giovedì 10 gennaio 2013

L'amore è blu



Titolo: L’amore è blu
(fan fiction a puntate)
Autore: giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU, romance, eros, introspettivo, ironico, grottesco
Story line: Fine anni ‘90
Rating: NC13
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia e non si vuole in alcun modi ledere all’immagine dei protagonisti e insinuare qualcosa


Vorrei tenere a distanza l’idiozia, abbracciare la saggezza, essere un tutt’uno con la pazienza




Era tutto in ordine all’Havana, che dal nome avrebbe potuto far pensare ad un locale in cui si fa musica sudamericana e invece si trattava di una videoteca erotica, o, per ben precisare, di un sexy shop, uno dei primi a Torino, in un’epoca, la fine degli anni novanta, nel quale internet non aveva preso piede e non erano ancora in voga i sexy shop automatici.
Il titolare aveva lavorato lì per un po’. Dopo, siccome gli affari erano andati bene, aveva preferito affidarlo ad un commesso, anche per evitare di litigare ogni giorno con sua moglie in quanto gelosa, come se poi nei sexy shop non entrassero solo anziani, per lo più disgustosi, e ragazzetti neo diciottenni curiosi. Donne poche, e sempre accompagnate da un uomo compiacente.
Ultimamente, soprattutto di sera, capitava che entrassero anche delle ragazze in gruppo. Di solito non compravano niente e passavano il tempo sghignazzando di fronte alle copertine delle videocassette o davanti ai numerosi falli esposti, vagine elettriche, palline dell’amore, ecc.
A Michele non dispiaceva come lavoro. Dopotutto era comodo, vicino casa, ben pagato e non faticoso. Doveva solo preoccuparsi che nessuno rubasse, si masturbasse o molestasse. Più di incassare, rendere scontrini e occuparsi della contabilità, non doveva fare. Nemmeno le pulizie visto che c’era una ditta che se ne occupava ogni sette giorni. Certo gli orari erano un po’ impossibili. Doveva stare aperto fino a mezzanotte ed aprire alle dieci del mattino. Aveva due giorni liberi alla settimana nei quali lo sostituiva un ragazzo cingalese che parlava poco l’italiano. E così, per guadagnarsi il suo stipendio Fulltime, Michele doveva lavorare cinque giorni alla settimana dalle dieci fino alle 0.00. In poche parole, la sua vita si riduceva al sexy shop.
Aveva trovato quel lavoro dopo circa due anni e mezzo che viveva a Torino. Essendo ragioniere, prima si era occupato della contabilità di diverse attività che poi però, man mano avevano iniziato o a chiudere o a non aver più bisogno di lui, e quando in un giorno di troppa libertà aveva bazzicato quella via un po’ nascosta e aveva letto il cartello -Cercasi commesso Fulltime- aveva pensato bene di lasciare il suo numero di telefono. E così andava avanti ormai da tre anni. Non gli dispiaceva, chiaro che nel suo paese di origine, lavoro non ce n’era. La capitale piemontese non gli dispiaceva, anche se il sole non la faceva sempre da padrona, e la gente era schiva, chiusa. Ma lo era anche lui: taciturno, burbero e riservato, e stare sempre cacciato dentro a quel negozio non lo stava certo aiutando a essere più solare. La verità, come molti del suo calibro, era che Michele celava dentro di sé un dolore. E non era un segreto, un matrimonio fallito. Nei suoi trentasei anni di vita ne aveva già subiti abbastanza di dispiaceri e ora, dentro al luogo deputato all’amore, anche se mercenario e solitario, ma sempre di amore si trattava, lui era completamente impermeabile all’amore, e non c’erano dubbi su questo. Da anni non usciva con una ragazza, e l’unico divertimento che si concedeva si chiamava Manu e faceva la vita dalle nove del mattino alle quindici del pomeriggio; una volta alla settimana l’andava a trovare. Non era né un vizio né una virtù tanto meno, si diceva. Lo doveva fare perché ne aveva bisogno e perché della Manu non si sarebbe mai potuto innamorare. E non solo perché era una prostituta nemmeno bella e le mancava l’udito da un orecchio, a parte questo sarebbe stata proprio una donnaccia in tutti