sabato 18 maggio 2013
Tra rabbia e passione, ventesima puntata
Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una
torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina
e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere:
AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline:
Fine anni settanta
Rating: PG, slash, NC 13
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e
del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso
in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta
Diego non ne poteva più
di restare in ufficio quel giorno. Venerdì, quattro giorni che non vedeva
Michele e con tutto un fine settimana di libertà davanti: ma non erano
nemmeno le quattro, e aveva ancora due
ore almeno da rimanere incatenato alla scrivania. Sorrise tra sé: se almeno
fosse stato incatenato per qualcosa! Si rivide ammanettato con Michele alle
spalle e la divisa gli si attaccò addosso. “Perrone, che faccia! Sta pensando
alla fidanzata eh!” Il maresciallo Camporeale, appena entrato in ufficio,
rideva sguaiato come suo solito, mentre Alfredo che lo seguiva guardava in viso
Diego con espressione curiosa.
Diego arrossì ma non
rispose, limitandosi a scrollare la testa. “Avanti allora” continuò Camporeale
“si prenda le prossime ore di libertà e vada dalla sua bella! Tanto qui non c’è
molto da fare, e anche fuori la situazione è tranquilla in questi giorni.
Ringraziando Dio anche quegli agitatori della Eganap si tranquillizzano
d’estate e tutti al mare”.
Sentendogli nominare
l’Eganap Diego arrossì sulle spine ma scattò in piedi sull’attenti: “Posso
davvero? Mi dà il permesso Maresciallo?”.
“Via, via si tolga da
qua, se ne vada. Anche tu Alfredo se vuoi puoi andare, avrai anche tu i tuoi
impegni amorosi, no? Resto io al timone, tanto dove volete che vada? A casa a
discutere con la moglie? Meglio l’ufficio!” Rise ancora Camporeale mentre si
allontanava. Sapevano che non era vero, il maresciallo teneva moltissimo alla
sua famiglia, ma teneva moltissimo anche alle sue spiritosaggini.
“Beh, Diego, vai a
prepararti. Che fate stasera di bello?” Mentre uscivano a loro volta dalla
segreteria, Alfredo gli mise un braccio
intorno alle spalle, accompagnandolo verso il dormitorio.
“Mah, non so, mangerò a
casa sua credo, poi vedremo” Diego si sentiva impacciato a dover sempre mentire
al suo collega, col quale aveva recuperato un rapporto abbastanza tranquillo.
Una volta nello spogliatoio, siccome Alfredo non accennava ad andarsene e a
Diego non andava di spogliarsi davanti a lui e non per pudore, temeva che per
merito del suo piglio da detective avrebbe notato qualche segno, qualche livido
che si era procurato durante gli appassionati incontri con l’amato. Certi segni
non li avrebbe potuti spiegare senza sentirsi in difetto. Così cercò
mentalmente un pretesto per farlo allontanare ma non lo trovò e allora iniziò a
parlare a ruota libera: “Senti Alfredo, magari quando hai un po’ di tempo
volevo dirti una cosa, cioè sto pensando di fare una cosa e…” non sapeva bene
nemmeno lui perché aveva iniziato quel tale discorso, ma alla fine sentiva che
Alfredo gli era amico, gli era stato vicino come un fratello da subito; lui che
era timido oltre che riservato, aveva trovato nel giovanotto pugliese qualcuno
su cui contare. Anche quella brutta faccenda con Michele, se l’era cercata lui,
Alfredo aveva solo voluto aiutarlo.
“Ma dimmi Diego, dimmi
anche ora se vuoi” Alfredo gli teneva le mani sulle spalle, guardandolo negli
occhi.
“No, adesso abbiamo
tutti e due i nostri impegni, lascia stare. Lunedì magari, se avrai tempo”.
Diego ora non vedeva l’ora di farsi una doccia, mettersi in borghese e correre
dal suo ricciolone.
“Anticipami qualcosa
almeno, giusto cinque minuti” Alfredo ormai era troppo curioso, e poi ci stava
così bene allacciato al suo amico. “Ha a che fare con la tua fidanzata?”.
“Beh, anche. Insomma me
l’ha chiesto anche lei… io vorrei lasciare l’arma Alfredo” le ultime parole gli
scapparono proprio di bocca.
