sabato 2 marzo 2013

Baci al miele in paradiso, ottavo capitolo




Titolo: Baci al miele in paradiso
Autori: Annina
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo  
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica.



Capitolo VIII



Michele si riveste e scende le scale, esce e presa l’auto si dirige verso il mare; arriva sulla spiaggia e va a camminare sulla riva, i piedi nell’acqua tiepida. Le immagini di quanto è successo la sera prima non lo abbandonano. Diego sul ponte che dipinge, Diego che lo bacia, Diego che gli sorride. E poi Diego al telefono. E la sua paura, e la rabbia, e il dolore di Diego, lui che se ne va abbandonandolo come un giocattolo nel letto…
Michele sta correndo ora sempre più forte, fino a sfiancarsi e a lasciarsi cadere sulla rena, nell’acqua, senza fiato. Si mette seduto e guarda verso l’orizzonte il cielo che sta schiarendo, rimane lì a lungo con le mani tra i capelli; poi torna verso il bar e inizia a preparare i tavolini.
Diego è riuscito a dormire un paio d’ore, e si sveglia con la testa pesante. Si guarda intorno nella stanza, smarrito, poi lentamente gli ritorna in mente quello che è successo la notte.
Scrolla il capo e si alza, prende la sua sacca ed esce dalla stanza. Vede la porta aperta nella camera di Michele ed entra circospetto, ma non c’è nessuno. Passa in tutte le altre stanze; con tristezza entra in quella verde e si guarda attorno, vede la parete ancora da finire. Posa la sacca e impulsivamente sale sul ponte e inizia a dipingere. In un’ora finisce il lavoro, raccoglie i nylon e toglie lo scotch. La stanza è perfetta. Diego annuisce, prende la sua sacca ed esce di casa. Aspettando Lucia fa un giro per i campi, temendo e sperando allo stesso tempo di incontrare Michele, ma non c’è nessuno.
Prova un dolore che non pensava di poter mai sentire, un angoscia che gli chiude la gola, ma deve andare ora, Lucia sta suonando il clacson fuori sulla strada.
Lucia scende quando lo vede, vuole cedergli il posto alla guida ma Diego si rifiuta.
“Guarda Lucia se te la senti di guidare tu, io non mi sento bene; magari più avanti ti do il cambio: ti spiace?”.
“No Diego figurati, sai che mi piace guidare. Ma cos’hai? Che non stai bene si vede, sei grigio in volto. E’ perché devi partire? Ma tornerai no?” Lucia non ottiene risposta e si stringe nelle spalle ritornando alla guida dell’auto, mentre Diego getta la sacca sul sedile posteriore e si lega la cintura di sicurezza.
“Pronto?” Lucia mette in moto guardandolo pensierosa.
Diego non risponde fa solo un cenno di assenso e stende le gambe davanti a sé, gli occhi fissi sulla strada. Partono, e lui non si gira indietro.
Lucia non tenta nemmeno di fare conversazione, alza il volume della radio e imbocca la superstrada verso Rosignano: li aspettano un bel po’ di ore di viaggio, e lei spera che a Diego prima o poi ritorni la favella, guidare in silenzio non le piace.
Viaggiano ormai da un paio d’ore nell’assoluto silenzio, manca poco allo svincolo per l’autostrada della Cisa, e lei preferirebbe che guidasse lui adesso: è un po’ stanca e non le piace particolarmente guidare nelle gallerie.
Proprio in quel momento alla radio passa Mille giorni di te e di me di Baglioni. Diego ha un guizzo ma l’ascolta affascinato… “io e te che facemmo invidia al mondo, avremmo vinto mai contro un miliardo di persone, e una storia va a puttane…”. Diego si nasconde il viso tra le mani, quella canzone sembra aver scatenato una tempesta dentro di lui, Lucia vede il cartello dell’autogrill e decide di uscire: Diego non sta per niente bene.
Dopo pochi minuti imbocca l’entrata e si ferma; si gira verso Diego che ha ancora le mani sul viso e gliele toglie, stringendole fra le sue.
Lo sguardo di Diego la spaventa: è talmente pieno di dolore che gli occhi sembrano ancora più grandi, dilatati.
“Diego per favore dimmi qualcosa, spiegami cos’è successo, tu non stai bene davvero e io non so cosa fare”.
“Che poi nemmeno mi piace Baglioni, mai piaciuto Baglioni. Lo sai vero?” Lucia annuisce ancora più agitata, sembra quasi che Diego straparli.
