Il cassetto dei sorrisi, settimo capitolo ed epilogo
Capitolo 7
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini Genere: Romantico/Introspettivo Rating: NC 17 Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito
dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy
Baby, di Diego Perrone
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Il disastro arrivò inesorabile.
Ora ricordo tutto. Per un po’ di tempo l’ho rimosso. Durante un tremendo
acquazzone, Diego era già al lavoro, Gabi si venne ad infilare nel mio letto.
Accadde tutto rapidamente, a metà strada tra un gioco perverso e l’espiazione
di un peccato, uno sfogo di qualche cosa a lungo cercata, nascosta, censurata.
Un po’ fece lei un po’ feci io, non voglio dare tutta la colpa a questa strana
adolescente tedesca che mi ero ficcata nella casa mia e del mio ragazzo. Fu
così rapido che non so come riuscii comunque a portarla al piacere. Dopotutto
da anni non scopavo con una donna. La cosa divenne una consuetudine come quella
di girovagare per la città. Avevamo piacevolmente sostituito il cinema, o
la mostra, o solo di girare a vuoto, con qualcosa di piacevole e più umido. Non
era amore, di questo nei fui certo fin dall’inizio. Lussuria, ecco cos’era e
per me era nuovo, dopotutto, come penso si sarà capito, con la mia ex Elettra
non facevamo certo fuochi d’artificio. Con Diego sì e la differenza sostanziale
tra lui e Gabi era la novità, e il fatto che in quei mesi di vita matrimoniale
con il mio compagno, il sesso, per quanto estremamente piacevole nell’atto,
aveva perso quel ‘che’ di proibito che c’era all’inizio. Ecco, con la ragazzina
mi sentivo di nuovo trasgressivo. Forse era solo di trasgressione che avevo
bisogno, probabilmente me n’ero panciuto troppo all’inizio della mia relazione
con Diego e ora che sembrava tutto così ordinario e per niente proibito, ne
sentivo di nuovo il bisogno. Ero un drogato. Devo dire che stemmo ben attenti a
non farci scoprire e io non mi sentivo nemmeno tanto in colpa. Diego era
felice, io ero felice e pure Gabi lo era, almeno così mi sembrava, per questo
non riuscii a spiegarmi quella sua partenza improvvisa, a sei mesi dall’inizio
della nostra relazione. Mi lasciò con una letterina stile infantile, che si
preoccupò di infilarmi nel portafogli per paura che la trovasse Diego. Diceva
più o meno che aveva trovato ospitalità a Parigi e siccome era da tempo suo
sogno andarci, era stato bello ma basta, ciao. Spiegava pure di sentirsi in
colpa per Diego, che pagava per noi tutti le bollette e i viveri, io però
m’incazzai e quando tornò Diego gli buttai le braccia al collo disperato come
se mi fosse scappata di casa davvero la figlia. Non piansi ma da quel giorno
senza Gabi la mi apatia si trasformò in rancore. Ce l’avevo con tutto e tutti.
Iniziavo le giornate dicendomi: che ci faccio qui? Perché non ho un lavoro? Che
senso ha la mia vita? E ovviamente ben presto Diego smise di tollerare la mia
rabbia che con il tempo si trasformò in freddezza. Divenni un misantropo.
Ricordo tutto nitidamente, come
la maggior parte dei figli ricorda il giorno nel quale gli viene annunciata la
morte del genitore o la sua malattia. Eravamo invitati per la festa di
Halloween a casa di amici. Io dissi a Diego che poteva pure andare lui ma io non
me la sentivo. Era molto peggio di essere apatici, era fare gli stronzi, fuor
di dubbio che fosse così. E Diego s’incazzò. Riversò su di me tutto il rancore
che aveva trattenuto in quei mesi. Io lo fissai incredulo rinfacciarmi tutto,
compreso che non lavorassi. Mi diede del mantenuto e alla fine sbottai. Siccome
mi facevo schifo io e volevo fare lui schifo, ma più schifo che mai, gli
rivelai di me e Gabi. Non dimenticherò mai i suoi grandi occhi da cucciolo
allargarsi e poi riempirsi di lacrime. Mi lanciò tanta di quella roba. Una
lampada mi colpì in pieno petto e una scheggia di vetro mi si conficcò sullo
zigomo.
