Come sempre è tutto frutto di fantasia.
I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi per ispirazione
artistica e non per insinuare qualcosa!
La luce fioca di quel cielo invernale sembrava immergersi tra le
pieghe della modesta parrocchia di San Giovanni Battista come le gambe di un
bambino in un metro di neve. In maniera pudica illuminava i posti a sedere dove
sedevano alcune vecchie con il rosario in mano. Un po’ di polvere le
sormontava. Il tabernacolo, posto al centro dell’altare, anche se modesto e
privo di valore artistico, faceva la sua figura.
Padre Donato cincischiò con le chiavi della porta come sempre prima di
poter entrare. Quel luogo gli aveva sempre messo soggezione. Veniva da Roma
lui, -uno moderno-, lo aveva definito la signora Rosa Marcucci, perpetua dei
due sacerdoti della chiesa di San Giovanni Battista. Ma anche le altre donne di
Ferriere , piccolo villaggio dalle parti
di Piacenza, la pensavano come lei. Era un uomo sulla cinquantina, e se non
fosse stato per l’aspetto disordinato e i capelli troppo lunghi, sarebbe potuto
apparire anonimo. Aveva la pessima abitudine di leggere qualcosa di diverso dal
nuovo e vecchio testamento. Ah, quel vizio di frequentare i libri, anche quelli
che si potevano trovare da Osvaldo, il vecchio bottegaio dalle parti della
stazione. La bottega di Osvaldo vendeva di tutto: sigari importati, cibi in
scatola, piccoli e grandi elettrodomestici, e anche le riviste sconce. Qualche
donnina succinta in copertina, non la vera pornografia. Dopo tutto siamo negli anni sessanta! Aveva blaterato Piero, il
figlio di Osvaldo, per giustificare l’infelice condotta del suo vecchio che le
acquistava piuttosto per sé e per gli altri concittadini più prosaici. Quella
di debellare certe abitudini come l’uso della pornografia sarebbe stata una
battaglia da sposare. Ma per il giovane parroco di San Giovanni Battista, fare
battaglie era sconveniente. Un uomo di chiesa ligio come lui, doveva solo occuparsi
dell’abito talare, consacrare ostie e celebrare matrimoni e con uguale
entusiasmo funerali e battesimi e, con l’avvicinarsi del santo Natale, cercare
di recuperare le pecorelle smarrite. Sì, perché da quando era arrivato padre
Donato con il suo atteggiamento da scapestrato, e la sua condotta da molti
ritenuta immorale, molti fedeli avevano cambiato parrocchia. Padre Andrea ne
era addolorato, a dir poco addolorato. Come detto si avvicinava il Natale, il
quinto Natale da quando era giunto a Ferriere.
Padre Donato riuscì finalmente ad aprire la porta. Giunto che fu
davanti al refettorio, l’odore di abbacchio lo colpì come lo schiaffo del suo
povero padre. Rosa aveva di nuovo cucinato lo stufato di agnello che lui
detestava. Sembrava farlo di proposito, per provocarlo. Padre Andrea,
compostamente, attendeva di iniziare. In piedi, accanto al lungo tavolo,
aspettava che l’altro prete prendesse posto. “Potevate cominciare senza di me.
La signora Marcucci sa che detesto l’abbacchio! Dobbiamo fare sempre tutte
queste cerimonie prima di mangiare? Della semplice carne di manzo, o dei
fagioli per cambiare. Magari del cavallo…”
“Mi dispiace, reverendo, ma l’abbacchio costa meno e da quando i
fedeli più generosi non vengono più, il denaro non mi consente granché.”
“E da quando mettere a morte quei poveri agnellini, è valso il
risparmio?”
“Le ripeto: è tutto quello che ho trovato.”
“Ah, non costava di meno. Giacché i soldi che le sono stati dati per
fare la spesa sono miei e di Padre Andrea potrebbe preservarci dal compare di
nuovo l’abbacchio, se non è troppo chiedere?” Tetra in volto, la perpetua non
rispose. Fuggì in cucina oscillando la testa nervosamente.
Iniziarono il pasto. Di lì a poco a discutere.
“Sono proprio iniziative come la partita a mettere in fuga i
parrocchiani. Almeno quelli più restii a certi modernismi.”
