Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una
torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina
e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere:
AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline:
Fine anni settanta
Rating: PG, slash, rigorosamente NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della
fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali,
abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta
Capitolo 15
La
Renault 4 sfrecciò verso la campagna e in un quarto d’ora circa giunsero alla
cascina abbandonata, infilandosi nel fienile. Non aveva senso uscire dall’auto.
Pioveva esattamente come fuori, il tetto non c’era praticamente più, ma dalla
macchina non si notava poi molto.
“Non
si vede niente però, c’è buio pesto e io voglio vederti Diego, non ti vedo da
un giorno intero: a costo di cambiare la batteria, lasciamo accesa la luce
interna”. Michele pigiò il pulsante e la luce si diffuse nell’abitacolo. Diego
si toccò gli occhi feriti come se emergesse da ore e ore di
buio.
“Vieni
qui piccolo, vieni. Anzi che ne dici se ci mettiamo dietro? Non c’è il volante,
stiamo meglio”. Nella sua voce c’era un po’ tutto: desiderio, inquietudine,
passione, paura, ma l’elemento che sovrastava tutti gli altri era sicuramente
la voglia che aveva di fare l’amore con Diego. Michele scavalcò non senza
fatica, vista la lunghezza delle gambe, mentre Diego lo fece agilmente, finendo
dritto nelle sue braccia. Il pugliese se lo mise a cavalcioni e gli infilò le
mani sotto la maglietta: “Eccoti qua finalmente” fronte contro fronte “Com’è
andata oggi Diè? È stata una giornata pesante? Alfredo ti ha dato fastidio?”.
Lo vide rabbuiarsi. “Ti ha infastidito: e io lo ammazzo” la sua voce si fece
acuta, il malcontento che provava era autentico. “Non sopporto che quello
continua a ronzarti attorno, va bene? Si cerchi qualcuno adatto a lui. Tu sei
mio, lo dovrà ben capire che non c’entri niente con lui”.
Diego
gli aprì la camicia abbassandogliela sulle spalle e restò a guardarlo
incantato: “Sei bello Michele, così bello” il cuore perse un battito e poi lo
recuperò alla svelta. Michele era esattamente tutto quello per cui valeva la
pena vivere, che importanza aveva il resto? Che gliene fregava a loro di quello
che c’era fuori da quella Renault 4? Dopo un sospirone Diego continuò: “Non mi
importa niente di Alfredo, poco a poco glielo faccio capire di non starmi più
addosso. Io sono tuo, con tutto il mio cuore, io amo solo te, per sempre”. Non
gli chiese se anche lui lo amava, lo sapeva, lo sentiva, lo leggeva nei suoi
occhi. Gli sorrise e mettendosi in ginocchio al suo fianco, gli aprì i calzoni
e glieli abbassò un pochino.
“Ho
paura che dovrai toglierli anche tu piccolo. Non saremo comodissimi, ma penso
che ci divertiremo ugualmente vero?”.
“Sì
Michi, ci divertiremo” Diego sorrise emozionato, felice. Si esplorarono un po’,
e quando fu pronto per lui, e Diego nudo sotto la cintola ma con la maglietta e
il maglioncino sempre addosso, l’operaio pretese che gli tornasse in braccio.
Dopo aver sfregato per un po’ i sessi tra loro, Michele gli chiese di fare da
solo e Diego, annuendo, afferrò il pene dalla base e ci finì sopra lasciandolo
poi scivolare dentro di sé. Anche se era da poco tempo che stavano insieme, avevano
già imparato bene come darsi piacere a vicenda. I gemiti si unirono al rumore
della pioggia che era diventata ormai la colonna sonora dei loro incontri.
