domenica 13 gennaio 2013

L'amore è blu, 2




Titolo: L’amore è blu
(fanfiction a puntate)
Autore: giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU, romance, eros, introspettivo, ironico, grottesco
Story line: Fine anni ‘90
Rating: NC17
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia e non si vuole in alcun modi ledere all’immagine dei protagonisti e insinuare qualcosa


Ogni masochista nasconde un sadico nell'armadio



Dopo l’Havana, per Diego fu difficile concentrarsi al lavoro. Era confuso e svagato come raramente gli accadeva. Tutti invece lo conoscevano per essere un tipo molto scrupoloso e diligente. Era un maniaco della precisione sul suo lavoro, che poi consisteva più che altro nello scartare imballaggi, riporre articoli per la casa e il tempo libero, qualche volta, aiutare i clienti. La sua cura nell’occuparsi del reparto era spesso motivo di sfottò da parte dei suoi colleghi, che prendevano meno sul serio di lui la questione. Ma pure per Diego quello alla Crai era un lavoro temporaneo, in attesa di qualcosa più sostanzioso. Aveva una zia impiegata statale, ma non sembrava propensa ad aiutare i figli di sua sorella, Diego e Martino, a trovare qualcosa di più stabile e redditizio. Il fratello maggiore di Diego era disoccupato e a ventinove anni non sembrava preoccuparsi affatto di campare sulle spalle dei genitori. E tutti e due vivevano ancora a casa con loro, in perfetta contraddizione con la mentalità europea, che lentamente stava contagiando anche la città di Torino, e il nord tutto.
A Diego piaceva disegnare, era pure piuttosto bravo. Dopo il liceo artistico non aveva proseguito gli studi, scoraggiato dall’alto tasso di disoccupazione che riguardava i neo laureati dell’accademia delle belle arti. Così, quando la Crai lo aveva chiamato per i canonici tre mesi, aveva accettato. Secondo suo fratello Martino lui aveva la sindrome del bravo ragazzo. “Diego ce l’ha, io no” diceva ai suoi genitori. Invece lui faceva solo lavoretti saltuari, tipo il barista nei locali notturni oppure il vetrinista, quando capitava, sempre lavori temporanei, che gli davano il tempo di gozzovigliare in giro, di divertirsi. Ma Diego no. Da quattro anni era nel grande supermercato con un contratto a tempo indeterminato, e poco importava che percepisse un salario quasi ridicolo e che non esistessero sbocchi di carriera. Poteva permettersi una macchina, portare a cena fuori Tatiana, la sua fidanzata da ben dieci anni, praticamente da quando erano entrambi adolescenti, e mettere anche qual cosina da parte per il futuro. Apparentemente non c’era niente in lui che lo differenziasse da uno dei tanti bravi figlioli del mondo. Eppure c’era, e lui e pochi altri, sapevano che non era così, che tutta quella rettitudine era solo apparenza. Una facciata da mantenere sempre e comunque. Ed erano in giorni come quelli che la maschera che portava, finiva per stringersi attorno ai connotati maligna, come se volesse soffocarlo, distruggerlo. L’unica cosa che lo teneva in piedi era l’appuntamento con Tatiana e i suoi amici la sera in birreria, dove insieme alle altre due coppie, avrebbero parlato di vacanze, di Palma de Maiorca. Ed ecco che dopo il commesso dell’Havana, quello che lo aveva infastidito la mattina, diveniva la sua ancora di salvezza. Diego voleva con tutte le forze spazzare via la lussuria, ma non ci riusciva mai, e cadeva nel vizio. Sempre.
Quel pomeriggio la lussuria era in una cassetta ancora rinchiusa nel suo cartone marrone. Non erano certo le pornoattrici che avevano lavorato in quel film a mandargli in pappa la ragione. Ma colui che glielo aveva dato il film a farlo sentire schiavo dei suoi guai, dei suoi desideri.
A fine turno recuperò la cassetta nel suo armadietto e la guardò un attimo, indeciso se aprirla e sbirciare o lasciarla là, al riparo dai possibili occhi indiscreti di casa sua. No, decise di non aprirla, di lasciarla dentro l’armadietto. Dopotutto aveva ancora tre giorni disponibili prima di restituirla, solo a quel punto l’avrebbe sbollata per dimostrare che il film l’aveva visto davvero. Richiuso l’armadietto si precipitò a grandi passi verso il parcheggiò destinato ai dipendenti. Un rapido saluto ad una collega e poi eccolo dentro alla Nissas Micra celestina. Appena seduto un senso di stordimento lo colse, come se dovesse svenire. Quando accadeva, dava la colpa al prodotto che usavano all’autolavaggio. E dopo aver ripreso a respirare