“Sempre il solito stronzo!” replica l’altro saltando sul divano accanto a lui. Infila una mano nel pacchetto di patatine portandosene una manciata alla bocca.
domenica 28 ottobre 2012
Diventare grandi Settimo capitolo
Titolo: Diventare grandi
Pairing: Diego - Michele
Rating: NC 17
I personaggi mi appartengono. Ho preso solo in prestito i nomi. Questa fic non è scritta a scopo di lucro ma solo per divertimento
*****
È
appena l’alba quando Diego arriva a casa dell’amico Dado. Una volta sotto la
sua finestra, che dà sulla strada, agguanta una manciata di sassolini lanciandoli
contro la finestra. Non ottiene risposta e il ragazzo ipotizza stia ancora
dormendo. Rassegnato, attende sotto il palazzo un orario consono per riprovare.
Appoggiato al muro, fischietta il ritornello di una canzone dei Doors, uno dei
suoi gruppi preferiti. La giornata è fredda e pentitosi di non aver preso con
sé almeno un giubbetto, Diego si stringe nella maglia.
Stanco
di aspettare e con una fame che lo sta lacerando, torna sotto la stanza
dell’amico. Prende un sasso di dimensioni maggiori e lo lancia contro il vetro.
“Ehi,
Dado!” alza la voce “Pellegrino!”
La
finestra si apre con un botto e una testa spettinata fa capolino, gli occhi
assonnati e cisposi. “Chi cazzo è” si sporge di più per riuscire a vedere il
disturbatore.
Quando
intravede Diego, mani nelle tasche, l’aria di chi non mangia da un po’ e
l’aspetto trasandato, si affretta a salutarlo. “Tu qui stai? Ti cercano tutti,
vieni su!” gli fa cenno, ma il fuggitivo è titubante, teme che possa chiamare i
genitori.
“Scendi
tu!” replica prudente l’altro.
“Dai,
fa un freddo porco” Dado rabbrividisce dopo essere stato strappato dal tepore
delle coperte.
“Non
farai la spia?” i lineamenti di Diego s’induriscono.
“Sali
coglione!” e rientrato, sbatte la finestra.
Sospirando
di sollievo, Diego si precipita verso il portone, per poi divorare le scale due
a due. L’appartamento di Dado si trova al terzo piano di un palazzetto nella
zona bene di Torino. Il padre commercialista ha uno studio che secondo il
ragazzo “fa soldi con la pala” tanto da potersi permettere anche la casa in
montagna e una villa a Riccione. Diego è stato a casa sua tante di quelle volte
da conoscere ogni mobile o anfratto come se fosse il proprio. In quel momento
però ha solo bisogno di calore e di qualcosa nello stomaco. Arrivato sul
pianerottolo, Dado è davanti alla porta, ancora in pigiama e pantofole e lo sguardo
torvo, ma anche sollevato di rivedere l’amico tutto intero.
“Dove
cazzo sei stato?” lo lascia entrare nell’ampio e accogliente vestibolo.
Dopo
tutto il freddo preso, il tepore dei riscaldamenti concede a Diego un lieve
sollievo.
“In
giro” risponde vago.
L’amico
alza un sopracciglio. “E dove hai dormito? Sembri un barbone!”
“Se
mi lasci spiegare te lo dico!” tutte quelle domande infastidiscono il nuovo
arrivato.
“Andiamo!”
e Dado si avvia verso la cucina.
Diego
lo segue, ma teme di vedere apparire da un momento all’altro i signori
Pellegrino,
Come
se gli avesse letto nel pensiero, Dado confuta ogni suo timore.
“I
miei non tornano fino a lunedì, sono in montagna! Che cazzo ci andranno a fare
in quel posto sperduto…”
“Almeno
ti lasciano solo, quello stronzo di mio padre mi ha rinchiuso in casa per
giorni. Mi sentivo come il conte di Montecristo”
“Esagerato!”
gli scoppia a ridere in faccia, ma Diego, punto sull’orgoglio, gli sferra un
pugno sul petto. “Che cazzo ti ridi!”
“Scusa,
è che sei troppo divertente” si piega dolorante.
“Stronzo!
Meno male che avevo della roba” sogghigna.
“Che
roba?” ora Diego ha la completa attenzione dell’amico. “E ne hai ancora? Ci
vorrebbe proprio per affrontare questa giornata!”