“Non vedo cosa c’è di sconveniente in un gruppo di uomini che tirano
calci ad un pallone, a Roma ne facevamo una la settimana.”
“Ma qui non siamo a Roma! Quante volte te l’ho già ripetuto?
Ferriere è un piccolo borgo, è la
periferia, è… siamo all’antica!”
“Mi spieghi cosa c’è di moderno nel giocare a calcio. E poi non faccia
finta che non le piaccia. L’ho vista come ci guardava mentre ci allenavamo,
moriva dalla voglia di entrare in campo”.
A quella il sacerdote più giovane avvampò, il rossore mise in evidenza gli
occhi di un chiaro abbagliante e la carnagione delicata. “E su, Andrea mio,
ammettetelo che vi divertirebbe dare quattro calci ad un pallone. Siete
giovane, avete la metà dei miei anni e le vostre labbra non hanno mai toccato
una sigaretta, e tante tante altre cose… potreste dare la pista a tanti di quei
nostri uomini”.
“Una partita contro quelli della parrocchia di San Pancrazio di Brugneto, mi sembra fuori luogo!”
“State dicendo che la beneficenza è fuori luogo?”
“Beneficenza?” Andrea apparve sorpreso. Il suo volto non era più rosso
ma le mani continuavano a torturare l’abito talare come uno studente durante un
difficile esame. Era nervoso, molto nervoso.
“Useremo il campo della scuola e faremo una colletta a favore degli
orfani di guerra”.
“Padre Donato: la guerra è finita oltre vent’anni fa”, a quella frase fece
seguire un sospiro di sconforto.
“Ma gli orfani sono sempre più poveri, c’è poco lavoro e qualcuno dovrà pensare
a quei poveri bambini… intendo i figli degli orfani”.
“I nipoti degli orfani di guerra. No, no. No! Non è una buona idea. E
sapete perché non lo è? Per via della vostra condotta. I nostri parrocchiani,
quei pochi che ci restano, penseranno che coi loro soldi andrete a bere la
grappa, comprerete libri osceni, o, peggio, li userete per andare con le
prostitute”.
“Ancora con quella storia? Quella poveretta aveva bisogno di un pasto caldo e
di un letto dove dormire, il suo magnaccia l’aveva picchiata e a noi non
restava che…”.
“Ma una prostituta in una diocesi! Ma vi rendete conto? E poi ci
lamentiamo che tutti pensano male di noi?”.
“Di me, casomai, di te che hanno da lamentarsi? Siete il più ligio
servo di Dio dell’Italia tutta”.
“Io faccio solo il prete” a queste parole sul suo volto calò un velo
di sconforto. Come gli sembravano lontani i bei tempi in cui c’era il vecchio
Padre Carlo ed era tutto tranquillo. Lo sfacelo era cominciato dopo l’arrivo di
padre Donato. Libri sul comunismo, riviste straniere, prostitute, sbronze
libere. E fumo. Dove sarebbero andati a finire?
“Pensavo che se la raccolta fondi riesce bene si potrebbe dare una
mano pure a qualche parrocchiano. Pensavo a quel povero tagliaboschi, rimasto
vedovo con tre bocche da sfamare e nessun soldo in tasca. Il vostro amico.”
“Il signor Salvemini”.
“Sì, Michele Salvemini. È una brava persona. Si fa in quattro per i
suoi marmocchi. Siete d’accordo almeno in questo” il giovane prete fece di sì
con la testa. Era stato appena il giorno prima a trovare quel ragazzone
sfortunato e buono. Povero Michele.
Con l’arrivo dell’inverno, le sue mani erano consumate a forza di spaccare
legna. La gente aveva bisogno di combustibile per il camino ma gli affari non
erano buoni. Perché molti non avevano di ché pagare e Michele, che era un uomo
di poche pretese, faceva credito a tutti, con il rischio di non riuscire a dar
da mangiare ai propri figli.