Alla
fine si lasciarono cadere sul sedile l’uno sull’altro in una confusione di
gambe, jeans, umori e magliette; Michele era davvero scomodo tra i sedili
posteriori, mentre Diego ci si accomodò meglio che poté. Ora non più uno sopra
l’altro seduti da una parte ma piegati per intero di lato, rimasero per un po’
stretti, abbracciati a darsi piccoli bacetti sul viso, sul collo, su ogni parte
dell’altro che potevano raggiungere, i cuori appoggiati che battevano allo
stesso ritmo. Stavano bene, erano felici e se lo dissero.
All’improvviso
lo stomaco di Michele si ribellò, causando l’ilarità di Diego: “Pensavo al
temporale, ancora, invece sei tu! Hai fame Michi! Dovevamo mangiare prima”.
“No
piccolo, prima dovevo riassaggiare te, avevo più fame di te. Adesso però
qualcosa sotto i denti la dobbiamo mettere per forza. Dai rivestiamoci, metti
via quell’arma impropria Diego”.
Diego
lo guardò: “Cosa stai dicendo Michele? Non sono mica armato, sono in borghese
stasera”.
“Rimettiti
i calzoni Diego. Il tuo sedere è un arma, una tentazione troppo forte, metti
via!”. Ridendo Diego si piegò sul sedile davanti per prendere la borsa della
spesa.
“Eccolo
lì che me lo ributta sotto al naso!” Michele prese il ragazzo per i fianchi e
lo tirò giù di nuovo sul sedile; Diego si voltò facendogli il solletico sulla
pancia, scoprendo così che Michele lo soffriva moltissimo; giocarono e si
rotolarono per quanto l’esiguo spazio poteva permettere e poi stanchi si
appoggiarono l’uno all’altro col fiatone.
Michele
tolse un panino dalla borsa e lo porse a Diego, poi ne prese uno per sé e
circondò le spalle del compagno. Mangiarono in silenzio ascoltando la pioggia
battente, dandosi qualche occhiata, qualche bacetto ogni tanto e alla fine,
sazi, restarono lì abbracciati a guardare il buio fuori dal finestrino.
“Vorrei
dormire qui con te, anche in una tenda, sulla spiaggia, anche sotto l’acqua, ma
non vorrei dover tornare in caserma stanotte”. Diego cercò di trattenere la
commozione, ma la voce gli uscì tremante.
Michele
lo strinse un po’ di più: “Anch’io lo vorrei Diego. Anzi, a questo
proposito...” Michele tossicchiò come quando si prepara un discorso importante,
per darsi il tono giusto: “Credo che dovremo pensare a come fare per stare
sempre insieme, io non voglio più dormire solo la notte, voglio dormire con un
biondino stretto al mio fianco. Perché vedi, il tempo scorre Diè, facciamolo scorrere
insieme” un singulto lo bloccò: “Hey, cazzo ma piangi?”
Diego
non era stato capace a trattenersi. Stringendosi alle sue spalle era finalmente
scoppiato in un pianto liberatorio. “Dai non piangere Diè, qualcosa ci
inventiamo vedrai”. Nonostante la luce fioca vide chiaramente le lacrime che
scendevano.
“Piango
perché sono felice Michi, quindi lasciami piangere. Non ho avuto molte
occasioni di piangere nella vita, soprattutto di gioia. Credo che nessuno abbia
mai molte occasioni. È bello, non preoccuparti, sto bene. Però è vero che
qualcosa dobbiamo inventarci, anch’io voglio dormire stretto al fianco del mio
bronzo di Riace” e intanto gli tastava il bicipite muscoloso al punto
giusto. Gli sorrise, e anche Michele
sorrise scrollando la testa.
“Comincerò
a credere di essere bello sul serio se continui a ripetermelo”.
“Bello?
Se sei bello? Sei bellissimo Michi, sei come deve essere un uomo. Sei perfetto
per me, anzi sei pure di più” gli scappò una risatina anche se gli occhi erano
ancora umidi di pianto.
“Di
più?” Michele alzò un sopracciglio e la voce si fece un po’ nasale.