“No,
avevo solo un paio di pasticchette e le ho prese entrambe” risponde grattandosi
la nuca “Erano in fondo all’armadio. Quelle sotto il materasso mio padre le ha
trovate” Dado mette il broncio, ma Diego è troppo preso dal suo racconto per
farci caso: “In preda all’estasi mi sono buttato dalla finestra, mi sentivo una
farfalla!” al solo ricordo il ragazzo fa una faccia sognante.
“Eri
fuori di testa, cazzo!” il padrone di casa sgrana gli occhi “Dopo che sei
scappato i tuoi hanno chiamato la polizia”
“Si
fottano quei due stronzi! No, mamma no, solo lui, quel fascista di merda!” nel
parlare del padre gli occhi fiammeggiano di rabbia. “Voleva rinchiudermi in non
so che ospedale, ma io sono stato più furbo di lui!”
“Mi
vuoi dire dove hai dormito?” gli poggia una mano sulla spalla, il maglioncino è
sporco di una polvere bianca che gli imbratta anche la mano.
“Alla
facoltà occupata”
“Merda,
sembra che sei stato in un cantiere” con uno straccio Dado si pulisce il palmo
dalla polvere di calcinacci.
“Ho
una fame!” si lamenta Diego reggendosi la pancia.
“Ho
latte e biscotti!” replica l’altro aprendo il frigo. Afferrata la bottiglia, si
avvicina ai fornelli. “Siediti e mangia!”.
“Sì,
mamma!” Diego lo prende in giro mandandolo su tutte le furie.
“Smettila!”
Dado gli mostra il pugno e Diego, rendendosi conto di quanto davvero gli fosse
affezionato l’amico, ridiventa serio. “Mi sei mancato”
“Anche
tu, non volevano ti venissi a trovare, ma appena sei sparito, tua madre ha
subito chiamato in preda al panico”
Diego
abbassa lo sguardo e Dado lo tempesta di domande: “Che intenzioni hai? Non
torni a casa? Farai meglio ad avvertirla”
Il
fuggitivo scuote la testa con decisone: “Mi ammazza mio padre! E poi, sono
sicuro che è felice di non avermi più tra le palle”
“Esagerato”
Una
volta davanti ad un latte macchiato con caffè e biscotti al cioccolato, Dado lo guarda fisso con un’espressione seria.
“Dobbiamo trovarti un posto” la sua mente fervida già sta lavorando alla
creazione di un piano.
“Tanto,
appena riesco a racimolare un po’ di soldi, me ne vado a Milano!” esclama
Diego, negli occhi una scintilla.
Convolto
da quella rivelazione, Dado lo fissa esterrefatto: “A fare che?”
Abbassando
la testa sulla propria tazza, Diego si lascia sfuggire un debole sospiro. “Voglio
cercare Michele e gli altri del gruppo, so che sono lì!”
L’amico
apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude. Conosce l’amico e la sua determinazione.
Diego
si isola, nei suoi pensieri torna prepotentemente Michele e la sera in cui lo
ha conosciuto. Non riesce a capacitarsi di come tutto sia accaduto con una
velocità tale da non permettergli di razionalizzare: la fuga da casa,
l’aggregarsi alla protesta studentesca e l’esplodere dei sentimenti per quel
ragazzo così carismatico di nome Michele…
Per
la prima volta il giovane si ritrova a riflettere seriamente quello che prova
per lui. Si chiede se sia solo infatuazione o se quell’emozione che prova, sia
vero amore. E Michele? Cosa prova? Prova
anche lui lo stesso? O si è trattato solo di un impulso dettato dal pericolo
imminente? Mille interrogativi gli si affollano nella testa confondendolo.
È soprattutto il futuro a preoccuparlo. Non sa cosa l’aspetta il domani, se la
loro città è pronta ad accettare una relazione di quel tipo. A peggiorare le
cose è anche la sua minore età. Al pensiero di Michele tra le sbarre di una
prigione, viene preso dal panico. Si porta una mano al petto, il cuore prende battere
con un ritmo troppo accelerato tanto che Diego si sente quasi come se gli
mancasse l’aria.
Notando
il suo cambiamento, Dado gli appoggia una mano sulla spalla: “Stai male? Vieni!”
e lo costringe ad alzarsi.
“Che
fai?” protesta il ragazzino con una smorfia.
L’amico
lo trascina verso la propria camera da letto. “Secondo te? Dai, fatti una
dormita che sembri un morto vivente di quel film!” gli indica il letto ancora
sfatto.