“Domani torno da lui, voglio vedere che aria tira. Ieri era davvero
giù, ricorreva l’anniversario della morte della moglie” si pentì per quella
rivelazione. Padre Donato faceva sempre battute di pessimo gusto sul fatto che,
alla fine, tutte le settimane, facesse visita ai Salvemini. E in quel momento
non voleva sentire chiacchiere. Quello di Andrea era un interesse dettato dalla
sua professione e, naturalmente, dal suo credo. Dopotutto era scontato che un
sacerdote si occupasse dei parrocchiani più in difficoltà. Ma nella testa di
Andrea si insinuò il dubbio fin troppo radicato che ci fosse dell’altro. Ripensò all’allenamento, al
volto dell’uomo finalmente rilassato. Sorridente, addirittura. Se la partita di
beneficenza sortiva quegli effetti nel parrocchiano che risultava il più delle volte
taciturno e discreto, beh bastava quello per dare ragione a padre Donato. Un -quasi- sorriso, fece la comparsa sul
volto del giovane prelato.
“Wow Padre Andrea sta sorridendo! Che mi venga un colpo! Sono le
conseguenze dell’abbacchio o forse vi state abituando all’idea di avermi qui?”.
“Nell’una nell’altra ipotesi. Piuttosto, fai tu messa oggi pomeriggio.
Farò delle visite ai parrocchiani”, fece sapere senza ammettere che andava solo
da Salvemini.
“Vai da Salvemini chiaro! Fai bene. Quando ci vado io non è tanto contento come
quando vede te. E quando ci vado io mi chiede sempre: perché non è venuto
Andrea?sta forse male? Si preoccupa per te, parecchio dico. Si vede che ci
tiene, dunque conviene che ci vada tu, no?” aggiunse ironico “solo per lui sei
meglio di me, i suoi ragazzi mi adorano!”
“Bambini, creature innocenti” Andrea provò a smorzare l’imbarazzo dell’essere
stato preso in castagna con una battuta. Si rattristò e si sentì patetico. Gli
tornò alla mente Loretta, quando le aveva dato l’estrema unzione. E Michele si
era attaccato al suo braccio piangendo. A quel punto, Andrea non aveva potuto
fare a meno di farsi abbracciare. Era inusuale per lui, così poco portato ai
contatti fisici. Avevano pianto insieme, per
Loretta e per quelle tre creature che dovevano dire addio per sempre
alla loro madre. Era successo un anno e un giorno prima, ma per Andrea non
sembrava già così tanto. E non era un mistero che Michele Salvemini fosse tra i
parrocchiani al quale era maggiormente legato.
Una pioggia d’imbarazzo
I ragazzi entrarono in casa correndo e ridendo come sempre. La più
piccolina, Gina, la principessa di casa, teneva in mano un misero mazzetto di
fiori di campo scovati chissà dove sotto la neve ancora non alta ma che
cominciava a farsi sentire. Erano già tre giorni che, tra una bufera e un
vigliacco raggio di sole, nevicava. “Dove le hai prese, sono bellissime” suo
padre le venne incontro con dolcezza. La prese in braccio.
“Le ho trovate sotto quell’albero grande grande davanti alla casa dei
Sottani”.
“Fino a laggiù siete stati. Duccio, quante volte te lo devo dire che non dovete
allontanarvi da casa?”.
Duccio era il maggiore dei figli di Salvemini. Aveva solo nove anni. Poi
c’era Fausto e per ultima la piccola Gina, che era identica alla madre, se si
escludevano gli occhi scuri. Duccio
ignorò il rimprovero e ricominciò a lagnarsi per la fame. Erano mesi che
Michele Salvemini non riusciva a raccapezzare un pasto decente. Eppure lavora
come un matto. I muscoli delle braccia scoppiavano sotto la maglietta. Era
affamato pure lui. “Domani andremo a caccia di lepri e cercheremo le castagne”.
“Facciamo il pane, papino?” implorò la ragazzina mentre rovistava sotto la
maglietta del padre.
“Stasera non ho la farina tesoro mio, però possiamo fare un bel fuoco, la legna
non manca. Ma senti che manine fredde ha la mia principessa. Brava tesoro,
scaldale sotto il maglione di papà”.
“Lo so, me lo dici sempre!” rispose. L’altro figlio maschio si mise a
trafficare con i giocattoli di legno intagliato che gli aveva costruito suo
padre. Niente a che vedere con quelli che avevano alcuni suoi coetanei.