“Beh,
è un po’ imbarazzante ammetterlo mah... devi sapere che quando mi facevo le
seghe... ecco, io non pensavo mai a un uomo in giacca e cravatta, che va al
lavoro magari in un ufficio, con i capelli corti e profumato di dopobarba. Uno
regolare insomma, io no. Io pensavo sempre a un tipo come te: capellone,
alternativo, magari di lotta operaia e anche un po’ figlio dei fiori. Però con
il fisico giusto, come il tuo: alto, moro, con la barba, l’uccello grosso e
sempre arrapato” Diego lo sentì ridere. “Che c’è?”
“Beh,
dai... sono lusingato, mi hai descritto, soprattutto su ‘sempre arrapato’ mi ci
ritrovo. Ora cosa ti dovrei rispondere: quando mi facevo le seghe, intendo
prima che tu mi palpassi il cazzo, io non ho mai, ti giuro, manco una volta
pensato a un carabiniere, anche se bello, con i capelli chiari, morbidi e profumati
e con un culetto alto e sodo. Ecco no, i baffi non li avevano le persone alle
quali pensavo, lo giuro!” lo disse con un’allegria così contagiosa che Diego
non solo non si risentì ma iniziò a ridere forte. “E soprattutto non vestivano
con la divisa da carabiniere!” ridacchiava anche Michele ma poi tornò serio e
lubrico: “In effetti però, pensandoci bene, non è che mi dispiacerebbe se un
giorno mi arrivassi in divisa”
Diego,
con espressione sgomenta, socchiuse le labbra: “In divisa Michi? Sei matto! Mi
noterebbero subito!”
“Ma
si starebbe attenti. Perché... beh, ti sembrerò un po’ perverso, ma non sai che
gusto mi darebbe incularti mentre ancora porti la tua bella divisa da
carabiniere” chiuse gli occhi come ad evocare quell’immagine: “Uhm, che bello
sarebbe...” quell’argomento stuzzicò anche l’altro.
“Ma
lo sai che hai ragione? Non ci avevo pensato. Però, se io vengo in divisa tu
invece vieni con la tuta da lavoro. Perché sei un operaio no? L’avrai la tuta
da lavoro, magari pure un po’ sporca...” nel frattempo avevano ricominciato a
strusciarsi con desiderio.
“Se
c’è una cosa che non manca quando fai mangime è lo sporco. Non sai le schifezze
chimiche che ci fanno usare, e poi non ti piacerebbe la puzza che mi porto
addosso quando esco dalla Eganap” Michele s’intristì al pensiero e Diego lo
notò. “Ma mi piaci tu. Sono sicuro che ben presto la puzza di acidi la facciamo
sparire con l’odore del nostro sudore che è bello e genuino, dai...” le mani di
nuovo sui genitali e la voglia di ricominciare reciproca. Dopo quei discorsi
tornare a farsi l’amore fu un’urgenza per entrambi.
Solo
verso mezzanotte trovarono il verso di allontanarsi dal fienile e tornare al
centro di Bisceglie.
“Domani ho gli straordinari maledetti! Taglio del personale e quelli che
restano devono farsi uscire le budella da ogni orifizio!”
Diego
gli baciò il collo: “Mi dispiace amore, sarai troppo stanco per uscire domani
sera”
“No,
anzi. Tu vieni in divisa e io in tuta. Vedrai come scorre bene la giornata
anche se devo farmi undici ore no stop. Fammi questa promessa e vedrai lassù
che ti faccio piccolo, fuochi e fiamme!”
Diego
sorrise con gli occhi e dopo un ultimo bacetto lasciò il suo Michele. Prima di
arrivare dovette fare i soliti trecento metri. Ogni passo il cuore in gola
all’idea di trovare Alfredo sotto la caserma. Gli aveva garantito che sarebbe
andato a letto subito dopo cena! Per sua fortuna trovò solo il collega in
servizio che lo accolse con una battutina. “Torinese, torni da una bella
scopata eh? Ti si vede in faccia” che senza rendersene conto Diego stava
sogghignando. Arrossì e non rispose. Infilò invece le scale per raggiungere la
sua stanza.
