martedì 26 marzo 2013

Tra rabbia e passione, sesta puntata





Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash, NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta



Capitolo sei



Dopo la piscina, Michele e gli amici si ritrovarono tutti alla radio per mangiare un boccone in compagnia. Pazienza notò che l’amico operaio era stranamente silenzioso, si sarebbe detto preoccupato per qualcosa.
Aspettò che tutti finissero di mangiare, e poi, presi due bicchieri di vino rosso, fece segno a Michele di seguirlo al divanetto nell’angolo; era un sito particolare, quando qualcuno si sedeva su quel divanetto comunicava agli altri che voleva essere lasciato in pace.
Pazienza attaccò: “Michè, che succede? È da quando siamo usciti dalla piscina che ti vedo strano. Quando sei arrivato eri tutto allegro, ci siamo divertiti come non facevamo da tanto: cosa ti è scattato poi?”.
Michele piegato in avanti, coi gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani strette in faccia, rimase lì a pensare un po’, indeciso se tirar fuori i suoi problemi, e soprattutto indeciso su quanto poteva raccontare. Vero che Andrea era suo amico dall’infanzia, e che avevano condiviso tutto: le figurine, le prime ragazze e soprattutto i primi passi nella politica, ma c’è un limite anche a quel che si può raccontare a un amico!
Pazienza gli passò il bicchiere di vino e gli sorrise: “Michè se non vuoi parlare non me la prendo, ma è sempre meglio sfogarsi con gli amici, poi le cose sembrano sempre meno pesanti”.
Michele bevve due sorsi  e annuì: “Sì Andrea, devo per forza sfogarmi con qualcuno. È un periodo pesante. Intanto c’è la storia di Gemma, che mi pesa. Lei è tanto carina e simpatica, ma sto con lei da poche settimane e sono già stufo! Non ho voglia di legarmi, non ancora! Abbiamo ventisette anni Andrea! Non mi ci vedo ancora in un matrimonio, o, per carità, con un bambino in braccio!”.
Michele si alzò e andò a prendere la bottiglia di rosso sul tavolo, versandone un po’ per sé e per l’amico.
“Certo è un po’ presto. Abbiamo tanto da fare poi. Abbiamo un mondo da cambiare, Michele. Parlagliene, non è una stupida Gemma, anzi. È una ragazza sveglia ed è anche attivissima nell’Udi. Ma sei sicuro che abbia queste mire? Io non credo, secondo me sei tu che sei paranoico” Pazienza toccò il bicchiere di Michele e bevve.
Michele bevve a sua volta, poi incrociò le braccia al petto distendendo le lunghe gambe davanti a sé e appoggiandosi allo schienale: “Magari hai ragione tu. Ma c’è dell’altro Paz. C’è dell’altro, ed è molto più opprimente  come pensiero”.
“Ti ascolto” disse Andrea dandogli due pacche sulla spalla: “dai Michele, non fare resistenza, non con me”.
Ridendo scrollò i ricci e si girò verso l’amico, fece un lungo sospiro e attaccò: “Ti ricordi il sit-in di marzo, davanti alla Eganap? Che poi era scoppiato quel casino e ci avevano perquisito?”.
Pazienza cominciò a ridere: “Ah, mi ricordo, quando sostenevi che quel carabiniere ti aveva toccato il cazzo scambiandolo per un’arma, ma andava bene così perché aveva gli occhi belli!” il sorriso di Pazienza morì a poco a poco scontrandosi con lo sguardo severo di Michele.
“Non è proprio così, non ho detto che andava bene perché aveva gli occhi belli. Ma gli occhi belli ce li ha veramente, e fossero solo gli occhi...” tossicchiò imbarazzato, non riusciva proprio più a togliersi la visuale delle natiche sbirciate da sotto l’accappatoio. “Comunque sì, il biondino mi ha toccato con intenzione, capito? Non era stato un caso. Mi aveva anche infilato le mani sotto al maglione Paz! Quello toccava per toccare, e di gusto!”.
Rosicchiando un crostino di pane, Paz lo guardò ironico: “Ammettendo che sia vero, perché non è detto che non debbano esserci dei froci tra le forze dell’ordine, cos’è che ti dà così fastidio? Son problemi suoi, si sarà voluto soddisfare un po’ strusciandosi un bel maschione come te!”.
Michele batté le mani sulle proprie cosce, irritato: “Senti Andrea, se mi devi prendere per il culo la piantiamo subito qui, vado a casa a farmi una dormita e amici come prima”. Fece per alzarsi ma l’amico lo prese per un braccio, facendolo risedere.
