giovedì 11 aprile 2013
Tra rabbia e passione, dodicesima puntata
Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una
torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina
e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere:
AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline:
Fine anni settanta
Rating: PG, slash, NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e
del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso
in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta
Con
l’espressione di un bambino che vede arrivare babbo natale, Diego rimase lì
immobile, con un sorriso dolcissimo che gli illuminava gli occhi: Michele era
là sul serio! Con lo sguardo lo studiò da capo a piedi: gli occhi ancora un po’
appiccicati, i capelli legati da una fascia rossa, formavano un fungo atomico in
testa. La camicia fiorata, i jeans scoloriti e sui piedi una specie di sandali
di cuoio simili a quelli di certi frati. Nessuna borsa con sé: “Ci vieni
davvero…”.
“Certo
che ci vengo, cosa credevi? Abbiamo tanti discorsi in sospeso e tre giorni
davanti per risolverli. Sali carabiniere!”. Obbedendo all’ordine impartito con
voce stentorea, Diego si girò e salì i gradini del treno. Michele lo seguì e,
guardandosi velocemente intorno senza riconoscere chicchessia, gli appoggiò le
mani sul sedere, spingendolo.
Diego
si girò con aria stupefatta: “Michele, ma se ti vedono!”. Michele lo spintonò
per lo stretto corridoio ridacchiando: “Non c’era nessuno, e questa tuta ti fa
un culo pazzesco Diego! Impossibile tenere giù le mani”. Proseguendo per il
corridoio Diego scrollò la testa, ma indubbiamente la cosa non gli dispiacque.
Alla fine del passaggio, si infilò in uno scompartimento vuoto seguito da
Michele. Fece per mettere la borsa sulla reticella, ma Michele gliela prese e
fece lui: “Dai piccolo siediti, lascia fare ai grandi”. Allungandosi con la
borsa tra le mani all’altezza del viso, sentì Diego sfiorargli la patta dei
calzoni, provocandogli così un’immediata reazione fisica. “Oh, cazzo fai? Tieni
giù le mani!”. Michele si sedette al suo fianco e gli fece il verso: “E se ti
vedevano?”.
Diego
rise, per una volta spensierato: “Mi son guardato intorno, prima! Peccato, non
ho portato le manette Michi, sennò avrei potuto incatenarti al portabagagli”.
Rise
anche Michele, poi lo guardò fingendosi serio: “Ma la prossima volta ti lego
io, carabiniere”.
Lui
abbassò gli occhi, arrossendo poi li rialzò chiedendogli: “Mi chiami Diego? Non
chiamarmi carabiniere, almeno in questi giorni, lasciami essere una persona
normale: più o meno normale”.
Michele
rimase lì a pensarci su, poi, mentre il treno cominciava a muoversi domandò:
“Ho come l’impressione che non ti dia tutta questa soddisfazione fare il
caramba; comunque dai, non sei adatto, sei troppo tenero, non hai la stoffa,
sei anche frocio! Cosa ci fai nei carabinieri?”.
Diego
lasciò passare un po’ di tempo prima di rispondere, guardando fuori dal
finestrino i primi accenni di campagna pugliese.
“Scusami,
non volevo offenderti, ma la penso così” Michele cercò di guardarlo in faccia,
ma Diego non si girava e allora gli si sedette di fronte: “Hey, mi vedi?”.
Ridendo
Diego lo guardò: “Ti vedo eccome se ti vedo, e devo anche dirti che hai ragione
su tutto. Non ho la stoffa e sono un frocio. Che ci faccio nei carabinieri?”.
Tornando serio gli spiegò: “In verità è stato tutto un caso. Ho sempre fatto
nuoto; a diciannove anni gareggiavo per la società sportiva della piscina che
frequentavo. Ero bravino, sai? Alle gare ci sono sempre gli osservatori delle
società importanti alla ricerca di atleti. Prima che finissi la leva, mi
contattò l’Arma, mi chiese se volevo entrare a far parte della loro squadra.
