giovedì 10 gennaio 2013

2 Pianeti, Quinta parte (2)




Titolo: 2 Pianeti
Sottotitolo: 2 metà dello stesso dolore 

Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e non per insinuare qualcosa!

2 metà dello stesso dolore (2)






In qualche modo Michele riesce ad andarsene ma non prende la strada di casa, no, va direttamente in Hotel. Lentamente tutto si fa chiaro. Il corso di cucina di Diego, la sua svagatezza, il suo sguardo colpevole, i sotterfugi di sua madre, l’allegria scomposta di suo padre. E le parole crude di quell’uomo cattivo che odia con tutto se stesso tornano a torturarlo: oppure non sei frocio, lo usi solo per i soldi. Beh ti hanno fatto comodo, non c’è che dire... Michele guarda lo stemma del Verde Luna da lontano. Scende dalla macchina frustrato e piange; piange di rabbia, di solitudine, di nervoso. Piange e prende a cazzotti la portiera della Focus per sfogarsi, fino a quando le nocche non iniziano a sanguinare. Bastardo perché! Perché hai fatto questo! Poi un altro pensiero lo distrugge. “Ha venduto casa, ecco perché sta qui già da un po’. E dove poteva andare. E la televisione in camera! Ecco spiegato tutto” ora che i dubbi vanno via via dipanandosi, Michele sente che non può proprio sopportarlo. Entra nell’hotel che sembra un invasato. Il barista, che non lo riconosce, lo avvisa che sono ancora chiusi, che l’inaugurazione non inizierà prima delle sette e trenta. “Dammi da bere, sono il figlio del capo. No... no suo marito. Sono il marito del capo” risponde acido. Il ragazzo si schermisce, corre in cucina e, poco dopo, arriva il cuoco che lo riconosce. “Signor Salvemini, è già arrivato! I suoi genitori e il signor Perrone saranno qui a momenti”
“Il signor Perrone certo...” Michele biascica che sembra ubriaco. Bere, già... quella sarebbe una soluzione, pensa. Notando i cocktail con i bicchierini già pronti sul tavolino, senza preoccuparsi di scombinare la bella composizione, si prende un drink. Ma beviamo, beviamoci su... che cazzo... Ne beve uno, due, tre... poi esce e arrivano le sette. Il suo cellulare squilla già da un po’ ma lui non vi bada. Arrivano i suoi genitori e c’è anche Diego. Ha l’aria preoccupata mentre, chiuso nella sua bella divisa da cuoco, nota Michele stravaccato su una delle tante sedie in vimini collocate sul terrazzo dell’Hotel. Sta guardando il sole, ormai giunto sul punto di tramontare. La luce è ancora vivace però, e alcuni gabbiani volteggiano sopra le loro teste, vanno verso il mare, in un punto indefinito dove nessuno di loro può arrivare. Nemmeno con tutti i soldi del mondo si può arrivare a quel punto, pensa Michele ormai nei fumi dell’alcol. Dietro i genitori arrivano altri, altre macchine. Gli invitati, i parenti dei lavoranti, amici, ex compagni di scuola di Barbara. Ovviamente Barbara con suo marito. Nessuno di loro si cura di Michele e della sua sbronza, anche i suoi genitori lo hanno salutato distrattamente e poi, senza chiedere niente, sono andati a lavorare, ad accogliere. È il loro giorno dopo tutto. Se ne sono andati tutti già, dal terrazzo dove sta Michele. Ma non Diego. Lui si avvicina cauto a dove Michele è seduto. Su di lui si irradia la luce di quel sole pugliese così invadente nella sua bellezza. Così inopportuno.
“Michele...” Diego lo sussurra quasi... “Michele ti ho aspettato ma tu non arrivavi e non rispondevi ed era tardi...” a Diego non occorre un documentario di Piero Angela che gli spieghi perché è così incazzato. Anche se non ha idea dello zio dal benzinaio, del delirio emotivo e mentale che il suo compagno sta vivendo. Michele non parla ma quando Diego gli si para davanti, tra la sua sedia e il sole, scatta in piedi e gli versa addosso il contenuto del suo bicchiere malamente.
