lunedì 15 aprile 2013
Tra rabbia e passione, tredicesima puntata
Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una
torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina
e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere:
AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline:
Fine anni settanta
Rating: PG, slash, NC 13
Disclaimer: si
intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi
sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e
basta
Capitolo 13
Si
diressero a piedi verso il lungomare alla ricerca di un ristorante, e ne
trovarono uno piccolo ma molto carino, con una terrazza rivolta al mare. La
sera era dolce, per niente fredda, e chiesero e ottennero di poter mangiare
proprio lì, in veranda.
Diego
ordinò solo un piatto di spaghetti alla chitarra; Michele fece una smorfia, li
ordinò a sua volta, poi ci pensò: “Io prendo anche gli scampi: ma tu mangi solo
quello? Per forza sei così magro poi!”.
“Normalmente
mangio e anche molto, ma quando sono impegnato nelle gare devo seguire la dieta
dell’atleta! Solo pasta, poca carne e frutta. Niente alcool”. Diego guardò
davanti a sé la distesa del mare: “Sai che non riesco mai ad abituarmi alla
bellezza del mare. Quando mi hanno destinato a Bisceglie ero contento solo per
quello”.
Guardandolo
con malizia Michele gli domandò: “E ora? Sei contento per qualcos’altro ora?”.
Sorridendogli
Diego annuì. Fece per prendergli la mano, ma si trattenne in tempo. “In questo
momento sono molto felice, sì. È stata una bella giornata e stare con te mi dà
una sensazione di serenità. Una sensazione nuova”.
Come
la mattina in piscina, Michele provò una tenerezza infinita per quel
ragazzo: il suo ragazzo. Avrebbe voluto prenderselo fra le braccia,
accarezzarlo e baciarlo lì, in mezzo al ristorante. Se fosse stata una ragazza
non avrebbe avuto problemi a farlo. Cazzo,
che storia. Ma come faremo? Io così istintivo, come riuscirò a resistere?
Michele
versò il vino nei bicchieri e fecero un brindisi silenzioso.
“Poco
per me Michi, niente alcol, l’ho appena detto” precisò tenendosi una mano
davanti alla bocca per trattenere uno sbadiglio: evidentemente le poche ore di
sonno unite a tutta l’attività fisica iniziavano a pesare. Mentre bevevano
arrivarono i piatti e cominciarono a mangiare. “Anche domani devi stare tutto
il giorno in piscina?” chiese Michele mentre si gustava gli scampi con evidente
piacere.
“Certo,
ho tre gare domani: i cento, i duecento e la staffetta” Diego lo guardava
mangiare incantato: gli piaceva tutto di Michele, anche i suoi modi un po’
selvaggi a volte. Lui si sentì osservato e rispose con un’occhiata
interrogativa. “Assaggiane uno Diè, non sarà uno scampo che ti farà perdere la
gara. Dai da bravo, apri la bocca” Michele stette lì con lo scampo finché Diego
non aprì le labbra e accettò di assaggiare, guardandolo intensamente negli
occhi. Michele si turbò e arrivò alla fine della cena senza più parlare. Diego
capiva la sua confusione, non era facile accettare di essersi innamorato di un
uomo, e a quasi trent’anni poi. Lui almeno ci si era abituato un po’ alla volta
durante l’adolescenza. Più che abituato, rassegnato forse.
Uscirono
dal ristorante che non erano nemmeno le dieci. “Ci facciamo una passeggiata
sulla spiaggia?” chiese Michele venendo fuori dal suo mutismo. Diego accettò
con piacere, e si incamminarono sulla riva. Dal mare spirava un’aria fresca e
profumata di salsedine. Alcuni gabbiani con i loro canti facevano sentire la
loro presenza. Diego rabbrividì nella sua maglietta. Non si era portato niente
da mettere sopra, e ora sentiva un po’ freddo. All’improvviso il braccio di
Michele era intorno alle sue spalle che lo stringeva: “Non hai il fisico Diego.
Hai la pelle d’oca per un po’ d’arietta”. Si guardarono e si sorrisero. Michele
si aggiustò l’elastico dei capelli con la mano libera, prima di ammettere: “Che
cosa strana: mi piace tenerti così, mi sento bene, ma mi sento anche un po’ a
disagio al pensiero che qualcuno ci veda. Eppure quando andiamo in giro col Paz
spesso stiamo abbracciati in questo modo, e la cosa non mi turba. No, non mi
scappare Diego, resta qui”.