Alfredo rimase a guardarlo,
sorpreso: “Ma Diego, ma scherzi?” Gli scappò una risata cinica, poi,
comprendendo che non scherzava affatto, lo scrollò come se avesse voluto farlo
rinvenire da un sogno: “Cazzo dici! Mi pareva che ti trovassi bene qui, sei un
buon carabiniere, potresti fare carriera serio come sei, sta giusto per uscire
un concorso, potresti passare di grado. Non capisco... ” Alfredo era confuso e anche molto, molto
dispiaciuto. Stava perdendo il suo amico, lo stava perdendo definitivamente.
Odiò con tutte le forze quella ragazza per come lo stava traviando. E poi che
genere di donna era per non essere contenta di avere un compagno carabiniere?
Diego si era già pentito
di aver parlato, ora che voleva solo andarsene, ma tant’è, Alfredo non lo
avrebbe lasciato andar via tanto facilmente ormai. Dandosi mentalmente
dell’idiota, allargò le braccia: “Ma non è niente di deciso, Fred, è solo un
pensiero. Mi… Mirella la mia ragazza, ha paura che mi succeda qualcosa, sai
dopo i fatti di Milano e Roma, ne hanno ammazzati due in due settimane, lei si
è spaventata… ma non so, ci devo pensare ecco. La settimana prossima, va
bene?”.
“Certo Diego, a
disposizione. Capisco la paura a un certo punto arriva sempre per tutti, ma poi
si supera sai? Comunque ne parleremo lunedì” si strinsero la mano e mentre
Alfredo usciva finalmente dallo spogliatoio, Diego sospirò, grato di essere
solo: quel giorno aveva perso anche
troppo tempo. Si fece la barba e si sistemò i baffetti con le forbicine,
guardando soddisfatto la su abbronzatura allo specchio: a Michele sarebbe
piaciuto. Gli aveva detto che stava bene abbronzato, visto che gli ultimi
allenamenti li aveva fatti al mare anziché in piscina.
Ottenne finalmente la sua
agognata doccia e si rivestì velocemente con jeans e t-shirt azzurra.
Infilandosi le All-star valutò che
avrebbe potuto comprarsi anche lui un paio di sandali come quelli di Michele.
Dopo magari, dopo le dimissioni. E dopo aver trovato un lavoro. Ma non pensiamoci ora, mi aspetta una serata
bellissima, niente pensieri cupi!
Coi capelli ancora
bagnati si gettò a capofitto per le scale.
Mentre camminava verso
casa, Alfredo rimuginava sulle parole di Diego: non riusciva a capire quella
decisione, lui che amava l’arma, che ne traeva tante soddisfazioni. Si sentiva
tradito da Diego: ma come, gli aveva offerto tutta la sua amicizia, tutto il
suo appoggio… aveva anche rischiato grosso per dare una lezione a quel brutto
delinquente del Salvemini, e adesso lui lo ripagava così? Entrando nel portone
di casa sua tirò un pugno al muro, turbato e arrabbiato. Ma gli avrebbe fatto
cambiare idea, Diego lo ascoltava: lunedì gli avrebbe parlato, e l’avrebbe
fatto ragionare perbacco, a costo di prenderlo a schiaffi.
Giunto sul pianerottolo
Diego prese un gettone dalla tasca e si precipitò al telefono, trovandolo
occupato da un giovane collega. Pestando i piedi a terra gli fece cenno di
muoversi; dovette aspettare cinque minuti prima di ottenere l’uso
dell’apparecchio. Il collega lo mandò a quel paese alle sue rimostranze, ma
Diego non gli badò, inserì freneticamente il gettone, e con altrettanto
entusiasmo fece il numero di casa Salvemini.
Gli rispose Salvo, che
lo salutò festoso: “Diè, ragazzo come stai? Sono giorni che non ti vedo.
Cercavi Michele? Non è ancora tornato, forse è passato là alla radio”.
“Ah, capisco”
l’entusiasmo di Diego crollò mentre pensava che era stato inutile avere quelle
ore se non poteva passarle con Michele: “Dovevamo vederci per andare a
Molfetta, siccome sono già libero, speravo di trovarlo per uscire prima… niente
dai, grazie signor Salvemini”.
“Senti Diego, vieni qui,
lo aspetti qui, così appena arriva potete andare. Dai che ti aspetto”.
Perché
no?
“Va bene, allora arrivo. Grazie, a tra poco” depose il ricevitore e scattò
fuori dall’edificio.
Camminando spedito sul
marciapiede si sentì così libero, così felice che il cuore fece la sua solita
giravolta. Non ci fece caso, e in pochi minuti arrivò sotto casa di Michele.
