In qualche modo Michele riesce ad andarsene ma non prende la strada di casa, no, va direttamente in Hotel. Lentamente tutto si fa chiaro. Il corso di cucina di Diego, la sua svagatezza, il suo sguardo colpevole, i sotterfugi di sua madre, l’allegria scomposta di suo padre. E le parole crude di quell’uomo cattivo che odia con tutto se stesso tornano a torturarlo: oppure non sei frocio, lo usi solo per i soldi. Beh ti hanno fatto comodo, non c’è che dire... Michele guarda lo stemma del Verde Luna da lontano. Scende dalla macchina frustrato e piange; piange di rabbia, di solitudine, di nervoso. Piange e prende a cazzotti la portiera della Focus per sfogarsi, fino a quando le nocche non iniziano a sanguinare. Bastardo perché! Perché hai fatto questo! Poi un altro pensiero lo distrugge. “Ha venduto casa, ecco perché sta qui già da un po’. E dove poteva andare. E la televisione in camera! Ecco spiegato tutto” ora che i dubbi vanno via via dipanandosi, Michele sente che non può proprio sopportarlo. Entra nell’hotel che sembra un invasato. Il barista, che non lo riconosce, lo avvisa che sono ancora chiusi, che l’inaugurazione non inizierà prima delle sette e trenta. “Dammi da bere, sono il figlio del capo. No... no suo marito. Sono il marito del capo” risponde acido. Il ragazzo si schermisce, corre in cucina e, poco dopo, arriva il cuoco che lo riconosce. “Signor Salvemini, è già arrivato! I suoi genitori e il signor Perrone saranno qui a momenti”
giovedì 10 gennaio 2013
2 Pianeti, Quinta parte (2)
Titolo: 2 Pianeti
Sottotitolo: 2 metà dello stesso dolore
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e non per insinuare qualcosa!
In qualche modo Michele riesce ad andarsene ma non prende la strada di casa, no, va direttamente in Hotel. Lentamente tutto si fa chiaro. Il corso di cucina di Diego, la sua svagatezza, il suo sguardo colpevole, i sotterfugi di sua madre, l’allegria scomposta di suo padre. E le parole crude di quell’uomo cattivo che odia con tutto se stesso tornano a torturarlo: oppure non sei frocio, lo usi solo per i soldi. Beh ti hanno fatto comodo, non c’è che dire... Michele guarda lo stemma del Verde Luna da lontano. Scende dalla macchina frustrato e piange; piange di rabbia, di solitudine, di nervoso. Piange e prende a cazzotti la portiera della Focus per sfogarsi, fino a quando le nocche non iniziano a sanguinare. Bastardo perché! Perché hai fatto questo! Poi un altro pensiero lo distrugge. “Ha venduto casa, ecco perché sta qui già da un po’. E dove poteva andare. E la televisione in camera! Ecco spiegato tutto” ora che i dubbi vanno via via dipanandosi, Michele sente che non può proprio sopportarlo. Entra nell’hotel che sembra un invasato. Il barista, che non lo riconosce, lo avvisa che sono ancora chiusi, che l’inaugurazione non inizierà prima delle sette e trenta. “Dammi da bere, sono il figlio del capo. No... no suo marito. Sono il marito del capo” risponde acido. Il ragazzo si schermisce, corre in cucina e, poco dopo, arriva il cuoco che lo riconosce. “Signor Salvemini, è già arrivato! I suoi genitori e il signor Perrone saranno qui a momenti”
“Il
signor Perrone certo...” Michele biascica che sembra ubriaco. Bere, già...
quella sarebbe una soluzione, pensa. Notando i cocktail con i bicchierini già
pronti sul tavolino, senza preoccuparsi di scombinare la bella composizione, si
prende un drink. Ma beviamo, beviamoci
su... che cazzo... Ne beve uno, due, tre... poi esce e arrivano le sette.