“Se
ti mette a disagio forse non dovresti abbracciarmi. Forse col tuo amico sei
tranquillo perché sai che nessuno penserebbe mai che lui ti piace no?”.
Michele
sbruffò in una risata: “Ci puoi giurare che non mi piace! Oddio, il Paz. Beh,
c’è una bella differenza tra te e lui. Forse è per quello, non lo so. Ma chi se
ne importa, non mi va di pensarci ora. Hai molto freddo? Ritorniamo in albergo
dai”. Tornarono, mentre Diego continuava a rabbrividire, ridendo: “Santo cielo,
hai ragione Michele, non ho il fisico. Dio che freddo!” L’aria in effetti era
aumentata, ma sembrava non avere nessun effetto su Michele, che si manteneva
bello caldo dentro la sua t-shirt nuova.
Allora
Michele prese Diego fra le braccia, lo strinse contro il petto scompigliandogli
i capelli chiari.
Diego
si abbandonò sul torace ampio con un sospiro, circondandogli la vita, e
infilandogli le mani sotto la maglietta: “Michele come sei caldo, come sto bene
così”. Il pugliese lo tenne stretto per un po’, baciandogli i capelli e
accarezzandogli la schiena per riscaldarlo. Diego alzò il viso per guardarlo,
le labbra pericolosamente vicine. Michele sentì il respiro caldo di Diego sulla
sua bocca, ma il giovane carabiniere comprese che non era ancora pronto per questo
e infilò il naso nel suo collo, fiutandolo, baciandolo.
“Hai
un profumo stupendo Michele; oddio tienimi così per sempre, non chiedo altro”. Non si può essere più felici di così! Ho tutto
quello che ho sempre voluto, convinto che non lo avrei mai potuto avere.
Convinto di essere destinato a procurarmi un po’ d’affetto nei boschetti, o nei
cessi. E invece vengo a Bisceglie e guarda che ti trovo... l’amore della mia
vita... quei pensieri lo scaldarono un po’ facendogli scorrere più forte il
sangue. Ma Michele protestò facendolo tornare al presente: “Io chiedo altro
invece! Dai, andiamo ghiacciolo, che ti riscaldo io per bene tra un po’”.
In
poco tempo raggiunsero l’albergo, ma entrando videro radunati diversi atleti,
tra cui molti della squadra di Diego.
“Diego,
forza che è ora di coricarsi, domani le gare iniziano alle nove e mezza” il
compagno di stanza gli fece cenno di muoversi: “Non tornavi mai, per fortuna il
mister non si è accorto della tua assenza”.
Diego
guardò Michele con aria smarrita. “Mi dispiace, è colpa mia” fece Michele “ma
io e mio cugino non ci vediamo tanto spesso, mi faceva piacere cenare con lui,
stare un po’ in compagnia insomma. Non volevo creare casino”. Diego sorrise:
Michele sapeva cavarsela molto meglio di lui.
Però
ora gli toccava andare in stanza con il suo compagno di squadra, mentre avrebbe
preferito andare col suo compagno di letto!
Si
avviarono tutti verso le scale, e Michele con noncuranza gli disse: “Allora non
sali un attimo con me? Volevo parlarti ancora di quella cosa”.
“Ne
parleremo domani Michi. Vado a letto. Buonanotte” Diego era terribilmente
rattristato al pensiero di non poter dormire con lui, e Michele vide gli occhi
riempirsi di lacrime un attimo prima che lui li abbassasse a guardare il
pavimento.
Gli
venne un odio profondo per quel rompicoglioni che gli toglieva Diego proprio
ora che l’aveva trovato. Va bene, era solo per una notte, non diventare melodrammatico Michè!
Beh, comunque lui voleva dormire con Diego, dopo aver giocato un po’ con
lui naturalmente.
Si
salutarono e ognuno si diresse alla propria stanza. Michele stette alla
finestra a fumarsi una sigaretta: fumava poco, anzi quasi per niente, ma in
quel momento la rabbia gliene faceva sentire il bisogno.
Si
coricò e si mise a leggere per un’oretta. Quindi tentò di dormire, senza
riuscirci. Da fuori arrivava un brontolio continuo: un temporale si stava
avvicinando, si sentivano già le prime gocce cadere. Michele si rigirava nel
letto continuamente, ma gli occhi non ne volevano sapere di chiudersi.