i sensi, con le sue battute al vetriolo contro tutti e quella vocina acuta. E aveva anche quasi vent’anni più di lui. Meglio così, si diceva, lui e la sua puttana sarebbero invecchiati insieme e quando finalmente qualcuno di indefinibile lo avrebbe liberato della pena di vivere, avrebbe lasciato che le sue ceneri fossero gettate nel Po. Gli piaceva il fiume, quando passava sul ponte della grande Madre per recarsi al lavoro in bicicletta, lo osservava sempre, con il suo scorrere lento ma eterno, lui non sbagliava mai, non come i comuni mortali. Lui non cambiava mai la sua rotta, non come le persone che cambiano idea anche cinquantasei volte al minuto. Il fiume lo riappacificava per qualche momento con il mondo, poi apriva i battenti dell’Havana e tutto tornava tetro e malinconico.
Quella mattina uno scatolone enorme contenente profilattici aromatici attendeva davanti alla porta. “Cazzo, nemmeno il tempo di aprire mi danno più” si lamentò tirando fuori la chiave per poi spingerla dentro la toppa. La serranda elettrica si alzò. Evidentemente il ragazzo della distribuzione di quella tale marca di condom, un algerino con cui ogni tanto scambiava due chiacchiere e con il quale aveva pure preso un caffè qualche volta, andava di fretta per aver abbandonato così in strada uno scatolone. Che qualche curioso avrebbe potuto fregare, o un cane urinarci sopra.
Michele entrò scuotendo la testa di ricci che portava lunghi e ribelli, tenuti solo da una fascetta perché era quasi estate, se fossimo stati nella brutta stagione li avrebbe tenuti stretti in un capellaccio di lana. Poco avvezzo alle mode, tendeva a vestire pratico: jeans larghi a vita bassa o sottotuta che aderivano bene alle gambe lunghe e toniche per via della bicicletta e un po’ di suo. Non si poteva definire bello, ma aveva un certo charme, anche per via degli occhi molto scuri, espressivi e profondi.
Dopo aver tolto l’antifurto, si andò a collocare al suo posto dietro il bancone. Di solito per un’ora circa non succedeva niente, poi, verso le undici, arrivavano i clienti abituali, di solito dei porno dipendenti di cui conosceva la faccia e le abitudini. Erano più che altro i loro soldi a tenere in piedi la baracca. Gli avventori occasionali di solito compravano solo film o qualche giochino, di solito prediligendo il genere sadomaso. Ma verso l’ora di pranzo, poco dopo che Michele aveva finito il suo panino integrale con fesa di tacchino e cipolline sott’olio, fece il loro ingresso un gruppetto di giovanotti vestiti tutti uguali, dipendenti della Crai da quelle parti. Ridachiavano tranquilli e scherzando tra di loro. Erano giovani ma tutti sembravano sopra i venti, tranne uno. Per assolvere un compito etico ma anche per darsi un tono, Michele chiese a quest’ultimo di mostrargli un documento. Quella richiesta scatenò un’ondata di ilarità, cosicché tutti iniziarono a prendere in giro il ragazzo e, tutto sommato, anche Michele, reo dell’errore. Ma senza lascarsi distrarre dalle risatine e gli schiamazzi, il giovane tirò fuori dalla tasca dei jeans il portafogli e da questo la patente che dimostrò inequivocabilmente che poteva aggirarsi indisturbato nel negozio. “Tutte le volte la stessa storia Die’, nei locali non vogliono darti da bere, se ti becca un posto di blocco ti ferma tre ore. E che cazzo”
“La finite stronzi!” ribatté alla ridda di schiamazzi scherzando, poi, dopo un’occhiata carica di avversione a Michele, si riprese il suo documento. Sussurrò pure un maligno: “Soddisfatto?” E poi tornò al suo innocente giro turistico.
