venerdì 8 marzo 2013

Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore) Prologo e capitolo 1



Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash, rigorosamente NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta


Prologo

Campagna di Bisceglie, agosto 1977



La stradina bianca e polverosa si inerpica sulla collina, stretta tra muretti a secco e rovi carichi di more selvatiche. Tutt’intorno la campagna è brulla, arida, sotto il sole cocente che brilla in un cielo azzurro e straordinariamente terso. Nessuna casa intorno, solo qualche trullo disabitato.
Sulla destra decine e decine di ulivi secolari formano un grande uliveto; a sinistra, lontano all’orizzonte, la distesa argentea del mare.
Una Renault 4 rossa è ferma sotto gli alberi, invisibile per chi arriva dalla strada.
Coricato sul sedile anteriore con le gambe appoggiate fuori dall’abitacolo c’è un ragazzo con pizzetto e profondi occhi scuri, ora celati dalla palpebre strizzate. I lunghi riccioli neri e crespi sono sparsi sul sedile. Dalla cintola in su è nudo, ma sotto porta i jeans, calati fino alle ginocchia.
Seduto sopra di lui dandogli le spalle, si muove un giovanotto biondo. I grandi occhi nocciola sono spalancati, persi tra cielo e ulivi, le iridi girate tipo posseduto. I baffetti chiari sul labbro superiore sono imperlati di sudore; le labbra schiuse per lasciar passare i gemiti. È completamente vestito: la camicia a mezze maniche aperta fino allo stomaco e i calzoni arrotolati alle caviglie.
Per un attimo si volta: prima un rapida occhiata alla pistola d’ordinanza con la sicura inserita, appoggiata al cruscotto, poi guarda il compagno che gli tiene saldamente le mani sui fianchi morbidi, quasi femminei: ondeggia su e giù a ritmo frenetico tenendosi con le mani al bordo superiore dell’auto. Il loro ansimare copre il frinire delle cicale. Rivoli di sudore scendono dalle spalle lungo la schiena magra del ragazzo. All’improvviso la mano del riccio abbandona il suo fianco e striscia fino a trovare il suo pene turgido e lo impugna cominciando a massaggiarlo velocemente, senza smettere di muoversi dentro di lui.
Al biondino manca davvero poco per arrivare. I gemiti si fanno più forti. Nessuno dei due amanti cerca di frenare le urla strozzate mentre vengono quasi nello stesso momento.
E intanto, tutte intorno le cicale continuano a frinire.



