Titolo: Sui gradini di San Francesco
Autori: Annina
Pairing: Diego
Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo
Rating: PG, slash, NC17
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali,
ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica.
II Capitolo
Diego e Michele
hanno raggiunto la gelateria e ordinato due coppe enormi di gelato: affogato al
caffè per Michele, primavera ai frutti di bosco per Diego. Seduti vicini si
scambiano baci e cucchiai di gelato, indifferenti alle occhiate dei pochi
clienti attorno a loro.
“Michi, però noi
non riusciamo mai a stare da soli. Non dico da soli in giro, mi sta bene stare
con gli amici. Io dico da soli dopo, ecco” Diego lecca il cucchiaino velato dal
succo dei frutti, guardando il compagno negli occhi con intenzione.
Michele si mette
a ridere: “Che spiegazione Diego! E com’è fortunato quel cucchiaino! Hai
ragione, non siamo ancora riusciti a fare un po’ di… esperienza vuoi dire? Ma
come facciamo? Abbiamo le nonne che non si muovono mai di casa, dove diavolo
possiamo andare? Sono anche mesi che piove ininterrottamente, non possiamo
nemmeno andare nei prati, e non abbiamo una macchina” Michele enumera sulle
dita della mano.
“Però io ho
voglia di stare con te. Non so come, ma ne ho una voglia matta Michi” la mano
di Diego accarezza la gamba di Michele, risalendo lentamente fino a trovare il
punto più sensibile. Michele gliela ferma: “Diè, ci vedono dai, stai calmo”.
“Ma chi ci
guarda? Ci sono tre gatti e son tutti girati dall’altra parte, poi c’è la
tovaglietta” si libera dalla mano di Michele e con decisione appoggia la sua al
sesso di Michele che si risveglia dolorosamente nei jeans. “Ha-ha! Lo sapevo,
visto che anche tu ne hai voglia?” Diego glielo dice con espressione trionfante.
“Ma Diego che
discorso, certo che ne ho voglia! Ma mica possiamo buttarci sotto al tavolino
no?” vedendo l’espressione mogia degli occhi di Diego gli vien da ridere: “Oh,
piccolo, sei terribile” ma anche lui allunga la mano e accarezza Diego, al quale sfugge un piccolo lamento: “Io non ce la faccio più”. Michele gli sorride e
china la testa per baciarlo. Quando si staccano Diego ha lo sguardo smarrito:
“Hai peggiorato la situazione. Se fossi a casa, sarei già in bagno a toccarmi
pensando a te. Anzi probabilmente sarei anche già venuto pensando a te”.
Michele si batte la mano sulla fronte scrollando i ricci e ridendo: “Sei
tremendo. Ma hai ragione, probabilmente anch’io sarei nella tua stessa
situazione. Dai finiamo il gelato che si disfa” Michele riprende il cucchiaino.
Diego lo guarda
speranzoso, mordendosi il labbro inferiore: “E poi? Che facciamo poi?”.
“Andiamo al
Lunapark, non volevi andare sul battello?” Michele non lo guarda più: è sicuro
che se vedesse ancora per un attimo i suoi occhioni imploranti, il suo mordersi
il labbro, perché è sicuro che se lo sta mordendo, potrebbe davvero trascinarlo
sotto al tavolino!
“Già, sul
battello. Va bene” alzando le spalle com’è sua abitudine, Diego riprende a
mangiare. Poi all’unisono si voltano e si cercano gli occhi: si sorridono
complici. “Alla prima occasione Michi?”. “Sì cucciolo, alla prima occasione”.
“Non sentite una
nota di tristezza nel lunapark voi? Io lo trovo molto malinconico a dispetto di
tutto il movimento, la musica, i giochi” dice Michele più tardi, guardandosi
attorno, osservando la gente che corre qua e là per divertirsi: “è la ricerca
di una gioia effimera”.