Giocattoli di plastica degni dell’epoca. Ma il loro padre non poteva
permetterseli. Aveva trovato a malapena il denaro per acquistare delle scarpe,
per di più usate. Non erano mai stati ricchi ma erano state le lunghe e costose
cure alla quale si era sottoposta la defunta moglie a prosciugare tutti i
risparmi. E pensare che era stata proprio lei la prima a chiedere al marito di
lasciar stare. La degenza a Milano, gli specialisti. Nessuno sapeva spiegarsi
il perché, a una donna così bella giovane, il destino avesse riservato una fine
tanto triste, dolorosa e precoce. Ai Salvemini per giunta, cattolici
praticanti. Ora a Michele ora non aveva nemmeno più la fede. Non aveva più
nemmeno un Dio a cui affidarsi per trovare un po’ di pace, e,
soprattutto, la forza di andare avanti.
Andrea salì sul sellino della sua bici e subito una folata di vento
gelido lo colpì. La sacca che pendeva da una parte conteneva della farina, un
po’ di zucchero e delle caramelle. Aveva rinunciato all’abito in favore di un
pantalone di flanella. Alcuni prelati trovavano semplice andare in bicicletta
con la tonaca, a lui non piaceva. Aveva più volte la sensazione che gli angoli
finissero tra i raggi. Il pantalone, durante le passeggiate in bicicletta, era
l’unica trasgressione che si consentiva, almeno era quello il pensiero di Padre
Donato. Un altro motivo di riserbo era la bellezza. Già, così fuori luogo che
un sacerdote fosse attraente. E questo li rendeva ancora più diversi poiché il
romano, oltre a non essere più un giovanotto, non era affatto bello.
Affascinante forse, per chi ha simpatia per gli uomini con la pancia, il vizio
del bere e i capelli arruffati tagliati male. I capelli di Andrea invece erano
tagliati corti, lisci e biondi come il grano avvizzito. Le palpebre, sulle
quali spiccavano le ciglia chiare, coprivano e svelavano occhi semplicemente
magnifici. Andrea diffidava del suo aspetto fisico. Non bastava che le sue
parrocchiane facessero gli occhi dolci, persino degli uomini davano per
scontate -certe cose-, soprattutto se si trattava di sacerdoti. Situazioni
compromettenti che Andrea smorzava all’istante come un pompiere avrebbe fatto
con un incendio.
La casa dei Salvemini si trovava tra le montagne, dalle parti di
Cassimoreno, qualche chilometro prima della piccola frazione di montagna.
Andrea pedalò più veloce sperando di precedere la bufera. I nuvoloni scuri si
avvicinavano minacciosi verso Est. Ecco,
l’ultima salita e ci sono. Considerò ingenuamente. Appena un minuto prima
che il casale dei Salvemini fosse a favore di visuale, iniziò a piovere che Dio
la manda.
Il bussare insistente mise tutti sull’attenti. Michele stava cercando
qualcosa di commestibile tra le patate ammuffite
“Padre Andrea lei è… è annaffiatissimo!” strillò la piccola Gina che
si era precipitata ad aprire sperando che fosse quel mattacchione di Padre
Donato. Lui la faceva sempre ridere e fare vola vola meglio di suo padre. La
faceva volare per davvero.
“Sì, si può dire che l’ho presa tutta quella che c’era da prendere”
Michele lo guardò con calore.
“Padre Andrea... ”
“Posso avvicinarmi al fuoco?”
“Scaldati pure, ci mancherebbe” così dicendo lo raggiunse. Gli tolse
il soprabito.
“Ma stai tremando!”.
“Lo so, mi beccherò un bel raffreddore, ci mancava pure questo”
sospirò. Con un gesto rapido mosse la testa. Alcune gocce di pioggia colpirono
il padrone di casa.
“Scusatemi” il prelato abbassò il capo timidamente.
“Non fa niente, sei... fradicio!”
“Già”.
“Sarebbe meglio te li togliessi, o l’umidità ti marcirà le ossa”
“No, no, sarebbe sconveniente” era tornato ad arrossire come una
quindicenne al suo primo ballo.
“Non ci sono donne qui, salvo che tu abbia vergogna di Gina”. Ma
Andrea aveva un pudore che gli impediva di spogliarsi mal volentieri persino
quando era da solo!
“Un po’ di umidità non mi ucciderà” ma Michele non volle sentire altre scuse.