Suonò al citofono e la voce di Salvo gli ordinò di salire.
Trovò la porta socchiusa
ed entrò in casa, dove l’uomo lo attendeva in cucina. “Eccoti Diego, vieni, vieni avanti. Vuoi qualcosa da
bere? Una birra fresca? O un bicchiere di vino”.
Sedendosi Diego scrollò
la testa: “No grazie signor Salvemini, sto bene così” rifiutò gentilmente, poi
si asciugò la mano sudata sui jeans.
“Devi chiamarmi Salvo,
te l’ho già detto, qui di signori non ce n’è. Assaggia quello che bevo io,
birra e gazzosa, è buona Diè. Dai, assaggia”.
Rassegnato ma
sorridente, Diego assaggiò la bevanda e la trovò buona. Stava mandando giù il
secondo sorso quando risuonò il campanello del citofono, e mentre Salvo andava
a rispondere, Diego corse sul terrazzino col cuore in gola. Eccolo il suo
Michele, in calzoncini corti e canottiera: “Michi! Sono qui!” gli urlò e vide
Michele alzare gli occhi, schermandoli dal sole con la mano. Nell’accorgersi di
lui un sorriso gli illuminò il volto: “Hey Giulietta! Butta la treccia dai, che
salgo da qui!”.
Ridendo Diego gli fece
segno di salire, e appena entrato dalla porta Michele lo cercò con gli occhi in
cucina: vide il suo ragazzo che si tratteneva a stento dall’abbracciarlo. “Ciao
Diego, sei in anticipo! Meglio così, andiamo via prima. Senti, vieni un attimo
di là che mentre mi cambio ti parlo di quella cosa che ti dicevo, per gli
incontri alla radio, no?”.
Sorridendo a Salvo,
Diego seguì Michele nella sua camera, e fece appena in tempo a richiudere la
porta dietro di sé che era già stretto tra le sue braccia: “Diè sei fantastico
stasera, potrei divorarti! Che hai fatto? Sei più abbronzato, e questi capelli
così biondi” si impossessò della sua bocca, baciandolo finché a Diego girò la
testa per la mancanza d’aria. Una volta staccati, Diego ficcò come suo solito
la testa nell’incavo del collo di Michele: “Michi, sai di buono! Il tuo
profumo… Dio Michi mandami fuori da qui o non ce la farò a resistere” ansimò.
“Allora dai, vai di là
Diè, io mi preparo e andiamo via subito. Sarà una serata speciale per noi, non
vedo l’ora di essere alla sagra: sono curioso di sapere se ti piacerà”. Diego
gli accarezzò il viso e dopo un ultimo bacio tornò in cucina a chiacchierare
col signor Salvemini.
Michele fu velocissimo a
cambiarsi, e dieci minuti più tardi arrivò in cucina: prese il bicchiere di
Diego e finì la bevanda, nonostante le rimostranze del padre che lo esortava a
comportarsi bene, quindi gli tese la mano per farlo alzare: “Coraggio Diè,
andiamo che la sagra Molfettese ci aspetta! Ciao pà, ci vediamo... domattina!”
sorrise. Sapeva già che avrebbero fatto molto tardi.
Diego si alzò, guardando
Michele incantato: con quella maglietta rossa i suoi occhi neri avevano dei
riflessi d’orati, come lingue di fuoco.
Scesero veloci le scale
e si incamminarono per raggiungere l’auto, parcheggiata dietro l’angolo.
Michele guidò velocemente e non appena uscirono da Bisceglie, Diego prese la
sua posizione preferita, appoggiato alla spalla del compagno. “Michele, vestito
di rosso sei assolutamente bellissimo. Sarò geloso per ogni occhiata che ti
lanceranno, lo so già”.
Michele lo abbracciò
scoppiando a ridere: “Ma piantala! Tu piuttosto, in azzurro sei bellissimo:
biondo e abbronzato. Le manette? Dovrò incatenarti a me, per non farti portare
via, angelo mio” si piegò a baciargli la fronte rammentandogli che lo amava
tantissimo. Diego si godeva le parole di Michele, e in lontananza si vedeva già
Molfetta. “Parcheggiamo qui? Facciamo qualche passo a piedi, anche perché
guarda che casino che c’è già”.
Una volta scesi, si
incamminarono tra il fiume di persone che si stava avviando verso il centro
della festa.