“Perché hai
scelto veterinaria invece di filosofia, Michele?” ride Gaetano: “O meglio,
lettere; leggi troppe poesie, mi stai diventando peggio di Leopardi”.
“A me piace il
lunapark. Chi viene sull’ottovolante?” Diego guarda gli amici, ma nessuno
sembra aver intenzione di seguirlo. “Nessuno? Oh, bene, io vado solo”.
“Vengo io se
vuoi” Fabri si fa avanti fra la sorpresa generale.
Diego sta a
pensarci un attimo, poi accetta la sua compagnia: “Basta che non cerchi di
buttarmi di sotto. Ci sono dei testimoni qui”. Ridacchiando si avvicinano alla
biglietteria, mettendosi in coda. Nel giro di cinque minuti salgono sulla
vettura e partono.
Michele segue il
tragitto con espressione un po’ tesa. “Michi guarda che non credo che lo voglia
buttare di sotto davvero sai?” Anita gli appoggia una mano sul braccio
sorridendogli.
“Credo anch’io
che non lo farà. Ma è un dato di fatto che quando quei due stanno troppo
vicini, poi sono scintille” Michele chiacchiera con gli amici ma gli occhi continuano
a seguire il viaggio del trenino.
Diego arriva con
gli occhi splendenti: “Bellissimo! La prima discesa poi mitica, eh Fabri?
Adesso battello però, è una vita che l’aspetto. Michi, tu nemmeno lì?” lo
guarda implorante, ma Michele proprio non ama quel tipo di emozione. “Mi spiace
ma proprio non me la sento, sono sicuro che starei male. Se non ti dispiace
troppo”.
“No figurati non
voglio che stai male. Vado allora, così mi tolgo il pensiero” Diego sorride:
“Aspettami che poi ti porto nel tunnel dell’orrore: lì vai tranquillo!”. Sale
sul battello sempre insieme a Fabrizio e siedono nella parte più alta. Quando
la giostra si ferma sono in molti a non sentirsi bene. Diego arriva
pallidissimo, senza parlare. “Allora Diego, non ti è piaciuto il battello? Dalla
faccia si direbbe di no!” Fabri al suo fianco lo guarda con un ghigno
antipatico.
“Il battello mi
è piaciuto invece, era la compagnia che faceva vomitare”. Prende sottobraccio
Michele e si appoggia alla sua spalla. Lui lo osserva attentamente: Diego è
troppo calmo, è evidente che c’è qualcosa che non va. “Diego non hai freddo?
Sei ancora in maglietta. Non ti sei portato la giacca, vero?”.
Diego scrolla la
testa: “Dimenticato. Andiamo a casa?” lo dice con gli occhi fissi a terra.
Michele si preoccupa ancora di più: “Non
stai bene? Tra il freddo e quel battello… Tieni, metti la mia giacca e
andiamo”. Tenta di staccarsi da lui per sfilarsi il giubbino, ma Diego non lo
lascia: “Non lo voglio. Andiamo dai”.
Michele saluta
tutti gli altri che rimangono straniti: Diego è sempre l’ultimo ad andarsene di
solito, ma magari vuole solo rimanere da solo con Michele. Solo Fabio guarda
Fabrizio che sentendosi osservato si gira e mette subito le mani avanti: “Io
non c’entro stavolta. L’ho anche portato sulle giostre”. Fabio è perplesso ma
non commenta e segue gli altri verso la
sala giochi.
Diego e Michele prendono
un autobus al volo, e dopo dieci minuti di silenzio scendono e si incamminano
verso casa. “Ci sediamo un attimo sui gradini di San Francesco? Non ho voglia
di andare a casa” Diego si avvia verso il solito angolo, mentre Michele lo
segue ancora più inquieto: “Ma se sei stato proprio tu a volerci tornare. Oh
Diego, mi spieghi cosa ti frulla in testa?”. Una volta seduti Michele lo prende
tra le braccia: “Almeno fatti scaldare se proprio non vuoi la mia giacca, sei
gelato. E non stai bene, si vede che non stai bene, sei pallido e triste”.