normalmente, ingranò la marcia e si avviò verso l’uscita. La musica di una radio locale lo distrasse e per un po’ riuscì a non pensare a Michele. O a pensarci vagamente, ed erano sempre pensieri leggeri, quasi innocui. Ma una volta solo a casa sua, sua madre e suo padre al lavoro, sua nonna dalla vicina a spettegolare di qualche amico comune o a raccontarsi l’ultima puntata della loro soap preferita, scoprì di essere solo. Si sentì il padrone di quei centoventi metri quadri e tirò fuori dall’armadio i capi d’abbigliamento che avrebbe messo per l’uscita serale, alla madre avrebbe detto: Non preparare per me, vado in birreria con Tatiana, si mangerà sicuro qualcosa, sì, avrebbe detto così, era prevedibile. Ora restava solo il compito più duro: spogliarsi. E non era nemmeno freddo, tutt’altro. Maggio era quasi finito e nel condominio i riscaldamenti non li accendevano da un bel pezzo. Eppure gli pesava come se di gradi ce ne fossero stati due togliersi i pantaloni marroni chiari e la camicia, il gilet, tutta la divisa di lavoro. E lo fece convulsamente, anche i calzini, le scarpe rigorosamente antinfortunistica, che avevano il pregio di farlo sembrare più alto. Una volta nudo, il senso di soffocamento lo colse di nuovo, come dentro la macchina ma più forte. Il cuore iniziò a martellargli nelle orecchie e si disse: passa Diego, passa. Tu fallo passare... si ripeté come in una lenta nenia. Ma non passava e il tremore divenne parossistico. Dove cazzo è l’accappatoio. Nell’armadio ovviamente! Sua madre lo aveva riposto là, mentre lui preferiva appenderlo dietro la porta,  ma lei, che era persino più fissata di lui per quanto riguardava ordine e pulizia, tendeva sempre a nascondere le cose. E lui l’armadio non lo voleva aprire. Apparentemente non c’era niente di vergognoso in quell’armadio, niente che non aveva già visto prendendo la camicia, la giacca di velluto e i jeans prima. Ma ora era nudo, e sull’anta c’era lo specchio, e adesso che si vedeva costretto a recuperare l’accappatoio, avrebbe dovuto scontrasi con il suo corpo esposto. Cosa che lo atterriva e non poco. Certo, se il suo inconscio non avesse voluto tirargli quello scherzetto si disse, avrebbe potuto prendere l’accappatoio insieme ai vestiti no? Prima di spogliarsi. Ma lui si disse convinto davvero che l’accappatoio fosse rimasto appeso dietro la porta, proprio dove l’aveva lasciato il giorno prima e non in un angolo nascosto. “Cazzo” sibilò. Dopo un lungo respiro, aprì l’anta, raggelato come se fosse stato sul punto di lanciarsi da un aereo con il paracadute per la priva volta. L’accappatoio era appeso alla parte opposta dello specchio, eppure l’occhio cadde sulla propria immagine. Non c’era da stupirsi che odiasse così tanto il suo corpo, si diceva, per come lo trattava! Non c’era niente di apparentemente visibile ad occhio nudo, certe cicatrici si possono nascondere in fretta, certe cicatrici non si vedono se non le vuoi vedere. Diego non si faceva mai vedere nudo dalla sua ragazza. Scopavano sempre mezzi vestiti, anche quando avevano la possibilità di farlo a casa di lei, che non c’erano i genitori in casa. E lei era troppo timida per chiedergli il motivo di tanta riservatezza o del buio. Il buio doveva esserci sempre. Ma eccole ora le cicatrici che tanto spaventavano il povero Diego. I segni non erano davvero molto visibili, tutto sommato non cadeva nel vizio da qualche settimana. Ma c’erano certi punti della sua pelle ormai sfigurati. Diego cercò di non eccitarsi ma era tutto un fremito e se si fosse sbrigato avrebbe potuto farsi una sega, calmando il suo corpo. Tanto non c’erano dubbi che lo avrebbe fatto: la doccia, sempre sotto la doccia. E oggi aveva anche un motivo ispirante potente, non si chiamava Nico, non faceva il capotreno e non lo cercava solo quando aveva bisogno di una scopata divertente a Torino, ovviamente solo quando passava di là per lavoro. Oggi non c’era lui ma un altro pugliese ad aver serrato in una morsa mortale la sua mente, ad averlo gettato nei desideri carnali irrisolti. Dopo tutto, la masturbazione non è sesso ma la sua sublimazione. E l’atto di per sé per lui era di sicuro più vergognoso. Quasi in lacrime dal nervoso e dall’imbarazzo, si infilò nell’accappatoio e piombò dentro il bagno come in trance. Si chiuse a chiave. Aprì il rubinetto dell’acqua e subito i fumi del vapore gli annebbiarono la vista. Via l’accappatoio, miscelato per bene, si gettò sotto il getto potente. Per un