Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una
torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina
e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere:
AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline:
Fine anni settanta
Rating: PG, slash, NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e
del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso
in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta
Come si buttò sul letto,
l’immagine di Perrone che camminava a braccetto col collega gli tornò nitida
davanti agli occhi. Ha pure un culo della
madonna quel cazzo di caramba. Con questo genere di considerazioni stette
per molto tempo a rigirarsi nel letto prima di prendere sonno. Tieni le mani a posto Michè, stasera le
tieni a posto. Alla fine si rannicchiò su un fianco e infilate le mani
sotto il cuscino prese finalmente sonno.
La mattina dopo si
svegliò con una sorpresa: un bel profumo di caffè riempiva la stanza.
Incespicando nei calzoni per la fretta, si vestì e andò difilato in cucina dove
trovò il padre seduto al tavolo con la caffettiera fumante davanti e due tazze
pronte.
“Pà!” Michele non riuscì
ad aggiungere altro davanti al sorriso del padre: un sorriso incerto, mesto, ma
pur sempre un sorriso.
“Ho imburrato il pane
guarda. Mangia Michele. Ti ho lasciato solo per troppo tempo: me ne sono reso
conto il giorno che siamo andati a cena da Galileo. Non so ancora bene come
fare, ma è ora che mi riprenda e che ti dia una mano”. Suo padre non faceva un
discorso così lungo da anni. Commosso e grato a quell’entità misteriosa che li
stava aiutando, Michele si sedette al tavolo e fece onore alla colazione.
Chiacchierarono un po’, poi Michele andò di corsa in bagno, tornando abbracciò
il padre e uscì per andare al lavoro.
Quel giorno il turno
scivolò via facilmente; Michele pensava a suo padre, a come l’aveva visto
cambiato, poi rifletté sul pomeriggio che lo aspettava: sarebbe passato alla
radio, poi una partitella a calcio con gli amici. Fu grato alla solita entità
misteriosa che sembrava vegliare su di lui, di non aver pensato al fascinoso
carabiniere nemmeno un attimo.
Sotto la sua insistenza raggiunse
Pazienza alla radio dove seguì le trasmissioni per un’oretta. Alle diciotto
prese l’auto e dopo la spesa biologica, che come sempre lo spinse fuori dal
paese, si affrettò a raggiungere gli amici che lo attendevano al gineceo.
Con l’animo leggero entrò
negli spogliatoi e si cambiò e, una volta nel padiglione, partì alla ricerca
degli amici. A causa dei lavori di ripristino, per arrivare al campo doveva per
forza passare dentro la piscina comunale, l’unica di tutta la città. Tre delle
cinque corsie erano riservate, due per i corsi di nuoto e una per chi voleva
allenarsi; le rimanenti, tolto il divisorio, erano invece dedicate a chi voleva
solo divertirsi un po’. In quel momento c’erano solo sette persone a mollo, i
suoi amici.
Michele restò
interdetto, tra l’altro non aveva il costume: “Stanno cementando Miche’” lo
avvisò Carmine Baldi detto Pulcinella. “Niente partitella oggi, ci facciamo un
po’ di pallanuoto”.
Tutto sudato sotto la
tuta, Michele annuendo tornò sui suoi passi. Iniziava a fare caldo, non per i
termosifoni, che là non c’erano, ma per il caldo sole d’aprile che aveva
battuto contro le vetrate della piscina per tutto il santo giorno. Lo speaker, solo
la testa fuori dal pelo dell’acqua, lo istruì: “Michè, non sapevo come
avvisarti, tu hai detto che non tornavi a casa e noi lo abbiamo saputo solo
quando siamo arrivati qui, ma se vai all’entrata rimediano un costume e una cuffia
anche per te, fidati” Michele annuì eseguendo alla lettera i dettami
dell’amico. Il direttore del complesso sportivo gli rimediò effettivamente la
cuffia e pure il costume, l’inconveniente fu che lo slip gli andava stretto,
lasciando veramente poco all’immaginazione. Dopo essersi cambiato, schizzò
fuori dallo spogliatoio dove, se non altro, aveva recuperato l’accappatoio. A testa
bassa tornò dagli amici e, una volta, di nuovo da loro, si tolse l’accappatoio
e le ciabatte e, sperando che nessuno notasse la tenuta adamitica, di corsa si
buttò a bomba in mezzo ai compagni urlando. Subito l’assistente ai bagnanti si
precipitò verso di loro fischiando, e poi urlando: “Mapporcaputtena… che ci sono i bambini anche! Se ti rivedo ti sbatto
fuori senza passare dall’entrata!”.
