martedì 12 febbraio 2013
Dalle Puglie alle Alpi, primo capitolo
Titolo: Dalle Puglie alle Alpi
Autori: Annina
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica.
“Allora ciao Fiore.
Manca poco ormai, è meglio se salgo”.
Fiorenza lo abbraccia
dandogli un ultimo bacio “Ciao Michele. Chiamami subito appena arrivi, e magari
chiamami anche prima. Se non te lo suggerisco io, lo so che tu non lo fai”.
“Puoi sempre chiamarmi
tu” Nascondendo una smorfia un po’ seccata, Michele raccoglie lo zaino
e la chitarra. Il
trolley l’ha già caricato prima e un altro paio di valige le ha spedite col
servizio speciale, e spera che verranno recapitate l’indomani.
Sale sul treno e
appoggia la chitarra al portabagagli. Lo zaino lo lascia sul sedile accanto,
tanto almeno per ora lo scompartimento è vuoto. E chi può salire a Torino da
Bari il tre di gennaio?
Soltanto qualche
sfigato come lui.
Guarda dal finestrino
Fiorenza ancora in attesa sul marciapiede: le braccia conserte come suo solito,
l’espressione fiera. Si chiede a quanto daranno la durata del loro rapporto.
Per quel che lo riguarda non ci scommetterebbe un euro. Forse l’unico motivo
per cui non gli dispiace lasciare il suo paese è proprio lei: eppure ne era
così innamorato fino a poco tempo fa. E non è successo niente che possa avergli
fatto cambiare idea. Ma chissà, magari la lontananza potrebbe ancora cambiare
le cose. La nostalgia magari. Già ora ne soffre, e il capotreno non ha nemmeno
fischiato la partenza.
La carrozza è calda e
Michele può togliere il giubbotto e lo scalda collo che usa da cuffia per
contenere quella gran massa di capelli che esplode non appena libera,
circondandogli la testa di lunghi riccioli neri e ribelli.
Vorrebbe affacciarsi,
ma ora nei treni i finestrini non si abbassano più. Si ricorda di quando si
poteva aprire e viaggiare col vento in faccia, non tanti anni fa. Ci han tolto anche questa libertà,
mormora tra sé e sé, amareggiato.
Il capotreno fischia la
partenza e le porte si chiudono immediatamente, e subito Michele si sente
prigioniero. La sua indole libera non sopporta alcuna costrizione, nemmeno
quella delle porte automatiche. Anche quelle una volta si potevano aprire
manualmente. Ora devi aspettare e pregare che non ci sia un guasto, o potresti
rimanere prigioniero di Trenitalia.
Il treno si muove e in
breve prende velocità. Comunque ci vorranno almeno dieci ore prima di arrivare
a destinazione, quindi è meglio se si dà una calmata. Apre lo zaino e ne toglie
un libro e un lettore mp4 con le cuffiette, appoggia tutto sul tavolino davanti
a lui, e si perde a guardare dal finestrino.
Guarda la sua Puglia
che se ne va e lo assale lo sconforto. Domattina a quest’ora si sveglierà in
una città che non sarà la sua, nessun conoscente tranne il cugino che si è
offerto di ospitarlo, niente mare dove passeggiare al tramonto finito il
lavoro.
Nonostante si ripeta
che ha trent’anni e non è più un ragazzino e che deve piantarla con queste
paranoie da quindicenne, una lacrima trema tra le ciglia mentre gli occhi
tentano di registrare ogni forma, ogni colore del paesaggio che per un po’ non
rivedrà.
Prende il libro e per
un po’ legge; si è portato un giallo, qualcosa di leggero per far passare più
velocemente il tempo. Basta mezz’ora per accorgersi che non ricorda più nemmeno
una parola di quanto ha letto.
Ripone il libro e pensa
alla sua libreria, nella sua stanza: centinaia di libri, dai classici, agli
storici, da Pavese a Ungaretti. Dovrà pur portarseli a Torino, non può stare
senza la sua roba. I vecchi 33 giri raccolti in tante domeniche passate a
girare i mercatini; i suoi giochi elettronici. In qualche modo farà, ma non
abbandonerà la sua roba.
Strada facendo nel
vagone salgono soltanto altre due persone. Non che lui abbia una gran voglia di
interazione, meglio così. Dopo
qualche ora finalmente si appisola, e si risveglia verso le tre mentre il treno
entra sotto la vasta galleria della Stazione centrale di Milano.
Carico di bagagli
scende e si porta dieci binari più in là, salendo sul treno che lo porterà alla
meta.