Gli strappò letteralmente la camicia seguita dal maglione facendolo passare
attraverso la testa. I bambini trovarono divertenti i tentativi del sacerdote
di sottrarsi al trattamento e, per una volta, furono felici che ci fosse lui e
non Padre Donato. Michele porse un paio di pantaloni da caccia e un maglione il
cui colore gli ricordò le more selvatiche. Per rompere l’imbarazzo ancora
persistente, sebbene fosse di nuovo presentabile, Andrea prese la sacca e tirò
fuori il contenuto.
“Caspita, ti sei beccato l’acquazzone per farci la carità. Non c’è che
dire prete, ti sono in debito!”.
“Non mi chiamare prete, ti fa sembrare così rozzo.” Andrea sorrise guardandolo
di sottecchi. Gli piaceva stuzzicarlo di tanto in tanto, ma il più delle volte
era così intimidito da lui che era difficile anche la minima conversazione.
“Padre Andrea, meglio?”
“Molto meglio”
“Mangi con noi? Anche se dubito che ti sazierai, vecchie patate a
parte, dovrai aspettare il pane per mangiare”.
A quella Gina tornò all’attacco: “Facciamo il pane! Padre Andrea ha
portato la farina, ora possiamo fare il pane!” anche il resto della ciurma
sembrò pensarla come lei. I bambini avevano fame, e voglia di pasticciare.
Si misero al lavoro sotto l’occhio vigile di Andrea che fece un
sospiro ogni qual volta, sorprendeva il padrone di casa guardarlo. Sospirò
parecchio.
Negazione
Padre Donato stava controllando quanto vino fosse rimasto nelle botti.
Non era un vero e proprio rito serale ma poco ci mancava. La perpetua se n’era
andata dopo aver lavato i piatti e, topi a parte, nella piccola cantina
ricavata nel refettorio, non c’era nessuno. Non c’era nessuno in tutta la
parrocchia. Se avesse temuto i morti seppelliti sotto la chiesa, con quei tuoni
che si sentivano forti da fuori, avrebbe battuto i denti dalla paura. Ma
l’unica cosa che temeva il romano era la fine delle scorte di sigarette e,
soprattutto, della grappa. Sentì rientrare il collega dopo il terzo bicchiere.
Non era propriamente ubriaco ma non ci mancava poi molto.
“Ma non mi dire, avete di nuovo bevuto!” enunciò stizzito Padre Andrea
appena varcata la soglia.
“Ce ne hai messo di tempo! I bambini di Salvemini non volevano farti
venire via? Con me fanno sempre così”
“No, è che piove tanto. Abbiamo aspettato che spiovesse un po’,
perdita di tempo” Padre Andrea si andò ad asciugare i capelli con il phon. Si
sentiva ancora un po’ scosso. Finito di preparare il pane, l’allegra brigata
non ne aveva voluto sapere di lasciarlo andare. In particolare Michele. Avevano
mangiato il pane, delle noci, le patate cotte al forno e le caramelle. A fine
pasto Michele aveva immerso due mele nello zucchero fuso. Il prete considerò
che non avesse mai in vita sua mangiato qualcosa di altrettanto delizioso.
Certo, se avesse avuto un po’ più di senno, avrebbe evitato. I suoi denti si
sarebbero cariati entro l’anno. Ma come negarsi quel piacere? Quando lui gli
aveva avvicinato alla bocca lo stecchino sul quale era infilzato il pezzetto di
mela zuccherosa, non aveva dovuto far altro che schiudere le labbra e lasciarsi
andare a un gusto mai provato.
“Davvero buona da leccarsi i baffi” aveva enunciato raccogliendo con
le dita i rimasugli di zucchero ai lati della bocca. Era successo appena un’ora
prima. Michele non smetteva di ridere e di sembrare così felice. Se il motivo
di tanta felicità era lo zucchero e la farina, beh tanto valeva sacrificarne un
po’ per i Salvemini più spesso. Donato, con la sua presenza ingombrante venne a
interrompere la processione dei ricordi.
“Hai una faccia buffa stasera e… e anche il modo in cui ti sei vestito
è parecchio buffo. Questi pantaloni a coste e questa maglietta rossiccia da
dove saltano fuori?” Desolato, Andrea si rese conto che doveva rispondere per
educazione, ma quanto imbarazzo doverlo ammettere.
“Hai accettato i vestiti di quel bifolco? Non è da te!”
“Non è affatto un bifolco, e mi stupisce che da uno come te esca un
epiteto tale”.