Diego sospira e
si stringe a lui: “Non lo so Michi cosa c’è. A un certo punto ho sentito che
non andava, c’era qualcosa che mi faceva stare male. Dentro. Quasi un
presentimento”.
“Ma dai Diè, non
ci crediamo ai presentimenti vero? Non c’è niente che non va piccolo. E’ stato
il freddo e il chilo di gelato che ti sei mangiato a cena. O Fabri ti ha detto
qualcosa… è così?”.
“No, tranquillo,
non ha detto niente. Senti Michi, noi sono solo due mesi che stiamo insieme,
no. Lo so che è ancora sperimentale, ma non è solo una roba così per ammazzare
il tempo, per provare un’esperienza nuova vero?” Diego lo guarda con occhi
ansiosi accarezzandogli la barba.
“Ma Diego, cosa
ti salta in mente all’improvviso? Santo cielo, io spero che sia per tutta la
vita. Certo è ancora tutto in costruzione, ma non sto con te per fare
un’esperienza o per divertirmi. Ti voglio bene, direi che ti amo. E’ solo
strano che ci siamo accorti di questo adesso, dopo ventidue anni che
praticamente viviamo insieme. Ci siamo abbracciati, baciati toccati mille volte
e non era mai successo niente. E’ bastato baciarci per fare gli scemi sotto
l’ombrello, per non riuscire più a dividerci”.
“Vero? Che
strano. Era il quindici di marzo, me lo ricordo bene. Pioveva fortissimo e
stavamo tornando dalla stazione stretti sotto l’ombrellino. Sono bastate un
paio di battute sui baci nei film, tu mi hai baciato e…l’ombrello è volato via,
e noi non riuscivamo più a staccarci. Siamo tornati a casa fradici, ma è stato
così bello Michi. Ho freddo davvero adesso, andiamo” si scioglie dall’abbraccio
e si incamminano. Arrivati sotto casa Diego dà un’occhiata all’auto
parcheggiata lì vicino: “C’è già mia zia. Che palle, ora sicuro troverà modo
per discutere di qualcosa”. Nell’androne Michele accende la luce e vede che
l’amico ha gli occhi lucidi. “Diego, ma cosa fai, piangi? Ma piccolo, cosa ti è
successo nelle ultime ore?”.
Diego si asciuga
gli occhi col dorso delle mani e tenta un sorriso: “Quante volte da piccoli mi
hai dovuto consolare qui sulle scale, è vero?”
Anche Michele
sorride: “Almeno una volta a settimana ti trovavo seduto qui sui gradini che
tentavi di non piangere, e ti asciugavi gli occhi proprio come hai fatto
adesso. O ti avevano picchiato, o ti avevano rubato le figurine…”.
“O mi avevano
parlato male di te. Era sempre Fabri a farlo. Ti ricordi quella volta che mi
disse che tu eri un terrone? Io lo avevo preso a calci e a pugni: ero piccolo
ma gliene avevo dati tanti. Poi lui mi aveva steso! Più tardi eri arrivato, mi
avevi trovato seduto qui sulla scala che va in cantina; io te lo avevo detto, e
piangevo e ti dicevo ma non è vero, non
lo sei vero? vero che non lo sei? E
tu rispondevi no, no, stai tranquillo”.
“Sì, e poi
salendo per tornare a casa mi chiedesti ma
cos’è un terrone?” ridono tutti e due. “Quella volta le avevi prese di
brutto, ma lui aveva le gambe piene di lividi!. Dai andiamo su, vieni piccola
peste” Michele prende la mano di Diego e salgono al secondo piano.