Apre lo zaino e dà
un’occhiata ai tre panini che giacciono tristemente sul fondo, insieme a un
piccolo termos di caffè e a una bottiglia d’acqua. Non ha ancora toccato niente
perché lo stomaco è chiuso e anche ora si limita a bere il caffè ancora caldo.
Il treno riparte e
uscendo dalla galleria si infila nella nebbia. Michele scrolla la testa: non
sono tutti luoghi comuni. A Milano c’è sempre la nebbia. E a Torino? Chissà
come sarà. Al nord c’è stato già diverse volte ma mai a Torino.
Le ultime due ore di
viaggio sembrano interminabili, ma passano e finalmente si ritrova nella
stazione di Torino alla ricerca di quel cugino che nemmeno conosce. L’ultima
volta che l’ha visto lui aveva dieci anni, poi Gaetano non è più sceso in
Puglia. Fermo immobile sul marciapiede si sente un perfetto deficiente, mentre
tutti intorno se ne vanno affaccendati o incontrano amici e parenti che se li
portano via.
Finalmente rimangono
soltanto in due: l’altro dev’essere per forza Gaetano. Dovrebbe avere poco più
di quarant’anni ma ne dimostra almeno venti in più. Pelato con una folta barba
grigia, alto più o meno come lui. Si avvicina sorridendo “Michele! Sei tu per
forza, sei uguale a tua madre!”.
“Mia madre si è
tagliata il pizzetto da tempo” ribatte Michele ma poi si addolcisce e abbraccia
il cugino.
“Vieni Michè che
carichiamo la tua roba e andiamo subito a casa; sarai stanco dopo dieci ore di
viaggio. A casa c’è Adele la mia compagna che sta preparandoci la cena. Poi
parleremo di tutto quanto, soprattutto del tuo nuovo lavoro”.
Michele annuisce e lo
segue verso il parcheggio con passo stanco.
In mezz’ora arrivano in
un quartiere periferico ma abbastanza carino: niente palazzoni da edilizia
popolare, ma piccole casette a due piani con pochi metri di giardinetto
davanti, proprio di fronte a un grande parco ben tenuto, almeno da quel poco
che può vedere: il buio è sceso già da un po’.
“Guarda Michè, sono
quattro piccoli appartamenti in ogni casa, piccoli si sa, quaranta metri quadri
o poco più, ma l’affitto è buono e la zona tranquilla e non troppo lontana
dalla fabbrica, in macchina sono proprio dieci minuti”.
“Penso che comprerò una
bici usata, io la macchina non la uso
quasi mai; la mia bicicletta la lascio a Bari, perché quanto scendo
voglio averla a disposizione”.
“Come vuoi, hai qualche
giorno per ambientarti prima della riapertura della ditta; lunedì andrai a
presentarti, ma è già tutto a posto, ho garantito io per te” intanto Gaetano
apre il cancelletto che porta nel giardino.
“Vedi che bel giardino!
È il nostro vicino che lo cura, anche dietro casa ha fatto una tettoia piena di
rampicanti che è una meraviglia e d’estate chi vuole si siede fuori a mangiare.
Un ragazzo simpatico, peccato che è un gran ricchione” ride scioccamente
causando l’immediata risposta acida di Michele: “Dai Gaetà, che modi! E poi
peccato di che? In ogni caso non sono affari tuoi”.
“Oh, smettila Michè
mica l’ho detto a lui, ti ho pur detto che è simpatico, solo ha questo difetto.
Ma vieni dai che ti faccio conoscere Adele”.
Michele ingoia la
rabbia ed entra nel piccolo appartamento, dove gli viene subito incontro una
bella donna sulla quarantina un po’ formosa, che si presenta con un bel sorriso
tendendogli la mano “Ciao Michele sono felice di conoscerti. Vi ho sentito
discutere qui fuori, Gaetano è già riuscito a dare il peggio di sé?” fa una bella risata calda e
prende Michele fra le braccia “meglio un abbraccio che una stretta di mano no?
Guarda, la tua stanza è quella se vuoi darti una sistemata prima di cena. Non
fare complimenti se hai bisogno di un pisolino fai pure, non si offende
nessuno”.
Ricambiando l’abbraccio
Michele si sente già meglio, non c’è niente più di un abbraccio sincero per
tirarti su il morale, pensa. “Grazie ho già dormito anche troppo in treno, ma
una rinfrescata mi ci vuole. Faccio subito” ed entra nella cameretta con tutto
il suo bagaglio.