Naturalmente dovevo firmare per fare il Carabiniere, ed eccomi qui”.
A
questa spiegazione, Michele annuì: “E ti piace? Sincero per favore!”
Con un
sospiro Diego rispose: “No, non mi piace. Mi piace nuotare, anche se non sono
certo quello che finirà alle olimpiadi, ma non mi piace fare il carabiniere.
Sono già quattro anni che sto nell’Arma. I miei sono contenti, sai le solite
cose: posto fisso, stipendio sicuro per tutta la vita, a meno che non ti
sparino prima, ma a questo si cerca di non pensarci”
“Ti ci
sei trovato incastrato vero Diè? Ma puoi sempre uscirne”
“Dal
tunnel? Sì certo. È che ne ho imboccati diversi di tunnel a quanto pare. Ma
basta parlare di me. Oh, mi dimenticavo: al forno della caserma avevano appena
tolto la crostata di ricotta col cioccolato! Sai che sono aperti tutto il
giorno? Ne ho prese due fette, sono nella borsa, le prendo”.
Alzatosi
di slancio, si allungò verso la borsa, sbattendo le terga ad un passo dal volto
di Michele “Diè, ti prego, non mi
mettere più il tuo sedere davanti così: altro che stupro…” Diego si trovò
Michele addossato alla schiena e si girò di scatto: forse era meglio non
voltarsi, la bocca di Michele era un invito, una tentazione irresistibile, avrebbe
voluto baciarlo, lo desiderava così tanto, l’aveva sognata tutta notte la sua
bocca da baciare. Si lasciò cadere sul sedile, sospirando. Michele lo guardava:
Diego non poteva sapere che stava pensando la stessa cosa. “Prendo la torta
va’!” Michele aprì la borsa di Diego e ne tolse il vassoietto dei dolci che
appoggiò sul misero tavolino. Fece per chiudere, ma gli cadde l’occhio su un
libro. Lo prese dalla borsa e guardò Diego stupefatto: “La questione Comunista?
Di Enrico Berlinguer? Pure! Sei pure comunista!!!” Ridendo a più non posso si
sedette al suo fianco: “Ma ragazzo mio, quanta confusione hai nel cervello?”.
Diego
gli fece una buffa smorfia e prese la sua fetta di torta, passandogli il
vassoio: “Lascia perdere Michele, mangia. Credo di essere un caso disperato.
Buona..” mugugnò infine.
“Buona
sì. Comunque, sei sicuramente un caso, ma magari non sei disperato. Ci
lavoreremo Diè, tranquillo”.
Chiacchierarono
piacevolmente per tutto il resto del viaggio, tanto che non si accorsero
nemmeno di essere arrivati a Pescara e dovettero precipitarsi verso l’uscita
per non finire alla fermata successiva.
Michele
si appropriò della borsa di Diego, mettendosela a tracolla: “Faccio io, è più
grande di te questo accidente”.
“Ma tu
non ti sei portato niente? Sono tre giorni, come fai?”.
“Sì,
sono uscito di fretta, io sono sempre un po’ in ritardo, e boh! Non ci ho
pensato. Ma i jeans per tre giorni ci stanno: magari mi prendo una maglietta da
qualche parte”.
“Per il
bagno ti presto tutto io, non preoccuparti. Se vuoi prima di andare in albergo
facciamo spese”.
Una
volta usciti dalla stazione, chiesero in giro e indicarono loro un piccolo
mercatino rionale, dove Michele comprò un paio di magliette e un cambio di
biancheria. Quindi presero l’autobus e arrivarono all’albergo dove li
attendevano gli atleti radunati e un pullman che li avrebbe portati al palazzo
dello sport.