Il suo cellulare squilla già da un po’ ma lui non vi bada. Arrivano i suoi
genitori e c’è anche Diego. Ha l’aria preoccupata mentre, chiuso nella sua
bella divisa da cuoco, nota Michele stravaccato su una delle tante sedie in
vimini collocate sul terrazzo dell’Hotel. Sta guardando il sole, ormai giunto
sul punto di tramontare. La luce è ancora vivace però, e alcuni gabbiani
volteggiano sopra le loro teste, vanno verso il mare, in un punto indefinito
dove nessuno di loro può arrivare. Nemmeno con tutti i soldi del mondo si può
arrivare a quel punto, pensa Michele ormai nei fumi dell’alcol. Dietro i
genitori arrivano altri, altre macchine. Gli invitati, i parenti dei lavoranti,
amici, ex compagni di scuola di Barbara. Ovviamente Barbara con suo marito.
Nessuno di loro si cura di Michele e della sua sbronza, anche i suoi genitori
lo hanno salutato distrattamente e poi, senza chiedere niente, sono andati a
lavorare, ad accogliere. È il loro giorno dopo tutto. Se ne sono andati tutti
già, dal terrazzo dove sta Michele. Ma non Diego. Lui si avvicina cauto a dove
Michele è seduto. Su di lui si irradia la luce di quel sole pugliese così
invadente nella sua bellezza. Così inopportuno.
“Michele...”
Diego lo sussurra quasi... “Michele ti ho aspettato ma tu non arrivavi e non
rispondevi ed era tardi...” a Diego non occorre un documentario di Piero Angela
che gli spieghi perché è così incazzato. Anche se non ha idea dello zio dal benzinaio,
del delirio emotivo e mentale che il suo compagno sta vivendo. Michele non
parla ma quando Diego gli si para davanti, tra la sua sedia e il sole, scatta
in piedi e gli versa addosso il contenuto del suo bicchiere malamente.
“Vaffanculo” riesce a dire alla fine, anzi lo urla. E
a Diego si accappona la pelle, mentre si stringe nelle braccia, tentando di
rassicurarsi. Intanto una vocina gli dice: è finita, è finita. “Diego...
Diego...” ora la voce di Michele gli arriva strana, come falsata, più acuta.
“Alla fine sei arrivato nel tuo Hotel, Diego. O devo chiamarti maritino?
Padrone forse? Ecco padrone è il termine giusto”
“No Michi non dire così ti prego io l’ho fatto per te,
per i tuoi genitori, non c’è niente di mio qui, l’ho fatto solo per amore, solo
per te” le sue lacrime si uniscono ai residui del cocktail e Diego le toglie
con le mani tremanti.
“Mi hai comprato alla fine ce l’hai fatta” Michele guarda
Diego con occhi cattivi, occhi che lui non gli ha mai visto e che gli fanno
paura, ma continua ad avvicinarsi.
“Michele non è come pensi tu io…”
Michele alza una mano a fermarlo, a tenerlo distante: “Stai
zitto, sei solo uno stronzo e io non so come ho fatto a non capire, a cascarci,
brutto bastardo! Maledetto ragazzino viziato” dopo una piccola pausa dove si
prende il tempo per fiatare ricomincia: “Sei venuto qui per comprarti tutta la
Puglia? Di sicuro i miei genitori! Ma che volevi dimostrare, che sei meglio di
me? Che sei più ricco di me? Più intelligente, più furbo, più istruito?”
“No ma perché devi prenderla così? Perché ti ostini a
non voler capire? Non sono né più furbo né più intelligente, e non ho comprato
nessuno, soprattutto i tuoi genitori che loro sì che sono persone intelligenti
e lo sanno perché l’ho fatto. E poi dici che mi ami? Dici che mi ami e poi mi
tratti come l’ultimo degli stronzi?” con un sospiro Diego tenta ancora di
avvicinarsi a Michele gli mette una mano sul braccio: “Michi credimi quando ti
dico che sei tutto quello che ho, credimi quando ti dico che tutti i soldi del
mondo non mi basterebbero se non avessi te; cosa dovevo fare? I soldi li avevo,
a cosa dovevano servirmi se non per aiutarti? Ho solo te”.
