mercoledì 20 marzo 2013
Tra rabbia e passione, quarta puntata
Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: Rigorosamente NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta
Tornando
a casa col padre cercò di non pensare al ragazzo, ma naturalmente non ci
riuscì, continuando a domandarsi che diavolo gli stesse succedendo.
Salutò
l’anziano che andò subito a letto senza guardare la tv, e Michele ne fu felice:
forse qualcosa stava succedendo. Un miracolo? Chissà... Ma qualcosa stava
succedendo anche a lui. E non sembrava un miracolo, piuttosto una congiura
astrale! Si tolse jeans e maglione e andò in bagno, ma rimase a luce spenta. Si
appoggiò al lavabo, che per qualche motivo era così basso che avrebbe potuto
tranquillamente pisciarvi dentro. Uno sbaglio dei costruttori probabilmente, i
sanitari in quella casa sembravano attaccati per i lillipuziani. In qualche
modo però, dall’alto del suo metro e novanta, il fastidio di doversi quasi
inginocchiare per lavarsi la faccia, gli restava utile per altre ‘funzioni’.
“Cazzo mi succede?” parlò tra sé: “Guardo un carabiniere, e mi rimane duro! Non
è possibile tutto questo” ma, sebbene tentasse di razionalizzare,
l’eccitazione, la fregola (che neanche a sedici anni così violenta), ormai si
era impadronita di lui.
Non
riuscì farne a meno: la mano scese da sola e catturò il pene turgido, si mosse
rapidamente e in breve Michele venne pensando a due grandi occhi nocciola, alle
mani esitanti che lo toccavano, all’alito dolce che gli sfiorava i capelli.
Rischiando di piegarsi su se stesso, lasciò scorrere l’acqua e con le mani
agevolò la discesa dello sperma attraverso il buco di scarico. Ancora scosso
dal fiatone spalancò gli occhi neri nel buio, sconvolto.
Invece
Diego per auto gratificarsi doveva aspettare la notte, e sotto la doccia. Una
lotta contro il freddo, nel bagno deserto e inospitale. Ma almeno all’una di
notte non rischiava di essere scoperto. Era una vergogna per uno retto come
lui, e di certo non poteva farsi beccare con l’affare in mano dai compagni di
stanza! Malgrado sospettasse che loro non avessero le sue stesse pruderie, vale
a dire: si toccassero impunemente mentre lui tentava di prendere sonno. Non lo
trovava eccitante, eppure per uno come
te... non terminò mentalmente il pensiero, vergognandosi di quella realtà.
Lui cercava in tutti i modi di scacciarla quella verità, eppure era il suo
passato, ora il presente e forse sarebbe stato il suo futuro se non si fosse
deciso a parlare del suo problema con un bravo psichiatra. Il suo problema
aveva un nome ma Diego cercava in tutti i modi di cancellare quella parola
dalla testa. Si toccò anche la notte dopo la cena con i colleghi. Lo fece
ovviamente pensando a Michele. Gli era entrato nella testa ormai quell’operaio
piantagrane, come lo definivano tutti, come ce n’erano tanti da quelle parti:
persone non disposte a piegarsi alla legge e alle sue regole. Diego sapeva che
potevano anche aver ragione quelli come Salvemini, ma poco importava, tanto in
quel momento le lotte di classe si erano del tutto perse nel su e giù della
mano, nei pressi delle piastrelle fredde e inospitali. C’era solo il ricordo
del bel viso del Salvemini, del suo corpo così avvenente e compatto. Il ricordo
del sesso duro che aveva toccato attraverso il jeans era un tormento per lui. E
gli bastò richiamare quel momento alla memoria per raggiungere l’agognata fine.
Diego
si inginocchiò esausto. Agli occhi le lacrime e sulla testa un macigno pesante.
Dopo una sciacquata svelta, scalzo e mezzo nudo raccattò la propria roba e
tornò al suo letto più triste e spossato di prima.
Nei
giorni successivi Diego ebbe meno modo di pensare al suo attraente operaio
barbuto. A pasqua si sarebbero svolti i campionati nazionali. Doveva allenarsi,
non perché contasse molto. Se non sarebbe arrivato ultimo poco ci mancava. Si
considerava uno dei più scarsi e poi non gli piaceva molto allenarsi in quella
piscina comunale, tra gli schiamazzi dei bambini del corso di nuoto e i
chiacchiericci delle madri stipate sulle gratinate. La vasca era piccola, non
regolamentare, e l’acqua sempre troppo fredda. Ma poco importava: tanto le gare
si sarebbero svolte a Torino, dove c’è
gente più civile che qui, si scoprì a pensare in un rigurgito di orgoglio
nordista. Da dove veniva poi quell’orgoglio? Non aveva mai avuto stima per gli
scissionisti, e ne conosceva molti che si sarebbero staccati volentieri dall’italietta
scomoda del sud, con le sue mafie e i suoi ladrocini, terremoti e smottamenti.
