martedì 14 maggio 2013
Tra rabbia e passione, diciannovesima puntata
Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una
torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina
e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere:
AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline:
Fine anni settanta
Rating: PG, slash, rigorosamente NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della
fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali,
abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta.
Capitolo 19
Entrando
in casa furono accolti dal profumo della pasta al forno: Salvemini li chiamò
dalla cucina: “Ah, Diego, ci sei anche tu? Sono proprio contento. Ho già la
teglia nel forno, ce n’è per tutti. Lo so Michele che fa caldo, e che accendere
il forno ha peggiorato la situazione, ma avevo proprio voglia di mangiarla”.
“Hai
fatto bene pà, soffriremo il caldo, ma mangeremo benissimo. Diego vuoi andare a
farti il bagno per primo? Così poi ci mettiamo a tavola”.
“No,
ma fa lo stesso, non voglio disturbare…”
Salvo
contestò: “Ma che disturbare, fai come se fosse casa tua Diego, vai, vai
tranquillo. Michè, accompagnalo fai strada”.
Michele
sorrise guardando Diego negli occhi con aria complice: “Vieni Diego, ti mostro
la vasca”.
Anche
a Diego scappava da ridere, ma si trattenne e seguì l’amico nel corridoio. In
bagno Michele aprì l’acqua e attese che la vasca si riempisse, mettendosi
seduto comodo sul bordo. Quindi si rivolse a Diego: “Dai spogliati, buttati
dentro”.
“Ma…
tu vai però” Diego lo fissava stupido in attesa.
“E
no che non vado piccolo, non mi perderei mai lo spettacolo di te che ti spogli”
Michele si appoggiò al muro a braccia incrociate, lo sguardo malizioso.
“Ma…
Michele! C’è tuo padre in cucina! Non possiamo, non puoi cioè…”.
“Dovremo
abituarci, si abituerà anche lui vedrai, ma prima dobbiamo abituarci noi a
essere naturali. Vai Diego, vai fatti ‘sto bagno che poi tocca a me e poi
andiamo a cena. Abbiamo già mangiato, ma a un po’ di pasta al forno non si
rinuncia mai!”.
Diego
rimase a pensare un attimo, guardandosi intorno come a cercare una via di fuga.
Infine, rassegnato, piazzò gli occhi in quelli di Michele, e cominciò a
togliersi la maglia: “Va bene Michi, obbedisco”. Rimase nudo davanti a lui
guardandolo con aria di sfida: “E ora che facciamo?”.
Michele
si alzò e lo attirò fra le sue braccia: “Il mio piccolo si ribella? Possiamo
fare tante cose”. “No Michi, non così, non adesso che tuo padre è qui a pochi
passi. Non si può”. Diego cercò di divincolarsi dalle sue braccia, ma Michele
lo tenne stretto e iniziò a baciarlo, ottenendo l’immediata resa di Diego, che
si attaccò al suo collo e staccandosi un attimo da lui gli sussurrò: “Mio dio
Michi, che effetto mi fai, quanto ti amo, quanto... ”.
Ghignando
Michele rispose: “Oh, lo sento che effetto ti faccio. Dai biondino, entra,
forza”. Lo spinse dentro alla vasca e inginocchiatosi di fianco cominciò a
insaponarlo con dolcezza: “Come sei bello così abbronzato, sei bellissimo, sei
il mio bellissimo ragazzo” mentre lo insaponava l’eccitazione di Diego cresceva
sempre di più, fin quando Michele si appropriò del sesso teso, iniziando un
nuovo tipo di massaggio.
“No
Michele, no non puoi, non farlo...” la voce di Diego era poco più di un roco
sussurro e il tono diceva tutt’altro, diceva: ti prego non smettere!
“Sì
che posso Diè, e tu lo vuoi vero? Dimmelo Diego, dimmelo che lo vuoi” glielo
chiese a voce bassa ma autoritaria, continuando a masturbarlo.
Appoggiandosi
all’indietro nella vasca Diego lo guardò con occhi languidi, e a voce sempre
bassa ma implorante stavolta esalò: “Sì Michele, si che voglio, continua ti
prego, continua”.
Michele
proseguì finché non lo vide mordersi il labbro inferiore per trattenere le urla
e irrigidirsi. Quindi si chinò su di lui impossessandosi della bocca e
baciandolo fino a farlo rimanere senza fiato.
“Non
dovevamo” furono le prime parole di Diego appena fu in grado di parlare “ma è
stato bellissimo Michi. Un altro bacio, poi esco; ti prego” si mise in
ginocchio e abbracciò Michele, che sogghignando gli rispose: “T’ho baciato solo
per non farti urlare: hai questo brutto vizio quando vieni tu”.