“Che poi i suoi
di Fabri sono di Crotone! E dà del terrone a me!” scoppiano ancora a ridere e
si accingono a salutarsi. Diego infila le mani sotto la maglia di Michele e si
appoggia al suo petto. Michele scrolla la testa: non lo lascerà andare a casa
stasera, è troppo triste. “Vieni da me? Avvisa la nonna dai, ti lascio la porta
aperta, ti aspetto in camera”.
Diego si
illumina: “Davvero? Faccio in un attimo” entra in casa e va ad avvisare la
nonna che dorme “di là”; nel corridoio la zia lo intercetta ma Diego è più
veloce, esce chiudendosi la porta alle spalle e si infila in casa di Michele.
I suoi genitori
stanno ancora guardando la tv, è presto non sono ancora le undici, e Diego
entra in salotto a salutarli: “Diego vieni, vieni. Dormi qui? Volete sedervi un
po’ con noi?”.
“Sì, dormo qui.
No grazie, vado così parliamo un po’ con Michele”.
“State sempre a
parlare voi due! Buonanotte Diego, caro”.
“Buonanotte” e
Diego fugge a raggiungere l’amico in camera da letto; Michele non c’è ma ha già messo un LP sullo stereo, la voce di
Robert Plant riempie la stanza. Diego si siede alla scrivania e guarda un po’
in giro. Pile di libri di veterinaria, L’Ulisse, Neruda; prende un quaderno e
lo sfoglia. Non ci capisce niente, appunti di chimica, ma gli piace vedere la
calligrafia di Michele. Sussulta quando la mano di Michele gli si appoggia
sulla spalla, non lo aveva sentito rientrare.
“Chimica Diè, il
tuo forte no? Se penso a quanti pomeriggi abbiamo passato sui libri per cercare
di ficcartela in testa”.
“Mah, penso di
essermi già dimenticato tutto; per fortuna all’Accademia non ho esami di
chimica!”. Guarda Michele che si toglie l’accappatoio e si infila una maglietta
sui boxer, ma non si muove dalla scrivania. Prende la foto che li ritrae da
piccoli e ridacchia: il primo giorno di scuola per Diego, tutti e due col
grembiulino nero e i calzoncini corti. Michele, venti centimetri almeno più
alto, gli tiene come sempre un braccio sulle spalle: “Sono proprio un rospo qui;
anzi sono un rospo e basta” mormora mentre ripone la cornice sulla scrivania e
si alza stiracchiandosi.
“Con gli esami
sei a posto Diego? Dalla prossima settimana si comincia. Io ne ho sette da
dare, ma mi sento tranquillo” Michele si siede all’orientale sul grande letto
che era appartenuto a sua nonna; lei ha deciso di cedere la stanza a Michele e
di prendersi la sua più piccola col letto singolo che per lei sono più che
confortevoli, sostenendo che i ragazzi hanno bisogno di più spazio.
“Ne ho sette
anch’io. Ho una tavola da finire, per il resto sono a posto. Domani mi metto
d’impegno e ce la faccio. Farei la doccia anch’io, posso?”
“E da quando me
lo chiedi? Prendi la salvietta nell’armadio
e passami quel libro di Neruda, che intanto che ti aspetto ne leggo un
paio” ottenuto il libro, Michele si stende e lo apre a caso, tanto per lui son
tutte belle.
“Uso il tuo dai”
Diego arraffa l’accappatoio di Michele e va a rinchiudersi in bagno, tornando
poco dopo con l’accappatoio letteralmente arrotolato attorno, lungo fino alle
caviglie. Michele lo guarda ridendo, mentre Diego gli fa una boccaccia: “Devo
andare di là a prendermi una maglia però, torno subito”.
Michele lo
blocca: “Ma dove vai? Te ne do una io” si alza agilmente e prende dal comò una
maglietta azzurra. Diego la indossa: naturalmente la maglia gli arriva quasi a
metà coscia: “Non una parola Michele!”. Michele alza le mani trattenendo una
risata, e lo prende per la mano attirandolo sul letto vicino a lui: “Vieni qui,
rospo, andiamo sotto che comincio a sentire freddo! Ti ho sentito prima sai?