Il
temporale scoppiò in tutta la sua violenza. Le poche gocce divennero un
acquazzone in piena regola e i lampi si susseguivano continui. Il letto
sembrava tremare sotto la violenza dei tuoni.
Gli
sembrò di sentir bussare alla porta, ma pensò a qualcuno che si muoveva nella
stanza accanto.
Dopo
un attimo sentì distintamente tre colpi alla porta, e Michele con un
presentimento si precipitò ad aprire: davanti a lui Diego con indosso i calzoni
della tuta e la canottiera. Il resto dei vestiti in mano: “Posso restare con
te? Ho paura del temporale”. Glielo disse con gli occhi spalancati sul buio
della stanza e un sorrisino un po’ teso. Michele lo acchiappò e lo strinse
talmente forte che ebbe paura di spezzarlo.
“Vieni
Diego, vieni dentro” chiuse la porta alle sue spalle e lo trascinò sul letto,
sempre tenendolo tra le braccia: “Vieni qui che ti proteggo io dal temporale.
Quanto mi sei mancato piccoletto? Eh?”.
Diego
lo guardò con malizia: “Ti sono mancato io o ti è mancato il mio culo Michele?
Dì la verità...” civettò.
Michele
capì che stava sì scherzando, ma che nonostante tutto un po’ di paura di essere
usato Diego l’aveva: “Mi è mancato il tuo culo, chiaro. Secondo te?” la voce di
Michele risultò un po’ dolce e un po’ lubrica mentre le sue mani tastavano
l’oggetto della disquisizione con assoluto piacere e desiderio.
“Va
bene anche così, comunque ti mancava una parte di me” Diego gli si accoccolò
tra le braccia, sussultando a un tuono più forte degli altri.
“Oh,
ma hai davvero paura del temporale? Ma sei un bel fenomeno, tutto da scoprire”
Michele rideva mentre gli sollevava il viso per guardarlo negli occhi: “E
comunque mi sei mancato tu Diego. Mi è mancato averti qui, parlare con te,
abbracciarti, tenerti stretto, fiutarti. Mi è mancato guardare i tuoi occhi,
bellissimi, e cercare di leggervi dentro tutto quello che tu non mi hai ancora
detto di te. E sappi che normalmente non sono così romantico, quindi qui c’è
qualcosa che non va”
“Mi
sei mancato tanto anche tu Michele, stavo lì in quel letto maledetto, e pensavo
che tu eri qui, e non potevo stare con te: mi sentivo morire. Al primo tuono mi
sono detto: ma chi me lo fa fare? Al diavolo tutto e tutti e sono scappato.
Tanto il mio compagno di stanza dorme già da un pezzo”.
“Però
intanto che infuria il temporale, potremmo anche divertirci un pochino, vero
Diè? Poco, poi ti lascio dormire che domani hai le gare. Solo un po’” . Diego
per tutta risposta gli infilò le mani sotto la canotta e gliela sfilò: “Guarda
che non devi insistere. Ne ho voglia pure io” gli baciò una spalla: “Certo
Michele: giochiamo un po’”. Il temporale non faceva più paura a nessuno ora.
La
mattina dopo si alzarono per tempo e scesero nella hall prima di tutti gli
altri, con espressione innocente. Fecero colazione e dopo poco si avviarono
tutti verso il palazzetto dello sport.
Per
Diego quel giorno fu un vero tour de force: alle sue tre gare se ne aggiunse
una quarta, perché un compagno di squadra si era stirato e non poteva gareggiare.
Anche
se non fu certo il migliore, Diego si piazzò comunque bene. Michele dagli
spalti lo guardava orgoglioso come se il merito fosse il suo.
L’ultima
gara fu quella della staffetta, e la squadra di Diego finalmente si distinse,
arrivando seconda proprio grazie al suo sprint finale. Michele esultò come se
l’Italia avesse vinto ai Mondiali!
Gli
atleti tornarono in albergo alle otto di sera. Diego era particolarmente
pallido. “Oh, Diè, non stai bene? Hai due occhiaie!” Michele lo guardava
preoccupato.
“No,
figurati, sto benissimo, solo sono distrutto! Oggi non ci voleva quella gara in
più, non mi sento più le braccia!”.