“Ma basta! Sta zitto! Tu non capisci niente, sei solo
capace di comprare le persone, sì perché siccome le persone ti hanno sempre
usato, tu che fai? Le compri! Con i soldi pensavi di comprarti l’amore? Beh,
notizia dell’ultima ora carissimo Diego, tu per colpa dei soldi, l’amore l’hai
perso! Perso...” Michele digrigna i denti. Gli occhi ormai fuori dalle orbite e
sempre più crudeli. Diego tenta di dire qualcosa ma lui continua. “Io mi fidavo
di te, è una questione di fiducia. Ti avevo detto che non volevo? Per me
bastava così. Come mi hai tradito in questo puoi tradirmi in qualsiasi altro
modo dunque ora vattene. Vattene da qui, vattene per sempre...”
Diego è ammutolito, vorrebbe dire qualcosa, prostrarsi
ma quando tenta di parlare, Michele lo spinge con violenza verso la sua
macchina. “Vattene Diego, prima di fare di me una persona violenta che non
sono. Tu non hai idea di quanta voglia avrei di spaccare questa tua bella
faccia del cazzo” Diego non si ribella. L’alito di vino, i modi villani,
grotteschi, la situazione è grottesca. E come in un incubo, Diego si ritrova
dentro ma la macchina di Michele. Una manovra e via. È già fuori dal parcheggio
del Verde Luna.
Diego non sa come è riuscito ad
arrivare davanti alla casa dei Salvemini, tra l’angoscia e le lacrime ha
rischiato di finire due volte fuori strada. Sul vialetto si strappa via la sua
bella uniforme, l’appallottola e la lancia sull’erba.
Entra e non si guarda nemmeno
intorno, raccoglie poche cose, l’essenziale e le infila con frenesia nella
sacca di Michele che è ancora lì per terra, le mani che continuano a tremare e
un dolore dentro che lo devasta. Si carica la sacca sulla spalla e fa per
uscire ma con la mano sulla maniglia si blocca.
Si gira a guardare la casa dove ha
vissuto poco, l’unica dove si è sentito davvero vivo, il divano dove solo poche
ore prima Michele lo ha amato così intensamente, e ora è tutto finito. Finito.
Con la morte nel cuore e negli
occhi, Diego infila la porta e se ne va. Fuori lo aspetta Ulisse. Il cagnone
non gli salta addosso come al solito, come se percepisse tutta la sofferenza
che Diego porta con sé; Diego si inginocchia e lo accarezza con tenerezza,
mentre lui gli lecca le mani. “Addio Ulisse, addio anche a te” le lacrime che
cadono dal viso alla terra non le sente più, come se sgorgare fosse un fatto
normale, come il sangue che scorre nelle vene.
Si chiude il cancello alle spalle e
si incammina verso la statale; non vuole andare in stazione ad aspettare un
treno, deve andarsene il prima possibile da lì, tanto che ci rimane a fare?
A quell’ora c’è poco traffico, la
gente è a casa a mangiare o a guardare la tv; continua a camminare Diego sul
filo della strada per almeno mezz’ora prima che un Doblò si fermi a
raccoglierlo.
“Sto andando a Pescara, per te va
bene?” è una signora alla guida: strano, di solito le donne non caricano gli
autostoppisti. Ma cosa me ne frega di chi
mi carica. Basta che mi portino via...
Prima di entrare si dà un contegno,
si sforza di non piangere, di coprire gli occhi rossi e vuoti. Si siede
ringraziando e appoggia la sacca tra le gambe. Spera che la signora non intenda
fare conversazione, non è il momento, proprio non gli va. Lei lo guarda di
sfuggita, nota l’espressione ferita di Diego e torna a guardare la strada. “Se
non ti va di parlare sto zitta, non è un problema. Ma abbiamo tre ore almeno di
viaggio, e a volte fa bene sfogarsi con gli sconosciuti, aiuta. Vedi tu”.