Ridendo a più non posso,
con i capelli bagnati che gli si appiccicavano alle spalle visto che la cuffia
era schizzata via nell’impatto, Michele si giustificò: “Hai ragione Tano,
scusa, ma era una vita che non venivo in piscina: sai, l’entusiasmo!” recuperò
la cuffia che galleggiava poco lontano e cercò maldestramente di rimettersela,
peraltro senza successo. Sbuffando fece per lanciarla, ma a un’occhiata gelante
del bagnino si rimise d’impegno e, finalmente, riuscì a stiparvi la massa di capelli.
“Pronti? La palla? Dai
Dante, lancia, cinque vasche di riscaldamento poi partita!” Michele quel giorno
era veramente contento, e il suo entusiasmo contagiò i compagni che lo
assecondarono volentieri.
Nella prima corsia,
quella dedicata agli allenamenti, mentre si riposava un attimo dopo la
centesima vasca, Diego osservava Michele. Anche dall’acqua lo aveva subito
notato entrare, e non aveva creduto ai suoi occhi: finalmente vedeva Salvemini
senza veli, e quando si dice senza veli,
proprio con tutti i crismi! Non avrebbe mai pensato che dopo il ristorante
e il cinema, lo avrebbe incrociato pure in piscina! Una vera persecuzione! Il giovane carabiniere ne era oltremodo
affascinato. Lo sguardo aveva indugiato impunemente sul corpo esposto: senza
essere né troppo grosso né troppo magro, Michele ostentava un fisico niente
male: i muscoli sodi e compatti, il petto coperto da una leggera peluria scura
e un sedere decisamente sodo sotto lo slippino rosso. Poi non parliamo della pannocchia di granturco nelle mutande... mio
dio! Povero me... ah, sono perso!
Con malcelata invidia,
rimase a guardare gli otto amici che erano passati dal riscaldamento all’allegra partita di pallanuoto. Invidiava quel cameratismo tra ragazzi
che a lui era sempre mancato. Parliamoci
chiaro Diè, quelli come te quando stanno in intimità con un uomo perdono la
testa, e altro che virili pacche sul sedere! Per associazione di idee
ripensò ad Alfredo. Era stato bene la sera prima con lui e cominciava a pensare
che forse non gli era del tutto indifferente, e anche il collega poteva essere
un tantino interessato alle sue grazie. Non parlava mai di donne e lo cercava
continuamente. Ci rifletté su: Alfredo era una brava persona ed anche un
bell’uomo. Certo, quello che provava per il collega non era lontanamente
paragonabile a ciò che gli suscitava Michele.
Sospirando riprese gli
allenamenti: almeno un’altra cinquantina di vasche avrebbe dovuto farle oggi.
Diego uscì dall’acqua
dopo più di due ore di allenamento e guardò verso la parte libera della
piscina: la compagnia si era fermata in cerchio a chiacchierare. Si diresse
velocemente verso gli spogliatoi: voleva riuscire ad andarsene senza farsi
vedere da Michele, non se la sentiva proprio oggi di affrontarlo. Mentre ad
occhi chiusi si riscaldava sotto la doccia sentì dei passi avvicinarsi e
voltandosi si ritrovò gli occhi neri e scanzonati di Michele puntati addosso.
“Toh, chi si vede:
buonasera” Michele aprì il rubinetto della doccia accanto alla sua e appena fu sufficientemente
calda s’infilò sotto con un sospiro soddisfatto.