La camera è piccola e
arredata come tutte le case ammobiliate: tristemente. E altrettanto tristemente
Michele si appresta a vuotare il suo trolley e a mettere gli abiti nel piccolo
armadio.
Poi si siede sul letto
e imbraccia la chitarra, strappandone qualche accordo in sordina: le prime note
di Nothing else matter si perdono
nella stanza. Con un sospiro appoggia lo strumento contro il muro accanto al
comodino e va a farsi la doccia, sperando che insieme all’odore del treno se ne
vada anche la malinconia.
Più tardi nella stanza
che fa da cucina, sala da pranzo e salotto, fa onore alla cena preparata da
Adele. La pasta al forno lo riscalda e l’arrosto con le patate lo riconcilia un
pochino col mondo.
“Domattina vorrei
uscire presto così esploro un po’ i dintorni; poi se mi dite dov’è che posso
comprarmi una bici usata, così posso spostarmi come voglio. Vorrei anche che mi
spiegaste dov’è la Camera del lavoro che vado a presentarmi perché vorrei
continuare anche qui il mio lavoro nel sindacato” mangiando una fetta di torta
con evidente piacere, Michele guarda il cugino.
Questi scuote la testa:
“Michele, lascia perdere il sindacato che è meglio; non è facile tenersi un
lavoro al giorno d’oggi, se provochi fai anche più fatica”.
Michele lo guarda
inorridito: “Io provoco? Che provoco? Impegnarsi per far seguire le norme, le
leggi ti sembra provocare? Ma cosa dici Gaetà?”.
“Ti dico quello che
penso, i tempi sono duri e c’è la coda di persone che hanno bisogno di
lavorare; se rompi le palle alla ditta, ci mette poco a farti fuori!”.
“Ma se tutti
ragionassimo così dove si andrebbe a finire? Ma…” Michele si interrompe
pensando che si sta comportando male, è ospite a casa loro e non è il caso di
discutere: “Niente dai lasciamo stare”.
Adele sorridendo gli
prende la mano: “Poi ti scrivo l’indirizzo così ti fai la piantina con google,
ho visto che hai il portatile. La bicicletta ce l’ho io da darti, te la regalo,
è buttata a marcire nel garage; è funzionante, magari dovrai darle una mano di
vernice; tra un po’ vado a casa, vieni con me e torni su de ruote, va bene?”.
Stabilisce che la
compagna del cugino è decisamente più simpatica di lui, e un’oretta dopo quando
se ne va, l’accompagna e dopo cinque minuti torna a casa su una bicicletta di
ottima marca e perfettamente in grado di portarlo ovunque. Forse dovrà darle un
po’ di colore, ma non è così importane.
Fa per appoggiarla al
muro della casa e chiuderla con la catena quando sente qualcuno entrare dal
cancello alle sue spalle.
Si volta e si trova
davanti a un ragazzino che spinge a sua volta una bicicletta, zaino in spalla.
Quando gli arriva
vicino si accorge che tanto ragazzino non è, anzi: avrà più o meno la sua età
probabilmente, ma è piccolo e minuto, soprattutto rispetto al suo metro e
novanta!
“Ciao. Sei il cugino di
Gaetano? Mi ha detto che dovevi arrivare oggi” si toglie cuffia e guanti di
pile e gli tende la mano che scompare in
quella di Michele: “Io sono Diego, il vicino di fronte”.
“Michele, sono contento
di conoscerti” osserva con curiosità piercing e ciuffo sui capelli rasati. Nota
che ha un bel viso aperto, l’espressione serena. Diego lo guarda interrogativo
e lui si riscuote: “Vedo che anche tu
viaggi su due ruote”.
Diego sorride: “Ho
anche una macchina, ma la uso solo se devo viaggiare. In giro per città non ne
vale la pena, con la bici arrivi dove vuoi giusto?”.
“Certo. Ora dovrò
impratichirmi un po’ di Torino, domani mattina inizierò a girare; dovrò
procurarmi una cartina” Michele intanto si abbassa per girare la catena intorno
alla bici.
“Lascia, le mettiamo
dentro le bici, i vicini sono d’accordo vieni” Diego gli passa davanti e apre
il portone, entrando con la sua bici subito seguito da Michele; appoggiano le
bici vicine e mettono le catene, poi si guardano meglio alla luce della scala e
si sorridono.
“Scusa Diego ma… hai
qualcosa vicino agli occhi, sembrano brillantini non so” Michele lo osserva
incuriosito. Diego si passa una mano sugli occhi e si guarda le dita,
scoppiando a ridere: “Oddio mi è rimasto
del trucco? E non me l’hanno detto al pub, bastardi! Beh, meglio che vada a
darmi una sistemata allora. Senti volevo dirti, sono in ferie nei prossimi
giorni, se ti va posso portarti un po’ in giro a conoscere la città”.