“Grazie” a Diego non escono altre
parole; continua a rigirarsi tra le mani la fascia rossa che Michele porta
abitualmente tra i capelli, l’ha vista sul tavolo, l’ha dovuta prendere. La
fiuta, sente il profumo dei suoi capelli, del suo sudore, del suo amore. Ha
l’impressione che gli scoppi la testa, le vene, sente che sta per sciogliersi
su quel sedile, e vorrebbe che fosse proprio così. Sparire semplicemente
sciogliersi e sparire per sempre. Si rigira la fascetta intorno al polso, come
fa abitualmente Michele quando si è stancato di portarla, e mettendo il viso
tra le mani riprende a singhiozzare senza potersi fermare, il dolore è troppo
per tenerlo dentro. Per colpa dei soldi
l’hai perso l’amore Diego... Questa frase gli gira nella testa, gli risuona
nelle orecchie, sente solo quella. L’ho
perso, l’unico che amavo, l’unico che mi amava. L’ho perso, l’ho perso, l’ho
perso. Non se ne accorge nemmeno, ma le ultime parole le sussurra
all’infinito.
Hanno da poco imboccato l’autostrada
e la signora si ferma al primo parcheggio che trova.
“Tesoro, non ti chiedo di
parlarmene, ma credo di capire che sia una questione di cuore. Povero piccolo,
fa tanto male?” Diego non riesce a rispondere, i singhiozzi lo scuotono,
sembrano volerlo distruggere, minuto com’è. La signora gli accarezza la testa,
impressionata, senza più parlare.
Poco alla volta i singhiozzi si
placano, ma Diego non toglie le mani dal viso.
Lei si gira e prende un termos pieno
di tè caldo: “Tieni, bevi che ti farà bene” porgendogliene un bicchierino e
versandosene a sua volta.
Diego beve poi si gira verso di lei
porgendole la mano. “Diego. Io sono Diego”
Io ero Diego, ora non sono più nessuno, senza Michele non sono nessuno...
“Io sono Maria. Passa un po’?” Maria
lo guarda negli occhi e ci vede tutto il dolore del mondo. “Ci vorrà tempo
Diego, ma passerà credimi. Io riparto se riesci fatti un pisolino dai” capisce
che Diego non vuole parlare, gli dà l’occasione per rinchiudersi.
Viaggiano così, Diego con la testa
appoggiata al finestrino a guardare la Puglia che se ne va, Maria che guida in
silenzio, guardandolo ogni tanto, mettendogli la mano sulla spalla per dargli
sostegno.
Poco prima di arrivare al casello,
si ferma all’autogrill dove Diego scende per cercare un altro passaggio. Lo
abbraccia stretto: “Mi spiace lasciarti qui, potrei essere quasi tua madre,
beh, insomma una sorella maggiore almeno e non mi sento a posto ad
abbandonarti. Mi raccomando ragazzo, non fare sciocchezze, l’amore va e viene,
non abbatterti troppo”.
“Grazie Maria per tutto; non
preoccuparti per me ce la farò” mentre lo dice non ci crede per niente. Ma non
vuole che quell’estranea stia male per colpa sua. Pensa che lei è buona, non se
lo merita. Non è una cretina come me...
Maria risale in auto e si allontana salutandolo.
Diego si guarda intorno: un altro
autogrill ma qui non succederà niente di bello per lui. Sono le undici di sera.
Non c’è nessuno a quell’ora, solo lui che gira nel parcheggio come un’anima in
pena, poi si dirige verso il prato sul retro. Non c’è il trifoglio lì, ma tanto
comunque non lo raccoglierà nessuno domani mattina, non ci sarà più Michele a
portarlo via con sé.
Si siede con le spalle a un albero e
apre la sacca. Ne toglie la bottiglia di amaretto che ha trovato a casa di
Michele, forse l’aveva comprata lui quel giorno all’Auchan, la prima volta che
hanno fatto spesa insieme e che poi hanno litigato e poi fatto pace nel
parcheggio.