Capitolo uno

Cinque mesi prima

Bisceglie, Febbraio 1977


Il giorno prima, c’era stata una retata alla Radio Libera Babushka, la terza in meno di due mesi. I ragazzi erano stanchi di quello stato di polizia, e anziché ascoltare musica, preparare la scaletta del programma oppure farsi le canne, e se c’erano coppiette pomiciare, quella sera si riunirono per discutere la situazione. C’era il compagno Pazienza, così era chiamato, un ragazzotto suoi venticinque, capelli lunghi e lisci, al centro della sala, attorno a lui tutti gli altri, chi seduto in terra, chi sul lungo tavolino dove spesso mangiavano tutti insieme, magari in occasione di qualche evento, oppure prima di prepararsi per una manifestazione. Come tutti i capoluoghi di provincia, Bari era in fermento. Di questo stava parlando Pazienza: “Li chiamano anni di piombo, la verità è che ci stanno rincoglionendo tutti con la televisione. Siamo stanchi di essere presi per culo da questa classe politica che ci manda la pula a farci manganellare. Siamo stanchi delle promesse dei sindacati! Continuiamo a respirare la merda! E le nostre donne? Ancora costrette ad abortire clandestinamente sui tavolini e con gli aghi dei reggicalze! Me la chiamate voi democrazia questa? Me la chiamate civiltà?” Qualcuno raccontò degli aneddoti legati all’aborto ma Spaziani precisò che in parlamento era in discussione una legge che legalizzava l’aborto. “Io non ci credo” asserì tristemente Luciana, una ragazza di sedici anni che giusto sei mesi prima aveva buttato giù il suo bambino. Pazienza provò a far tornare l’attenzione dei compagni all’ultima retata della polizia. In quella entrò il compagno Michele, detto Ortica, un ragazzone alto parecchio, sui ventisette. Lavorava come operaio alla Eganap, una ditta che produceva mangime per bestiame. L’argomento lui lo conosceva bene, visto che era tra i più gettonati quando si trattava di finire in qualche retata. Era quello che la sbirraglia definiva: ‘frangia calda del sindacato’. Michele iniziò a raccontare di quanto tre settunabe prima, durante un sit-in di fronte all’entrata dell’azienda, la polizia aveva fatto sgombrare perché l’assembramento non era stato autorizzato. Dal terrazzo dello stabilimento qualcuno aveva tirato uova marce alla polizia e questo li aveva fatti incazzare. “Noi cerchiamo solo di far valere le nostre ragioni. Ma gli stronzi che stanno ai piani alti se ne fregano che lavoriamo in condizioni disumane. Gli orari fanno schifo, non vengono rispettati i nostri elementari diritti”
Pazienza si alzò per avvicinarsi a Michele. Dopo una pacca sulla spalla, lo spronò ad accettare un bicchiere di vino: “Salvemini, come stai? Era da un po’ che non ti facevi vivo” iniziarono a parlare mentre il raduno proseguiva con toni meno accesi. “Le lotte dei nostri genitori sono finite al cesso”
“E le guardie stanno sempre dalla parte dei padroni, mai dalla nostra” continuò Michele dopo aver finito il suo boccale.  “Comunque il quindici scendiamo a Bari per la manifestazione nazionale. Pensavamo però di fare prima un po’ di casino alla Eganap. Noi del sindacato abbiamo già chiesto i permessi, quindi da quel punto di vista tutto a posto”.
“Bene Michele, noi ci saremo senz’altro. Cosa intendi per casino?” 
“Facciamo un altro sit-in davanti ai cancelli, con striscioni, volantini e tutto il resto. Ci appoggiano anche gli altri sindacati questa volta. Hanno scelto la mia ditta perché è la più rappresentativa. È una grande industria comandata da grandi coglioni!”
Pazienza picchiò un pugno sul tavolo: “Cazzo, compagni, lo Statuto dei lavoratori l’hanno appeso nei cessi questi!” si rivolse anche agli altri che si avvicinarono alla chetichella.
Michele rimase a pensare un po’, combattuto: anche se era considerato un agitatore, non voleva mai che si trascendesse e non aveva intenzione di cacciarsi in troppi guai. Da quando suo padre aveva perso il lavoro, era l’unico a portare a casa uno stipendio. Sua madre era morta sei anni prima di un malaccio e suo padre, dopo aver lavorato per quasi vent’anni al nord, era tornato al suo paese più depresso che mai. Comunque lo spirito ribelle e la sete di giustizia erano più forti dei problemi personali. Prese una fascia per portarsi indietro i lunghi capelli, poi reclamò fogli e biro: “Dai, Mari! Mi passi da scrivere per favore? Facciamo subito il testo per i volantini. Ragazze, organizzate voi gli striscioni? Gli slogan a voi riescono straordinariamente bene!” gli scappò un sorriso malandrino.
Le tre ragazze sorrisero di rimando, e Mari lo inchiodò: “Tu fai il furbo Michi, ma ricordati che noi ora facciamo gli striscioni, ma tu domani vieni qui e ci dai una mano ad organizzare il corteo dell’Udi pro-aborto, capito?".
“Capito. Obbedisco. Al lavoro adesso dai. Per quando la facciamo? Oggi è lunedì, la manifestazione è sabato? Per giovedì deve essere tutto pronto”.
In un attimo tutto fu organizzato e mentre tre ragazzi si alternavano ai microfoni della radio così da iniziare il tam-tam sulle note di Fausto Amodei, Michele scrisse il pezzo per il volantino e le ragazze si spostarono nell’altra stanza con lenzuola e vernice.
Non senza discussioni, Salvemini e Pazienza in un’ora approntarono il volantino, che poco dopo passarono al ciclostile: la ditta si trovava in un quartiere abitato, era prevedibile che ci sarebbe stata gente a curiosare, bisognava approfittarne per informare.
“Bene. C’è ancora qualcosa da mangiare in questa topaia? Oggi non ho pranzato, e non ho voglia di andare a casa a farmi una cena di mezzanotte da solo!” Michele si avvicinò al frigorifero nell’angolo del salone. Dal vecchio Indesit tirò fuori un pezzo di formaggio.
“Poca roba vedo. Domani vado a fare un po’ di spesa và!” Michele tornò al tavolo fissando tristemente il triangolo di pecorino.
“Guarda Michè, c’è un po’ di pane anche, questo è fresco, l’ho portato io stamattina” Anita gli porse tre fette croccanti di pane pugliese e la bottiglia dell’olio.