Ripensando
a quanto era ridicola quella pellicola, Diego ridacchia. “Che palle, va bene!” ha
davvero bisogno di riposarsi. Dopo essersi sfilato maglia e calzoni, s’infila
tra le coperte ancora tiepide e odorose del corpo di Dado. Diego gli chiede di
restare con lui, non gli va di dormire da solo, ma non ha neanche poggiato la testa
sul cuscino che già gli occhi si abbassano. Il sonno lo coglie improvviso non
lasciandogli scampo.
Quando
Diego si risveglia, la stanza è immersa nella penombra e da lontano gli
arrivano voci provenienti dal televisore in salone. Stiracchiandosi pensa che
da giorni non dormiva così a lungo e profondamente.
Dopo
essersi rivestito raggiunge l’amico nell’altra stanza. Il divano è sommerso da
briciole, patatine fritte e carte, mentre sul tavolino davanti un paio di
bottigliette di Coca cola. Sullo schermo si susseguono immagini di un programma
che non conosce.
Sentendo
i passi, Dado si volta di scatto “Finalmente! Temevo fossi morto!”
“Sempre il solito stronzo!” replica l’altro saltando sul divano accanto a lui. Infila una mano nel pacchetto di patatine portandosene una manciata alla bocca.
“Sempre il solito stronzo!” replica l’altro saltando sul divano accanto a lui. Infila una mano nel pacchetto di patatine portandosene una manciata alla bocca.
“Allora,
quando si parte?” Dado lo guarda ansioso.
“Che
cazzo dici! Tu non vieni da nessuna parte!” sbotta Diego rendendosi conto che
ha intenzione di accodarsi a lui.
“Ho
i soldi!” esclama il brunetto.
“Farò
l’autostop” ciancicando alza le spalle incurante.
“Sei
uno stronzo! Che razza di amico sei?” protesta arrabbiato.
“Che
palle! È una cosa mia, perché ti devi intromettere nei fatti miei?” Diego teme
che avendo con sé l’amico non possa vivere appieno il suo incontro con Michele.
“Se
non mi lasci venire faccio la spia!” lo minaccia alzando la voce e saltando giù
dal divano quasi come se avesse le molle. “Racconto ai tuoi che vai a Milano
per unirti a una banda di invasati!”
“Non
sono degli invasati!” sbotta guardandolo torvo “Che stronzo! Hai rotto il cazzo
con le tue minacce!”
“Dai
non fare il cazzone, tanto lo so che da solo non vai da nessuna parte! E poi,
non ci sono mai stato a Milano!” ridacchia felice di quell’avventura
inaspettata.
“Sei
un dito nel culo, lo sai?” Diego realizza che non può fare altro che accettare
il ricatto dell’amico. E Dado, soddisfatto di averlo convinto, si mette a
ballare, una danza convulsa intorno al divano, nella quale coinvolge anche
l’amico. In pochi istanti in preda alla frenesia saccheggiano il mobile bar
improvvisando un festino che dura fino a notte fonda e solo quando sono
ubriachi fino alla radice dei capelli si accasciano sul divano addormentandosi.
Dopo
aver smaltito la sbronza e aver preparato lo zaino con le cose necessarie alla
loro fuga, il mattino seguente, i ragazzi lasciano il grande appartamento.
Silenziosi i due si incamminano verso la periferia torinese, Una volta sono
fuori città, un maggiolone rosso si ferma caricandoli su. Il conducente, un
signore di mezza età, stempiato con gli occhi piccoli e il naso prominente, che
di mestiere fa il rappresentante di medicinali durante il viaggio fino a Rho
non fa altro che ciarlare di come si è rovinata la gioventù e dei plagi della
musica rock. I due amici ridacchiano non visti, poi stremati si addormentano
appoggiando le teste una contro l’altra.
Giunti
in prossimità di Rho, il tizio li fa scendere non prima di aver elargito
consigli su come non cacciarsi nei guai.
Una
volta che l’auto si è allontanata lasciando un maleodorante fumo nero, Diego
scoppia a ridere sbilanciandosi fino a finire per terra. In lacrime per il
troppo ridere, Dado indietreggia inciampando su un sasso e ritrovandosi con il
sedere in una pozza di fango.
Vedendo
l’amico in quelle condizioni, Diego non riesce più a controllarsi tanto che gli
ci vogliono parecchi minuti per riprendersi e riuscire rialzarsi entrambi.