Cercando ancora nella sacca escono
anche gli ansiolitici; Diego li guarda, cosa ci vuole in fondo? Magari se li prendo tutti e mi finisco
l’amaretto, mi addormento qui e pace. Magari non mi trovano nemmeno, anzi
sicuro non mi trovano, nemmeno mi cercherà nessuno, tantomeno Michi...
Michele, Michele, Michele... solo
lui nella sua testa: Michele che lo sgrida, che lo coccola, Michele da baciare,
Michele sul divano, Michele per fare l’amore, Michele da amare. Michele che non
lo vuole più. Vattene da qui, vattene per
sempre… Io mi fidavo di te…
Si versa nella mano le pastiglie
ancora nel flacone, non sono tantissime, ma se ci beve su può funzionare no? Le
caccia tutte in bocca e si attacca alla bottiglia.
Appoggia la testa all’albero e
guarda la mezza luna che spicca in un cielo pieno di stelle. Pensa al poster
appeso nella stanza di Michele ragazzo, la luna azzurra con i due pianeti: un
pianeta ora non c’è più. Quel pianeta non
c’è più o forse era una stella... sono io... io ero una stella! Ora Diego si sente una scheggia impazzita, come una
stella che ha perso la sua orbita e vaga in un cielo senza luna.
Ricomincia a piangere, tanto chi se ne frega ormai
della sua sensibilità? Volevo farmi
curare… questa è l’unica cura possibile per me ora. Beve e beve Diego,
finché sente che le forze lo abbandonano, la mente annebbiata e finalmente
riesce a non pensare più.
Diego si addormenta fra l’erba, appoggiato ad un
albero in un campo incolto dietro ad un autogrill.
Tutto sommato l’inaugurazione
del Verde Luna è andata bene. Alcuni ospiti hanno finto di non badare (la
maggior parte non ci ha badato sul serio) alla faccia tetra di Giuseppe Salvemini,
alle lacrime negli occhi di Santina, ai sorrisi falsi di Barbara e suo marito,
ma soprattutto, a Michele Salvemini ubriaco fradicio sul terrazzo che parla
alla luna, ai gabbiani e alle stelle tutte. Che biascica delle sue disgrazie,
senza curarsi di sapere che fine abbia fatto Diego, l’artefice di tutto quello.
È talmente fuori che ad un certo punto, mezzanotte e mezzo, si addormenta con
la testa spiaccicata sul pavimento. Addormentato tra le sedie in vimini. Non
può sapere che, in quel momento, a trecento chilometri di distanza, dorme anche
Diego, il suo grande amore, quello che l’ha tradito. Anche questo hanno in
comune, dormire in un posto improprio. Scaltra, Santina si avvicina al figlio
sbracato in terra e, con un gesto lesto, gli sgraffigna il cellulare dalla
tasca dei pantaloni. Qualche secondo dopo è il lacrime affianco alla figlia e
al marito. Ormai tutti gli ospiti se ne sono andati, restano solo le maestranze
ad assistere allo sfacelo. “Non risponde Giuse’, non risponde! Ma dove sarà
quel ragazzo, dove sarà!” l’ansia prende il sopravvento e per quanto sua figlia
e suo marito la rincuorino dicendo che non risponde solo perché è offeso, che
non vuole parlare a Michele dopo la sbroccata che gli ha fatto, lei si dispera
e alla fine di una serie di epiteti contro il figlio, si getta sulla sedia
pesantemente e scoppia in lacrime. “Lo sapevo che quel torinese avrebbe portato
solo guai!” strilla nervosa Barbara, l’unica a non aver mai avuto in simpatia
Diego, forse per gelosia o per una questione tipicamente femminile. Voleva una
donna accanto al fratello, non ne fa mistero. Ma ora Giuseppe l’accusa: “Se ora
stiamo qui, se sono tornato padrone del Verde Luna e padrone della mia vita
devi ringraziare Diego. Anche tu, anche tuo marito. E per me la questione
finisce qui” da un calcio alla sedia e se ne va Giuseppe. È il suo modo per far
capire che è preoccupato, come lo sono tutti. Il rombo della Punto che parte a
tutta birra ha il potere di destare Michele, il quale, quando si sveglia,
capisce che la festa è finita. Una festa a cui lui non ha partecipato, o ha
partecipato anzi, facendo la parte del beone. Quello penato e deriso dagli
altri. Si alza dal suo provvisorio giaciglio e, come se gli piombasse tutto
addosso all’improvviso, sente tra le mani, tra le unghie, nella mente, il
disastro che è compiuto. Rivive vividi il momento del disastro, di quando ha
trattato male Diego. Lo ha cacciato via. Lo ha insultato e gli ha pure tirato
un bicchiere di spumante addosso. E tutto
questo perché lui si è dato via il suo attico per comprare a mio padre il Verde
Luna... una pena profonda lo accalora. Diego se ne è andato davvero,
forse... oppure, spera, è di là con gli altri. Se l’è fatta passare ed ha
festeggiato con gli altri il ritorno dei Salvemini come albergatori. Sì, sicuro è così... si dice mentre gira
come un invasato la grande sala ristorante. E vede.