“Bene”
“Bene...
le nostre strade si dividono, per ora”
“Ti
seguirò in taxi, mi faccio spiegare dall’autista dove è sta il palazzetto dello
sport”
“Oh”
Diego ne fu grato e commosso, malgrado temesse di fare una brutta figura con
Michele. Che per lui un piazzamento non fosse poi questa grande cosa. Forse lo
avrebbe preso in giro, ma poi ci avrebbero riso su.
“Vado
davvero Michi” con una semplicissima stretta di mano si divisero.
Come
promesso, Michele prese un taxi che in pochi minuti lo portò di fronte al
palazzetto comunale dove si sarebbe svolta la competizione. Con il suo aspetto
da figlio dei fiori, non pochi storsero il naso al passaggio di Michele ma lui,
come sempre, se ne fregò. Invece, una volta dentro, si andò a collocare sugli
spalti, già gremiti di persone. Alle undici e quindici gli atleti occuparono le
batterie e il cuore di Michele sussultò nel vedere il suo Diego chiuso
nell’accappatoio blu con le strisce bianche. Così tenero sotto la cuffietta e
poi finalmente nudo, con il costume che non copriva abbastanza il sedere che,
al contrario del fisico scarno, sembrava voler schizzare fuori dalle mutande. Cazzo se sei bello Diè, pensò Michele
commuovendosi un pochino, sei bello e sei
pure mio, lo so io che ti faccio appena siamo soli... Non c’erano dubbi
ormai, Michele era consapevolmente innamorato di lui, e non gliene fregava più
nulla se era un uomo e, tanto meno, un carabiniere. Era una bella persona,
dolce e profonda, un ragazzo affettuoso e gentile, serio e impegnato. Poi aveva
anche un aspetto gradevole e vagamente femminile, e questo non guastava essendo
la sua prima e molto probabilmente ultima esperienza omosessuale.
Dopo
quasi due ore, la prima parte della competizione finì e gli atleti furono
liberi di andare a pranzo, dandosi appuntamento per le tre del pomeriggio.
Michele e Diego riuscirono a parlarsi giusto qualche secondo, mentre il
carabiniere seguiva i colleghi in mensa. A Michele toccò solo uno squallido
panino, ma l’aria del mare era pur sempre piacevole e il sole caldo, così se lo
andò a mangiare vicino agli scogli, dove chiacchierò con dei pescatori anziani
e si fecero velocemente le tre. Diego aveva solo una staffetta quel pomeriggio
e, alle sedici, si dichiarò libero da impegni, almeno per quel giorno.
Raggiunse Michele invitandolo a tornare in albergo a piedi, dopo tutto erano
solo quattro chilometri. Una volta raggiunta La perla dell’adriatico, il nome dell’hotel, Diego annunciò che
dopo quella sudata avrebbe avuto bisogno di un’altra doccia. “Ora vai a
registrarti” gli suggerì prima di entrare. Diego divideva la stanza con altri
atleti.
“Cazzo!
Un albergo di carabinieri? Dici che mi permetteranno di soggiornare anche me?”
Michele guardò l’edificio come se fosse abitato dal diavolo in persona.
“Ma no,
nella mia squadra saremo una decina, ci sono anche gli altri atleti. Dai,
andiamo a sentire se hanno una stanza per te”. Si avvicinarono alla reception, data
la stagione ancora incerta, ebbero fortuna: c’era una stanza matrimoniale al
secondo piano. Diego era al primo. Michele si registrò e si avviarono verso le
loro stanze. Diego fece per fermarsi al primo piano, ma Michele lo guardò
stupito: “Ma cosa diavolo pensi di fare? Vieni su da me: cosa sono venuto a
fare a Pescara io? Per averti sempre a disposizione, caro il mio Diego.
Andiamo, andiamo”. Prendendolo per un braccio lo trascinò su per la seconda
rampa di scale, fino alla sua stanza.
“Ma e
se mi cercano? Che casino! Già che sono andato via prima degli altri...” Diego
si affacciò alla finestra guardando la strada alberata di sotto.