Diego, malgrado i buoni
propositi, proprio non riuscì a fare a meno di guardare la parte bassa che
aveva ben studiato, prima che lui si gettasse a bomba nella piscina. Da vicino
era anche meglio, pensò. Il costume bagnato, uno straccetto inservibile, mal
conteneva quello che a riposo prometteva essere un’arma impropria. E Diego,
disgraziatamente, rivisse la battuta di Michele durante la perquisizione: giuro che non è un arma. Non ci ho mai
menato nessuno.
Girandosi verso di lui
all’improvviso, Michele seguì il suo sguardo e ghignò: “Sei interessato ai miei
gioielli carabiniere? Non ti è bastata la perquisizione, vuoi verificare?”.
Diego rialzò lo sguardo,
arrossendo e assumendo un’espressione fiera chiuse il rubinetto e fece per
allontanarsi veloce, ma scivolò malamente e Michele fu lesto ad acchiapparlo al
volo per la vita, evitandogli una brutta caduta. Rimasero allacciati per un
attimo di troppo: Michele che lo stringeva con un braccio mentre Diego si
aggrappava alle sue spalle per rimettersi in equilibrio. Entrambi seri ora,
Diego con le narici allargate, frementi, forse per il pensiero di aver fatto
una figuraccia, forse per qualcos’altro, si staccò bruscamente e ringraziando
con freddezza si allontanò verso l’armadietto.
Anche Michele era
pensieroso, ma il suo carattere scanzonato ebbe ancora la meglio: “Hey
carabiniere, coi baffetti più corti stai meglio lo sai?” si avvicinò. Diego
doveva togliersi il costume e questo lo metteva davvero in imbarazzo ma tentò
con l’accappatoio di coprire il copribile. Una natica rimase esposta e, a quel
punto, all’operaio passò completamente la voglia di cazzeggiare. Restò come imbambolato: un culo della
madonna? Tutto il presepe ci sta Michè! E quando si rese conto che lo stava
importunando era troppo tardi. Gli fu addosso abbracciandolo da dietro e
spingendolo verso il muro dove erano appesi i vestiti. “Vedi che ho fatto bene
ad uscire prima degli altri dall’acqua, così ci ho trovato te” sussurrò al suo
orecchio. Diego fece per ribellarsi ma senza grande impegno. Restò invece a
godersi l’alito caldo, la pressione del corpo massiccio. “Ora i ruoli si sono
invertiti carabiniere, chi è che perquisisce?” Michele gli accarezzò i fianchi.
Rapidamente gli afferrò il sesso teso, già impacchettato negli slip bianchi e
lo scoprì duro. “Ti piace che ti tocco vero? Ti chiami Diego, vero? Sì che ti
chiami Diego, e dimmi Diego: ti piace il mio cazzo addosso al tuo culetto?” Sempre
più libidinoso continuò: “Ma sì che ti piace, tanto l’ho capito di che pasta
sei fatto. Ti piacerebbe che te lo infilassi nel culo, vero? L’ho visto come me
lo guardavi sotto la doccia” stringendosi a lui ancora di più, sussurrò: “Lo
senti come è grosso? È tutto per te” Diego si voltò un attimo nell’estremo
tentativo di protestare ma, anziché scacciarlo, gli scappò un sorriso etereo e
un attimo dopo, fu scosso da un tremore che passò in fretta. In quello stesso
momento Michele percepì umidità sulla mano che teneva salda sul pacco del
ragazzo. “E te ne vieni così?” furono le sue ultime parole, l’arrivo dei suoi
amici lo costrinse a staccarsi in tutta fretta.
Fuori dalla palestra
come sempre lo attendeva Alfredo. Quest’ultimo però non si aspettava certo di
trovare l’amico in quelle condizioni: il volto serio, quasi rattrappito, tutto
il corpo era rattrappito nel trench nero, le guance sporche di lacrime, gli
occhi all’ingiù. “Diego, che c’hai? Che t’è successo?” Alfredo si avvicinò a
lui cercando di riscuoterlo. L’amico sembrava aver visto il diavolo e averci
pure parlato. “Alfredo...” riuscì a balbettare tremando. E questi lo abbracciò.