“Scusami Michele, non volevo farti arrabbiare, ma non mi sembrava… dai, sono serio adesso, sfogati” Pazienza ora era veramente preoccupato, e si predispose ad ascoltare.
“Va bene Andrea, scusa, sono io che sono troppo agitato. Bene, ti dicevo che da quel giorno il pensiero di quel carabiniere non mi ha più abbandonato. Un’ossessione ti dico. Tu capisci, anche se lo avesse fatto a te ti avrebbe infastidito” Michele mai avrebbe ammesso col suo amico che l’ossessione non era quella di essere stato molestato, ma la consapevolezza che lui avrebbe voluto scoparselo quel carabiniere che gli si è strusciato. E ogni attimo che passava di più, e che anche mentre faceva l’amore con Gemma, aveva pensato a lui, aveva fantasticato che a muoversi sopra di lui ci fosse un bel ragazzo del nord e non quella splendida figliola di Gemma.
Pazienza annuì e gli fece segno di continuare.
“Insomma per arrivare al dunque Paz, oggi in piscina, io sono uscito per primo dalla vasca no? Quando sono entrato nelle docce lui era già lì che si godeva il getto; beh, mi ha guardato con una tale insistenza che io non ci ho più visto, capito? Cioè mi guardava il cazzo Andrea! E come me lo guardava! Lo sai come sono fatto io no?”.
Pazienza si fece più che serio: “Lo so anche troppo bene come sei fatto Michè: la tua impulsività a volte arriva a livelli di guardia! Cosa gli hai fatto? L’hai picchiato? Ma era quel piccoletto che poi è sgusciato via poco dopo che siamo arrivati noi?” Andrea lo guardò con ansia ora: picchiare un carabiniere equivaleva a essere segnato per la vita!
“Magari! Magari l’avessi picchiato! Sì era quello. L’ho provocato Paz, l’ho molestato praticamente. Mi ci sono attaccato come un gatto, gliel’ho fatto sentire, gli ho detto se lo voleva… sì, insomma se voleva che glielo infilassi nel culo. Oh, non guardarmi così, mi ha provocato lui per primo! Gliene ho dette di tutti i colori. Poi per fortuna siete arrivati voi, o non so…”.
Pazienza si mise le mani nei pochi capelli radi. Stentava a credere a quello che Michele gli aveva appena confidato: quello non era il loro stile, quelli erano metodi fasci. “Madonna Michele che casino! Se parla, ti ritrovi tutta la caserma alle spalle! Quelli lo fanno a te il culo! Ma sei scemo? Già non vedono l’ora di incastrarti, e tu ti offri su un vassoio? Ma che cazzo Michè!” le ultime parole le urlò Pazienza, e tutti si girarono verso di loro, incuriositi.
Michele non ribatté, ma abbassò la testa a fissarsi la punta dei piedi, e rimase lì a prendersi la sfuriata dell’amico, triste.
Pazienza si alzò e poi si tornò quasi subito accanto all’amico, agitato; poi, grattandosi la testa guardò Michele che contrito, sorseggiava il suo vino, pallido sotto la barba lunga. Gli passò un braccio sulle spalle: “Tranquillo dai Michè, ci siamo noi con te. Adesso per un po’ tieni un profilo basso, va bene? Non dar loro modo di beccarti in torto, capito? Ma mi hai capito sul serio? Perché tu poi quando parti non ti controlli più. Tranquillo per un po’ di tempo, chiaro?”.
Michele annuì, sempre senza parlare. Dopo un po’ si girò verso l’amico: “Grazie Andrea, sei sempre il mio miglior amico”.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, abbracciati, guardando nel vuoto. Gli altri ragazzi li fissarono ancora un po’. Dopo essersi chiesti reciprocamente cosa poteva essere successo, si strinsero nelle spalle.
Michele fece un sorriso sghembo, guardando l’amico: “Ora non è che pensi che sono...”
“Macché, Michè macché!” Quello era un argomento off limits, per quanto si considerassero di sinistra, di estrema sinistra, quasi tutti consideravano ancora l’omosessualità una roba per minorati mentali o per ricchi borghesi perversi; oppure per qualche giovane carabiniere torinese pederasta. Non certo per un pezzo d’uomo fatto e finito come Michele Salvemini. “Lo sappiamo tutti che sei normale. Certi istinti primitivi escono fuori quando uno viene provocato no?”
“Esatto Paz, e poi te lo devo dire: non mi sbagliavo su di lui:  mi è venuto in mano”.
