sabato 23 marzo 2013

Tra rabbia e passione, quinta puntata


Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash, NC 17
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta





Come si buttò sul letto, l’immagine di Perrone che camminava a braccetto col collega gli tornò nitida davanti agli occhi. Ha pure un culo della madonna quel cazzo di caramba. Con questo genere di considerazioni stette per molto tempo a rigirarsi nel letto prima di prendere sonno. Tieni le mani a posto Michè, stasera le tieni a posto. Alla fine si rannicchiò su un fianco e infilate le mani sotto il cuscino prese finalmente sonno.
La mattina dopo si svegliò con una sorpresa: un bel profumo di caffè riempiva la stanza. Incespicando nei calzoni per la fretta, si vestì e andò difilato in cucina dove trovò il padre seduto al tavolo con la caffettiera fumante davanti e due tazze pronte.
“Pà!” Michele non riuscì ad aggiungere altro davanti al sorriso del padre: un sorriso incerto, mesto, ma pur sempre un sorriso.
“Ho imburrato il pane guarda. Mangia Michele. Ti ho lasciato solo per troppo tempo: me ne sono reso conto il giorno che siamo andati a cena da Galileo. Non so ancora bene come fare, ma è ora che mi riprenda e che ti dia una mano”. Suo padre non faceva un discorso così lungo da anni. Commosso e grato a quell’entità misteriosa che li stava aiutando, Michele si sedette al tavolo e fece onore alla colazione. Chiacchierarono un po’, poi Michele andò di corsa in bagno, tornando abbracciò il padre e uscì per andare al lavoro.
Quel giorno il turno scivolò via facilmente; Michele pensava a suo padre, a come l’aveva visto cambiato, poi rifletté sul pomeriggio che lo aspettava: sarebbe passato alla radio, poi una partitella a calcio con gli amici. Fu grato alla solita entità misteriosa che sembrava vegliare su di lui, di non aver pensato al fascinoso carabiniere nemmeno un attimo.
Sotto la sua insistenza raggiunse Pazienza alla radio dove seguì le trasmissioni per un’oretta. Alle diciotto prese l’auto e dopo la spesa biologica, che come sempre lo spinse fuori dal paese, si affrettò a raggiungere gli amici che lo attendevano al gineceo.
Con l’animo leggero entrò negli spogliatoi e si cambiò e, una volta nel padiglione, partì alla ricerca degli amici. A causa dei lavori di ripristino, per arrivare al campo doveva per forza passare dentro la piscina comunale, l’unica di tutta la città. Tre delle cinque corsie erano riservate, due per i corsi di nuoto e una per chi voleva allenarsi; le rimanenti, tolto il divisorio, erano invece dedicate a chi voleva solo divertirsi un po’. In quel momento c’erano solo sette persone a mollo, i suoi amici.
Michele restò interdetto, tra l’altro non aveva il costume: “Stanno cementando Miche’” lo avvisò Carmine Baldi detto Pulcinella. “Niente partitella oggi, ci facciamo un po’ di pallanuoto”.
Tutto sudato sotto la tuta, Michele annuendo tornò sui suoi passi. Iniziava a fare caldo, non per i termosifoni, che là non c’erano, ma per il caldo sole d’aprile che aveva battuto contro le vetrate della piscina per tutto il santo giorno. Lo speaker, solo la testa fuori dal pelo dell’acqua, lo istruì: “Michè, non sapevo come avvisarti, tu hai detto che non tornavi a casa e noi lo abbiamo saputo solo quando siamo arrivati qui, ma se vai all’entrata rimediano un costume e una cuffia anche per te, fidati” Michele annuì eseguendo alla lettera i dettami dell’amico. Il direttore del complesso sportivo gli rimediò effettivamente la cuffia e pure il costume, l’inconveniente fu che lo slip gli andava stretto, lasciando veramente poco all’immaginazione. Dopo essersi cambiato, schizzò fuori dallo spogliatoio dove, se non altro, aveva recuperato l’accappatoio. A testa bassa tornò dagli amici e, una volta, di nuovo da loro, si tolse l’accappatoio e le ciabatte e, sperando che nessuno notasse la tenuta adamitica, di corsa si buttò a bomba in mezzo ai compagni urlando. Subito l’assistente ai bagnanti si precipitò verso di loro fischiando, e poi urlando: “Mapporcaputtena… che ci sono i bambini anche! Se ti rivedo ti sbatto fuori senza passare dall’entrata!”.
Ridendo a più non posso, con i capelli bagnati che gli si appiccicavano alle spalle visto che la cuffia era schizzata via nell’impatto, Michele si giustificò: “Hai ragione Tano, scusa, ma era una vita che non venivo in piscina: sai, l’entusiasmo!” recuperò la cuffia che galleggiava poco lontano e cercò maldestramente di rimettersela, peraltro senza successo. Sbuffando fece per lanciarla, ma a un’occhiata gelante del bagnino si rimise d’impegno e, finalmente, riuscì a stiparvi la massa di capelli.
“Pronti? La palla? Dai Dante, lancia, cinque vasche di riscaldamento poi partita!” Michele quel giorno era veramente contento, e il suo entusiasmo contagiò i compagni che lo assecondarono volentieri.