“Non mi
stai attento carabiniere! Scusa, volevo dire Diego. Non hai sentito cosa ho
detto al portiere? Che se ti cercano sei nella stanza di tuo cugino, cioè io!”.
Diego
scoppiò in una bella risata: “Certo, sei proprio il tipico maschio torinese tu.
L’accento poi è perfetto!”.
“Stronzo!
Sarò il marito pugliese di tua cugina piemontese no? Senti, faccio un salto in
bagno e mi rinfresco; torno subito” col suo passo dinoccolato Michele sparì
nella stanza da bagno.
Diego
rimase appoggiato alla finestra ad aspettare il suo ritorno; nello stomaco una
bella sensazione di attesa. Pochi minuti dopo, Michele ricomparve avvolto in un
asciugamano, soddisfatto: “Una bella cosa la doccia! Non ce l’ho a casa, io, ma
la vorrei! Rinvigorisce!”.
Diego
si staccò dal davanzale: “Vado anch’io allora, così poi magari ci facciamo un
giro prima di cena”.
“Oh, ci
puoi giurare che ci facciamo un giro Diè”. Diego lo guardò storto: non sembrava
che parlasse di una passeggiata. Si chiuse in bagno e quando venne il momento
di uscire, Diego si scoprì attanagliato da una strana ansia. Si diede dello
stupido: aveva scopato con lui giusto la sera prima, no? E adesso cosa gli prendeva?
Cos’era questa agitazione da verginella? Fece un respiro profondo, come quando
si tuffava dal trampolino, e si gettò letteralmente nella camera.
Michele
lo stava aspettando seduto sul letto, ancora avvolto nella stesso asciugamano,
tra le dita il romanzo che Alfredo aveva donato a Diego: “Vieni Diè. Guarda
come stai bene con quella salvietta sui fianchi. Sembri un nuotatore” ironizzò,
poi aggiunse: “Anche se non hai il fisico da nuotatore. Davvero ma le spalle?
Non ce la fanno a crescere più di così?”.
“Penso
che abbiano raggiunto il loro massimo” ribatté avvicinandosi a lui, e Michele,
lesto come un gatto, con un rapido movimento gliela strappò via: “Così stai
molto meglio però” e gli mise le mani sulle natiche, stringendolo. Buttandosi
all’indietro sul letto, lo fece cadere accanto a lui.
“Non
volevi sul serio andare a fare una passeggiata, vero Diego? Io ho idee
decisamente più brillanti!”. Lo guardò, coricato al suo fianco, e gli riavviò i
capelli bagnati che gli cadevano sulla fronte. Gli occhi di Diego lo guardavano
affascinati, chiaramente innamorati: Michele fu sicuro di non essere mai stato
guardato in quel modo prima d’ora. La bocca di Diego lo attirava sempre di più,
ma gli uomini si baciano? Ma no, non
esiste!
“Diego,
volevo chiederti…” s’interruppe.
“Certo,
dimmi tutto” Diego respirava a fatica mentre si lasciava accarezzare con
malizia i baffi. Che poi c’era davvero bisogno che Michele facesse sapere a
cosa mirava?
“Beh...
mi chiedevo se, anche senza manette, potresti…” Diego gli sorrise mettendogli a
sua volta un dito sulla bocca, accarezzandola: “Posso? Voglio. Non ho pensato
ad altro in questi giorni”. Poi chiuse gli occhi, piegando la testa
all’indietro. La mano di Michele sul suo sesso non l’aveva prevista però. Il
respiro gli si fermò in gola, provocandogli un rantolo, tanto che Michele si
preoccupò: “Tutto bene Diè? Non sarai troppo stanco dopo tutto quel nuotare?”.