“Vaffanculo” riesce a dire alla fine, anzi lo urla. E a Diego si accappona la pelle, mentre si stringe nelle braccia, tentando di rassicurarsi. Intanto una vocina gli dice: è finita, è finita. “Diego... Diego...” ora la voce di Michele gli arriva strana, come falsata, più acuta. “Alla fine sei arrivato nel tuo Hotel, Diego. O devo chiamarti maritino? Padrone forse? Ecco padrone è il termine giusto”
“No Michi non dire così ti prego io l’ho fatto per te, per i tuoi genitori, non c’è niente di mio qui, l’ho fatto solo per amore, solo per te” le sue lacrime si uniscono ai residui del cocktail e Diego le toglie con le mani tremanti.
“Mi hai comprato alla fine ce l’hai fatta” Michele guarda Diego con occhi cattivi, occhi che lui non gli ha mai visto e che gli fanno paura, ma continua ad avvicinarsi.
“Michele non è come pensi tu io…”
Michele alza una mano a fermarlo, a tenerlo distante: “Stai zitto, sei solo uno stronzo e io non so come ho fatto a non capire, a cascarci, brutto bastardo! Maledetto ragazzino viziato” dopo una piccola pausa dove si prende il tempo per fiatare ricomincia: “Sei venuto qui per comprarti tutta la Puglia? Di sicuro i miei genitori! Ma che volevi dimostrare, che sei meglio di me? Che sei più ricco di me? Più intelligente, più furbo, più istruito?”
“No ma perché devi prenderla così? Perché ti ostini a non voler capire? Non sono né più furbo né più intelligente, e non ho comprato nessuno, soprattutto i tuoi genitori che loro sì che sono persone intelligenti e lo sanno perché l’ho fatto. E poi dici che mi ami? Dici che mi ami e poi mi tratti come l’ultimo degli stronzi?” con un sospiro Diego tenta ancora di avvicinarsi a Michele gli mette una mano sul braccio: “Michi credimi quando ti dico che sei tutto quello che ho, credimi quando ti dico che tutti i soldi del mondo non mi basterebbero se non avessi te; cosa dovevo fare? I soldi li avevo, a cosa dovevano servirmi se non per aiutarti? Ho solo te”.
“Ma basta! Sta zitto! Tu non capisci niente, sei solo capace di comprare le persone, sì perché siccome le persone ti hanno sempre usato, tu che fai? Le compri! Con i soldi pensavi di comprarti l’amore? Beh, notizia dell’ultima ora carissimo Diego, tu per colpa dei soldi, l’amore l’hai perso! Perso...” Michele digrigna i denti. Gli occhi ormai fuori dalle orbite e sempre più crudeli. Diego tenta di dire qualcosa ma lui continua. “Io mi fidavo di te, è una questione di fiducia. Ti avevo detto che non volevo? Per me bastava così. Come mi hai tradito in questo puoi tradirmi in qualsiasi altro modo dunque ora vattene. Vattene da qui, vattene per sempre...”
Diego è ammutolito, vorrebbe dire qualcosa, prostrarsi ma quando tenta di parlare, Michele lo spinge con violenza verso la sua macchina. “Vattene Diego, prima di fare di me una persona violenta che non sono. Tu non hai idea di quanta voglia avrei di spaccare questa tua bella faccia del cazzo” Diego non si ribella. L’alito di vino, i modi villani, grotteschi, la situazione è grottesca. E come in un incubo, Diego si ritrova dentro ma la macchina di Michele. Una manovra e via. È già fuori dal parcheggio del Verde Luna.
Diego non sa come è riuscito ad arrivare davanti alla casa dei Salvemini, tra l’angoscia e le lacrime ha rischiato di finire due volte fuori strada. Sul vialetto si strappa via la sua bella uniforme, l’appallottola e la lancia sull’erba.
Entra e non si guarda nemmeno intorno, raccoglie poche cose, l’essenziale e le infila con frenesia nella sacca di Michele che è ancora lì per terra, le mani che continuano a tremare e un dolore dentro che lo devasta. Si carica la sacca sulla spalla e fa per uscire ma con la mano sulla maniglia si blocca.
Si gira a guardare la casa dove ha vissuto poco, l’unica dove si è sentito davvero vivo, il divano dove solo poche ore prima Michele lo ha amato così intensamente, e ora è tutto finito. Finito.