attimo il calore ebbe il potere di rilassarlo. Un altro tipo di piacere si propagò in ogni sua cellula. Ma non bastò. Appoggiata la fronte alle piastrelle, rivisse fotogramma per fotogramma l’incontro con Michele, il commesso del pornoshop. Dall’umiliazione della carta d’identità, com’è stato eccitante! Dal contatto ravvicinato alle sue spalle, con quello sguardo profondo sempre addosso. L’altra umiliazione della finta intervista statistica, con tutte quelle domande personali, per di più davanti ai suoi colleghi! Non perse più tempo, iniziò a toccarsi febbrilmente, rivivendo mentalmente tutto il film che aveva registrato in testa. Una volta raggiunto l’appagamento, per qualche attimo si sentì addirittura contento, in qualche modo tornato in pace con il mondo e con se stesso. Ma quella sensazione durava sempre poco, troppo poco. A volte piangeva, altre volte non faceva proprio niente. Si ripuliva la mano, si asciugava dopo essere uscito dalla cabina doccia, stretto nell’accappatoio, tornava nella sua stanza. E fu lo stesso quel giorno. Fuori dal bagno, scoprì che Tatiana gli aveva lasciato un messaggio in segreteria. Aveva sentito il telefono suonare, ma non poteva rispondere. Amore, ci vediamo davanti al Pagoda alle nove e mezzo. Mi passano a prendere la Federica con Bobo. A dopo. Così si espresse la vocina. La sua vita reale, quella lontana dalle cicatrici, da Nico e ora dal commesso del pornoshop, spingeva per entrare. E lui fu ben lieto di lasciarla entrare. Più sereno, tornò nella sua stanza e si rivestì. Una volta pronto trovò sua madre e sua nonna alle prese con i fornelli: “Mamma non preparare per me, vado in birreria con Tatiana, si mangerà sicuro qualcosa”
“Ora si inizia di martedì?” s’intromise la nonna, quella più pedante delle due. Clara, sua madre, era meno spigolosa della donna più anziana, ma allo stesso appiccicosa e pignola. Prima che il figlio minore uscisse, iniziò con le solite raccomandazioni: vai piano, non bere troppo e non ti appartare nei postacci. Cose così. Sbuffando Diego si allontanava da casa, ma dentro di sé gli piaceva che le sue due mamme lo adorassero così. Ma sapeva che amavano il bravo ragazzo, non la mela marcia che nascondeva nell’armadio. Il lato oscuro lo celava bene, non fosse basto lo sguardo da cucciolo indifeso.
Sotto casa incontrò suo padre che tornava dalla briscolata con gli amici al bar. Erano quasi le nove. Dopo il lavoro (faceva il garagista) si intratteneva nel retrobottega di un locale. “Papà, io esco” con un sorriso alquanto arzillo, evidentemente aveva bevuto a stomaco vuoto, si raccomandò: “Trattala bene quella ragazza. È così carina” fece l’occhiolino.
“Usciamo tra amici papà”
“E tu non metterla incinta lo stesso, che poi fai la mia fine che a tua madre me la sono dovuta sposare. Sai come si dice no? Se puoi avere il latte gratis, perché comprare la vacca?” e mise dietro una bella risata sonora. Diego fu sicuro che fosse alticcio e fu grato dell’uscita con gli amici di non beccarsi la filippica che sua madre e sua nonna avrebbero fatto al beone.
La serata in birreria trascorse bene, sotto ogni punto di vista. Diego, come sempre sereno, in perfetta pace con l’ambiente, sorseggiò la sua media e spiluccò il mais tostato ascoltando rilassato il programma della vacanza a Palma de Maiorca. Tatiana, a prima vista perpetuamente persa nell’estasi dell’amore, appoggiava la guancia sulla spalla del suo ragazzo stringendosi al suo braccio e facendo sì con la testa a tutto. Avendo un carattere molto accomodante, le stava bene ogni cosa e quando qualcosa non le stava bene, faceva valere le sue ragioni con garbo e grande pacatezza. Non era mai sopra le righe e anche se viaggiava sempre su tacco dodici, non sembrava una vamp, una superficiale. La sua migliore amica, Paola, nonché collega di studi, la chiamava Amelie per via del film. E chiamava lei e Diego due bambini innamorati. Tant’è che Paola, un tipino molto più grintoso di lei e che a differenza di lei faceva giurisprudenza per diventare un magistrato per sbattere in galera i cattivi e non per fare l’avvocato d’ufficio e diventare la paladina degli oppressi come sognava Tatiana, sospettava che nemmeno scopassero, e più di una volta lo aveva spifferato all’amica, la quale, dopo essere diventata rossa in viso, si schermiva con un lapidario: “Certo che lo facciamo! Noi ci amiamo!” Nemmeno a Diego piaceva Paola, proprio per la sua schietta e spudorata sincerità. Temeva che