“Che sarebbe a dire ‘uno come me’?”
“Lo sai, un prete con idee riformiste”.
“Anticonvenzionali casomai. Si lo sono, anticonvenzionale, intendo. E
tu invece?”
“Non parliamo di politica. Lo sai che non sono d’accordo praticamente su niente
con te.”. E sotto sotto un pensiero: e
poi sei ubriaco, potresti dirne di scemenze.
“Hai un’aria strana con quella roba addosso. A parte che ti sta larga
perché il boscaiolo è il doppio di te tanto d’altezza che di stazza. Ma è
quell’aria da ragazzo con la testa tra le nuvole che ti fa soprattutto strano.
Non te l’ho mai vista, anzi sì e proprio ultimamente, mentre ci guardavi che ci
allenavamo”.
“Non so di cosa stai parlando, o sparlando…”.
“A te no ma io si! Ricordo, dove ho visto quel tipo di ammirazione, e
non era certo di fronte alla volta della cappella Sistina. Sì, eravamo a Roma,
avevo ancora i capelli del mio colore naturale e andai a un teatro, l’Ambra
Jovinelli. Beh quei militari avevano la bava alla bocca e gli occhi fuori dalle
orbite proprio come te, sembra proprio che a te il boscaiolo faccia lo stesso
effetto!”.
“Mai sentite tante sciocchezze tutte insieme. Queste accuse ignobili e sconce
sono degne di te. Basta vado a letto” scattò in piedi e sembrò, per qualche
decimo di secondo, che dovesse cadere inciampando proprio sull’orlo, o sulla
mancanza di tale, dei pantaloni di Michele. Poteva esistere un essere più rozzo
e inopportuno di Padre Donato? Come poteva saltargli in mente una cosa simile?
Ma come osa affermare che io
possa minimamente provare questo per un… per il signor Salvemini!? Si allontanò dal suo aguzzino tremando.
Arrivò nella sua stanza con il fiatone. E dopo aver riflettuto un
attimo, tornò in sé. Donato era ubriaco, probabilmente avrebbe confuso il canto
di un canarino con l’ululato di un lupo. E vedeva streghe là dove c’erano solo
zucche.
Purtroppo però, mentre si spogliava, non poté
trattenersi dall’annusare il maglione che gli aveva prestato l’affascinante
vedovo. Emanava un effluvio di boschi che sembrò spargersi in tutta l’angusta
stanzetta. Andrea fissò per qualche minuto il crocefisso sopra il suo letto e
sospirò. Più cercava di non pensare alle scempiaggini del vecchio sacerdote e
più gli tornava in mente il volto rilassato di Michele. Era un bel volto
vissuto: la barba lunga, le basette, le ciglia folte che incorniciavano gli
occhi belli e severi. Quegli occhi scuri che lo avevano sbirciato tutta la
serata.. E poi che aveva da guardarlo in quella maniera? Si domandò tremando.
Si conoscevano da tanto ormai, non aveva consacrato il suo matrimonio ma aveva
fatto a tempo a battezzare due dei suoi figli. Era un caro amico, per quanto
un uomo può arrivare a essere amico di un prete. Non gli aveva mai dato troppa
confidenza. No, Andrea non era un uomo che dava confidenza con facilità,
tutt’altro.
Accidenti se mi ha preso questa storia! Mi sono accorta di aver letto tutto quanto a bocca aperta! Durante l'incontro tra Michele e padre Andrea sono sicura di aver sentito profumo di legna che brucia e di pioggia: sono sicura di sentirlo ancora adesso. Michele mi affascina, il suo essere così rude ma nello stesso tempo così dolce, mi ha turbato, parecchio. Padre Andrea invece è solo dolce, quasi ingenuo. E' solo l'inizio, ma la tensione è già ai massimi livelli. Io sto qui seduta sulla riva del Nure, e aspetto... presto vero Giusi?
Io ho letto anche la versione originale a suo tempo e devo ammettere che non mi prese come le altre, ma questa prima parte l'ho letta tutta d'un fiato. E' vero, in quella casa sembra di sentire l'odore della legna, ma anche quello della pioggia portata da padre Andrea. Il nostro giovane prete non vuole ammetterlo ma gli sguardi del boscaiolo lo turbano. Mi domando cosa provi Michele, se sia solo gratitudine se ci sia dell'altro. Non vedo l'ora di leggere il seguito.