Diego
rise: “Che stronzo che sei!”. Si strinsero ridendo e dopo un ultimo bacio Diego
uscì dalla vasca mentre Michele gli avvolgeva un telo intorno alle spalle: “Vai
piccolo, và a vestirti, tra poco arrivo” gli diede una pacca sul sedere e si
immerse a sua volta nella vasca, lavandosi velocemente e raggiungendo poco dopo
Diego nella camera da letto.
Rivestiti
si avviarono verso la cucina. “E se ci ha sentito Michi? Che figura, cioè,
chissà cosa penserà” sussurrò Diego all’orecchio di Michele, che scrollò le
spalle: “Ma no, il bagno è dalla parte opposta, non può aver sentito niente.
Comunque dovrà abituarsi, te l’ho detto”. Si sedettero a tavola, col signor
Salvemini contento di avere compagnia a cena e particolarmente ciarliero.
Fecero
onore sia alla cena che a una bottiglia di vino rosso prodotto dallo zio
Peppino, e i discorsi che seguirono alle libagioni furono parecchio
interessanti. Addirittura si arrivò a parlare di omosessualità e l’anziano mise
subito in chiaro: “Non ho mai detto ai miei figli con chi fare i loro comodi.
Perché sono i loro no? Io sono per vivi e lascia vivere. Tu che ne pensi
Diego?” Preso in contropiede il carabiniere arrossì di botto. E non rispose,
per questo Michele gli assestò un calcetto sotto il tavolino: “Sono d’accordo!”
Diego lo urlò quasi, per poi tracannare alla svelta un bicchiere di vino pieno
fino all’orlo con il quale per poco non si strozzò e facendo così esplodere una
bella risata maschile collettiva.
Continuarono
a chiacchierare di quello fino a tardi, quindi si coricarono; Michele avvisò il
padre che Diego avrebbe dormito lì con loro, vista l’ora tarda, e lui non ebbe
niente da ridire. Salutò Diego e tornò nella sua stanza. Anche loro si chiusero
nella camera di Michele e si buttarono sul letto sospirando. “Mamma mia Michi,
mi gira la testa, quel vino è fortissimo, io non ci sono abituato”.
“È
stata una giornata impegnativa Diè, sei stanco per quello: ore e ore di sole,
mare e sesso! Non preoccuparti comunque, è tardi e abbiamo bisogno di dormire,
soprattutto tu, che hai due occhiaie terribili e devi alzarti presto
domattina”. Michele lo prese tra le braccia a dispetto del caldo, e Diego vi si
rannicchiò. Stettero in silenzio per un po’, tanto che Michele pensò che Diego
si fosse addormentato, poi quest’ultimo mise la mano sul suo viso,
accarezzandolo teneramente: “Michele, oggi sono stato così felice con te: mi
spiace per stamattina, non avrei mai voluto spaventarti, e mi secca anche un
po’ questa debolezza che ho, a volte”.
“Anch’io
sono stato felice, sono felice ancora adesso. E non aver paura a mostrarti
debole Diè, siamo umani perbacco. Io ti amo e amo tutto di te, anche queste tue
paure, quella che chiami debolezza: sei solo più sensibile di altri. Ma ti amo
così”.
Diego
annuì continuando a coccolarlo, le sue dita tra i peli scuri del petto
sembravano quelle di un pianista che accarezza i tasti: “Michi, aiutami!”
Annunciò ad un certo punto, la voce sottile ma solenne: “Troviamo una
soluzione, un... un qualcosa, un lavoro qualsiasi, io voglio vivere con te!” Chiuse
gli occhi e Michele si mise di fianco per guardarlo in volto, come a volersi
accertare che fosse serio, che non si stesse burlando di lui. “Non voglio
tornare in caserma, non voglio più fare il carabiniere, voglio essere libero di
stare con te”.
Michele
lo strinse più forte: “Che bello sentirtelo dire! Che bello amore mio” era
commosso a dir poco: era convinto che alla fine Diego ci tenesse davvero alla
divisa che portava. Forse ci teneva ma, evidentemente, teneva di più a lui. “Ti
aiuto, certo che ti aiuto. Ora mi metto in movimento e vedrai che troviamo
qualcosa in fretta. Grazie Diè, mi fai ancora più felice. Vieni, stringimi
piccolo” si strinsero e si baciarono e restarono abbracciati anche quando il
sonno li sorprese.