Vede la madre afflitta sulla
sedia. Suo cognato che saluta gli ultimi camerieri, il cuoco e sua sorella che
fuma. Ma non aveva smesso? Poi si tasta la tasca alla ricerca del cellulare.
“Devo chiamare Diego” dice ad alta voce. Riscossa, Santina si gira e lo fulmina
con lo sguardo. Poi si alza e lo affronta: “Non risponde! Dio mio non risponde!
Dove sarà quel ragazzo! Dove sarà!” piagnucola, sbraita. Gli molla uno schiaffone.
Michele non ricorda quanti anni sono che non lo picchiava, ma se le tiene
quelle cinque dita in faccia, se l’è meritata la sberla. “Mamma...” geme
afflitto. Poi, prima di essere anch’egli travolto dalla rassegnazione che Diego
se n’è andato, non fa più parte dell’ambiente, della loro vita, strappa dalle
mani della madre il proprio telefono e chiama. Ma niente, libero, libero,
sempre libero. Squilli su squilli, dall’altra parte nessuno. Nessun segno di
vita. Michele ora gira intorno ai tavoli come un ossesso. Dalla parte del vetro
la mezza luna bastarda illumina il terrazzo dove ora le luci sono spente. “Sarà
a casa” urla tornando di nuovo dentro. “Andiamo sarà a casa. Mirco andiamo a
casa” fa al cognato, il quale svelto tira fuori le chiavi della sua Nissan e,
in pochi concitati attimi, chiudono e se ne vanno, lasciando solo il portiere
di notte.
I venti minuti che li separano
da casa, Michele li passa in apnea. Si dice che Diego è sul divano che dorme,
proprio come quel pomeriggio, prima di fare l’amore... si sarà fatto uno di quei pianti cosmici e dopo aver coccolato un po’
Ulisse, è caduto nel sonno profondo. Ci spera davvero ma quando camminando
sul vialetto, Barbara incappa con piede sulla divisa strappata di Diego,
Michele capisce che non c’è... non è nel suo appartamento. Ci trovano la Focus,
ci trova le chiavi attaccate. I ladri non ne hanno approfittato, ma l’amore è
stato derubato. Non c’è più traccia d’amore da nessuna parte, ora che Diego se
ne è andato. Michele, come un pazzo lo cerca. In ogni anfratto, in ogni angolo,
persino sotto il letto, tanto piccolo com’è potrebbe incastrarcisi bene. Vede
molte delle sue cose ma non vede più la sua sacca. Non c’è il portafoglio di
Diego, mancano alcuni abiti. Santina, con passo pesante lo raggiunge alle sue
spalle. E lui si gira allucinato. Un dolore fisico allo stomaco, la testa che
gira, due parole sulle labbra: “Mamma se n’è andato, se n’è andato sul serio!”