Con la morte nel cuore e negli occhi, Diego infila la porta e se ne va. Fuori lo aspetta Ulisse. Il cagnone non gli salta addosso come al solito, come se percepisse tutta la sofferenza che Diego porta con sé; Diego si inginocchia e lo accarezza con tenerezza, mentre lui gli lecca le mani. “Addio Ulisse, addio anche a te” le lacrime che cadono dal viso alla terra non le sente più, come se sgorgare fosse un fatto normale, come il sangue che scorre nelle vene.
Si chiude il cancello alle spalle e si incammina verso la statale; non vuole andare in stazione ad aspettare un treno, deve andarsene il prima possibile da lì, tanto che ci rimane a fare?
A quell’ora c’è poco traffico, la gente è a casa a mangiare o a guardare la tv; continua a camminare Diego sul filo della strada per almeno mezz’ora prima che un Doblò si fermi a raccoglierlo.
“Sto andando a Pescara, per te va bene?” è una signora alla guida: strano, di solito le donne non caricano gli autostoppisti. Ma cosa me ne frega di chi mi carica. Basta che mi portino via...
Prima di entrare si dà un contegno, si sforza di non piangere, di coprire gli occhi rossi e vuoti. Si siede ringraziando e appoggia la sacca tra le gambe. Spera che la signora non intenda fare conversazione, non è il momento, proprio non gli va. Lei lo guarda di sfuggita, nota l’espressione ferita di Diego e torna a guardare la strada. “Se non ti va di parlare sto zitta, non è un problema. Ma abbiamo tre ore almeno di viaggio, e a volte fa bene sfogarsi con gli sconosciuti, aiuta. Vedi tu”.
“Grazie” a Diego non escono altre parole; continua a rigirarsi tra le mani la fascia rossa che Michele porta abitualmente tra i capelli, l’ha vista sul tavolo, l’ha dovuta prendere. La fiuta, sente il profumo dei suoi capelli, del suo sudore, del suo amore. Ha l’impressione che gli scoppi la testa, le vene, sente che sta per sciogliersi su quel sedile, e vorrebbe che fosse proprio così. Sparire semplicemente sciogliersi e sparire per sempre. Si rigira la fascetta intorno al polso, come fa abitualmente Michele quando si è stancato di portarla, e mettendo il viso tra le mani riprende a singhiozzare senza potersi fermare, il dolore è troppo per tenerlo dentro. Per colpa dei soldi l’hai perso l’amore Diego... Questa frase gli gira nella testa, gli risuona nelle orecchie, sente solo quella. L’ho perso, l’unico che amavo, l’unico che mi amava. L’ho perso, l’ho perso, l’ho perso. Non se ne accorge nemmeno, ma le ultime parole le sussurra all’infinito.
Hanno da poco imboccato l’autostrada e la signora si ferma al primo parcheggio che trova.
“Tesoro, non ti chiedo di parlarmene, ma credo di capire che sia una questione di cuore. Povero piccolo, fa tanto male?” Diego non riesce a rispondere, i singhiozzi lo scuotono, sembrano volerlo distruggere, minuto com’è. La signora gli accarezza la testa, impressionata, senza più parlare.
Poco alla volta i singhiozzi si placano, ma Diego non toglie le mani dal viso.
Lei si gira e prende un termos pieno di tè caldo: “Tieni, bevi che ti farà bene” porgendogliene un bicchierino e versandosene a sua volta.
Diego beve poi si gira verso di lei porgendole la mano. “Diego. Io sono Diego” Io ero Diego, ora non sono più nessuno, senza Michele non sono nessuno...
“Io sono Maria. Passa un po’?” Maria lo guarda negli occhi e ci vede tutto il dolore del mondo. “Ci vorrà tempo Diego, ma passerà credimi. Io riparto se riesci fatti un pisolino dai” capisce che Diego non vuole parlare, gli dà l’occasione per rinchiudersi.
Viaggiano così, Diego con la testa appoggiata al finestrino a guardare la Puglia che se ne va, Maria che guida in silenzio, guardandolo ogni tanto, mettendogli la mano sulla spalla per dargli sostegno.
Poco prima di arrivare al casello, si ferma all’autogrill dove Diego scende per cercare un altro passaggio. Lo abbraccia stretto: “Mi spiace lasciarti qui, potrei essere quasi tua madre, beh, insomma una sorella maggiore almeno e non mi sento a posto ad abbandonarti. Mi raccomando ragazzo, non fare sciocchezze, l’amore va e viene, non abbatterti troppo”.