Per
i successivi cinque giorni riuscirono a vedersi una volta sola, per un’ora e
con il padre di Michele in casa. Non successe niente di sessuale. A Michele
toccava il pomeriggio e Diego, che era sempre costretto a dividersi tra il
lavoro e gli allenamenti, restava bene poco per scappare da lui. Quando lui
smontava Michele era alla Eganap. Quando Diego era in servizio, Michele libero
di tornare ai suoi impegni con quelli della radio. Andò avanti così fino al
sabato quando, finalmente, riuscirono ad incontrarsi per un appuntamento degno
di questo nome. Diego dové divincolarsi non solo da Alfredo che voleva a tutti
costi trascinarlo ad una processione per una certa Madonna, ma anche dal
maresciallo Camporeale, che lo aveva invitato al compleanno della figlia: “Ma
come, finalmente ti presento a Loredana e tu scappi?” Commentò ma poi gli altri
carabinieri gli ricordarono che Diego ormai la ragazza l’aveva. E tutto finì
con una risata. Come un’anguilla Diego si divincolò e, alla fine, riuscì a
raggiungere Michele. Attese che fosse tutto tranquillo e finalmente suonò al
citofono. Michele si affacciò sorridendo. Portava solo i bermuda e Diego amò di
più l’estate.
“Sali”
“Salgo
certo” rispose e, divorati i gradini, raggiunse il portoncino socchiuso.
Michele lo accolse in un abbraccio. “Non c’è tuo padre vero?”
“Di
sabato sera? Forse una volta! Ora non lo tengo più, sembra un adolescente.
Appena può esce!”
“A
proposito di ormoni sottosopra...” Diego gli infilò le mani in quella specie di
costume: “Mi sei mancato tanto amore” e lo baciò.
“Dimostramelo!”
Michele lo fece accucciare e Diego lo amò con la bocca dando il meglio di sé e
dimenticò che erano sei giorni che non gli faceva niente. Michele non fece
niente per trattenersi e dopo essere venuto, scoppiò a ridere. “No Diego, scusa.
Non volevo ridere. Cazzo ora ti ho rovinato la camicia!”
Diego
sorrise a sua volta: “Beh, ma che fa, è caldo e tra poco si asciugherà no? Ora
andiamo fuori a mangiare. Voglio fare l’amore dopo, per bene! E ti voglio
sazio” dopo un altro bacetto Michele si decise a vestirsi.
Tornarono
a casa dopo le undici ma notarono subito le luci del salone accese. “Papà è già
tornato, non è cosa”
“Non
esiste Michi, io voglio urlare stasera”.
Alla
sola idea, Michele ebbe un’erezione fulminea. “Cazzo che ti faccio urlare. Le
hai portate le manette?”
“No,
che diamine!” Diego stette alla pantomima.
“Peccato
perché si torna alla cascina” e così si avviò verso la campagna. Qui però
ebbero un’altra spiacevole sorpresa. I nuovi proprietari del casale abbandonato
stavano ristrutturando. Ora tutto era ridotto in macerie. Al posto della
cascina un buco e accanto una scavatrice e tutto intorno picchetti che
delimitavano l’accesso. Per scongiurare che qualcuno venisse a rubare gli
attrezzi, c’erano fari accesi ovunque. “Cazzo che intoppo da paura Michi”
“E
questa?” Michele ridacchiò: “Da dove esce fuori? Intoppo da paura è una tipica espressione piemontese vero?”
“Ahaha,
no dai! Il mio collega romano me l’ha insegnata, quando ero a Milano. Troppo
bello il dialetto romano Michi, è pure così eccitante”
“Ma
pensa un po’, eccitante?” Michele si finse geloso.
“Beh
ma anche il pugliese lo è” lo rassicurò carezzandogli il braccio.
“Certo,
ma certo! Però non eccitarti troppo a sentirmi parlare. Non possiamo di certo
farlo qui. Con tutte queste luci qualcuno dalla statale potrebbe notare la
macchina” sospirò: “Della nostra cascina non è rimasto nulla”
A
Diego fece tristezza ma la voglia di fare l’amore con Michele era più forte
delle nostalgie. “Andiamocene dai, troviamo un altro posto”
“Lo
troviamo per forza un altro posto. Tu muori di voglia piccolo e anche io, non
mi accontento mica dell’aperitivo che mi hai dato prima, anche se non mi
lamento. Però non mi piace venire così presto, non ci sento il gusto che
dovrei”
“Riparti
Michi...” lo pungolò con dolcezza. A l’auto ripartì a tutta birra.