“Spero che tu muoia dissanguato,
fuck you” era uscito talmente di testa che per metà parlava inglese, l’altra
italiano. Ad un certo punto iniziò a blaterale in olandese, che non era certo
una lingua che gli avevano insegnato a scuola, ma che dopo oltre due anni,
parlava benissimo. Senza tamponarmi la ferita, mi accoccolai al divano
pregandolo di perdonarmi, piangendo fino a singhiozzare. Dissi che ero pentito
e che non volevo perderlo, sarei morto altrimenti. Lo pensavo davvero. Le
lacrime pizzicavano la ferita aperta. Un dolore che non sentivo più. Diego mi
perdonò davvero infine, ma non andammo alla festa e da quella sera dormii sul
divano.
Alla fine scoprii che il vago
permesso studio che mi permetteva di vivere con Diego a Rotterdam, era
scaduto. Ne avevamo parlato tante di quelle volte e tra lo scherzoso e il
serio, avevamo detto che avremmo risolto tutto sposandoci. È evidente però che ora
Diego non avesse nessuna intenzione di sposarmi, così, il diciotto novembre,
presi tutto quello che avevo nella casa di Diego e me ne tornai in Italia.
Epilogo
Un incubo, ogni giorno da quel
giorno fu un incubo per me. Il rancore che avevo nei confronti dell’ormai mio
ex per non avermi impedito di andare via, per non aver nemmeno avverato una
delle mie tante fantasie romantiche sul fatto che amandoci come ci amavamo, non
mi avrebbe fatto partire, restarono mere illusioni. Orgoglio di innamorato
ferito. Diego si mostrò poi per quello che era, un torinese freddo e arrabbiato
che non sopporta di essere preso in giro dallo spaccone del sud. E io ci tornai
in quel sud che ormai non aveva né ricordi e né sapori. Mi chiusi nel mio
scantinato-laboratorio, dove un tempo disegnavo i miei fumetti, i miei schizzi,
sognando la gloria, di diventare un facoltoso fumettista del nord. In ogni modo
facoltoso uomo arrivato. Un fottuto figlio di puttana con le palle. Ma le palle
non le avevo e anziché ricominciare a disegnare, ricominciai a scrivere, ma non
a penna. Complice anche in nuovo notebook che mi regalai vendendo tutto l’oro
che avevo, c’è da dire che mia madre lo conservava per me e non ne fu felice,
ma io dovevo mangiare, tirare avanti, visto che non lavoravo e che non avevo
nessuno che mi mantenesse. In ogni modo iniziai a riportare quei foglietti che
avevo conservato, a trascrivere la mia storia con Diego dall’inizio. Rinominai
il file: Gli amanti dei Navigli. Era
bellissimo, ogni volta che finivo un capoverso piangevo lacrime vere. Ogni
volta che terminavo un capitolo, provavo a chiamare Diego. Ma lui non rispose
mai. Il libro costatava di otto capitoli. Ma a l’ultima telefonata non risultò
più raggiungibile, quella linea era stata disattivata.
Mandai in giro quel libro, non
perché davvero pensassi di guadagnarci qualcosa, ma lo trovavo così
insopportabilmente bello e realistico che volevo farlo leggere ad altri,
raccontare ad altri la parte bella della nostra storia, quella che finiva bene,
con noi fuori dall’Italia a vivere d’amore, a pettinarci davanti allo specchio,
(anche se con i miei sarebbe stato difficile). Mi illudevo che quelle tante
parole messe in fila avessero un senso, almeno negli occhi degli altri. Nemmeno i nomi cambiai, fregandomene di
eventuali denunce. Il risultato fu che il libro venne pubblicato nel 2008 da
una piccola casa editrice di Bari e in poco tempo ristampato dalla Baldini&Castoldi, di Torino. Il resto lo immaginerete. Divenne un successo, anche
perché, immagino, prima di me nessuno in Italia era stato in grado di
descrivere una storia omosessuale così, priva di retorica ma piena di coraggio.
Uscii dal mio seminterrato, feci presentazioni, persino a Torino. Mi ritrovai
invischiato nel successo e nei soldi, e mi godetti quell’alito di felicità
apparente che i soldi possono darti. Tutti mi chiedevano di Diego, e io dicevo
che si sbagliavano, che era solo una storia di fantasia. Finché nel 2010
ricevetti una strana email di un Perrone hotmail che non conoscevo, ma subito risposi
di sì alla proposta di incontrarci a Roma, dove avrebbe soggiornato una
settimana per via di un congresso. Ero felice perché certo che si trattasse del mio Diego.
Ma no, non poteva essere lui, non
aveva mai risposto alle mie chiamate e all’ultima aveva persino staccato il
telefono. Ma partii per Roma in treno, pieno di tante speranze. Siccome Perrone mi aveva chiesto una copia del libro, io ero armato di una copia nuova
di stampa e delle migliori intenzioni di farmi perdonare, di dare un senso a
tutta quella sofferenza, quel disastro. Di ricominciare da capo.