Non eri un rospo, eri solo piccoletto e troppo magro. E non lo sei nemmeno ora,
anzi sei bellissimo: e l’azzurro ti dona” lo abbraccia e gli cerca la bocca
dandogli un bacetto: “però adesso mi fai il favore e mi dici per bene cosa ti
rode dentro stasera, va bene?”.
“Ma no, niente…”
comincia Diego.
“Ma si, subito”
risponde Michele alzandogli il mento e fissandolo con gli occhi neri, foschi.
Diego tenta di
distogliere i suoi ma Michele non lo lascia: “No Diego, non ci siamo mai
nascosti niente da amici, non incominceremo a farlo da compagni”.
Diego annuisce e
comincia: “Va bene Michi. Noi siamo stati due grandi amici no? Cioè, li siamo
ancora, ma adesso siamo oltre, e siamo felici di esserlo. Però ho paura adesso:
cioè, se la nostra storia non dovesse funzionare, tu saresti ancora mio amico,
o finirebbe tutto? Perché Fabri…” e qui si morde il labbro e tace.
“E lo sapevo che
usciva Fabri! Lo sapevo che ti aveva detto qualcosa lui! Cosa ha tirato fuori
lo stronzo dalla manica oggi? Sul battello, giusto? E’ li che ha fatto uscire
il suo solito veleno”.
Diego abbassa il
viso e scrolla le spalle ma incitato da Michele prosegue confusamente: “Ha
detto che di solito le coppie che si lasciano non si parlano mai più, e mi ha
detto, cioè, io non ci avevo nemmeno pensato Michi, capisci? Ma se per caso non
funzionasse, noi cosa faremo? Non mi starai più nemmeno amico?”.
Michele ride a
quell’uscita, quella frase propria dei bambini, ma vede tornare le lacrime
negli occhi di Diego e torna serio: “Diè, non possiamo sapere come andrà avanti
la nostra storia, ma non dobbiamo nemmeno pensarci no? Ora stiamo insieme, ci
vogliamo bene, ci amiamo, non dobbiamo pensare al domani. Ma penso che anche se
dovessimo lasciarci da amanti, non potremmo comunque lasciarci del tutto. Siamo
troppo uniti, lo siamo da sempre Diè. Certo che ti starò ancora amico”.
Diego tira su
col naso togliendosi le lacrime con stizza e provocando un altro acceso di riso
nell’amico: “Diè sei unico quando ti asciughi gli occhi così. Vieni qui dai” lo
prende e se lo stringe al petto “Non pensiamo a cose brutte piccolo, stai
allegro; va tutto bene, e vedrai che andrà sempre così bene”. Diego sospira:
“Però, perché da quando stiamo insieme non mi hai più voluto a dormire con te?
Prima almeno due volte la settimana si stava a studiare insieme e poi dormivamo
o di qua o di là da me. Sono due mesi che non vuoi Michi. Io ci faccio caso.
Perché?”.
E’ la volta di
Michele di sospirare. Pensa un po’, poi gli risponde: “Vedi Diego, per quello
che dicevamo stasera in gelateria, ricordi? Faccio fatica a starti lontano di
giorno, che vorrei continuamente baciarti, toccarti. Come faccio a starti
vicino a letto senza assalirti? E come facciamo con mamma, papà, una sorella
piccola e una nonna? Me lo dici tu? Quattro paia di orecchie tutt’intorno?”.
Diego fa un
sorriso dolce, gli infila le dita tra i ricci, gli riempie il viso di bacini,
lo accarezza: “Va bene Michele, se è per questo allora va bene. Ma basta fare
pianino sai?” gli sfila la maglia e senza che Michele opponga resistenza infila
le mani tra i peli neri, soffici del suo petto. Michele chiude gli occhi mentre
sente la bocca di Diego che lo bacia, che gli tormenta i capezzoli. Sente la
sua mano all’inguine, e la sua eccitazione arriva a un punto di non ritorno.