Che cretino, ha ventisei anni! Ho chiesto la patente a uno di ventisei anni! Michele oscillò la testa. No, non era propriamente un martedì mattina ideale. Ma la voglia di rivalsa per la figuraccia non lo abbandonò. Iniziò a seguire i ragazzi come se temesse che avrebbero rubato o che avrebbero danneggiato il materiale esposto. Sentendoselo così pesantemente dietro le terga, il tipo dall’aria adolescenziale si stranì: “La smetti di camminarmi attaccato?” Sbottò con voce stridula e poi si voltò di scatto trovandosi così di fronte Michele, il quale arrossì dall’alto del suo metro e ottantasette. “Oh Diego, vedi di stare calmino. Non mi faccio alzar la voce da un segaiolo qualsiasi” ribatté: senza nemmeno essersi presentati lo aveva chiamato per nome. Diego arrossì a sua volta guardandolo dal basso del suo metro e settanta. “Segaiolo a chi?” pugni sui fianchi, faccia di chi ha voglia di fare a botte. Eppure si considerava un ragazzo pacifico, allora perché quel giorno aveva voglia di picchiare qualcuno? Si domandò. Ma erano tante le cose che non avevano funzionato già dalla mattina. Per prima cosa la telefonata della sua ragazza che già alle nove meno venti gli annunciava di aver deciso le ferie: Palma de Maiorca, con due coppie amiche. Al lavoro, una cliente anziana, gli aveva dato dell’incompetente perché non era riuscito a trovarle un cacciavite per occhiali, un vecchio modello. E poi in pausa pranzo, i suoi colleghi lo avevano trascinato in un sexy shop nel quale non voleva entrare e, in ogni caso, non gli sarebbe piaciuto entrare. Eppure c’era qualcosa di non vero. Era passato tante volte prima di quel giorno di fronte alla serranda. Osservandola di mattina chiusa, prima di recarsi al lavoro. Mentre, terminato il turno del pomeriggio, aperta, con quella vetrina anonima dove erano stati apposti tanti palloncini rosa che ricreavano il nome. In realtà, se Diego avesse scavato in se stesso, avrebbe dovuto ammettere che gli sarebbe piaciuto eccome entrare in quel ricettacolo di vergogna e piacere. Sì, ma da solo. E invece eccolo qua costretto a difendersi da quell’energumeno del commesso. Prima lo aveva preso in giro chiedendogli il documento, poi aveva insinuato che potesse rubare o anche peggio e il tutto standogli sempre attaccato. Lo sentiva il suo sguardo intrigante, anche piuttosto interessato, sicuramente curioso. Aveva capito qualcosa... Diego aveva la coda di paglia ma, in quel momento, non pensò a tutte queste cose, solo che trovarsi in quel luogo, tra falli finti e gli uomini di colore delle copertine delle cassette che esibivano erezioni fuori target, era assolutamente imbarazzante. Per uno come lui. Per uno con il suo segreto. E che se non bastassero gli stimoli esterni, quel ragazzone dai ricci scomposti tipo rasta, non era proprio niente male. Lo colpirono gli occhi, il naso importante e anche la bocca, celata dal pizzetto. Invece di continuare a litigare restarono a fissarsi come inebetiti. Confusi, i tre amici e colleghi di Diego pensarono bene di continuare la perlustrazione dell’Havana.
“Segaiolo a chi? Mi rispondi?” Michele tornò alla realtà. Era frastornato. Sapeva che c’era stata una certa corrente elettrica tra di loro e non se lo sapeva spiegare. Il classico colpo di fulmine e invece di ribattere fece un sorrisetto. Subito Diego sorrise a sua volta. “Sei pugliese vero?” gli domandò come se niente fosse accaduto.
“Da che lo hai capito?” Michele appoggiò il gomito sullo scaffale dei nuovi arrivi.
“Beh... il dialetto! Si sente appena in realtà, ma pure il mio amico ormai lo ha quasi perso, con il fatto che sta sempre in giro” smise di parlare all’improvviso guardandosi alle spalle, come se l’aver nominato Nico con in giro i suoi colleghi, fosse potenzialmente pericoloso. Gli altri tornarono nei pressi di Diego e di Michele senza aver scelto niente. Infastidito ma abituato a questo modo di fare, il commesso fece spallucce e tornò dietro al bancone. Istintivamente, e senza saperne il perché, fu proprio Diego a prendere una videocassetta dai nuovi arrivi e poi portarla a Michele. “Bisogna avere la tessera per noleggiare”
“La faccio, dato che hai verificato che non sono minorenne...”
“Ok, allora mi servono un po’ di dati” così dicendo gli fece un sorrisetto obliquo e alzò il sopracciglio. Gli altri tre giovanotti, seguivano l’evolversi ridacchiando.