Michele
trovò suo padre che dormiva e ne fu lieto. Anche lui avrebbe dovuto dormire da
un pezzo. L’indomani lo aspettava una giornata di fuoco e la sveglia era già
puntata alle cinque e cinquanta. Ma era felicità quella che lo accompagnò al
sonno ristoratore.
Nonostante
le poche ore di sonno, si svegliò sereno e riposato. Stiracchiandosi si disse
che alla fine cos’erano undici ore di lavoro davanti, se alla fine avrebbe
potuto riavere tra le braccia Diego?
Quella
sera si sarebbero divertiti, eccome! Anche
ieri ci siamo divertiti però. E anche a Pescara... Oh se ci siamo divertiti
anche a Pescara...
Balzò
dal letto vestendosi velocemente: il tempo passava, e lui come al solito era in
ritardo. Non poteva perdersi in fantasie ora, o sarebbe dovuto uscire ancora
più tardi dalla fabbrica.
Una
puntata al bagno e comparve in cucina con un sorriso smagliante. Suo padre lo
osservò contento: “Quando mi racconterai di questa donna Michè?” Inzuppando
i biscotti tre a tre nel caffelatte, Michele rise di gusto: “Diciamo che c’è
una persona, sì. E mi rende molto allegro pà. Ne parleremo prima o poi. Ora
scappo che è tardi”. Si gettò sulle scale saltando i gradini, e, una volta
all’androne, prese la bicicletta e pedalò velocemente fino alla Eganap,
sistemandosi alla sua postazione di lavoro con solo dieci minuti di ritardo.
“Salvemini
ti è andata bene anche oggi! Lo sai che dopo un quarto d’ora di ritardo scatta
il ratto di un’ora! Sempre nei dieci minuti riesci a rimanere!” Rocco, il
collega vicino a lui, stava già lavorando alacremente. “Che palle guarda! Oggi
proprio non mi va di stare qui dentro fino alle cinque. Hai sentito che hanno
licenziato anche Francesco? Ha due figli, ti rendi conto?”
Michele
si adombrò: “Licenziano i colleghi e ci fanno lavorare il doppio. Non ha senso.
Bisognerà pianificare di nuovo qualcosa, ne parlerò al sindacato, non si può
andare avanti così”. Per un po’ rimase pensieroso, il suo senso della giustizia
e del sociale aveva preso il sopravvento. Lavorò meccanicamente riflettendo su
cosa poteva organizzare; sarebbe passato alla radio più tardi, tanto con Diego
si sarebbero visti alle otto, ci stava dentro... Diego. Bastò pensare a lui, al suo nome che suonava così bene
riferito al suo visetto, al suo corpo perfetto, perché il sorriso tornasse
sulla sua faccia. Aveva voglia di baciarselo dappertutto! Quanto era dolce. E
sexy. Forse davvero sono sempre stato
recchione! Non ho mai pensato così a una donna! Ma poi si disse che forse non aveva mai
conosciuto una donna come lui. Cioè lui non era una donna, certo. Gli scappò da
ridere: Che casino! Stai impazzendo
Michè, quello ti sta togliendo la ragione e quel pizzico di lucidità che avevi!
Rocco
lo guardò con un po’ di invidia: “Beato te che riesci a ridere. Cosa ti prende
Michè? Da un paio di giorni sei tutto sorridente! Donne?”.
“Chissà
perché tutti devono pensare a una donna quando un uomo è contento. Comunque sì,
c’è una persona… ”. C’è una persona. C’è
un biondino che è venuto apposta dal nord per fare felice a me. Non poteva
dirlo. Ma intanto si godeva quello stato di grazia. Fece una breve pausa verso
mezzogiorno, il tempo di mangiarsi l’insalata col tonno che si era portato da
casa in compagnia degli altri operai, e poi ricominciarono.