Nella prima corsia, quella dedicata agli allenamenti, mentre si riposava un attimo dopo la centesima vasca, Diego osservava Michele. Anche dall’acqua lo aveva subito notato entrare, e non aveva creduto ai suoi occhi: finalmente vedeva Salvemini senza veli, e quando si dice senza veli, proprio con tutti i crismi! Non avrebbe mai pensato che dopo il ristorante e il cinema, lo avrebbe incrociato pure in piscina! Una vera persecuzione! Il giovane carabiniere ne era oltremodo affascinato. Lo sguardo aveva indugiato impunemente sul corpo esposto: senza essere né troppo grosso né troppo magro, Michele ostentava un fisico niente male: i muscoli sodi e compatti, il petto coperto da una leggera peluria scura e un sedere decisamente sodo sotto lo slippino rosso. Poi non parliamo della pannocchia di granturco nelle mutande... mio dio! Povero me... ah, sono perso!
Con malcelata invidia, rimase a guardare gli otto amici che erano passati dal riscaldamento all’allegra partita di pallanuoto. Invidiava quel cameratismo tra ragazzi che a lui era sempre mancato. Parliamoci chiaro Diè, quelli come te quando stanno in intimità con un uomo perdono la testa, e altro che virili pacche sul sedere! Per associazione di idee ripensò ad Alfredo. Era stato bene la sera prima con lui e cominciava a pensare che forse non gli era del tutto indifferente, e anche il collega poteva essere un tantino interessato alle sue grazie. Non parlava mai di donne e lo cercava continuamente. Ci rifletté su: Alfredo era una brava persona ed anche un bell’uomo. Certo, quello che provava per il collega non era lontanamente paragonabile a ciò che gli suscitava Michele.
Sospirando riprese gli allenamenti: almeno un’altra cinquantina di vasche avrebbe dovuto farle oggi.
Diego uscì dall’acqua dopo più di due ore di allenamento e guardò verso la parte libera della piscina: la compagnia si era fermata in cerchio a chiacchierare. Si diresse velocemente verso gli spogliatoi: voleva riuscire ad andarsene senza farsi vedere da Michele, non se la sentiva proprio oggi di affrontarlo. Mentre ad occhi chiusi si riscaldava sotto la doccia sentì dei passi avvicinarsi e voltandosi si ritrovò gli occhi neri e scanzonati di Michele puntati addosso.
“Toh, chi si vede: buonasera” Michele aprì il rubinetto della doccia accanto alla sua e appena fu sufficientemente calda s’infilò sotto con un sospiro soddisfatto.
Diego, malgrado i buoni propositi, proprio non riuscì a fare a meno di guardare la parte bassa che aveva ben studiato, prima che lui si gettasse a bomba nella piscina. Da vicino era anche meglio, pensò. Il costume bagnato, uno straccetto inservibile, mal conteneva quello che a riposo prometteva essere un’arma impropria. E Diego, disgraziatamente, rivisse la battuta di Michele durante la perquisizione: giuro che non è un arma. Non ci ho mai menato nessuno.
Girandosi verso di lui all’improvviso, Michele seguì il suo sguardo e ghignò: “Sei interessato ai miei gioielli carabiniere? Non ti è bastata la perquisizione, vuoi verificare?”.
Diego rialzò lo sguardo, arrossendo e assumendo un’espressione fiera chiuse il rubinetto e fece per allontanarsi veloce, ma scivolò malamente e Michele fu lesto ad acchiapparlo al volo per la vita, evitandogli una brutta caduta. Rimasero allacciati per un attimo di troppo: Michele che lo stringeva con un braccio mentre Diego si aggrappava alle sue spalle per rimettersi in equilibrio. Entrambi seri ora, Diego con le narici allargate, frementi, forse per il pensiero di aver fatto una figuraccia, forse per qualcos’altro, si staccò bruscamente e ringraziando con freddezza si allontanò verso l’armadietto.
Anche Michele era pensieroso, ma il suo carattere scanzonato ebbe ancora la meglio: “Hey carabiniere, coi baffetti più corti stai meglio lo sai?” si avvicinò. Diego doveva togliersi il costume e questo lo metteva davvero in imbarazzo ma tentò con l’accappatoio di coprire il copribile. Una natica rimase esposta e, a quel punto, all’operaio passò completamente la voglia di cazzeggiare. Restò come imbambolato: un culo della madonna? Tutto il presepe ci sta Michè! E quando si rese conto che lo stava importunando era troppo tardi. Gli fu addosso abbracciandolo da dietro e spingendolo verso il muro dove erano appesi i vestiti. “Vedi che ho fatto bene ad uscire prima degli altri dall’acqua, così ci ho trovato te” sussurrò al suo orecchio. Diego fece per ribellarsi ma senza grande impegno. Restò invece a godersi l’alito caldo, la pressione del corpo massiccio. “Ora i ruoli si sono invertiti carabiniere, chi è che perquisisce?” Michele gli accarezzò i fianchi. Rapidamente gli afferrò il sesso teso, già impacchettato negli slip bianchi e lo scoprì duro. “Ti piace che ti tocco vero? Ti chiami Diego, vero? Sì che ti chiami Diego, e dimmi Diego: ti piace il mio cazzo addosso al tuo culetto?” Sempre più libidinoso continuò: “Ma sì che ti piace, tanto l’ho capito di che pasta sei fatto. Ti piacerebbe che te lo infilassi nel culo, vero? L’ho visto come me lo guardavi sotto la doccia” stringendosi a lui ancora di più, sussurrò: “Lo senti come è grosso? È tutto per te” Diego si voltò un attimo nell’estremo tentativo di protestare ma, anziché scacciarlo, gli scappò un sorriso etereo e un attimo dopo, fu scosso da un tremore che passò in fretta. In quello stesso momento Michele percepì umidità sulla mano che teneva salda sul pacco del ragazzo. “E te ne vieni così?” furono le sue ultime parole, l’arrivo dei suoi amici lo costrinse a staccarsi in tutta fretta.