Più andavano avanti e
più rischiavano di smarrirsi nella folla multicolore che camminava allegramente
insieme a loro. Michele piazzò un braccio intorno alle spalle di Diego,
tenendoselo vicino con aria possessiva. Non si sentivano a disagio, anche altri
ragazzi si tenevano abbracciati così per non perdersi; man mano che si
avvicinavano alla piazzetta dove erano montate le cucine, nell’aria si
cominciava a sentire il buon profumo di cibo. “Diè, preferisci mangiare subito
e poi girare finché le gambe non ci abbandonano, dimmi tu” guardò l’amico che
aveva gli occhi luccicanti mentre si guardava attorno: “Dai, non hai ancora
visto niente e hai già le stelle negli occhi? Chissà fra qualche ora…”.
“Ma è già bello Michele
vedi? Tutta questa gente felice, colorata, si conoscono, si salutano da
lontano, è già bello così. Non capisco una parola di quello che si dicono,
dovrai farmi un corso rapido, ma è bello, è festa no? È tutto più caldo qui,
non solo il clima” il giovane, abituato a vivere in una realtà dove la gente
usava essere contenuta, più fredda anche, trovava entusiasmante tutta quella
agitazione, quell’allegria.
“Vediamo di accaparrarci
un posto per sedere a mangiare và”. Per
un po’ si aggirarono in mezzo ai tavoloni di legno finché ne trovarono uno con
due posti liberi. “Che ne dici Diego? Dovremo stringerci un pochino, ma ci
stiamo”.
“Un vero peccato dover
stare così appiccicati, ma va bene per questa volta”. Diego si stringeva al
fianco di Michele, anche se in verità c’era ancora un po’ di spazio alla sua
sinistra, ma tanto valeva approfittare della situazione!
“Facciamo i turni, o
vado io e scelgo anche per te? Dimmi come preferisci Diego”.
“Mi fido, quello che
prendi tu per me va bene” glielo disse con un sorriso fiducioso che Michele
trovò irresistibile. Fingendo di parlargli all’orecchio gli diede un bacetto
sulla guancia, quindi si avviò verso gli stand, lasciando Diego sognante a
guardarlo allontanarsi.
Michele tornò con un
vassoio appesantito da due piatti di orecchiette e due calzoni. “Per te con le
cime e per me ragù. Così ci scambiamo”.
Vicini, con le mani
intrecciate sotto al tavolo, mangiarono con gusto: “Per fortuna sei mancino
Diè, guarda come stiamo bene così. Tieni, assaggia il ragù, è buonissimo” gli
avvicinò la forchetta alle labbra, guardandolo affascinato: “Ti assaggerei io a
te Diè, sei troppo bello davvero stasera; se non ci fosse tanta gente
attorno…”.
Diego sorrise: “Tieni,
assaggia la mia, è buonissima: pensa che in sei mesi che sto qui non le avevo
ancora assaggiate le orecchiette!” Gli occhi gli ridevano, la bocca gli rideva,
Michele pensò che non c’era nulla che non ridesse ora nel visetto felice di
Diego. Mentre le orecchiette sparivano nella bocca di Michele, Diego si
mordicchiava il labbro inferiore: “Che poi Michi, probabilmente se ci buttassimo
sotto al tavolo e facessimo l’amore, non se ne accorgerebbe nessuno, proprio
perché c’è fin troppa gente”.
“Zitto piccolo, non
provocarmi. Tieni, assaggia il calzone. È talmente una specialità che nei paesi
qui intorno non la fanno, nemmeno a Bisceglie, nonostante sia a pochi
chilometri, usano, o osano, farla. C’è dentro di tutto, pesce, cipolla, olive,
ricotta: dai assaggia”. Diego diede un morso a quella specie di focaccia
ripiena: “Buono! Che meraviglia di sapori!”.
Michele era beato che a
Diego piacesse così tanto la cucina e la gente della sua terra.
Scambiandosi dolcetti
alle mandorle e carezze sulle gambe sotto al tavolo, finirono le loro birre,
quindi si alzarono per lasciare il posto a chi doveva ancora magiare e
tornarono ad esplorare la sagra.
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Che meraviglia, così felici che si godono quelle ore tutte per loro, lontani da chi può riconoscerli. Finalmente liberi di essere loro stessi anche in mezzo alla gente. Peccato che ci sia sempre l'ombra di Alfredo ad incombere su di loro. Perchè deve rompere sempre? Uff
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