sabato 6 aprile 2013

Tra rabbia e passione, decima puntata




Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)

Autori: Annina e Giusipoo

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini

Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash, rigorosamente NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta




Fisicamente distrutto, ma soprattutto psicologicamente a pezzi, l’unica cosa di cui aveva bisogno Diego era rifugiarsi nel suo letto e dormire due giorni di fila. Come se non bastasse, il giorno appresso a quello seguente, si sarebbe dovuto recare a Pescara per un week-end di gare. Da qualche parte avrebbe trovato la forza, proprio per questo rimase attonito nel ritrovarsi di nuovo Alfredo tra i piedi. Fingendo di finire delle pratiche, l’appuntato, seduto al posto del maresciallo, alzò la testa al suo rientro e subito lo bloccò. “Sei tornato presto, hai trovato un passaggio?” Diego avvampò: aveva considerato che il sesso nella masseria abbandonata gli avesse rubato sufficiente tempo. Evidentemente aveva fatto male i suoi calcoli. Avrebbe dovuto bighellonare un’altra mezz’ora magari. Ma ebbe la prontezza di rispondere: “Alfrè, dimentichi che sono un’atleta”.
Si sentì apostrofare: “Siete venuto giù a nuoto?” da un suo giovane commilitone. Diego, stanco, annoiato e soprattutto stranito dal non essere lasciato in pace, fece spallucce, poi appoggiò la giacca ad una sedia, iniziando i saluti ufficiali. “Beh, io vado”
“Non vuoi parlarne?” suggerì Alfredo. Ora erano soli.
“Parlarne?” Diego girò le pupille dall’altra parte. Tutto voleva tranne parlarne! Le pupille di Alfredo invece finirono sulla sua camicia, e con circospezione la studiarono. “Che hai qui?” indicò il colletto dove alcune macchine s’irradiavano fino al centro del petto.
Diego trasecolando, balbettò: “Ni-niente... mi sono fermato a bere ad una fontanella... ”
“Quale fontanella” Diego non aveva idea di quale fontanelle s’incontrassero tra il punto dove i colleghi lo avevano lasciato e la stazione dei carabinieri. Ma di certo non poteva spiegare che quelle macchie altro non erano che i residui di sperma di Michele Salvemini! Probabilmente, se lo avesse detto, Alfredo avrebbe avuto difficoltà a crederci. A quel pensiero gli scappò una risatina e poi: “Cazzo Alfrè, ho sonno, ho fame e sono stanco, e ora come faccio a spiegarti quale fontana era? Mi hai rotto. Io me ne vado a dormire”
“Aspetta! Hai detto che hai fame, mia madre ha fatto l’impepata. Vieni a cena da noi?”
“Se mi lasci togliere la divisa vengo” annunciò con aria dismessa. Era meglio assecondare Alfredo in quel momento, considerò, o lui avrebbe continuato a fare domande insidiose. A grandi falcate raggiunse la stanza con i tre letti. Si tolse rabbiosamente gli abiti ma quando fu il turno della camicia l’annusò nel punto che aveva indicato Alfredo. Cazzo lo amo, amo tutto di lui, amo il suo odore, amo il suo sapore... Ti amo Michele... poi si sbrigò a darsi una lavata e a cambiarsi. Lo attendeva un altro supplizio: la cena a casa di Alfredo. Poi forse avrebbe potuto finalmente raggiungere il proprio letto e affrontare così i suoi demoni.


