avesse rifiutato... “Meglio
un rimorso che un rimpianto” mormorò con gli occhi fissi su Michele che ora
chiudeva la serranda mestamente. Non ebbe il coraggio di lasciare l’auto in
doppia fila, scendere ed andargli incontro. Fece uno sforzo erculeo per non
soccombere al desiderio sempre strisciante, e con l’eccitazione che gli doleva
nei boxer, ben diversa la situazione rispetto a quando lo aveva toccato
Tatiana, ripartì sgommando. E si asciò dietro un pulviscolo di fogliame e gas
di scarico.
Da tempo non venivo risucchiata così in un racconto, da molto tempo. Non voglio dire che ultimamente non abbia letto cose belle, anzi, ma qui sono entrata a far parte della storia, come se fossi in quella stanza anch'io, come se l'angoscia di Diego risalisse dal pavimento al mio corpo, al mio cuore. E non a caso il mio cuore ha cominciato a battere molto, troppo in fretta. E la sua ansia, la sua tristezza sono diventate anche mie, e non mi hanno ancora abbandonato, so già che rimarranno qui con me ad aspettare che qualcosa accada.
RispondiEliminaUna nuova Giusi questa...
In realtà anche una vecchia Giusi.. devo farti leggere Danzando con i propri demoni, perché le atmosfere sono le stesse. Però, mentre Alberto "danza" qui il protagonista li scaccia, li teme e poi soccombe.
EliminaQuesta storia mi ha già preso dopo solo due capitoli. Mi piace questo Diego dalla doppia personalità, un Giano bifronte che nasconde dietro una facciata di normalità un torbido segreto che da quando ha conosciuto Michele rischia di sommergerlo e di venire fuori inesorabile. Tatiana e il suo lavoro sono come un'ancora cui aggrapparsi, ma anche qualcosa che a volte gli sta stretto. Tatiana con la accondiscendenza e il suo essere sempre accomodante in ogni aspetto della loro vita di coppia non può eccitarlo o suscitare in lui desideri quanto invece fa Michele che fin dal primo incontro lo ha trattato male e Diego da masochista qual'è ha bisogno proprio di questo. Spero non mi faccia attendere tanto per il prossimo capitolo perchè io già l'adoro
RispondiEliminaGrazie, quasi pronto ma oggi tocca a 2 Pianeti, la fabbrica dello slash non dorme mai.... ;)
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