“I nostri sono stati dieci non mille, dieci bellissimi giorni di lui e di me, di Michele e Diego. Ma anche la nostra storia è andata a puttane Lucia” Diego si scioglie dalla sua stretta e apre la portiera scendendo, sentendo all’improvviso che non può più respirare. Lucia gli corre vicino e scacciando le lacrime che vorrebbero scendere, lo accarezza e cerca di calmare quell’ansia che lo attanaglia.
“Diego stai tranquillo, respira adagio, inspira col naso dai che lo sai anche tu come si fa la respirazione, dai che va tutto bene” gli massaggia le spalle, le braccia e solo allora nota i lividi.
Non dice niente per ora, sa che non è il momento ma si ripromette di riparlarne in seguito. Non sa cosa pensare, ma sa che dev’essere successo qualcosa di molto brutto per ridurre Diego in quello stato.
Lentamente Diego riprende a respirare normalmente e abbraccia Lucia “ti ringrazio, è passato adesso, grazie. Dammi un attimo poi andiamo a fare colazione, non ho bevuto nemmeno un caffè, poi guido io, lo so che non ami guidare su queste strade”.
“Va bene Diego però abbiamo ancora tre ore di viaggio almeno, e mi devi promettere che parlerai, che mi spiegherai almeno qualcosa. Entriamo adesso” lo prende sottobraccio ed entrano all’autogrill dirigendosi alla cassa.
“Dolce o salato Diego? Io mi mangio un toast. Dimmi cosa vuoi e vai a sederti, faccio io qui” non c’è molta gente alla cassa ed è quasi il loro turno.
“Caffè grazie, solo un caffè non mi va di mangiare adesso” Diego le fa un cenno e va ad occupare un tavolino accanto alla vetrata.
Dopo pochi minuti Lucia torna con caffè, acqua e 2 toasts “forza, mangia qualcosa Diego che poi lo sai che ti calano gli zuccheri”.
Per un po’ mangiano in silenzio ma Diego abbandona presto il suo toast sul piatto e si perde a guardare le auto che passano al di là della vetrata.
“Diego. Guardami Diego. Adesso mi spieghi cos’è successo per filo e per segno. Non ce ne andiamo di qui fino a che non mi hai detto tutto. Soltanto pochi giorni fa eri felice e adesso sei a pezzi. E voglio sapere anche cosa sono quei lividi che hai sulle braccia. Se è stato quel barbone che ti eri scelto come amico ti giuro lo denuncio io”.
“Piantala Lucia. Non c’è proprio niente da dire, e nemmeno niente da denunciare” Diego non toglie lo sguardo dall’autostrada.
“Lo so che non ho più nessun diritto di romperti le scatole, ma nonostante quello che è successo tra noi, te lo ripeto, ti voglio bene e voglio solo starti vicino e capire cosa ti è successo”.
Diego sospira e chiude gli occhi un attimo, poi la guarda e capisce che non potrà sfuggirle. Tenta un sorriso che riesce storto e le prende la mano.
“Dove ti attacchi muori eh? Cos’è successo… non è successo niente, se non che non mi ha più chiesto di rimanere qui con lui. Evidentemente si era già stancato, non lo so, non capisco e vorrei solo dimenticare questi giorni” ma si capisce benissimo che non  potrà dimenticare.
“I lividi? Come te li ha fatti quelli? E’ anche un violento?”.
“Non me li ha fatti lui, mi sono fatto male io lavorando, sono maldestro devo ancora imparare, anzi ormai non imparerò nemmeno più. E ti sarei grato se la smettessi di parlare male di Michele. Andiamo adesso, non vedo l’ora di arrivare a casa” si alza ed esce senza aspettarla. Lui lo ama Michele, anche se è stato cattivo, anche se l’ha trattato così male proprio poche ore prima. Il cuore non si lascia convincere: non sarà facile dimenticarlo.
Diego guarda le macchine che vanno in senso opposto al suo, e la tentazione di uscire dal casello e rientrare in Versiglia, tornare giù e chiedere a Michele di lasciarlo restare.
Scrolla la testa e soffocando un singhiozzo entra in macchina e mette in moto. Lucia arriva di corsa, sale a sua volte e ripartono. Tre ore di viaggio sono lunghe da fare in silenzio, e andando in direzione contraria a quella che si vorrebbe seguire, ma finalmente arrivano all’uscita di Torino.
Lascia Lucia sotto casa sua promettendole di chiamarla più tardi e poco più tardi il viaggio ha termine davanti alla piccola palazzina che ospita il suo bilocale.
Entrando getta a terra la sacca e dopo aver aperto la finestra si lascia cadere sul divano. Il cielo fuori è plumbeo, minaccia un temporale. Si toglie il cellulare dalla tasca e dà un’occhiata. Solo ora si rende conto che non si sono nemmeno scambiati i numeri. Non importa comunque, tanto non lo chiamerebbe. Non lo vedrà più.