Dopo
un’altra ora di cammino si fermano a riposare, stremati, all’ombra di un
albero. I piedi dei due ragazzi sono coperti di vesciche e Diego si accorge che
gli si è perfino bucato un calzino. Quel particolare scatena battutine con le
quali lo bersaglia per tutto il trafitto. È pomeriggio inoltrato quando
arrivano nel centro di Milano. Con le sue guglie, il Duomo domina minaccioso la
piazza. Diego è disorientato da tutto quel caos e dall’imponenza dei
grattacieli. Si sente un microbo, quasi si pente di aver abbandonato la sua
cara Torino per quella massa informe che gli sembra Milano. Solo i portici
pieni di gente e negozi familiari lo fanno sentire meno forestiero, gli
ricordano quelli che attraversa ogni giorno per andare a scuola.
“Ehi,
che è questa faccia! Siamo a Milano!” saltella felice guardandosi intorno.
“Che
schifo!” storce il naso.
“Hai
rotto tu per venire!” s’impunta Dado costringendolo a voltarsi.
“Ma
non rompere!” sbotta Diego strattonando per liberarsi. “Fatti un giro per conto
tuo!” e incammina verso il Duomo.
“Dove
cazzo vai!” Dado lo insegue.
“Sei
venuto, ora mi lasci in pace?” alza la voce alterato. “Sei una vera rottura di
palle”
“E
tu un coglione!” gli dà una spinta.
Cominciano
a spintonarsi fino a quando lo stomaco non ricorda loro che per la fretta di
giungere a destinazione hanno saltato il pranzo. Allora si fermano e Diego
lancia un’occhiata allo zaino che l’amico porta sulle spalle. “Che hai lì
dentro?”
“Merendine”
Dado se lo sfila per poi cacciare due confezioni di Girelle. Gliene porge una.
“Tieni”
Mangiano
in silenzio e con lo stomaco pieno si calmano anche gli animi. Diego borbotta
un “scusa” e sulle labbra di Dado si apre un leggero sorriso. Tutto è
dimenticato.
La
giornata è fredda e i due ragazzi cercano riparo nei portici o in un grande
magazzino, ma Diego è in ansia. La città è grande e non ha alcuna idea di dove
cercare Michele. Le stazioni di polizia sono tante e si rende conto che
potrebbe non trovarsi più tra le sbarre. Comincia a realizzare che forse ha
compiuto un gesto troppo avventato, che avrebbe dovuto attendere di rivederlo a
Torino, magari durante una manifestazione o una marcia. Accanto a lui, Dado si
agita come se fosse stato morso da chissà quale animale e insofferente si volta
per intimargli di smettere.
Dado
gli fa la linguaccia, poi lo trascina verso un negozio di dischi deciso ad
ascoltare le canzoni appena uscite.
Stanno
per entrare quando un vociare indistinto attira l’attenzione di Diego.
Afferrato l’amico per un braccio, si dirige verso la fonte del rumore.
Centinaia di persone affollano la galleria Vittorio Emanuele, tra le mani
striscioni e cartelli. Diego impietrisce ritornando a qualche giorno prima, il
cuore comincia a battere con violenza e il respiro diventa affannoso. Lo sguardo
si perde nella calca, alla ricerca di un volto familiare, ma sa che è solo un’illusione.
Michele non può trovarsi tra loro. Fa per voltarsi e allontanarsi quando nota una
testa riccia svettare sulle altre. Emozionato si fa avanti, le gambe tremano e
lo stomaco è sottosopra tanto che teme di vomitare. Dado accanto a lui, lo
chiama, ma la sua voce è come ovattata, la sente lontana indistinta. Occhi
scuri come tizzoni incontrano i suoi. È perduto. il mondo intorno a lui
scompare. Sta per chiamarlo, ma la fiumana di gente si chiude nascondendolo di
nuovo dalla vista di Diego. Senza perdere tempo si precipita verso la calca.
.
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Daaaiiii!!!! Finalmente si ritrovanoooo!!!
RispondiEliminami sembra che ti stai dilungando un po' troppo, ma se fosse un romanzo forse sarebbe necessario per capire i personaggi. Ma noi vogliamo l'amore.......
RispondiEliminaIl prossimo capitolo sarà tutto amore ehehehhe
RispondiEliminaNoooo!!! Ma mi lasci qui così? Speravo che si incontrassero qui!!! Quest'attesa mi snerva!!! Bello però! :o)
RispondiEliminaGrazie ragazze, sono contenta che vi sia piaciuto. Lo so che lo questi ultimi due capitoli sono stati un pò noiosi, ma mi farò perdonare con il prossimo.
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