Lo vidi sotto il tabellone degli
arrivi, i capelli simili a Diego, anche il sorriso un po’ sbilenco, strano. La
sua strana smorfia.
Ma non era Diego. Non aveva i
suoi piercing e nemmeno la sua bellezza.
“Piacere Andrea” si presentò, non
mi ci volle molto a capire che si trattava del fratello di Diego, lo svedese. Noi lo
chiamavamo così perché viveva in Svezia.
“Piacere Michele” risposi. Il
cuore mi batteva all’impazzata, non so se più per la delusione o per la
felicità di trovarmi un Perrone di fronte.
“Sediamoci dai” mi propose sicuro
di sé di fronte ad un tavolino di un bar all’aperto. In questo era diverso da
Diego, sembrava scaltro, avvezzo a trattare con estranei. Diego ed io invece
eravamo insopportabilmente timidi in certe situazioni.
“Ho letto il tuo libro e sono
onorato che ti sia dato la briga di venire fin qui a portarmelo. Ma ho
dimenticato la mia copia a casa e volevo un autografo”
“Per così poco... come sta
Diego?”
“Perché non lo sai?” il sorriso
gli morì sul viso sostituito da un’espressione dura. “Mi prendi in giro?”
Mi cadde un cucchiaino e mi
affrettai a raccoglierlo. Il suo sguardo era glaciale.
“Ma dunque non sapevi niente e
hai scritto questo fantastico libro su mio fratello? Ti ringrazio, i miei
genitori te ne saranno sempre grati”
“Come sta Diego” ripetei
balbettante e tremante.
“Che vuol dire come sta, è morto!
Si è buttato da un ponte, e devo dedurre che era talmente depresso e ubriaco. Ho forse omesso che la causa eri tu” via la maschera e nel cesso i modi gentili. Mi gettò in faccia
il suo Martini Dry. “Era questo che volevo leggere nei tuoi occhi, bastardo
figlio di puttana. Hai ridotto quel povero ragazzo un alcolizzato e mia madre
una larva umana. Sei mesi fa anche mio padre ha tentato di uccidersi con dei
sonniferi. Ma non c’è riuscito” oscillò la testa.
“Basta così” alzai in aria il
braccio e lo bloccai, incapace di sentire oltre. Scappai nel bagno della
stazione. Mi asciugai con dei tovaglioli, ma maglietta e giacca restavano
inesorabilmente bagnate. E guardandomi allo specchio per pochi istanti, fissai
senza pace il segno sotto l’occhio, quello che mi aveva procurato la scheggia della
lampada, la maledetta sera in cui avevo rivelato che razza di merda fossi
al mio grande amore. Come se accarezzando lei potessi ritrovare un pezzetto di
Diego, ormai un sogno onirico, qualcosa di spazzato via dalla realtà. E in quell’attimo, riflesso nello specchio, rividi il volto di Diego
e mi sembrò come se fossimo di nuovo a casa nostra, come mi guardava tutte le
mattine prima di uscire, con gli occhi pieni d’amore, rivolgendomi alla fine un
sorriso, uno di quei rari sorrisi che sembravano costargli così tanto, talmente
da tenere un cassetto dei sorrisi nella sua scrivania ben sigillato, per
regalarne soltanto a chi davvero amava.
Perché un sorriso non si dovrebbe
mai donare a caso. O per un proprio tornaconto.
Non sono più proprietaria di un cuore. L'ho perso qui, tra le righe di questa stupenda, realistica, cruda storia. Ora scusami, ma devo andare a piangere.
Sto piangendo come una scema. Questa storia mi ha davvero commosso come non accadeva da tanto. Ancora non riesco a capacitarmi che Diego si sia ammazzato, che non potrà esserci un lieto fine a questa stupendo amore che mi ha tenuto incollata a questo schermo.E' raro che io mi commuova così per una fic ma tu ci sei riuscita, mi hai davvero ridotto ad uno straccio. Davvero stupenda e struggente. Ho adorato ogni singola frase e spero che presto ci donerai un altro pezzo del tuo cuore perchè è questo di cui si tratta, un pezzo del tuo cuoricino che sei riuscita a riversare sulle pagine di word.
Che dire... grazie.... vi voglio bene.... sentitevi Cambia semmpre ora, magari riuscissi a fare davvero cose così profonde e commoventi come ha fatto lui
Vorrei dirti tante cose, ma rimangono tutte dentro. Forse domani, un pò più a freddo, ma ora non ce la faccio, mi ha preso un pò troppo. Non potrei ascoltare Cambia sempre ora, non supererei la notte. Già così non mi basteranno le lacrime. Stupenda comunque, grazie di cuore.