“Ma Diè, ma stai
tremando, che cazzo è successo!”
“Niente, andiamo!” Gemé
cercando di trattenere le lacrime.
Diego era a dir poco
scosso, da solo si sentiva assolutamente incapace di fare un solo passo e si
aggrappò al braccio di Alfredo che lo scortò fino alla sua macchina. Una volta
dentro azionò il tergicristalli: una leggera pioggia batteva sull’automobile.
“Ora mi dici che hai? Non ti ho mai visto così”
“Appunto, parti e andiamocene” ma Diego si raccolse l’ennesima lacrima e poi
non ce la face più e scoppiò in un singulto. Dopo i continui solleciti
dell’amico finalmente al carabiniere scappò un nome.
“Michele hai detto?
Intendi Salvemini?” conosceva almeno un centinaio di persone con quel nome a
Bisceglie Alfredo, ma stranamente ci azzeccò al primo colpo. “Che ti ha fatto?
Insultato? Minacciato? Me lo devi dire Diè!” alzò la voce. Rallentò, non se la
sentiva di guidare in quello stato e così si fermò di fronte all’ufficio
postale chiuso. Diego non smetteva di piangere e questo lo imbarazzava non
poco, quanto imbarazzava l’amico. Già di per sé un uomo che piangeva era
sconveniente, ma un carabiniere! Era anche peggio. Alfredo accarezzò paterno la
schiena cercando di farlo riprendere, ma rabbia e curiosità lo avevano assalito
e avrebbe voluto un piede di porco per aprire la bocca all’amico e costringerlo
a confessare. Ma nel suo cuore aveva già mezzo capito tutto.
“Michele è entrato nello
spogliatoio e mi ha... mi ha...”
“Ti ha?”
“Mi ha.. ha approfittato
di me insomma”
“Come approfittato?”
Alfredo non sapeva più che pensare. Sicuro aveva capito male. “Che mi stai
dicendo”
“Mi ha importunato ecco!
Come un uomo non dovrebbe mai fare ad un altro uomo, e non capisco perché possa
aver pensato quelle cose di me” mentì, ormai era in fiume in piena: non solo
parlava, straparlava. “Mi ha sbattuto al muro e mi ha detto delle cose
irripetibili” tutto vero, certo, sto solo
omettendo che ero così eccitato che ad un certo punto sono venuto, non si può
certo dire che manchi niente, no? “Cazzo Salvemini, quello schifosone là ti
ha toccato? Ha osato metterti quelle sporche mani addosso? Ma io gli stacco i
capelli uno ad uno!” Diego conobbe un lato di Alfredo che non conosceva: iniziò
a sciorinare una serie di epiteti in dialetto stretto contro il concittadino e,
alla fine, uscì dal parcheggio per tornare di corsa alle piscine. “A uno grosso
come me dove provare a dare del frocio, io me lo inculo! Altroché”
“Dove vai Alfredo,
saranno già tornati tutti a casa”
“Anche i bavosi dei suoi
compari ti hanno infastidito?”
“Ma no, che dici! Te
l’ho detto, eravamo soli. Ma non serve ora, ho sbagliato a non ribellarmi. Ma
non me lo aspettavo. Poi non so se sarei stato capace a difendermi”
“E te lo credo Diè,
quello è il doppio di te cazzo. Facile prendersela con chi ti è fisicamente
inferiore. Uno onesto non lo avrebbe mai fatto” e giù altri insulti.
“Se avessi avuto la
pistola ci avrebbe pensato due volte”
“Gliela facciamo pagare
Diè, sta tranquillo, alla prima occasione gli facciamo il sacco, ci stai?”