Michele non trovò parcheggio sotto casa naturalmente, e dovette camminare per cinque minuti; i dolori che da un po’ avevano cominciato a torturarlo sempre di più, si accentuarono. Mentre saliva le scale verso il suo appartamento tenendosi al passamano come un vecchio, infilò una lunga litania di bestemmie in dialetto stretto.
Entrando in casa vide suo padre vestito di tutto punto che lo attendeva in cucina: istintivamente guardò l’orologio verde sulla parete: erano le otto, da dove arrivava e, soprattutto, dove andava?
“Michele, finalmente sei arrivato; io sto uscendo, vado da Peppino ma volevo salutarti prima di uscire. Ti ho lasciato la pasta in caldo e poi c’è del formaggio e le olive in frigorifero. Torno tardi, perché ci saranno anche altri amici e sua sorella, così sto un po’ in compagnia” Salvatore lo guardava a tratti, come intimidito.
Michele rimase stranito: nel giro di qualche settimana suo padre si era ripreso, e ora, lasciandosi alle spalle giorni, mesi di apatia, cominciava anche ad uscire la sera! “Bene pà, sono contento per te, era ora che ricominciassi a svagarti un po’. Vai tranquillo, io mangio e vado a letto, sono stanco”.
“Lo vedo che sei stanco figliolo, e sei sciupato. Hai fatto ancora a botte? Cosa sono quei segni sulle braccia? Devo stare a casa? Se non stai bene… ”.
“No pà, che scherzi? Non sono un bambino! No, non è successo niente, abbiamo dato una risistemata alla radio, e ho preso un po’ di botte con i mobili, nient’altro. Vai papà, tranquillo”.
Il padre uscì con un sorriso e finalmente Michele poté rilassarsi. Da un lato gli spiaceva rimanere a casa da solo quella sera, chiacchierare un po’ col padre sarebbe servito per non pensare. Dall’altro, forse era meglio così, una giornata del genere andava elaborata e profondamente anche.
Sempre claudicante, andò in bagno e fece scendere l’acqua calda nella vasca: vi si immerse con un sospiro, e anche se non gli smorzò il dolore, ne ricavò una piacevole sensazione. Si appoggiò rilassandosi, fissando la luce del lampione che entrava dalla finestra aperta. Il dolore diffuso che sentiva sulla schiena e sul torace lo riportò col pensiero al pomeriggio sulla spiaggia. La sua giornata di libertà si era trasformata in un incubo: almeno per quel che riguardava la prima parte. Non pensava che ne sarebbe uscito vivo, aveva visto la follia negli occhi dei due carabinieri mentre lo pestavano. Invece era ancora qui e poteva pensare al da farsi. Denunciarli? Scoppiò in una risatina amara: certo, le forze dell’ordine avrebbero creduto all’operaio, sindacalista, rompicoglioni Salvemini! In qualche modo lo avrebbero rinchiuso, in carcere o in manicomio, poco importava. Pensò anche a Diego: metti che mi credono, e già è partita la prima cazzata, ma metti che mi credono sul serio, ci va di mezzo lui. Non voglio che gli succeda niente. Mi ha salvato la vita, non veniva nessun da quella cazzo di duna... E qui passiamo alla seconda parte della serata Michè...
Quanto ti è piaciuto da uno a dieci quello che ti ha fatto Diego? Chiuse gli occhi e rivisse il momento in cui lui lo aveva ammanettato. Paura e passione. Terrore e amore. Michele pensò che non aveva mai provato tante emozioni, tanti sentimenti in un attimo. Sempre a occhi chiusi riprovò la sensazione delle mani fredde di Diego che giocavano col suo corpo, risentì la sua bocca calda, morbida che scendeva: l’eccitazione lo pervase di nuovo, mentre ricordava il momento in cui quella bocca si era impossessata della sua parte più sensibile. Cazzo, se ci ripenso vengo senza nemmeno toccarmi! Bello, è stato troppo bello...
Michele riaprì gli occhi quasi aspettandosi di ritrovarsi nel fienile, tanto l’emozione era stata forte.