Diego gli abbassa i boxer e si impossessa del suo sesso; Michele deve mordersi
le labbra per non gridare. Frenetico sfila la t-shirt a Diego abbassando anche
i suoi boxer e lo accarezza mentre Diego mormora il suo nome gemendo.
“Shhh, zitto
Diego zitto amore mio” si impossessa della sua bocca baciandolo con un filo di
aggressività e lo ribalta sul letto prendendogli le mani e tenendole ferme sul
cuscino mentre gli si stende sopra; si strusciano sesso contro sesso, gemendo e
sospirando. Diego è il primo a raggiungere l’orgasmo e Michele lo guarda
incantato mentre a occhi socchiusi mormora il suo nome. Ricomincia a muoversi
su di lui e anche lui raggiunge il piacere, lasciandosi poi cadere su Diego,
sfinito.
“Cazzo Michi, è
stato bellissimo no? Però ti prego tirati su, o il rospo ci lascerà la pelle!
Non respiro più” Diego è felice ora, ed è tornato quello di sempre, giocoso e
gioioso.
Michele gli si
toglie di dosso abbattendosi al suo fianco, e tirandoselo vicino gli mormora
all’orecchio: “Siamo due incoscienti pensa se entrava qualcuno”.
“Impossibile, ho
chiuso a chiave!” Diego glielo dice con aria furbetta, e abbassandosi a
baciarlo subito dopo. Un bacio dolcissimo e lunghissimo, che li lascia languidi
a guardarsi negli occhi.
“Va bene Diego,
hai vinto! Ti amo rospo, ed è stato bellissimo, come dici tu. Ma è solo
l’inizio”.
“Oh, lo so, sai
quanto dobbiamo sperimentare? E il bello è che è nuovo per tutti e due, che
scopriremo tutto insieme per la prima volta. Io e te Michi, come sempre. Ti amo
anch’io, ma tu sei il mio principe” Diego ride e gli si stringe addosso,
annusandolo, baciandolo ovunque capita.
“Sai Diego, mi
viene in mente una poesia. Ma lo so che rompo con la mia mania della poesia”.
Diego lo
interrompe: “No che non rompi, anzi, sei dolcissimo quando diventi romantico.
Il mio veterinario romantico” Diego ride adesso mentre Michele gli dà uno
scappellotto e assume un’espressione offesa: “Va bene niente, non te la dico”.
“Dai dai dai,
dimmela, sono buono ora. Ti prego” Diego fa il contrito, unendo le mani come in
preghiera.
Michele lo
guarda sospettoso, poi comincia a recitare, seguito attentamente da Diego: “
Se saprai starmi vicino,
e potremo essere diversi,
se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano,
se riusciremo ad essere “noi” in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.
Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo
e non il ricordo di come eravamo,
se sapremo darci l’un l’altro
senza sapere chi sarà il primo e chi l’ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio perché insieme è gioia…
Allora sarà amore
e non sarà stato vano aspettarsi tanto”.
Tacciono per un po’ guardandosi negli occhi, poi si sorridono: “Ce la
faremo vero Michi? Faremo proprio come dice Neruda. E’ Neruda vero?”.
“E’ Neruda. Sì piccolo, lo faremo e andremo avanti insieme, e sarà
amore”.
Abbracciati stretti sotto le coperte, commossi, si scambiano un piccolo
bacio casto, fronte contro fronte guardandosi negli occhi, finchè la stanchezza
vince e si addormentano.
Il loro essere amici, amanti, romantici, è la cosa più bella di questa coppia. Non si capisce mai dove finisce il confine tra amicizia e amore, tra fratellanza e passione, tra complicità e alchimia. Sono un incanto per gli occhi e per il cuore.
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