Beh lui non era d’accordo, e poi era sempre stato attratto dal sud, per via del
clima. E dalla gente, che nella sua fantasia era calorosa e ospitale e non
fredda e chiusa come i suoi corregionali. Gli rivenne in mente il bacio di
Alfredo, la sera che aveva incrociato Salvemini al ristorante. Era stato così
innocente come bacio, eppure un tempo ci avrebbe fatto caso. Invece tra
pugliesi sembrava tutto così normale, che ogni slancio fosse normale, privo di
malizia. Alfredo gli piaceva per questo, per il suo essere serio e misurato e,
allo stesso tempo caloroso e spontaneo. Ormai iniziavano a frequentarsi con una
certa assiduità, anche sul lavoro facevano coppia, avendo così modo di parlare
e di conoscersi sempre meglio. Anche quel pomeriggio l’amico appuntato era con
lui agli allenamenti. Oltre la vetrata la primavera sbucava da ogni parte e se
ne rese conto più che mai uscendo dalla piscina. Per la prima volta infatti da
quando si allenava là non patì il freddo. Si chiuse nell’accappatoio e dopo
aver lanciato uno sguardo sorridente ad Alfredo, i capelli corti chiusi nella
cuffia, imboccò lo spogliatoio pattinando nelle proprie ciabatte.
“Cinema?”
domandò Alfredo raccogliendolo da fuori gli spogliatoi. Diego annuì tranquillo
accentando il braccio dell’amico sulla propria spalla. Camminando allacciati
uscirono dalla palestra sorridendo e chiacchierando. Di solito sceglievano il
cinema parrocchiale perché era più vicino, costava di meno e poco importava che
non fossero prime visioni e che non ci fossero le donnine nude. Quel giorno
Diego espresse il desiderio di vedere un film ‘come si deve’ e la scelta
ricadde su Taxi driver, di cui aveva letto qualcosa sui quotidiani. I due
carabinieri presero posto nelle file centrali, davanti loro un gruppetto di
adolescenti faceva un baccano infernale. Giocavano a tirarsi palline di carta e
spruzzarsi l’acqua da bottigliette. “Gli facciamo vedere il distintivo?”
suggerì caustico Alfredo e Diego alzò il tiro: “Se non si calmano durante il
film gli faccio vedere la pistola altroché” alzò la voce. La parola ‘pistola’
ebbe il potere di raffreddare i ragazzi, che poco a poco e compostamente si
misero a sedere. Diego si accese una sigaretta offrendone poi una anche al
compare. Fumava poco e in maniera distratta Diego, ma un pacchetto di Diana con
filtro lo aveva sempre con sé. Però al cinema gli piaceva fumare, lo
considerava quasi un rito, come la sigaretta dopo l’amore o dopo il caffè.
Prima che le luci si spegnessero fu colto dalla tentazione di girarsi verso i
nuovi venuti che sentiva parlottare e muoversi alle sue spalle. E fu in quella
che si accorse che negli ultimi posti si era seduto Michele e, alla sua
sinistra, attaccata come una scimmietta al ramo, una ragazzotta dai folti
capelli lunghi e scapigliati, le ciglia spesse e gli occhi vispi, il rossetto
già sbafato. La coppia si sorrideva guardandosi. Apparentemente non si erano accorto
di lui. Sprofondando nella suo posto e tornando a guardare di fronte a sé,
Diego avvampò. E le luci si spensero. Diego si riscosse dal trance mentre Mike
Buongiorno dall’alto del monte Cervino belava: Grappa Bocchino sigillo Nero, sempre più in alto!
Per
tutta la durata del film che non riuscì a seguire, Diego pensò all’uomo poche
file dietro di lui. Lo sentiva ridacchiare, commentare, e poi, quando non li
sentiva più per diversi minuti, diede per scontato che stesse baciando la sua
ragazza. Quasi riusciva a sentire il rumore irritante delle bocche che
sbattevano. Ma non posso essere geloso,
che ho da essere geloso? Non è niente lui per me, e io non sono niente per
lui... tristemente patetico e con un pizzicore agli occhi che lo vessava,
Diego piegò la testa sulla spalla di Alfredo che subito lo guardò di sguincio
imbarazzato. Forse quella confidenza era troppo anche per lui. “Tutto bene Diè?