Michele lo osserva
perplesso: “Grazie ma non voglio disturbarti, magari volevi riposarti, sono le
tue ferie avrai di meglio da fare”.
Diego sembra rimanerci
male, abbassa gli occhi poi li rialza con un’espressione che Michele
definirebbe afflitta: “Va bene, se non vuoi non è un problema, magari
preferisci andare con tuo cugino; non volevo essere invadente. Ci vediamo” e
sale i cinque gradini che lo portano davanti al suo appartamento.
Anche Michele lo segue,
consapevole di averlo probabilmente offeso anche se non capisce perché: “No
Diego, preferirei andare in giro con te, davvero, solo non volevo esserti
d’impiccio. A che ora facciamo?”.
Lui lo osserva per un
attimo e Michele può vedere quanto sono belli quegli occhi, grandi e dolci poi
si vede rivolgere un altro sorriso: “Facciamo alle otto? Troppo presto? Andiamo
a fare colazione al bar qui vicino, hanno le brioche più buone del mondo, con
la crema alla nocciola, tipo nutella no? Poi ti faccio volentieri da guida”.
“Bene Diego, alle otto
qui sul pianerottolo. Ti ringrazio davvero sei molto gentile”.
“Figurati. Bello il tuo
accento pugliese; non sono mai stato in Puglia, devo rimediare, dicono tutti
che è così bella. Bene, vado a struccarmi! A domani Michele, buonanotte” e con
un ultimo sorriso Diego entra in casa.
Michele entra a sua
volta trovando tutto spento: Gaetano si è già ritirato nei suoi appartamenti a
quanto pare. Si siede al tavolo e mangia un’altra fetta di torta di nocciole, e
automaticamente pensa a Diego, a quegli occhi che ricordano proprio quei frutti
nel colore. Vado a struccarmi? Ma che
strano tipo. Va bene che è gay, ma dove
se ne va in giro di notte truccato? Magari fa la drag in qualche spettacolo,
chissà. Al pensiero scoppia a ridere. Ma non ha il fisico! Comunque sono
affari suoi. Un passaggio in bagno quindi Michele si butta nel letto e capisce
che sarà dura dormire lì. Da tempo dorme in un letto a due piazze, e
restringere la sua stazza in un singolo non è facile.
Comunque la stanchezza
ha la meglio e Michele dopo poco si addormenta.
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che bella... appena ho letto l'inizio mi è arrivata tutta la claustrofobia del povero Michele! Oh questi treni tutti chiusi che ansia! Ma poi le risate quel primo incontro con il cugino Gaetano, “Michele! Sei tu per forza, sei uguale a tua madre!”.
RispondiElimina“Mia madre si è tagliata il pizzetto da tempo” ahahahah ho riso tutt la mattina quel giorno. Bella l'atmosfera grigia che poi sembra rischiararsi la sera di quel 3 gennaio dove giusto un pazzo andrebbe alla stazione, un pazzo o qualcuno che sta cercando la propria strada. Ovviamente l'incontro tra i due protagonisti è la parte più golosa ed è proprio a quello mi riferisco quando dico che si rischiara tutto. Michele che si era indignato quando lo ha sentito chiamare dal cugino "recchione" con tale sufficenza, resta ammaliato dal vicino di casa, e la cosa è più che reciproca. Tra i due ciclisti fu amore a prima vita... Grande stile e grande storia...
Penso che il prossimo viaggio di Michele non sarà così claustrofobico: tutto dipende dalle situazioni. :o)
RispondiEliminaIl grigio può diventare rosa qualche volta...
Grazie, sei sempre un tesoro.
NO, tesora sei tu tesora! cmq era vista no vita, ma vedi che le frasi retoriche non ce la faccio proprio e mi boicottano, ecco, allora lasciamo vita! Per la vita magari... ;)
EliminaPovero Michele si ritrova catapultato in una nuova città dove non conosce quasi nessuno e così diversa dalla sua natia Puglia. Scommetto però che dal momento in cui ha posato gli occhi sul suo vicino con gli occhi del colore delle nocciole e lo sguardo da cucciolo il mondo ha cominciato a girare nel verso giusto e un raggio di sole ha illuminato quella giornata così grigia. Devo dire che questa storia già mi ha preso. Sono curiosa di vedere come evolve e soprattutto dove va Diego con i glitter sugli occhi.
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