Uscì dalla vasca ma dovette sedersi un attimo sul bordo, la testa gli girava ora. Respirò profondamente finché si sentì di nuovo meglio. Si asciugò e in mutande e canottiera andò a riscaldarsi la pasta che il padre gli aveva lasciato. Mangiò con gusto nonostante tutto, e si concesse una bottiglia di birra. Pensò di guardare un po’ di tivù, ma rinunciò, non lo attirava per niente. Mise il piatto nel lavandino, lo avrebbe lavato domani, inghiottì due aspirine e andò a coricarsi.
Una volta a letto prese il libro che teneva sul comodino e tentò di concentrarsi sulla lettura, ma le parole gli si sdoppiavano davanti agli occhi. Riposto il libro acciuffò l’Intrepido da una pila di giornaletti, un fumetto forse era meglio quel giorno. Dopo aver letto poche pagine, si nauseò anche di quello: spense la luce e immediatamente nel suo cervello si materializzò l’immagine degli occhi di Diego. Grandi, dolcissimi e tristi. L’emozione gli attanagliò la gola: lo amo. Io lo amo. Che qualcuno mi aiuti, ma mi sono innamorato di lui, di un carabiniere!
A quel punto non si sentiva nemmeno più eccitato, ma soltanto turbato. Pensò che glielo doveva dire, era sicuro che anche Diego provava qualcosa per lui, qualcosa che andava oltre il sesso, glielo aveva letto negli occhi. Domani lo cerco, domani glielo dico. A fatica, nonostante i dolori che nemmeno l’aspirina aveva smorzato, Michele si addormentò con un sorriso.
Il giorno dopo lavorare fu una tortura, anche solo tenere la maglietta addosso gli sembrava uno sforzo. Al capoccia domandò se poteva tenersi alla larga dalle fonti di calore e lui annuì. Aveva notato le tumefazioni e probabilmente c’era pure qualche costola incrinata. Lo aveva capito da come camminava e da come si lamentava per tutto. “Sei sicuro di sentirti bene Salvemini?” a quel punto, Michele ammise di no, che non si sentiva bene e alle sette chiese tre ore di permesso e schizzò fuori: di andare alla radio non se ne parlava, non avrebbe saputo come giustificare i lividi. Salì in macchina e andò verso il mare, ancora una volta, in paese questa volta, vicino al porto. Si comprò un panino e rimase per un po’ a fissare lo sciabordio delle onde. Quello che aveva pensato la notte, valeva ancora adesso: si era innamorato di un uomo. No. Si era innamorato di un carabiniere. Torinese. Non poteva farci niente. Michele ama Diego... Si accorse di aver scritto Diego nella sabbia. Scrollò la testa, cominciando a sghignazzare, sono impazzito, ormai è ufficiale. Perché non ho scritto t’amo sulla sabbia? Come la canzone?
All’improvviso i nuvoloni neri che avevano coperto il cielo si diedero appuntamento tutti sopra la sua testa, almeno a lui sembrò così e, nel giro di qualche secondo, cominciò a piovere a dirotto. Michele si diresse alla macchina e guidò verso casa. Pioveva così forte che era quasi difficile scorgere cose accadesse al di fuori dei vetri. Muovendosi a tentoni tra le strade che avrebbe ricordato anche bendato, si addentrò nella sua via. Una volta arrivato, aspettò un po’ per vedere se spioveva, ma niente, l’acqua veniva giù a secchiate. Scese dalla macchina e più velocemente che poté raggiunse il portone e lo aprì. Gli parve di sentir chiamare il suo nome e, riparandosi all’interno, mise fuori la testa per vedere se si era sbagliato o davvero c’era qualcuno che lo cercava. Malamente riparato sotto al terrazzino del palazzo di fronte, vide una sagoma che lo salutava con la mano. Guardò meglio e un brivido gli percorse la spina dorsale: in jeans e camicia azzurra Diego lo guardava in attesa. Gli fece cenno di avvicinarsi e lui lasciò il riparo per correre da lui, simile ad un bambino che schizza fuori dalla scuola per raggiungere la sua mamma.
“Da quanto sei qui?”.