lei, dall’alto del suo metro e settantasei, vedesse quei due lillipuziani innamorati, la copia scialba dei fidanzatini di Peynet, per quello che erano: un cumulo di falsità. Due ragazzini che a sedici e quindici anni, avevano deciso di trascorrere il resto della vita insieme. Cosa che raramente accade, visto che con gli anni le persone cambiano, cambiano sempre. E Diego era molto cambiato in quei dieci anni. Tante cose aveva fatto alle spalle di Tatiana, alle spalle dei suoi amici tutti, che negli anni si erano alternati: da quelli di scuola a quelli di lavoro e gli amici della sua fidanzata. E, ovviamente, Diego aveva agito alle spalle della sua famiglia per bene.
Quella notte non accadde nulla di speciale, Diego parcheggiò la sua Micra al posto dove non potevano fare nulla di sessuale ma si sentivano protetti da qualche malintenzionato, essendo sotto le abitazioni, tra cui quella di Tatiana e della sua famiglia. Vivevano in un complesso di recente costruzione, cinque fila di palazzine tutte uguali. Pomiciavano per una mezz’ora finché Diego non le diceva: “Ora è tardi, vai che domani hai lezioni” oppure: “Ora è tardi, vai che domani mi devo svegliare presto”. Invece quel giorno Tatiana disse: “Peccato che è tardi, e che siamo qui, stasera avevo un certo languore” lo sorprese mettendogli una mano sul pacco. Subito Diego si agitò: “Ma Tati che fai? Come te n’esci?”
“Non sei contento che questa estate stiamo due settimane insieme? Dormiremo insieme. Come una coppia sposata” gli baciò il dietro dell’orecchio e lui rispose meccanicamente.
“Non vedo l’ora” mentì. In realtà non vedeva l’ora di andarsene.
“Quando avrò consegnato la tesi mi metterò sotto con il praticantato. Ma appena inizio a lavorare sul serio Die’ ci sposiamo, o quanto meno conviviamo. Anche se mia madre preferirebbe che ci sposassimo, e anche la tua”
Diego trattenne a stento uno sbuffo: odiava quando lei iniziava a parlare di quella cosa che iniziava con la M. “Tatina, ci sarà tempo per sposarsi e per convivere e fare figli. Godiamoci quello che abbiamo no?”
Lei si ammusò: “Ma che male c’è a sognare di vivere insieme? Io voglio svegliarmi con te amore, voglio dormire tra le tue braccia” si accoccolò a lui, che di rimando le baciò i capelli scuri, tenuti da un cerchietto lillà. “Ti amo tanto Diego”
“Ti amo tanto anch’io Tatina, e presto lavorerai e avremmo abbastanza soldi per parlare di convivenza. Ora pensiamo ad oggi. Ok?”
“Ma sai che hai ragione? Io sono sempre così proiettata verso il futuro, mentre quello che abbiamo oggi è già tanto! Noi ci amiamo. È tutto perfetto”
“E sì, è perfetto!” ripeté a pappagallo pensando: perfetto una sega, sapessi che combina il tuo perfetto fidanzatino appena può... Pensò a Michele intensamente. Sapeva benissimo quello che voleva da lui. S’intristì ma non lo diede a vedere. Qualche minuto dopo riuscì ad accomiatarsi dalla ragazza e fuggire verso casa. Non si precipitò però subito nel suo quartiere, fece un giretto in centro. Scoprì che era quasi mezzanotte, ma la videoteca era ancora aperta. Chissà se c’è Michele... probabilmente no, decretò, qualcuno doveva dargli il cambio la sera. Pensò di andarlo a trovare, di proporgli una bevuta da qualche parte, ma se era là dalla mattina sarebbe stato stanco, distrutto. Che voglia poteva avere uno come Michele di uscire con come lui? Si rammentò. Uno che non avrebbe mai considerato. Eppure lo sapeva, c’era stato qualcosa tra loro, non poteva essere solo la sua fantasia, il suo bisogno osceno. Non gli capitava mica con tutti gli uomini carini che conosceva di provare quella cosa là. Michele lo aveva sfidato, maltrattato e, allo stesso tempo, posto al centro dell’attenzione. Michele forse conosceva i suoi bisogni più segreti, era del mestiere per via del materiale pornografico che traccheggiava. Poteva anche provarci dopotutto. Con Nico era stato facile, si erano conosciuti in uno di quei siti... E anche se il commesso del pornoshop lo avesse rifiutato... “Meglio un rimorso che un rimpianto” mormorò con gli occhi fissi su Michele che ora chiudeva la serranda mestamente. Non ebbe il coraggio di lasciare l’auto in doppia fila, scendere ed andargli incontro. Fece uno sforzo erculeo per non soccombere al desiderio sempre strisciante, e con l’eccitazione che gli doleva nei boxer, ben diversa la situazione rispetto a quando lo aveva toccato Tatiana, ripartì sgommando. E si asciò dietro un pulviscolo di fogliame e gas di scarico.