“Però
sei stato grande, dai! Hai avuto un guizzo, sembravi un delfino! Sono proprio
contento di essere venuto a vederti. È stato esaltante!”.
Diego
sorrideva felice: “Esagerato! Nemmeno avessi vinto le olimpiadi!” ma gli faceva
piacere che Michele fosse così contento di lui.
Mangiarono
un antipasto, una pizza e Diego si concesse un dolce enorme: “Ho finito le
gare, posso mangiare ora”. Dopo cena si rifugiarono in camera: pioveva ancora,
e a Diego non importava più se il suo compagno di stanza avrebbe fatto o meno
la spia al mister. Dopotutto di cosa lo avrebbe potuto accusare? Di essersi
infrattato con suo cugino? E poi le gare erano finite.
Non
si accennò al sesso, in effetti Diego dichiarò di sentirsi troppo stanco
persino per spogliarsi e così Michele lo fece al posto suo. Gli sembrava di
occuparsi di un bambino, di qualcosa comunque di straordinariamente prezioso. E
mollò un bacio ad ogni centimetro di pelle che lasciva scoperta, fin quando
Diego non restò in slip bianchi.
Una
volta coricati passarono una mezz’ora a chiacchierare del più e del meno, ma
soprattutto della vittoria di Diego, che continuava a riempire di orgoglio
Michele.
“Diego,
ti vedo proprio affaticato. Vuoi dormire? Avremo tempo per chiacchierare no?”
Michele gli accarezzava la testa, le guance, passava con un dito sulle sue
orecchie, non riusciva a fare a meno di toccarlo. Ma ben presto le manone si
spostarono lungo la schiena, sfiorarono i fianchi e raggiunsero la parte
posteriore per massaggiarlo, con lo stesso impegno con cui un pizzaiolo avrebbe
lavorato la pasta della pizza.
“No,
mi dispiace, abbiamo ancora solo stanotte per stare insieme, e non voglio
deluderti” Diego lo disse con voce assonnata, cercando di tenere aperti gli
occhi che invece volevano fortemente chiudersi.
“Ma
cosa dici? Sembra quasi che non ci dobbiamo rivedere mai più dopo oggi.
Riposati Diego perbacco, per chi mi prendi? Vero che mi piaci, è vero che non
riesco a starti lontano, è vero che ti sto tenendo le mani sul culo, ma non per
lussuria! Io non lo so perché ma vanno lì automaticamente! No davvero Diego,
fare l’amore con te mi piace un casino, ma ti voglio reattivo! Dormi un po’
piccolo, riposati” lo prese tra le braccia, facendogli appoggiare la testa al
suo petto. Diego sospirò: “Michele, ti ho già detto che ti amo tanto oggi? Beh,
ti amo tanto. E se anche il mondo finisse adesso, io qui su di te morirei
felice”.
“No
Diè, il mondo non finirà e noi non moriremo, e sì, anch’io ti amo tanto e forse
oggi non te l’ho detto. Dormi ora piccolo, dormi” Michele lo accarezzò
dolcemente fin quando non sentì il suo respiro farsi lento nel sonno. Non
russava nemmeno Diego, era un ragazzo tranquillo anche mentre dormiva. Michele
continuò ad accarezzarlo per un po’, poi gli diede un bacio sulla fronte e,
rilassandosi un pochino, finalmente si addormentò a sua volta.
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Michele è grandioso. Orgoglioso del suo ragazzo, tenero, dolce e premuroso. Ne avrei tanti di aggettivi. Che favola il pezzo che sono a cena, vorrebbe prendergli la mano, stringerlo, come una coppia di innamorati ha il diritto di fare, ma non può e questo gli rammenta le sfide che dovranno affrontare se vorranno stare insieme. Ormai si rendono conto di amarsi e di non potere più fare a meno l'uno dell'altro. Che tenero Diego con le sue paure e debolezze, il terrore dei temporali, di essere usato, di non essere all'altezza. Quel suo aspetto non fa che suscitare l'istinto della chioccia in Michele. Adorabili, droga pura questa fic
RispondiEliminaSe Michele sapesse che gli hai dato della chioccia, lui che si sente così galletto invece... Però un pò pulcino Diego lo è... :) Così ho fatto tutto il pollaio.
EliminaSì, in effetti. Questo capitolo è carino ma di certo non è tra i migliori
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