Fecero
qualche chilometro alla cieca, poi, stanco e innervosito, Michele imboccò
l’unica stradina sterrata che non sembrava condurre in qualche casa. Parcheggiò
sotto un grosso ulivo che aveva tutta l’aria di essere lì da qualche secolo. “Spogliati
subito Diego!” Ordinò perentorio ma lui aveva già le dita nelle asole dei
pantaloni.
“Sì,
certo che mi spoglio amore” non si tolse nemmeno la camicia e Michele si limitò
ad abbassarsi i calzoncini fino alle ginocchia e a prenderselo in braccio.
Tentò di entrare ma il manubrio dava a Diego poca mobilità, così aprì la
portiera in modo da farlo sistemare comodo sopra di lui. “Così va bene Michi,
così va bene”
“Va
bene no?”
Oddio,
comodo proprio non lo era! Ma quel che contava che fossero di nuovo uniti.
Diego si aggrappò con la mano destra alla capotta e con la sinistra prese a
lisciarsi la punta del sesso, più per prolungare che per venire. Infatti
dovette pensare ad Alfredo che lo voleva per forza trascinare alla processione
della madonna del Pozzo per non arrivare troppo presto.
“Oh
porca troia!” così esalò Michele dopo essere venuto e crollò con la schiena sul
sedile del passeggero.
“Non
abbiamo nemmeno fazzolettini, che casino” Diego si rialzò e tentò di superare
Michele, che, dopo essersi tirato di nuovo a sedere, lo lanciò sul posto del passeggero. “Hai ragione, dobbiamo organizzarci un minimo. Ora non dico di
portarci i quotidiani e tappezzare tutto ecco, ma quanto meno delle salviette
cazzo! Questa macchina è già un bel porcile di suo, se iniziamo a scoparci
tutti i giorni, sarà impossibile portarci qualcuno”
“La
nostra alcova Michi” Diego sorrise poi si rabbuiò: “Uno dei motivi per cui
vorrei vivere con te, perché vorrei lasciare l’arma”
“Scopare
in un comodo letto è sicuramente allettante Diè, ma non mi sembra una ragione
sufficiente per lasciare i carabinieri. Oggi è un caso che papà fosse tornato.
Magari era stanco, o era stanco Peppino, che cazzo ne sappiamo. Comunque di
occasioni per sfruttare il mio letto ne abbiamo”
Diego
si risentì mentre cercava di capire dove fossero finiti i suoi slip. “Sembra quasi
che tu mi stia smontando. L’ultima volta che ne abbiamo parlato sembravi
entusiasta all’idea che lasciassi l’arma!”
“Certo,
lo sono” precisò: “Ma non voglio che tu prenda una decisione avventata. Tanto
anche se vivessimo insieme, io a mio padre non posso cementargli le orecchie. E
tu dovresti comunque abituarti a farlo con lui per casa. Sei disposto a tutto
questo per me?” Lo fissò provocatorio.
Diego
annuì: “Non è solo per dormire insieme, no Michi. Non è solo per questo. È ciò
che volevi sentirti dire no?”
“Va
bene Diego, che sei intelligente l’ho capito da un pezzo. Ecco, sei molto
intelligente e profondo e sensibile. Insomma sei sprecato per fare il
carabiniere. Ma dopo? Non puoi fare il nuotatore di professione, non ci tiri su
uno stipendio, no? Allora che fai? Lo sai che qui stanno chiudendo tutte le
fabbriche. Potremmo andarcene certo. Potremmo andare all’estero. Anche per fare
come ci pare. Tipo in Germania o in Svezia c’è molta più apertura mentale
rispetto a quelli come noi. Ma mio padre? Io non me la sento di lasciarlo solo
e lui non se ne andrebbe mai da Bisceglie. A sessantotto anni Diè, lo biasimi?”
Diego
sospirò: “Ma che biasimo. Resteremo qui, certo. Resteremo e magari lo
ricostruiremo insieme questo paese di merda, che non permette al sud uno
sviluppo e a due uomini di amarsi”
“Come
sei romantico” Michele non lo disse ma dietro alla parola ‘romantico’ si
nascondeva un altro termine: utopistico.
“Lo
so cosa pensi Michi, lo so. Sono un idealista vero? Un sognatore, altrimenti
detto povero illuso. Ma se tutti continuiamo a fregarcene e a lasciare che
tutto vada così, con le logge e le omertà varie, non ci riprenderemo mai le
nostre vite. E riferito al discorso dell’omosessualità, lo sai che a Roma nel
‘71 è stata
fondata la prima associazione del movimento di
liberazione omosessuale italiano?”