4 commenti:

  1. Da tempo non venivo risucchiata così in un racconto, da molto tempo. Non voglio dire che ultimamente non abbia letto cose belle, anzi, ma qui sono entrata a far parte della storia, come se fossi in quella stanza anch'io, come se l'angoscia di Diego risalisse dal pavimento al mio corpo, al mio cuore. E non a caso il mio cuore ha cominciato a battere molto, troppo in fretta. E la sua ansia, la sua tristezza sono diventate anche mie, e non mi hanno ancora abbandonato, so già che rimarranno qui con me ad aspettare che qualcosa accada.
    Una nuova Giusi questa...

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    1. In realtà anche una vecchia Giusi.. devo farti leggere Danzando con i propri demoni, perché le atmosfere sono le stesse. Però, mentre Alberto "danza" qui il protagonista li scaccia, li teme e poi soccombe.

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  2. Questa storia mi ha già preso dopo solo due capitoli. Mi piace questo Diego dalla doppia personalità, un Giano bifronte che nasconde dietro una facciata di normalità un torbido segreto che da quando ha conosciuto Michele rischia di sommergerlo e di venire fuori inesorabile. Tatiana e il suo lavoro sono come un'ancora cui aggrapparsi, ma anche qualcosa che a volte gli sta stretto. Tatiana con la accondiscendenza e il suo essere sempre accomodante in ogni aspetto della loro vita di coppia non può eccitarlo o suscitare in lui desideri quanto invece fa Michele che fin dal primo incontro lo ha trattato male e Diego da masochista qual'è ha bisogno proprio di questo. Spero non mi faccia attendere tanto per il prossimo capitolo perchè io già l'adoro

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    1. Grazie, quasi pronto ma oggi tocca a 2 Pianeti, la fabbrica dello slash non dorme mai.... ;)

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