Hai gli occhi rossi”
“Qui
c’è troppo fumo Alfrè, non vedo l’ora che finisca ‘sto cazzo di film!”
“Pensavo
ti piacesse” Alfredo lo abbracciò e restarono così per tutto il tempo.
Ai
titoli di coda, tutti i presenti si alzarono, pochi a dire il vero, e Diego
subito si voltò verso Michele. La ragazza non c’era più e lui lo fissava in
attesa che lo salutasse. Ma a Diego si era seccata la lingua e non disse
niente, limitandosi a fissarlo come un cucciolo spaventato ma anche come un goloso
di fronte alla sfarzosa vetrina di una pasticceria. Fu Alfredo a liberarli
dall’imbarazzo.
“Salvemini”
“Appuntato”
rispose sorridendo. Non si strinsero la mano non solo per la distanza, li
dividevano tre fila di posti, non era proprio il caso. “Una roba da
intellettuali” commentò Ferrero e Diego si domandò come mai fosse
improvvisamente divenuto così ciarliero, lui che con gli estranei parlava poco
e niente. “Beh, di certo il pubblico italiano non è pronto per un film come
questo”.
“Forse”
“Andiamo
Alfredo” Diego lo spronò ad uscire e a braccetto si allontanarono seguiti dallo
sguardo curioso e attento dell’operaio.
Quando
Gemma tornò dalla toilette trovò il suo accompagnatore in piedi e stralunato. Uscivano insieme da poco e non era ancora abituata a quei repentini
cambi d’umore. E pensare che avevano iniziato così bene durante il tragitto in
macchina. Lui le aveva accarezzato i capelli tutto il tempo e lei si era
sentita bene. Dopotutto non era un mistero che Gemma fosse cotta di Michele. Ma
al cinema l’umore del ragazzo era mutato di colpo. Non si era fatto ostile,
aveva continuato a ridere e a rispondere alle sue domande, ma si era distratto
e non la toccava più. Lei aveva cercato di fargli un lavoretto ma lui si era
chiuso in se stesso. Una volta in strada, passeggiarono silenziosamente fino a
raggiungere l’auto di Michele.
Lui
mise in moto e sempre in silenzio, partì. Il viso di Diego era stampato nella
sua retina: come lo aveva guardato con quegli occhi così grandi e teneri. Con desiderio,
decisamente. Si era sentito spogliato davanti a lui. A pensarci, anche lui
forse mi avrebbe spogliato. Ma tu dimmi
che cazzo vado a pensare stanotte!
Gemma
si girò a guardarlo. Lui le piaceva e anche tanto. Aveva quel carattere così
allegro e disponibile che lo faceva andare d’accordo con tutti, sempre così
impegnato, serio, pronto a battersi per qualche grossa causa, per aiutare un
amico o anche un animale.
Gemma
sorrise intimamente: era bello Michele: alto, abbastanza in forma, quel gran
testone di capelli ricci e neri, e quegli occhi altrettanto neri e profondi che
in quel momento erano fissi alla strada, pensierosi e cupi.
Il
problema, pensò, era che lei non piaceva a lui: ma doveva tentare il tutto per
tutto. A parte l’attrazione sessuale, da quel punto di vista sì che a lui
piaceva! Appoggiandosi alla sua spalla, Gemma infilò la sua mano sotto alla
camicia di Michele facendone saltare i bottoncini automatici, e cominciò ad accarezzarlo.
Lui
non rimase indifferente, ma come un flash ripensò alla perquisizione, alle
manine gelate che lo toccavano incerte. Gemma
ha le mani caldissime invece. Beh?
Dovrebbe essere più piacevole no? Ma con sgomento dovette riconoscere che
non lo era.
Gemma
intanto proseguiva nella sua esplorazione, ma quando aprì i bottoni dei jeans
Michele trasalì, girandosi un attimo verso di lei, e riportando subito gli
occhi alla strada.
“Senti
Gemma, non è che non voglio stare con te, ma stasera non è proprio il caso.
Scusami ma…”.
Lei
si appoggiò al sedile, in imbarazzo. Poi lo guardò con tristezza: “Non è che
non vuoi stare con me, è che di me non te ne importa niente vero? Va bene
riportami a casa, dai”.