“Da un po’, volevo parlarti ma non ho visto in giro la tua macchina, ho suonato, ma non ha risposto nessuno. Allora ti ho aspettato lì, ma ha cominciato a piovere a vento…” la voce di Diego si bloccò e gli scappò un sonoro starnuto.
“Sei un pulcino bagnato” Michele lo guardò rapito: la camicia zuppa aderiva al fisico sottile, e gli occhi sembravano ancora più grandi, luminosi. I capelli appiattiti, più lunghi rispetto a quando lo aveva conosciuto, cadevano a ciocche sulla testa, fradice come se fosse appena uscito dalla doccia. Anche i pantaloni gli stavano appiccicati. Avvicinandosi, con le dita Michele gli tolse le gocce di pioggia dal viso, poi in preda a una passione irrefrenabile, lo prese per le spalle e lo tirò dentro al portone, abbracciandolo stretto, accarezzandogli la nuca. Anche Diego lo abbracciò, ficcandogli il viso nel collo, sospirando di piacere.
Michele si staccò da lui giusto il tempo di guardarlo in faccia, per quanto glielo permetteva la luce smorzata delle scale: con due dita gli alzò il mento; le lacrime di Diego si mescolavano alla pioggia.
“Non piangere Diego, non piangere” si abbassò sulla sua bocca e gli baciò timidamente i baffi. Se avesse dato retta alla passione che sentiva, gli avrebbe infilato la lingua in bocca in un attimo. Lo avrebbe baciato, con il rischio di essere beccati dal primo che passava. Ma si lasciò persuadere da un rigurgito di razionalità. Non poteva baciare Diego, lui era un uomo e poi... e poi a un carabiniere non lo si bacia, dai carabinieri ci si difende, vedi quello che ti è successo ieri Michè... “Che ci fai qui, come hai saputo il mio indirizzo... alt” aveva capito, Michele era schedato. Tutti sapevano dove abitava. Sospirando lo invitò a seguirlo su per le scale. Tremando di freddo e per l’emozione, Diego lo seguì.
Una volta in casa dei Salvemini si guardò attorno, gustandosi l’odore di spezie: era odore di Puglia quello, di cucine e di segreti in cucina che nessun torinese avrebbe potuto mai carpire. No, in nessun appartamento di Torino avrebbe potuto trovare quel profumo, e nessuno sarebbe stato in gradi di ricrearlo.
Michele lo affrontò: “Diego, dammi quella roba bagnata e mettiti questi” gli allungò una polo con un paio di pantaloni alla pescatora e Diego ringraziò ed educatamente cercò un posto dove spogliarsi e scelse la stanza di Michele. Dall’altra parte del muro, il padrone di casa bolliva di desiderio. La porta della sua stanza era rimasta semiaperta, e lui friggeva dalla voglia di sbirciare, di sorprenderlo nudo e poi saltargli addosso. Ma una timidezza che dopo quando accaduto tra loro non aveva molto senso, gli impedì di fare irruzione nella stanza dove Diego si stava cambiando. Però non resisté all’impulso di sbirciare. Diego era mezzo nudo, il torace esposto e i pantaloni ancora attaccati alle cosce. Teneva in mano il cuscino di Michele e, stringendolo a sé, lo annusava con il volto soddisfatto. Mentre lo spiava, lascivamente Michele si accarezzò l’erezione sotto i jeans.
Vestito con i suoi abiti smessi, fece per tornare da lui. Michele ebbe la prontezza di allontanarsi dalla porta e appoggiarsi alla finestra della cucina, guardando distrattamente fuori.
“Grazie, questa maglietta e questi pantaloni, sono enormi ma almeno sono asciutti. I miei li ho allargati su una sedia e per quando avrà smesso di piovere saranno asciutti, spero”