Fuori dalla palestra come sempre lo attendeva Alfredo. Quest’ultimo però non si aspettava certo di trovare l’amico in quelle condizioni: il volto serio, quasi rattrappito, tutto il corpo era rattrappito nel trench nero, le guance sporche di lacrime, gli occhi all’ingiù. “Diego, che c’hai? Che t’è successo?” Alfredo si avvicinò a lui cercando di riscuoterlo. L’amico sembrava aver visto il diavolo e averci pure parlato. “Alfredo...” riuscì a balbettare tremando. E questi lo abbracciò.
“Ma Diè, ma stai tremando, che cazzo è successo!”
“Niente, andiamo!” Gemé cercando di trattenere le lacrime.
Diego era a dir poco scosso, da solo si sentiva assolutamente incapace di fare un solo passo e si aggrappò al braccio di Alfredo che lo scortò fino alla sua macchina. Una volta dentro azionò il tergicristalli: una leggera pioggia batteva sull’automobile. “Ora mi dici che hai? Non ti ho mai visto così”
“Appunto, parti e andiamocene” ma Diego si raccolse l’ennesima lacrima e poi non ce la face più e scoppiò in un singulto. Dopo i continui solleciti dell’amico finalmente al carabiniere scappò un nome.
“Michele hai detto? Intendi Salvemini?” conosceva almeno un centinaio di persone con quel nome a Bisceglie Alfredo, ma stranamente ci azzeccò al primo colpo. “Che ti ha fatto? Insultato? Minacciato? Me lo devi dire Diè!” alzò la voce. Rallentò, non se la sentiva di guidare in quello stato e così si fermò di fronte all’ufficio postale chiuso. Diego non smetteva di piangere e questo lo imbarazzava non poco, quanto imbarazzava l’amico. Già di per sé un uomo che piangeva era sconveniente, ma un carabiniere! Era anche peggio. Alfredo accarezzò paterno la schiena cercando di farlo riprendere, ma rabbia e curiosità lo avevano assalito e avrebbe voluto un piede di porco per aprire la bocca all’amico e costringerlo a confessare. Ma nel suo cuore aveva già mezzo capito tutto.
“Michele è entrato nello spogliatoio e mi ha... mi ha...”
“Ti ha?”
“Mi ha.. ha approfittato di me insomma”
“Come approfittato?” Alfredo non sapeva più che pensare. Sicuro aveva capito male. “Che mi stai dicendo”
“Mi ha importunato ecco! Come un uomo non dovrebbe mai fare ad un altro uomo, e non capisco perché possa aver pensato quelle cose di me” mentì, ormai era in fiume in piena: non solo parlava, straparlava. “Mi ha sbattuto al muro e mi ha detto delle cose irripetibili” tutto vero, certo, sto solo omettendo che ero così eccitato che ad un certo punto sono venuto, non si può certo dire che manchi niente, no? “Cazzo Salvemini, quello schifosone là ti ha toccato? Ha osato metterti quelle sporche mani addosso? Ma io gli stacco i capelli uno ad uno!” Diego conobbe un lato di Alfredo che non conosceva: iniziò a sciorinare una serie di epiteti in dialetto stretto contro il concittadino e, alla fine, uscì dal parcheggio per tornare di corsa alle piscine. “A uno grosso come me dove provare a dare del frocio, io me lo inculo! Altroché”
“Dove vai Alfredo, saranno già tornati tutti a casa”
“Anche i bavosi dei suoi compari ti hanno infastidito?”
“Ma no, che dici! Te l’ho detto, eravamo soli. Ma non serve ora, ho sbagliato a non ribellarmi. Ma non me lo aspettavo. Poi non so se sarei stato capace a difendermi”
“E te lo credo Diè, quello è il doppio di te cazzo. Facile prendersela con chi ti è fisicamente inferiore. Uno onesto non lo avrebbe mai fatto” e giù altri insulti.
“Se avessi avuto la pistola ci avrebbe pensato due volte”
“Gliela facciamo pagare Diè, sta tranquillo, alla prima occasione gli facciamo il sacco, ci stai?”