Sempre
più a disagio Michele cercò di giustificarsi: “Ma no, non è come pensi, sai
quanti pensieri ho per la testa, il lavoro, che mi stanno addosso, non vedono
l’ora che commetta un errore per lanciarmi, mio padre esaurito, e poi…”.
“Piantala
Michele, me li hai già elencati un po’ di sere fa i tuoi problemi. Ma a volte
una scopata serve proprio a questo, no? Serve a staccare un attimo. Quindi non
giriamoci intorno, io non ti piaccio. Riportami a casa per favore, in fretta”.
Si rannicchiò contro la portiera, il più lontano possibile da lui. Brutto stronzo, non ti darò la soddisfazione
di vedermi piangere. Gemma deglutì a vuoto un paio di volte, e
spalancandoli riuscì a tenere gli occhi asciutti, fissi a guardare fuori dal
finestrino. Ci avrebbe pensato a casa a sfogarsi.
Bestemmiando
dentro di sé, Michele prese la via della casa di Gemma, ma passando sul corso
si imbatté ancora nei due carabinieri, Diego e Alfredo, che chiacchierando
passeggiavano tranquillamente. Alfredo teneva ancora il braccio sulle spalle di
Diego, e Michele provò per un attimo un filo di invidia. O di gelosia?
Non
avrebbe dovuto notarlo ma lo notò eccome: Diego camminava in modo decisamente
sensuale, eccitante. Chissà se se ne rende conto, si chiese.
Michele
se lo sentì venire duro un’altra volta nei jeans. Alzando gli occhi al cielo,
accelerò superando la coppia, e invece di girare per accompagnare Gemma, andò
dritto, decidendo improvvisamente di uscire fuori dal paese per recarsi in
campagna, nei boschetti, dove avrebbe avuto tempo e maniera di dimostrare a se
stesso che era ancora un uomo.
“Hai
ragione Gemma, sono uno stronzo, non
me l’hai detto ma so che l’hai
pensato: sei ancora disponibile per stare un po’ con me?” Michele si fermò un
attimo sul ciglio della strada, prima di prendere la provinciale per la
collina.
Gemma
lo guardò con un po’ di sospetto negli occhi, ma poi decise: niente orgoglio.
Michele le piaceva troppo.
“Andiamo”
e sorridendo gli si ributtò addosso, tornando ad accarezzarlo in mezzo alle
gambe, e sentendolo eccitato questa volta.
Parcheggiarono
in un campetto isolato, dietro alcuni alberi di gelso. Gemma abbassò i calzoni
e gli slip di Michele con sicurezza. Guardò il pene che si erigeva maestoso,
grande e turgido e glielo prese tra le mani, accarezzandolo. Michele, non senza
fatica, le alzò la gonna e le sfilò gli slip, e lei gli si sedette a
cavalcioni. Aprendo gli ultimi due bottoni della camicia di jeans, Gemma poté
finalmente accarezzare il petto caldo di Michele e passargli le mani tra i peli
morbidi. I gemiti riempivano l’abitacolo mentre Gemma continuava a muoversi mentre
lui le teneva le mani sui fianchi. Gemma non avrebbe mai saputo che mentre
Michele ad occhi chiusi le sussurrava con voce strozzata di muoversi più
veloce, prima di venire, stava pensando alla camminata sensuale di un
carabiniere, fantasticando che ci fosse lui a muoversi così bene, a farlo
impazzire così bene.
Più
tardi, dopo averla riaccompagnata, Michele pensò di fare una puntatina alla
radio, ma ci ripensò dando per scontato che data l’ora forse non c’era più
nessuno, quindi si diresse a casa, ed entrò dritto in cucina, affamato. Sempre
quando aveva qualche pensiero gli veniva fame. Anche scopare gli metteva fame.
Si tagliò due grosse fette di pane e le imbottì con tutto quello che trovò nel
frigorifero. Ci bevve sopra una birra, e poi dopo una rapida puntatina al
bagno, andò a dormire.
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Qui le braci stanno già bruciando sotto la cenere. Basta un alito di vento perchè la passione si propaghi in modo irreversibile. Si piacciono e molto. Ormai nessuno dei due può negarlo. Bisogna solo vedere quando ci metteranno per dichiararsi. Sono entrambi gelosi marci e si vogliono. Peccato che i tempi sono quelli che sono e la prudenza ha il sopravvento sul desiderio. Ma fino a quando riusciranno a frenarsi?
RispondiEliminaWow, tu lo pensi? Io lo penso.. Grazie cara;-)
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