“Non lo vedremo più... l’unico
che ti abbia capito, che ti abbia davvero voluto bene, lo hai mandato via” poi
urla: “Brutto stronzo, noi gli volevamo bene! E tu lo hai mandato via, e perché
poi? Perché ti amava troppo? Perché ha sacrificato la sua vita per te? Cosa
doveva fare, tradirti come hanno fatto le altre? Prenderti in giro?”
A quel punto l’orgoglio ferito
di Michele sbotta: “Io mi sono sentito preso in giro! Che ne sai... che ne sai
che quando stavo dal benzinaio quel bastardo di tuo fratello me lo ha
spiattellato giù così bene. E non sapevo niente!”
“Che ti ha detto” Santina si
copre la bocca disgustata.
“Cosa vuoi che mi abbia detto? Che vi siete fatti aiutare dal fidanzatino di vostro figlio.
Parole di merda da una persona di merda!” E
io che ci sono cascato, ho trattato male Diego per colpa sua. “Ho bevuto e
non capivo più niente, non avrei dovuto” ma a che serve rendersene conto?
“Mamma dove lo posso trovare?” ora Michele ha paura, è passata l’una di notte e
Diego è solo in una grande città come Bari. Dove sarà? “Mamma”
“Ora
chiedi aiuto a me, disgraziato?” lo aggredisce: “Ora che lo hai perso” Ha ragione, ha ragione. L’ho perso! L’ho
perso perché sono una testa di cazzo! All’improvviso, tutti i ricordi che
lo legano a Diego, a quei quattro mesi d’amore insieme, così perfetti nella
loro rarità, sopraggiungono a lui, come in uno schermo invisibile. Lo vede tra
i trifogli, sgraziato come un gatto ferito. Lo vede sporco di cioccolata fino
alla fronte. Lo vede tremare dal freddo dentro l’ortica. Lo vede cazzeggiare
mentre ci prova per la prima volta con lui, e lui lo schianta sul sedile minacciando
di staccargli gli attributi. E poi i ricordi, quelli belli, che lo affossano
sul serio di brutto. L’amore. L’amore che come la lava di un vulcano l’ha
travolto, ha travolto tutto e l’ha bruciato. Ora Michele si sente bruciato. Non
riesce a pensare, ad agire. È disperato, e la paura lo blocca. Ha dormito
mentre Diego se ne andava, scappava da lui, dalla gioia. La gioia è così rara
oggigiorno pensa, che andrebbe protetta dentro una teca, con tanto di
telecamere a infrarossi. Mentre lui ha rotto la teca e ora è scappato tutto.
Michele piange adesso, da prima sommessamente, le lacrime che sgorgano in
quantità industriale. Uno come lui che non piange mai. Ma quanto Santina, a sua
volta distrutta dal dolore, piange sulla sua spalla, il pianto diventa rabbioso
e disperato. Inconsolabile. Anche Barbara piange a sua volta. Ma in un angolo.
Resta a guardare madre e fratello abbracciati. Sembra un film. Un film di
quelli che non finiscono bene.
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Ho letto tutto d'un fiato. Bellissimo ma anche terribilmente doloroso. E' come un pugno nello stomaco che non solo fa male ma che ti toglie anche il respiro. Il loro litigio e lo sguardo di Michele colmo di disprezzo mi ha lasciato l'amaro in bocca e anche l'ultimo sguardo di Diego a quel divano dove erano stati tanto felici, mi ha commosso fino alle lacrime. Non mi capita spesso di piangere per una storia, ma qui credo che di lacrime ne verserò parecchie da questo capitolo in poi. Spero davvero che qualcuno trovi il piccolo Diego e che tutto si possa aggiustare. Temo però che il torinese ora abbia il cuore lacerato e difficile da rattoppare. Michele corri da lui e digli che hai sbagliato! Ti prego.
RispondiEliminaDi solito ti dico che sei teatrale, ma questa volta non ce la faccio. Sarà che so quello che sta per succedere... sarà una lunga agonia e non posso dirti se risorgerà la luna...
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