Diego
rise suo malgrado: “Dio Michele, potrebbe andare meglio? Stanco nemmeno per
sogno” Michele ridacchiò a sua volta, e continuò per un po’ ad accarezzarlo tra
le gambe, finché non fu Diego a staccarsi e a coricarsi su di lui, sfregandosi
su di lui, sesso contro sesso. Per Michele erano emozioni nuove, bellissime.
Finalmente Diego si accovacciò tra le sue gambe, e per Michele fu
un’esplosione. Sentiva la bocca di Diego che gli percorreva il sesso, veloce,
si fermava, lo baciava, riprendeva. “Diè, sei fantastico, fantastico. La tua
bocca mi farà impazzire”. Dopo qualche minuto però si sottrasse a quel
godimento. Prese la testa di Diego tra le mani e lo staccò da sé, tirandolo a
coricarsi vicino a lui: “Diego, io ti voglio, lasciami fare, lasciami entrare”.
Diego annuì sorridendo dolcemente e, nonostante l’eccitazione che lo
confondeva, ebbe la freddezza di girarsi e invitare Michele ad assestarsi tra
le sue gambe. Aveva già avuto il tempo di fantasticare sulla loro seconda
volta, e non voleva che fosse da dietro, come le pecore e gli animali in
generale, voleva guardarlo godere questa
volta, voleva che lui lo guardasse mentre godeva. Michele fu su di lui, dentro
di lui. Meno violento, ma sempre appassionato.
Quando
sentì di essere quasi arrivato, fece in modo di avere in mano il sesso di
Diego, che a quel tocco venne immediatamente, sussurrando il suo nome con la
poca voce che aveva in quel momento. Poco dopo anche Michele venne in lui,
mormorando suo malgrado un roco “ti amo”. Restarono uniti per un po’, incapaci
di muoversi, poi Michele si distese al suo fianco, continuando ad accarezzare
le natiche sode.
“Diego
mio, che meraviglia. Come abbiamo detto? Scopata o inculata?” ridendo Michele
gli diede un pizzicotto che lo fece sobbalzare: “Chiamala come vuoi Diè, ma è
stato fantastico”.
Diego
appoggiò il mento al suo petto, guardandolo dritto negli occhi: “Hai detto che
mi ami. Era solo una battuta? Era solo il piacere?”.
Michele
rimase spiazzato, ma il suo carattere gli impediva di mentire: “L’ho detto e lo
penso. Ma non farci l’abitudine”.
A Diego
luccicarono gli occhi: “No, non potrei farcela. Ti amo anch’io Michi” gli baciò
il petto, e rimase così appoggiato a lui, tranquillo, per una volta quasi
sereno.
Rimasero
assopiti per un’oretta, poi Michele si riscosse: “Diego mio, non so te ma io ho
una fame! Che ne diresti di andare a mettere qualcosa sotto i denti?”.
“Anch’io ho fame. Andiamo dai,”.
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Con questo capitolo si comprende che Diego non è poi così tanto diverso da Michele come lui stesso pensava. Nascondeva un mondo dentro di sè che piano piano comincia a venire fuori. Peccato che nonostante siano insieme non possono esserlo come vorrebbero. Sotterfugi, strette di mano, tocchi velati e nascosti. La posizione di Diego nell'arma non gli permette di essere se stesso e neanche di stare con Michele, ma nessuno dei due si lascia scoraggiare
RispondiEliminaGià, considerando poi l'epoca anche se Diego fosse stato un parrucchiere...! Ne abbiamo fatti di passi avanti, ma la strada è ancora lunga, grazie.
EliminaDiego parrucchiere avrebbe la fila di clienti fuori dalla porta immagino.
EliminaVero che abbiamo fatto dei passi avanti, ma da un po' la strada si è fatta talmente contorta che forse ci ha riportati ancora indietro. Toccherà prendere delle scorciatoie.
Secondo me la colpa è da ambo le parti, oggi c'è troppa voglia di dividere tra fazioni. Ma il messaggio di questo blog è proprio chiaro: né là ne qua
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