Questo blog è nato per tutti quelli che amano la coppia Caparezza/Diego Perrone (altresì detta Diegorezza) in odor di slash (slash fanfiction) e per coloro che amano Diego Perrone e il mitico Michele Salvemini come artisti, con un occhio speciale e fantasioso sugli altri musicisti che più o meno ruotano (o hanno ruotato) intorno a questa coppia. Welcome.
ATTENZIONE: tutte le fanfiction presenti nel sito che citano Diego Perrone e Michele Salvemini (Caparezza)e altri personaggi reali, sono da considerare sempre e tassativamente frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro. In caso contrario, qualora si racconti un avvenimento "reale" non sarà una fanfction e verrà ben specificato.
Se non vi piace lo slash non leggetelo
Sublimando sul palco................................................................................................................................
-Durante fuori dal tunnel, alla frase: “Mi sento stretto come quando inchiappetto un topolino” (al posto di puffo, per adeguare alla scenetta) mimato un atto omosessuale, nella fattispecie CaparezzaVSDiego.
-Durante Bonobo Power, vengono imitati coiti e Diego, dopo aver tentato Capa al sesso bonobo, si consola prima con il tastierista poi con una banana.
-Durante una nuova versione di Fuori dal tunnel, Caparezza imita un nuovo coito omosex con uno stura lavandini sempre ai danni di Diego.
-Durante il dito medio di galileo, Diego presta il fianco alla famosa frase: “Temono il dito di Galileo tra le chiappe” mettendosi in posa per farsi infilare metaforicamente il dito medio tra le chiappe da Caparezza.
-Durante una delle tante versioni di Abiura di me, Diego dice: “Ti posso cliccare?” e dopo averlo toccato con la freccetta, arriva con un finto dito (tipo sempre mouse del pc) e lo sbatte sui genitali di Capa.
-In un'altra di Abiura, Caparezza impugna il pacman e "mima" di mordere qualcosa che pende dal corpo di Diego, indovina un po' cosa...
-Ancora Abiura di me, Diego fa la principessa del videogioco di Super Mario che amoreggia con Tetris, interpretato da Caparezza.
-Durante Kevin Spacey, Diego Harry Potter, sbatte la bacchetta magica verso il sesso per evocare un sortilegio contro la prostata di Caparezza.
-Durante stango e sbronzo Caparezza prende di petto le dimensioni della scimmietta di Remy (interpretata da Diego) e definisce le dimensioni del suo pene siffrediane.
-Prima di Auditel's family, per parlare del decadimento dei rapporti amorosi, Caparezza imita una telefonata ad una linea erotica e Diego interpreta una centralista hard con tanto di parrucca e movenze.
-Nel live de La fine di gaia, Caparezza spinge nel sedere di Diego la lancia, gesto però non legato ad una scenetta o altro. Così...
-In The auditel family, alla fine Caparezza svende tutto, persino una notte d'amore con Diego. Ma poi si pente e cerca il suo perdono tirandogli un bacio subito ricambiato
Accidenti se mi ha preso questa storia! Mi sono accorta di aver letto tutto quanto a bocca aperta!
RispondiEliminaDurante l'incontro tra Michele e padre Andrea sono sicura di aver sentito profumo di legna che brucia e di pioggia: sono sicura di sentirlo ancora adesso. Michele mi affascina, il suo essere così rude ma nello stesso tempo così dolce, mi ha turbato, parecchio. Padre Andrea invece è solo dolce, quasi ingenuo. E' solo l'inizio, ma la tensione è già ai massimi livelli. Io sto qui seduta sulla riva del Nure, e aspetto... presto vero Giusi?
Sì sì, aspettiamo che i ciocchi brucino... ;)
EliminaIo ho letto anche la versione originale a suo tempo e devo ammettere che non mi prese come le altre, ma questa prima parte l'ho letta tutta d'un fiato. E' vero, in quella casa sembra di sentire l'odore della legna, ma anche quello della pioggia portata da padre Andrea. Il nostro giovane prete non vuole ammetterlo ma gli sguardi del boscaiolo lo turbano. Mi domando cosa provi Michele, se sia solo gratitudine se ci sia dell'altro. Non vedo l'ora di leggere il seguito.
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