Alle
cinque in punto scattò: salutò tutti i colleghi e si precipitò a prendere la
sua bicicletta con addosso la tuta sudicia che non poteva cambiare. L’aveva
promesso a Diego, l’avrebbe fatto. E lui sarebbe arrivato con il completo da
caramba. Salendo sul sellino, ebbe un leggero giramento di testa: il pensiero
di scoparselo in divisa gli fece mancare il fiato e, quell’emozione enorme, si
trasformò poi in una risata sonora. I colleghi che passavano di là lo
guardarono neanche tanto stupiti: era strano da sempre Salvemini, da qualche
giorno forse un po’ di più, probabilmente stava organizzando qualche azione
delle sue, decretarono.
Pedalando
allegramente Michele arrivò alla radio, nello stesso momento in cui ci vi
giungeva il Pazienza, anche lui vestito da lavoro.
“Oh,
Paz! Come mai in tuta?” scesero dalle biciclette e le infilarono nel portone.
“Perché
tu come sei vestito, dì! Allora? Come mai arrivi dritto dal lavoro così?
Succede qualcosa di nuovo?” Pazienza prese Michele sottobraccio ed entrarono
nel salone.
“Non
ho molto tempo oggi, ma dobbiamo parlare della situazione licenziamenti. Ho
paura che ci fanno fuori a tutti se non ci muoviamo! C’è gente che tiene
famiglia che è stata buttata fuori!” Nel frattempo raggiunsero un tavolo con
altri compagni, e iniziarono a discutere davanti a un paio di birre. Stesa una
parvenza di programma, Michele salutò tutti quanti. Fischiettando allegramente
uscì dal portone; poche pedalate e, distratto com’era, rischiò seriamente di
investire Gemma, intenta a raggiungere gli amici della radio. Oh cazzo... “Ciao Gemma, come stai?” i
freni stridettero e i due giovani si ritrovano faccia a faccia. Michele la
salutò con la domanda più banale, e lei non perse occasione per punzecchiarlo:
“Dov’è finito il tuo dialogo brillante Michele? E soprattutto come sei
conciato! Puzzi pure” Gemma gli rivolse un’espressione disgustata. “Certo la
tua nuova fiamma deve essere di bocca buona se ti prende anche conciato così.
Io non lo farei”.
Michele
si strinse nelle spalle: “E nemmeno te lo chiedo Gemma, stai tranquilla”
Michele le rivolse un sorriso beffardo e pedalò verso casa. Stronzetta finta zecca con la puzza sotto il
naso! Non vali nemmeno un unghia del mio Diego...
Prima
di andare a casa passò da Zi Teresa e come la sera prima comprò un po’ di
cibarie: non panini stavolta, qualcosa di più, e prese anche una bottiglia di
vino al posto della birra. Non potevano abbracciarsi nei ristoranti, ma lo
avrebbero fatto nel fienile, e avrebbero brindato al loro amore.
Tornato
a casa si fece un bagno e si rivestì con la salopette da lavoro. Storse il
naso: non era sicuro che a Diego sarebbe piaciuto davvero quel ‘profumo’
chimico. Ma tant’è, gliel’aveva promesso! Poi Diego era una persona davvero
speciale, pensò: chissà se sarebbe davvero arrivato vestito da Carabiniere…
Si
sedette in cucina ad aspettare l’ora di uscire. Il padre era già andato. Meglio
così, come spiegargli il motivo per cui si era rimesso la tuta da lavoro? E per
l’ennesima volta quel giorno, un sorriso involontario gli illuminò il volto.
Wow!!!!! Un capitolo ad alto contenuto infiammabile. I nostri eroi sono davvero presi l'uno dall'altro. Non esiste altro, non il mondo esterno, non Alfredo o chi può sorprenderli. Osano. Il pericolo li eccita e li rende ingordi. Ho letto con le palpitazioni la scena nell'auto. Bellissima, sexy. Michele e Diego sono nel loro posticino speciale, il fienile. Il luogo che possiamo dire ha dato inizio a tutto e che continuerà ad essere il loro angolo dove essere felici. <3
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