“Grazie Maria per tutto; non preoccuparti per me ce la farò” mentre lo dice non ci crede per niente. Ma non vuole che quell’estranea stia male per colpa sua. Pensa che lei è buona, non se lo merita. Non è una cretina come me... Maria risale in auto e si allontana salutandolo.
Diego si guarda intorno: un altro autogrill ma qui non succederà niente di bello per lui. Sono le undici di sera. Non c’è nessuno a quell’ora, solo lui che gira nel parcheggio come un’anima in pena, poi si dirige verso il prato sul retro. Non c’è il trifoglio lì, ma tanto comunque non lo raccoglierà nessuno domani mattina, non ci sarà più Michele a portarlo via con sé.
Si siede con le spalle a un albero e apre la sacca. Ne toglie la bottiglia di amaretto che ha trovato a casa di Michele, forse l’aveva comprata lui quel giorno all’Auchan, la prima volta che hanno fatto spesa insieme e che poi hanno litigato e poi fatto pace nel parcheggio.
Cercando ancora nella sacca escono anche gli ansiolitici; Diego li guarda, cosa ci vuole in fondo? Magari se li prendo tutti e mi finisco l’amaretto, mi addormento qui e pace. Magari non mi trovano nemmeno, anzi sicuro non mi trovano, nemmeno mi cercherà nessuno, tantomeno Michi...
Michele, Michele, Michele... solo lui nella sua testa: Michele che lo sgrida, che lo coccola, Michele da baciare, Michele sul divano, Michele per fare l’amore, Michele da amare. Michele che non lo vuole più. Vattene da qui, vattene per sempre… Io mi fidavo di te…
Si versa nella mano le pastiglie ancora nel flacone, non sono tantissime, ma se ci beve su può funzionare no? Le caccia tutte in bocca e si attacca alla bottiglia.
Appoggia la testa all’albero e guarda la mezza luna che spicca in un cielo pieno di stelle. Pensa al poster appeso nella stanza di Michele ragazzo, la luna azzurra con i due pianeti: un pianeta ora non c’è più. Quel pianeta non c’è più o forse era una stella... sono io... io ero una stella! Ora Diego si sente una scheggia impazzita, come una stella che ha perso la sua orbita e vaga in un cielo senza luna.
Ricomincia a piangere, tanto chi se ne frega ormai della sua sensibilità? Volevo farmi curare… questa è l’unica cura possibile per me ora. Beve e beve Diego, finché sente che le forze lo abbandonano, la mente annebbiata e finalmente riesce a non pensare più.
Diego si addormenta fra l’erba, appoggiato ad un albero in un campo incolto dietro ad un autogrill.

Tutto sommato l’inaugurazione del Verde Luna è andata bene. Alcuni ospiti hanno finto di non badare (la maggior parte non ci ha badato sul serio) alla faccia tetra di Giuseppe Salvemini, alle lacrime negli occhi di Santina, ai sorrisi falsi di Barbara e suo marito, ma soprattutto, a Michele Salvemini ubriaco fradicio sul terrazzo che parla alla luna, ai gabbiani e alle stelle tutte. Che biascica delle sue disgrazie, senza curarsi di sapere che fine abbia fatto Diego, l’artefice di tutto quello. È talmente fuori che ad un certo punto, mezzanotte e mezzo, si addormenta con la testa spiaccicata sul pavimento. Addormentato tra le sedie in vimini. Non può sapere che, in quel momento, a trecento chilometri di distanza, dorme anche Diego, il suo grande amore, quello che l’ha tradito. Anche questo hanno in comune, dormire in un posto improprio. Scaltra, Santina si avvicina al figlio sbracato in terra e, con un gesto lesto, gli sgraffigna il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Qualche secondo dopo è il lacrime affianco alla figlia e al marito. Ormai tutti gli ospiti se ne sono andati, restano solo le maestranze ad assistere allo sfacelo. “Non risponde Giuse’, non risponde! Ma dove sarà quel ragazzo, dove sarà!” l’ansia prende il sopravvento e per quanto sua figlia e suo marito la rincuorino dicendo che non risponde solo perché è offeso, che non vuole parlare a Michele dopo la sbroccata che gli ha fatto, lei si dispera e alla fine di una serie di epiteti contro il figlio, si getta sulla sedia pesantemente e