“No, non lo sapevo” si
accigliò Michele. Di lotte ne aveva fatte tante per quelli della propria specie,
operai schiacciati dal padrone, proletari, ma mai avrebbe pensato di dover
prestare soccorso a quel tipo di battaglia, a quel tipo di minoranza. Non
avrebbe mai pensato di far parte di una minoranza. Diego continuò a spiegare
infervorandosi: “Si chiamava FUORI! , è
una sigla, sarebbe il Fronte
unitario omosessuale rivoluzionario italiano. Ma vuol dire anche uscire
fuori, no? Qualcuno di loro si sente libero di dire quello che è, che gli piace
il cazzo Michè! Che gli piace il cazzo anziché quella meraviglia che hanno le
donne tra le cosce? E allora? Si sentono liberi di vestirsi anche da donna se
vogliono. Di fare ciò che vogliono!”
“E sono coraggiosi Diè,
gliene rendo atto. Ma qui non sei a Roma, non siamo in una grande città. Qui
siamo a Bisceglie. Il buco del culo del mondo, cristo” dopo essersi
riabbottonato i pantaloni Michele domandò preoccupato: “Ma anche fosse... dico,
lasciassi l’arma, non te ne andresti in giro vestito da donna, ve’ Diego? Cioè
anche se fosse... però boh... ”
Diego scoppiò in una
risata enorme, ma pur notando l’ansia che aveva attanagliato il compagno, non
resisté all’impulso di prendersi un po’ gioco di lui: “Ma come Michi! Certo che
sì” imitò una voce fintamente femminile: “Mi rifarò tutto il guardaroba. Solo
gonne plissettate, reggipetto imbottito e camicette con pizzi ovunque. E
chiaramente mi truccherò. Tanto rossetto sotto il baffo. Sarò uno schianto!”
Anche Michele rise, ma
rise forte, fino alle lacrime: “Bene, stai scherzando ecco, per fortuna perché
io non lo so se mi sarebbe presa bene a saperti in giro truccato e vestito come
mia madre. Non ci posso pensare! Ma tu sei una sagoma Diè, ma dove la trovi
tutta questa energia? Però sul serio, non ti piacerebbe vero?!”
“No Michele, non mi
piacerebbe! Non voglio scappare a Casablanca. Il cazzo mi piace talmente che
adoro persino il mio, non ho assolutamente intenzione di rinunciarci! E poi
sono certo che non imparerei mai a camminare con i tacchi” concluse ridendo.
“Ti amo, basta!” Michele
lo baciò e lo abbracciò finché i loro baci non furono interrotti dal rumore dei
fuochi d’artificio poco lontani. “Questo è un periodo pieno di feste Diè. Ti
piacerebbero. Tu non ci sei ancora stato. Però la sagra che diceva Alfredo è
bella. La strada brulica. Tutti in giro, poi ci sono le bancarelle con i
dolciumi, la gente che balla, i fuochi d’artificio”
“Mi piacerebbero eccome”
a Diego brillavano gli occhi.
“Allora ti ci porto. Non
a Bisceglie, certo. Ma tipo la prossima settimana inizia la sagra Molfettese. È
bellissima Diè, ci andiamo per forza. Mangiamo all’aperto, vediamo i fuochi e
ascoltiamo la musica. Anche perché se ti porto sempre a cena fuori e poi di
corsa a scopare, tra poco me lo rinfaccerai”
“E sì, te lo rinfaccerò.
Ho voglia di passare una serata come una coppia qualsiasi. E pure tu, vero?
Abbiamo voglia di normalità”
“Certo, abbiamo voglia di
stare insieme e basta, e magari fregandocene pure del resto. Si può fare. Non è
venire fuori ma quasi no?”
“Quasi sì” grato e
commosso Diego lo abbracciò. Dopo tante coccole decisero che era giunto il
momento di tornare a casa.
Etichette:
AU,
Caparezza,
Diego Perrone,
eros,
fanfiction,
storie a capitoli,
Tra rabbia e passione
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Che dolci che sono quando fanno progetti sulla loro vita insieme. Peccato doversi scontrare con la realtà retrograda e ristretta del piccolo paese. Meno male che riescono sempre a ritagliarsi dei momenti per stare insieme, amarsi e coccolarsi. Sono così sexy nella scena della vasca da bagno. Siete riuscite a renderne perfettamente la sensualità e l'eroticità, come anche quando si amano in auto sotto l'ulivo. Che droga sono. Non riuscirei a farne più a meno
RispondiEliminaPerché noi sì? XD
RispondiElimina