Pazienza sgranò gli occhi: “Ma che cazzo dici adesso Michele? Chi ti è venuto in mano?”.
Michele finse di ridacchiare borioso, ma stava sprofondando in un baratro: “Il biondino, il carabiniere bello, no? Dopo un po’ che gli davo il tormento, gli ho appoggiato la mano sul pacco, ce l’aveva bello duro, ti assicuro, e tac! Così!” Michele si strinse nelle spalle con un’espressione buffa. Si guardarono in faccia e cominciarono a sghignazzare, finendo coricati uno sull’altro sul divano, mentre gli amici allargavano le braccia: alla fine Pazienza e Salvemini erano i più pazzi della comune, e continuarono a chiedersi cosa stessero complottando.
“Ora torno a casa, fammi sapere della manifestazione di sabato a Molfetta” Michele si allontanò verso l’uscita e Pazienza lo seguì: “Profilo basso vuol dire che tu non vieni” Pazienza lo guardò severo.
“A Molfetta non ci saranno mica i carabinieri di Bisceglie, tutt’al più quelli di Molfetta, no?”
“E invece no! Questi sono capaci di scortarci fino a laggiù. Fatti i cazzi tuoi Michè, pensa a tuo padre” poi gli sussurrò all’orecchio: “Quelli ti rompono il culo se il torinese parla”
Alla parola torinese, Michele raggelò: “Torinese... Diego è torinese?” gli scappò il suo nome di battesimo.
“Diego? Chi è Diego?”
“Come chi è, il carabiniere frocio no? È Diego, ha anche un cazzo di nome strano” sospirando ripeté: “Tu che ne sai che è torinese” pugni sui fianchi.
“Perché ci ho lavorato a Torino, no? Due anni, te lo sei scordato? Ma se fu proprio tuo padre a trovarmi quel posto alla siderurgica. Un culo così mi hanno fatto, ma il peggio lo hanno fatto a tuo padre, guarda come s’è ridotto!”
“Schifosi torinesi di merda” sibilò Michele, trattenendosi a stento dallo sputare per terra. Come aveva fatto a non capirlo? C’era stato più di una volta nel capoluogo piemontese. Ma forse era solo perché non lo aveva sentito parlare che poche volte, e finiva per confonderlo sempre quella vocina dolce, indubbiamente sensuale. Chiuse gli occhi mentre pensava tristemente: non solo sto diventando frocio, ho pure perso la testa per un carabiniere per di più e se non bastasse questo, torinese! Porco... ci è venuto da Torino a rovinarmi la vita!  Rifletté amaramente: suo padre li aveva campati per molto a lui, suo fratello e sua madre con il posto alla siderurgica, ma, alla fine lo avevano messo in cassa integrazione, per via della recessione. Solo sei anni prima della pensione, nemmeno il prepensionamento avevano accettato, e così il povero Salvatore Salvemini si era visto costretto a tornare in Puglia e cercarsi un altro impiego. Sempre lavoretti di fortuna. Poi il signore gli strappò via la moglie con una di quelle malattie che scopri a settembre e a maggio ti ha già ammazzato e per fortuna che Michele lavorava alla Eganap e l’altro figlio impiegato all’estero, sennò chissà di che si sarebbero sfamati. Tormentato dai ricordi, non meno dai sensi di colpa, Michele tornò a casa continuando a vessarsi l’anima al pensiero del bel carabiniere. Malgrado quest’ultima scoperta, continuava a desiderarlo alla follia, anzi: il fatto che fosse di Torino non fece altro che aumentare la voglia che aveva di farlo suo, di possederlo, di farlo urlare: di piacere o di dolore, ma che fosse suo! Suo e di nessun altro. E si domandò cosa sarebbe successo nello spogliatoio se fossero rimasti soli altri cinque minuti. Me lo inculavo, cos’altro! Ci sono dubbi? A quello stava pensando ora Michele, di nuovo davanti allo specchio del solito lavandino basso con l’uccello in mano, pronto a librare nel nulla tanti presunti piccoli Salvemini che se avessero potuto scegliere, avrebbero optato di certo per l’ovulo attraente di Gemma. Invece come tante altre sera della vita di Michele, finirono nel tubo di scarico. 

2 commenti:

  1. Povero Michele è davvero nei guai. Ossessionato dal nostro bel carabiniere in un modo che secondo me neanche lui credeva possibile. Deve solo stare attento a non correre rischi inutili solo per prendersi magari una rivincita o appagare i propri istinti.

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