“Scrivi qui l’età, dove abiti, il tuo numero di telefono, e poi devi rispondere a qualche domanda che ti farò io, giusto per statistica” Michele prese dalla scansia alle sue spalle un misterioso portadocumenti e tirò fuori una serie di fogli svolazzanti, che sembravano più che altro fatture. Inforcati gli occhiali da vista, l’interrogatorio iniziò: “Donna ideale?”
“Che vuol dire donna ideale?” Diego strinse le braccia al petto. “Davvero fai tutte queste cazzo di domande a tutti i tesserati?”
“Certo, te l’ho detto, è per statistica. Donna ideale?”
Diego assunse un’espressione imbronciata poi rispose, anche perché sobillato dai suoi compagni, i quali iniziavamo a ricordargli che l’ora libera si stava esaurendo. “Mora, alta abbastanza ma non troppo più di me, ok? Sul metro e settanta diciamo. Colore degli occhi non importa, basta che siano sani. Che non si trucchi troppo. I denti bianchi, dritti, anche il naso... Mi piacciono i lineamenti regolari. Che altro vuoi sapere?”
“Posizione preferita a letto?” A quella tutti risero, compreso Diego che però fece spallucce. “Non è un questionario serio, comunque metti pure a Pecora, è la migliore no?”
“Ok scrivo a Pecora” sempre con aria professionale, continuò: “Sesso orale sì o no”
“Ovvio che sì” Diego si stava eccitando e dopo un rapido sguardo al suo intervistatore, intuì che la cosa era reciproca.
“Sesso sicuro?”
“Qualche volta” a quella Diego s’intristì un po’. Inevitabilmente, i pensieri si fecero cupi.
“Sei mai stato con due persone contemporaneamente, a letto intendo”
“No dai, che stronzata!”
“Depilata o nature?”
“Intendi il pube?”
“Ovvio!”
“Depilata” concluse Diego sudando. Ormai i suoi amici erano usciti e dalla strada gli stavano facendogli segni, indicando il polso. “Finito? Devo andare”
“Sì, è quasi finito. Sei mai stato con una prostituta?”
“No”
“Genere pornografico preferito?”
“Non ce l’ho” poi indicò la confezione vuota contenente in copertina tre ragazze nude sopra un letto che si accarezzavano lascive. “Tipo questo, ok?”
“Lesbo, bene. Allora tutto fatto. Quando la tessera è pronta ti verrà recapitata in casa. Intanto ti registro Tre cagne in calore
Diego sbiancò: “No ma che tessera a casa, se poi la vedono i miei?”
“Arriverà in busta sigillata tranquillo”
“Mia madre apre tutto, e se va nelle mani di mia nonna è anche peggio. Non si può fare diversamente?”
“Certo, quando torni a portarmi il film te la faccio trovare pronta. Meglio così, risparmio le spese di spedizione.”
“Ma la videoteca è tua?” Diego ora non sembrava più avere tanta fretta.
“No, non è mia. Ecco a te” Michele consegnò nelle mani di Diego il cartone del film contenente anche il film però, sigillato in una busta marrone. Diego sapeva che non lo avrebbe mai visto, ma il pensiero andava già a quando sarebbe tornato là, da solo, per restituirlo.

3 commenti:

  1. Qui dietro casa c'è un sexy shop con i palloncini rosa in vetrina... dovrò andare a farci un giro!
    A parte gli scherzi, sei partita alla grande qui!
    Sono già assorbita nella storia che si preannuncia più intricata del solito, visto che abbiamo non solo una compagna per Diego, ma anche un amico. Qui Michele con la sua malinconia che cammina sul ponte di un Po che sento anche mio, mi ha già conquistato. E anche se non c'entra con Torino, sento un sottofondo di De Andrè... Dammene ancora! <3

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    Risposte
    1. Beh grazie per la colonna sonora.... che dire... tu lo sai io sono da puntini in sospensione.... ^_^

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  2. Bellissimo come inizio. Prevedo delle belle scintille tra loro perchè i due sembrano avere dei bei caratterini. Stranamente non ce lo so vedere Michele che lavora in un sexy shop anche se forse con il suo carattere schivo, stare chiuso lì dentro può essere molto rilassante. Diego invece devo ancora inquadrarlo. Si sa che ha una ragazza ufficiale ed un amico che a quanto pare è speciale. Sono curiosa di vedere cosa accadrà quando Diego tornerà a restituire il video.

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