Questo blog è nato per tutti quelli che amano la coppia Caparezza/Diego Perrone (altresì detta Diegorezza) in odor di slash (slash fanfiction) e per coloro che amano Diego Perrone e il mitico Michele Salvemini come artisti, con un occhio speciale e fantasioso sugli altri musicisti che più o meno ruotano (o hanno ruotato) intorno a questa coppia. Welcome.
ATTENZIONE: tutte le fanfiction presenti nel sito che citano Diego Perrone e Michele Salvemini (Caparezza)e altri personaggi reali, sono da considerare sempre e tassativamente frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro. In caso contrario, qualora si racconti un avvenimento "reale" non sarà una fanfction e verrà ben specificato.
Se non vi piace lo slash non leggetelo
Sublimando sul palco................................................................................................................................
-Durante fuori dal tunnel, alla frase: “Mi sento stretto come quando inchiappetto un topolino” (al posto di puffo, per adeguare alla scenetta) mimato un atto omosessuale, nella fattispecie CaparezzaVSDiego.
-Durante Bonobo Power, vengono imitati coiti e Diego, dopo aver tentato Capa al sesso bonobo, si consola prima con il tastierista poi con una banana.
-Durante una nuova versione di Fuori dal tunnel, Caparezza imita un nuovo coito omosex con uno stura lavandini sempre ai danni di Diego.
-Durante il dito medio di galileo, Diego presta il fianco alla famosa frase: “Temono il dito di Galileo tra le chiappe” mettendosi in posa per farsi infilare metaforicamente il dito medio tra le chiappe da Caparezza.
-Durante una delle tante versioni di Abiura di me, Diego dice: “Ti posso cliccare?” e dopo averlo toccato con la freccetta, arriva con un finto dito (tipo sempre mouse del pc) e lo sbatte sui genitali di Capa.
-In un'altra di Abiura, Caparezza impugna il pacman e "mima" di mordere qualcosa che pende dal corpo di Diego, indovina un po' cosa...
-Ancora Abiura di me, Diego fa la principessa del videogioco di Super Mario che amoreggia con Tetris, interpretato da Caparezza.
-Durante Kevin Spacey, Diego Harry Potter, sbatte la bacchetta magica verso il sesso per evocare un sortilegio contro la prostata di Caparezza.
-Durante stango e sbronzo Caparezza prende di petto le dimensioni della scimmietta di Remy (interpretata da Diego) e definisce le dimensioni del suo pene siffrediane.
-Prima di Auditel's family, per parlare del decadimento dei rapporti amorosi, Caparezza imita una telefonata ad una linea erotica e Diego interpreta una centralista hard con tanto di parrucca e movenze.
-Nel live de La fine di gaia, Caparezza spinge nel sedere di Diego la lancia, gesto però non legato ad una scenetta o altro. Così...
-In The auditel family, alla fine Caparezza svende tutto, persino una notte d'amore con Diego. Ma poi si pente e cerca il suo perdono tirandogli un bacio subito ricambiato
Non sono più proprietaria di un cuore. L'ho perso qui, tra le righe di questa stupenda, realistica, cruda storia. Ora scusami, ma devo andare a piangere.
RispondiEliminaSto piangendo come una scema. Questa storia mi ha davvero commosso come non accadeva da tanto. Ancora non riesco a capacitarmi che Diego si sia ammazzato, che non potrà esserci un lieto fine a questa stupendo amore che mi ha tenuto incollata a questo schermo.E' raro che io mi commuova così per una fic ma tu ci sei riuscita, mi hai davvero ridotto ad uno straccio. Davvero stupenda e struggente. Ho adorato ogni singola frase e spero che presto ci donerai un altro pezzo del tuo cuore perchè è questo di cui si tratta, un pezzo del tuo cuoricino che sei riuscita a riversare sulle pagine di word.
RispondiEliminaChe dire... grazie.... vi voglio bene.... sentitevi Cambia semmpre ora, magari riuscissi a fare davvero cose così profonde e commoventi come ha fatto lui
EliminaVorrei dirti tante cose, ma rimangono tutte dentro.
RispondiEliminaForse domani, un pò più a freddo, ma ora non ce la faccio, mi ha preso un pò troppo. Non potrei ascoltare Cambia sempre ora, non supererei la notte. Già così non mi basteranno le lacrime.
Stupenda comunque, grazie di cuore.