Diego rabbrividì. No, questo no, non era giusto. “Non esagerare Alfrè, ha fatto un po’ lo stronzo ma non possiamo mica picchiarlo. E poi dobbiamo portare onore alla nostra divisa, no?”
Alfredo fu colpito e affascinato. Così girò di nuovo verso la caserma. “Ma come sei assennato tu Diego. Ti chiedo scusa, in qualche modo la pagherà quel bastardo, ma noi non dobbiamo sporcare la divisa che portiamo per colpa di animali come quelli, hai ragione”.
Una volta arrivati davanti alle forze dell’ordine, prima di farlo scendere Alfredo volle sincerarsi che si fosse davvero ripreso: “Tu me lo giuri che non ti ha fatto del male, vero?”
“Ma certo, non mi ha fatto niente di male, intendo fisicamente... è solo che non mi aspettavo una condotta morale così bassa...”
“E che ti aspetti da certa gente, povero il mio Diego, ma guarda che doveva capitarti” gli mise un braccio attorno alle spalle invitandolo ad un abbraccio e, pur titubante per la sua falsità, Diego ci si buttò. Lo strinse forte a sé. “Io non so come farei senza di te Alfredo, sei un amico vero, un grande amico”
“Anche tu per me. Ma sta alla larga da certa gente. Ti proteggo io, la prossima volta vengo ad allenarmi con te, che poi ne avrei pure bisogno. Mia madre me lo dice sempre che da quando ho fatto trent’anni mi è venuta la pancia” si toccò il ventre e Diego lo guardò con tenerezza.
“Ma sei un pezzo d’uomo Alfredo, ma quale pancia. E poi un po’ di pancia ci vuole no?”
“Ha parlato lui, c’hai una libreria al posto della pancia”
“Ma, forse una volta, da quando mi alleno meno mi sono ingrassato anch’io” Diego divenne rosso, non era abituato ai complimenti, soprattutto se provenivano da un uomo interessante. E poi di complimenti particolari ne aveva ricevuti già abbastanza nello spogliatoio...
“Dai ragazzì, vai a dormire che domani arriva presto” lo spronò e prima di lasciarlo andare gli baciò la fronte. Di rimando Diego gli baciò la barba e per poco non si baciarono in bocca! Impacciati si salutarono e sotto la pioggia divenuta battente, Diego scappò dentro la caserma. Oscillando la testa nervoso Alfredo mise in modo e partì.
Non tornò a casa ma passò da Galileo sperando di trovarci Michele che cenava. Appurato che non ci fosse, tornò da sua madre che gli aveva lasciato la cena sotto il piatto. Ma scoprì di avere lo stomaco chiuso: quello che Diego gli aveva confidato faceva troppo male e si limitò ad ingurgitare due bicchieri di vino e una bruschetta. Alle dieci e mezzo si sdraiò sul letto. La faccia di Michele Salvemini non lo abbandonò fino al sonno. In mezzo alla fronte ci disegnò un puntino rosso. Te lo faccio vedere io la prossima volta se importuni il mio amico, vieni a importunare il culo a me se hai coraggio! Pensò ma poi, la stanchezza ebbe la meglio e si addormentò con lo stomaco che rumoreggiava per la fame.

2 commenti:

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  2. Il personaggio di Alfredo mi intriga molto, con il suo atteggiamento da chioccia e anche da donna di paese protettivo e puritano nei confronti del piccolo Diego. Sono curiosa di vedere come evolverà, ma il rapporto che mi interessa che venga approfondito è un altro. La vista della natica di Diego ha scatenato l'animale che è dentro Michele. Gli salta addosso senza neanche ragionare terrorizzandolo. Penso che quelle lacrime sono di vergogna perchè non aspettava altro che le sue mani sul suo corpo a mappare ogni lembo di pelle scoperta. E' di un erotico quella scena, così passionale, reale, cruda nella sua durezza, ma che li lascia entrambi insoddisfatti. Il prossimo incontro sarà il decisivo.

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