“Per il tempo che ti fermerai” concluse Michele senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. Poi, tossicchiando, lo pungolò: “Anzi, eri venuto qui per un motivo no?” Alzò la testa scontrandosi con le pozze chiare che lo fissavano incerte. “Io sì... ero... sono qui, perché sai...” Diego si era preparato quel discorsetto tutto il giorno, da bravo studente diligente che esegue sempre i propri compiti. Ma ora non ne rimaneva niente di quel discorso, delle belle parole risolutive del quale era intriso. Diego voleva chiedere scusa a Michele. Voleva spiegargli che era malato lui, era malato di omosessualità e per questo faceva azioni strane, e quello che era certo, uno come lui, un uomo ‘normale’, non aveva diritto a mischiarsi con i pazzi come lui e se fosse stato coraggioso, avrebbe rinunciato alla sua divisa e se non lo faceva era solo per non deludere i genitori, che ci tenevano. Il discorso poi finiva con il pretendere il suo perdono per le botte di Alfredo e Gerardo, che si era fatto trascinare, che mai avrebbe pensato di compiere un atto così vile lui, perché era diverso dai suoi colleghi. Ma non parlò Diego, si limitò a sospirare e infine a buttarsi su una sedia. “Non ti senti bene?”
Michele si avvicinò a lui. A Diego scappò una smorfia: “Tu mi chiedi se sto bene? Sei conciato di lividi. Quante ossa rotte avrai Michele? Ma ti sei fatto almeno vedere?”
“No, non mi sono fatto vedere Diè, ma che t’importa? Sei venuto qui per vedere se stavo bene? Oppure... ”
Diego annuì: “Oppure... ecco, oppure sì. Ma oggi sono disarmato dunque non posso costringerti a fare qualcosa se non vuoi”
“Se non voglio dici?” Michele non risuscita proprio a credere che lo pensasse sul serio, quando non c’era una sua sola singola cellula che non volesse i ‘servizi’ di Diego. “Beh, mettiamola così: io voglio, voglio eccome, e ora te lo dimostro” dopo essersi preoccupato di mettere il chiavistello al portoncino, Michele prese a togliersi rabbiosamente i vestiti di dosso, anche i suoi erano un po’ bagnati e caddero ai suoi piedi. Diego lo guardava di sottecchi, come se la nudità completa del suo sogno erotico fosse stata in grado di polverizzarlo.
“Non sei molto saggio a spogliarti davanti a me. Ma non lo hai capito che sono frocio? Devo farti un disegnino?”
“Ah sei frocio? Beh il dubbio mi è venuto sai?” Ironizzò: “Ora non mi ricordo l’attimo esatto che l’ho pensato, se è stato quando mi hai tastato il cazzo la prima volta, o quando sei venuto mentre te lo puntavo al culo o forse deve essere stato quando me lo hai succhiato. Ecco sì, deve essermi venuto il sospetto durante questi avvenimenti”
“Mi prendi in giro?” Diego lo guardò finalmente. Ma lo sguardo rabbioso si infranse sulla nudità, su quel corpo che tanto gli piaceva. E da rabbioso divenne lussurioso. Pensò che era più bello di un bronzo di Riace e quelle parole gli scapparono.
“Ma dai, non esagerare, non sono tanto bello. Però... se ti piaccio...” Michele si avvicinò al giovanotto, sempre seduto.
“Che vuoi farci con me” gli chiese Diego alzando la testa e cercando di guardare solo il suo viso, solo i suoi occhi. Ma non era molto diverso, anche quelli lo eccitavano parecchio.
“Non lo so, il frocio sei tu qui, vedi di prendere la situazione in mano o si fa a modo mio”. Beh, Diego non aveva idea di quale fosse il ‘modo’ di Michele, ma voleva scoprirlo e così, con un sorrisetto più che malizioso, annunciò: “Facciamo pure a modo tuo”. 

2 commenti:

  1. Ogni capitolo è sempre più coinvolgente. Tachicardia quando Michele vede sotto l'acqua Diego, tutto bagnato ma con un'espressione dolcissima. Come può resistere al suo fascino? Si vogliono da impazzire, ma secondo me perdono anche fin troppo tempo in chiacchiere. Il bello è che quello che li lega non è solo il desiderio, è amore, ma non hanno il coraggio di confessarlo all'altro. Bella, bella!!!!!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. le chiacchiere continuano anche nel prossimo capitolo XD

      Elimina

 

caparezzamadiego Copyright © 2011 Design by Ipietoon Blogger Template | web hosting