Diego rabbrividì. No,
questo no, non era giusto. “Non esagerare Alfrè, ha fatto un po’ lo stronzo ma
non possiamo mica picchiarlo. E poi dobbiamo portare onore alla nostra divisa,
no?”
Alfredo fu colpito e
affascinato. Così girò di nuovo verso la caserma. “Ma come sei assennato tu
Diego. Ti chiedo scusa, in qualche modo la pagherà quel bastardo, ma noi non
dobbiamo sporcare la divisa che portiamo per colpa di animali come quelli, hai
ragione”.
Una volta arrivati
davanti alle forze dell’ordine, prima di farlo scendere Alfredo volle
sincerarsi che si fosse davvero ripreso: “Tu me lo giuri che non ti ha fatto
del male, vero?”
“Ma certo, non mi ha
fatto niente di male, intendo fisicamente... è solo che non mi aspettavo una
condotta morale così bassa...”
“E che ti aspetti da
certa gente, povero il mio Diego, ma guarda che doveva capitarti” gli mise un
braccio attorno alle spalle invitandolo ad un abbraccio e, pur titubante per la
sua falsità, Diego ci si buttò. Lo strinse forte a sé. “Io non so come farei
senza di te Alfredo, sei un amico vero, un grande amico”
“Anche tu per me. Ma sta
alla larga da certa gente. Ti proteggo io, la prossima volta vengo ad allenarmi
con te, che poi ne avrei pure bisogno. Mia madre me lo dice sempre che da
quando ho fatto trent’anni mi è venuta la pancia” si toccò il ventre e Diego lo
guardò con tenerezza.
“Ma sei un pezzo d’uomo
Alfredo, ma quale pancia. E poi un po’ di pancia ci vuole no?”
“Ha parlato lui, c’hai una libreria al posto della pancia”
“Ma, forse una volta, da
quando mi alleno meno mi sono ingrassato anch’io” Diego divenne rosso, non era
abituato ai complimenti, soprattutto se provenivano da un uomo interessante. E
poi di complimenti particolari ne aveva ricevuti già abbastanza nello
spogliatoio...
“Dai ragazzì, vai a
dormire che domani arriva presto” lo spronò e prima di lasciarlo andare gli
baciò la fronte. Di rimando Diego gli baciò la barba e per poco non si
baciarono in bocca! Impacciati si salutarono e sotto la pioggia divenuta
battente, Diego scappò dentro la caserma. Oscillando la testa nervoso Alfredo
mise in modo e partì.
Non tornò a casa ma
passò da Galileo sperando di trovarci Michele che cenava. Appurato che non ci
fosse, tornò da sua madre che gli aveva lasciato la cena sotto il piatto. Ma
scoprì di avere lo stomaco chiuso: quello che Diego gli aveva confidato faceva
troppo male e si limitò ad ingurgitare due bicchieri di vino e una bruschetta.
Alle dieci e mezzo si sdraiò sul letto. La faccia di Michele Salvemini non lo
abbandonò fino al sonno. In mezzo alla fronte ci disegnò un puntino rosso. Te lo faccio vedere io la prossima volta se
importuni il mio amico, vieni a importunare il culo a me se hai coraggio! Pensò
ma poi, la stanchezza ebbe la meglio e si addormentò con lo stomaco che
rumoreggiava per la fame.
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RispondiEliminaIl personaggio di Alfredo mi intriga molto, con il suo atteggiamento da chioccia e anche da donna di paese protettivo e puritano nei confronti del piccolo Diego. Sono curiosa di vedere come evolverà, ma il rapporto che mi interessa che venga approfondito è un altro. La vista della natica di Diego ha scatenato l'animale che è dentro Michele. Gli salta addosso senza neanche ragionare terrorizzandolo. Penso che quelle lacrime sono di vergogna perchè non aspettava altro che le sue mani sul suo corpo a mappare ogni lembo di pelle scoperta. E' di un erotico quella scena, così passionale, reale, cruda nella sua durezza, ma che li lascia entrambi insoddisfatti. Il prossimo incontro sarà il decisivo.
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