“Dai, pane e olio ci sta sempre no?” la ragazza si sedé sulle ginocchia di Pazienza che la strinse e la baciò con passione: stavano insieme dal millenovecentosettantatre, e tutti li consideravano una bella coppia solida, invidiabile.
Sorridendo, Michele si versò l’olio sul pane: “Grazie Anita: se non fossi la donna del mio amico avrei fatto di tutto per averti, ma così… un goccio di vino?”.
Mentre Michele versava il vino per tutti e tre, Pazienza precisò: “Guarda che anche se la fai bere, non ci viene con te Ortica! Non sei affidabile!” Pazienza picchiò una mano sulla spalla di Michele. Era vero il contrario, tutti si fidavano del Salvemini, perché pur essendo un allegrone in compagnia, era più che serio quando si trattava di perseguire gli obiettivi che si è prefisso; un idealista, un allegro sognatore insomma.
“Va bene, vado a casa ora, domani ho il turno di mattina, alle sei comincio ed è quasi l’una. Tornerò nel pomeriggio, è ora che mi fermi ancora un po’ qui con voi e non solo al sindacato. Ciao a tutti”. Michele uscì dalla radio e si avviò a piedi verso casa. La macchina, una Renault 4, la usava poco, preferendo la bicicletta, ma l’auto gli era utile quando doveva girare per le vie delle città con gli altoparlanti per la propaganda, oppure per spostarsi in campagna dove amava fare spesa dal solito contadino.
Mentre camminava sul marciapiede con le mani affondante nelle tasche del giaccone a quadri, una Giulia dei Carabinieri rallentò portandosi vicino a lui e continuando a muoversi lentamente.
“Salvemini, cosa ci fa in giro a quest’ora?” il Carabiniere lo apostrofò dal finestrino.
Michele si girò ghignando: “Che c’è? Avete istituito il coprifuoco? Non lo sapevo, mi dispiace Marescià!”.
“Salvemini non scherzare, lo sai che ti teniamo d’occhio! Alla prossima che ci combini…” l’omuncolo, un po’ in sovrappeso e con una bella barba nera, lo conosceva bene: maresciallo Camporeale, sui cinquanta, simpatico, al suo fianco l’appuntato Ferrero, pizzetto chiaro, taciturno, all’apparenza scorbutico ma di buon cuore. Sul sedile posteriore invece notò un carabiniere giovane, mai visto prima. Il  biondino lo guardava ad occhi sgranati. Sembrava piuttosto interessato.
“Vi siete portati lo scolaretto stanotte?” Michele indicò con la testa il ragazzo, che arrossì nonostante il buio.
“Attento! Le giovani leve sono peggio delle vecchie a volte. Vai a casa Salvemini” l’auto accelerò allontanandosi, mentre Michele rise e attraversò la strada fino a raggiungere la sua via e il suo appartamento.
Sulle scale lo accolse l’odore di minestrone e detersivo: a Michele non dava fastidio. Abitava da sempre in quelle vecchie case popolari, dove si conoscono tutti, e quegli effluvi lo accompagnavano dall’infanzia.
In casa lo accolse il buio, lacerato da una luce bluastra. Accese la luce in cucina e vide il padre addormentato sul tavolo, la testa appoggiata al braccio ripiegato. Davanti a lui un bottiglione quasi vuoto di vino scadente e un bicchiere, completamente vuoto a sua volta.
La televisione era ancora accesa sul segnale fisso della rairadiotelevisioneitaliana. Michele buttò fuori una bestemmia in barese, per poi avvicinarsi al padre, scrollandolo.
“Pà, svegliati dai, và a letto che è meglio. Che stai a fare ancora qui?”. Questi lo guardò con occhi vacui, poi si studiò tutt’intorno la cucina.
“Hai mangiato qualcosa almeno? Guarda qui che casino” anche Michele osservò l’ambiente circostanze: c’era da pulire, se non lo faccio io non lo fa nessuno.
Tornò a fissare il padre rattristandosi: era un uomo così attivo, così allegro un tempo. Si domandò come poteva una persona ridursi in quella maniera. Cosa scatta nella nostra mente? Ogni tanto gli capitava di ripensare a quando da bambino andavano al mare e con loro c’era pure la sua cara mamma. Suo padre lo lanciava nell’acqua, lontano: a Michele piaceva così tanto! La mamma dalla riva gridava di non farlo che si sarebbero fatti male. Le mamme sono sempre così, ansiose, o meglio attente. Poi mangiavano sulla spiaggia: pasta, polpette, melanzane, sua madre preparava sempre tanta roba, ma loro facevano onore al pranzo!
Era stato suo padre a instradarlo sulla via della politica, lui non era un attivista, ma era attento e seguiva la situazione italiana, ne parlava con la moglie e Michele stava lì con loro, ascoltava e assorbiva.
E adesso? Le giornate di Salvemini senior cominciavano e finivano davanti alla televisione e a una bottiglia di vino.
“Vieni papà, ti accompagno a letto, vieni” Michele lo fece alzare e lo portò nella sua camera. Dopo averlo aiutato a spogliarsi, lo coricò sul letto. Era così quasi ogni sera e senza una parola da parte di entrambi.
Michele tornò nella sua stanza e si sdraiò sul letto senza nemmeno spogliarsi. C’era ancora la cucina da pulire. C’era la spesa da fare per la radio e per casa. Manifestazioni da preparare e lavoro che lo aspettava fra poco più di quattro ore. C’è tutto da fare Michè. Dormi Michè.

5 commenti:

  1. L'immagine che riuscite a rendere di quella campagna brulla ma allo stesso tempo piena di vita è fenomenale e i due amanti immersi nella natura ma avulsi da tutto quello che li circonda. Come mi intriga già dal prologo e anche l'idea di Michele attivista, così impegnato per i diritti dei lavoratori. Sono davvero curiosa di vedere come evolve e soprattutto di conoscere l'identità dei due amanti anche se uno dei due sembra essere il nostro Michele.

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    1. Però penso si capisca abbastanza... grazie Ale

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    2. Piena di vita sì, 'sti due fanno un casino d'inferno!
      So che le cicale poi l'hanno organizzato loro un sit-in di protesta...

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    3. Ecco, lo sapevo che era meglio nascere cicala che allodola...

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  2. Rileggo questa fiction per la seconda volta perché mi ha proprio colpito al cuore,bellissima

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