scoppia in lacrime. “Lo sapevo che quel torinese avrebbe portato solo guai!” strilla nervosa Barbara, l’unica a non aver mai avuto in simpatia Diego, forse per gelosia o per una questione tipicamente femminile. Voleva una donna accanto al fratello, non ne fa mistero. Ma ora Giuseppe l’accusa: “Se ora stiamo qui, se sono tornato padrone del Verde Luna e padrone della mia vita devi ringraziare Diego. Anche tu, anche tuo marito. E per me la questione finisce qui” da un calcio alla sedia e se ne va Giuseppe. È il suo modo per far capire che è preoccupato, come lo sono tutti. Il rombo della Punto che parte a tutta birra ha il potere di destare Michele, il quale, quando si sveglia, capisce che la festa è finita. Una festa a cui lui non ha partecipato, o ha partecipato anzi, facendo la parte del beone. Quello penato e deriso dagli altri. Si alza dal suo provvisorio giaciglio e, come se gli piombasse tutto addosso all’improvviso, sente tra le mani, tra le unghie, nella mente, il disastro che è compiuto. Rivive vividi il momento del disastro, di quando ha trattato male Diego. Lo ha cacciato via. Lo ha insultato e gli ha pure tirato un bicchiere di spumante addosso. E tutto questo perché lui si è dato via il suo attico per comprare a mio padre il Verde Luna... una pena profonda lo accalora. Diego se ne è andato davvero, forse... oppure, spera, è di là con gli altri. Se l’è fatta passare ed ha festeggiato con gli altri il ritorno dei Salvemini come albergatori. Sì, sicuro è così... si dice mentre gira come un invasato la grande sala ristorante. E vede.
Vede la madre afflitta sulla sedia. Suo cognato che saluta gli ultimi camerieri, il cuoco e sua sorella che fuma. Ma non aveva smesso? Poi si tasta la tasca alla ricerca del cellulare. “Devo chiamare Diego” dice ad alta voce. Riscossa, Santina si gira e lo fulmina con lo sguardo. Poi si alza e lo affronta: “Non risponde! Dio mio non risponde! Dove sarà quel ragazzo! Dove sarà!” piagnucola, sbraita. Gli molla uno schiaffone. Michele non ricorda quanti anni sono che non lo picchiava, ma se le tiene quelle cinque dita in faccia, se l’è meritata la sberla. “Mamma...” geme afflitto. Poi, prima di essere anch’egli travolto dalla rassegnazione che Diego se n’è andato, non fa più parte dell’ambiente, della loro vita, strappa dalle mani della madre il proprio telefono e chiama. Ma niente, libero, libero, sempre libero. Squilli su squilli, dall’altra parte nessuno. Nessun segno di vita. Michele ora gira intorno ai tavoli come un ossesso. Dalla parte del vetro la mezza luna bastarda illumina il terrazzo dove ora le luci sono spente. “Sarà a casa” urla tornando di nuovo dentro. “Andiamo sarà a casa. Mirco andiamo a casa” fa al cognato, il quale svelto tira fuori le chiavi della sua Nissan e, in pochi concitati attimi, chiudono e se ne vanno, lasciando solo il portiere di notte.
I venti minuti che li separano da casa, Michele li passa in apnea. Si dice che Diego è sul divano che dorme, proprio come quel pomeriggio, prima di fare l’amore... si sarà fatto uno di quei pianti cosmici e dopo aver coccolato un po’ Ulisse, è caduto nel sonno profondo. Ci spera davvero ma quando camminando sul vialetto, Barbara incappa con piede sulla divisa strappata di Diego, Michele capisce che non c’è... non è nel suo appartamento. Ci trovano la Focus, ci trova le chiavi attaccate. I ladri non ne hanno approfittato, ma l’amore è stato derubato. Non c’è più traccia d’amore da nessuna parte, ora che Diego se ne è andato. Michele, come un pazzo lo cerca. In ogni anfratto, in ogni angolo, persino sotto il letto, tanto piccolo com’è potrebbe incastrarcisi bene. Vede molte delle sue cose ma non vede più la sua sacca. Non c’è il portafoglio di Diego, mancano alcuni abiti. Santina, con passo pesante lo raggiunge alle sue spalle. E lui si gira allucinato. Un dolore fisico allo stomaco, la testa che gira, due parole sulle labbra: “Mamma se n’è andato, se n’è andato sul serio!”
“Non lo vedremo più... l’unico che ti abbia capito, che ti abbia davvero voluto bene, lo hai mandato via” poi urla: “Brutto stronzo, noi gli volevamo bene! E tu lo hai mandato via, e perché poi? Perché ti amava troppo? Perché ha sacrificato la sua vita per te? Cosa doveva fare, tradirti come hanno fatto le altre? Prenderti in giro?”
A quel punto l’orgoglio ferito di Michele sbotta: “Io mi sono sentito preso in giro! Che ne sai... che ne sai che quando stavo dal benzinaio quel bastardo di tuo fratello me lo ha spiattellato giù così bene. E non sapevo niente!”
“Che ti ha detto” Santina si copre la bocca disgustata.
“Cosa vuoi che mi abbia detto? Che vi siete fatti aiutare dal fidanzatino di vostro figlio. Parole di merda da una persona di merda!” E io che ci sono cascato, ho trattato male Diego per colpa sua. “Ho bevuto e non capivo più niente, non avrei dovuto” ma a che serve rendersene conto? “Mamma dove lo posso trovare?” ora Michele ha paura, è passata l’una di notte e Diego è solo in una grande città come Bari. Dove sarà? “Mamma”
“Ora chiedi aiuto a me, disgraziato?” lo aggredisce: “Ora che lo hai perso” Ha ragione, ha ragione. L’ho perso! L’ho perso perché sono una testa di cazzo! All’improvviso, tutti i ricordi che lo legano a Diego, a quei quattro mesi d’amore insieme, così perfetti nella loro rarità, sopraggiungono a lui, come in uno schermo invisibile. Lo vede tra i trifogli, sgraziato come un gatto ferito. Lo vede sporco di cioccolata fino alla fronte. Lo vede tremare dal freddo dentro l’ortica. Lo vede cazzeggiare mentre ci prova per la prima volta con lui, e lui lo schianta sul sedile minacciando di staccargli gli attributi. E poi i ricordi, quelli belli, che lo affossano sul serio di brutto. L’amore. L’amore che come la lava di un vulcano l’ha travolto, ha travolto tutto e l’ha bruciato. Ora Michele si sente bruciato. Non riesce a pensare, ad agire. È disperato, e la paura lo blocca. Ha dormito mentre Diego se ne andava, scappava da lui, dalla gioia. La gioia è così rara oggigiorno pensa, che andrebbe protetta dentro una teca, con tanto di telecamere a infrarossi. Mentre lui ha rotto la teca e ora è scappato tutto. Michele piange adesso, da prima sommessamente, le lacrime che sgorgano in quantità industriale. Uno come lui che non piange mai. Ma quanto Santina, a sua volta distrutta dal dolore, piange sulla sua spalla, il pianto diventa rabbioso e disperato. Inconsolabile. Anche Barbara piange a sua volta. Ma in un angolo. Resta a guardare madre e fratello abbracciati. Sembra un film. Un film di quelli che non finiscono bene.

2 commenti:

  1. Ho letto tutto d'un fiato. Bellissimo ma anche terribilmente doloroso. E' come un pugno nello stomaco che non solo fa male ma che ti toglie anche il respiro. Il loro litigio e lo sguardo di Michele colmo di disprezzo mi ha lasciato l'amaro in bocca e anche l'ultimo sguardo di Diego a quel divano dove erano stati tanto felici, mi ha commosso fino alle lacrime. Non mi capita spesso di piangere per una storia, ma qui credo che di lacrime ne verserò parecchie da questo capitolo in poi. Spero davvero che qualcuno trovi il piccolo Diego e che tutto si possa aggiustare. Temo però che il torinese ora abbia il cuore lacerato e difficile da rattoppare. Michele corri da lui e digli che hai sbagliato! Ti prego.

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    1. Di solito ti dico che sei teatrale, ma questa volta non ce la faccio. Sarà che so quello che sta per succedere... sarà una lunga agonia e non posso dirti se risorgerà la luna...

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