Si rialza e decide di muoversi un po’ per non soccombere alla tristezza. Esce e fa una passeggiata fino al supermercato, dove fa una bella scorta comprando roba che gli basterà almeno per una settimana e torna a casa mentre cominciano a cadere le prime gocce di pioggia.
Gli ultimi metri li fa di corsa ma ciò nonostante quando arriva in casa è fradicio. Mette via la spesa, dà una spolverata in giro, fa qualunque cosa pur di non pensare, ma alla fine è sempre il viso di Michele che gli torna negli occhi.
Va a farsi una doccia e si prepara un po’ di riso; fuori intanto si è scatenato il finimondo. La pioggia cade fortissimo e i lampi si susseguono a ritmo serrato. Si siede sul divano col piatto e una birra ma non chiude la finestra, guarda il diluvio e si ricorda di una sera di pochi giorni prima, quando mentre pioveva non era da solo con un piatto di riso in bianco, ma era davanti a un camino tra le braccia del suo compagno. Chissà se capirà il messaggio che gli ho lasciato. Probabilmente no. E si dice che poteva anche evitarlo, per quel che servirà.
In Toscana intanto Michele ha chiuso il bar sulla spiaggia. Non ha rivolto una parola a Roberta che più volte l’ha minacciato di lasciarlo da solo nei prossimi giorni se non le racconterà cos’è successo.
Dopo un ultimo sguardo al mare va mestamente verso l’auto e si dirige a casa. Una volta nel prato non ha il coraggio nemmeno di guardarsi in giro, tutto quello che vede gli ricorda Diego.
Si infila in casa e decide di andare subito a letto, non ha fame, non ha voglia di niente, vorrebbe solo tornare indietro nel tempo, allora sì che chiederebbe a Diego di rimanere, a costo di fare la figura del cretino, di sentirsi rispondere senti amico è stato bello finché è durato, a qualunque costo. E come l’ha trattato poi? Gli occhi di Diego mentre lui lo maltrattava, non potrà mai più dimenticarli.
Chiude tutto e sale di sopra. Va subito a vedere nella stanza blu e anche se già lo sapeva che Diego non ci sarebbe stato, rimane deluso. Guarda dappertutto per vedere anche solo una traccia dell’amico, ma non trova niente. Anche il letto è stato disfatto, con le lenzuola ripiegate appoggiate in fondo, quasi a non lasciare più traccia di quello che è stato il loro rifugio.
Con le lacrime agli occhi esce dalla stanza, si ferma sulla porta di quella color cioccolato: era così fiero Diego di averla finita e di averla dipinta così bene. Guarda la stanza verde e non ha il coraggio di entrare. Rivede Diego in canottiera, sudato scendere dal ponte e andare ad abbracciarlo…
Spalanca la porta e si accorge che Diego ha finito anche quella stanza; deve averlo fatto la mattina prima di partire. Con un groppo alla gola sta per uscire quando qualcosa attira la sua attenzione: il disegno di un arnia con due api che ronzano sopra, vicine. Cosa significa questo? Una cosa sola: lui mi amava davvero, e io ho rovinato tutto. Se glielo avessi detto, se glielo avesse chiesto… se…
Michele crolla, e seduto a gambe incrociate davanti al disegno di Diego piange, singhiozzando come un bambino. Rimane lì a stringersi la testa tra le mani per tanto tempo che ormai dalla finestra entra il buio, ma la sua mente ora si è schiarita. Ha capito che Diego lo ama, che aspettava solo una parola da lui. E lui quella parola non l’ha avuta. Sarebbe bastato così poco, solo dirgli fermati, fermati qui con me. Perché sono stato così stupido?  Guarda le due api, loro due, come ha potuto dubitare dell’amore di Diego? Il suo dolcissimo Diego.
Squilla il cellulare, e per un attimo pensa che sia lui. Solo ora però si rende conto di non avere il suo numero di telefono, di non avergli nemmeno chiesto il cognome. Cosa sa di lui? Che vive a Torino, che è un operatore di computer, che canta in una piccola band. E Torino non è un paesello, come lo trova? Girando quartiere per quartiere? Beh, se fosse necessario potrebbe farlo.
Si toglie il cellulare dalla tasca e schiaccia il tasto verde ma non ha nemmeno voglia di rispondere con un pronto.
“Michele! Michele vuoi rispondere? Parla accidenti a te!” la voce di Roberta gli arriva alterata.
“Roberta” altro non gli esce dalla gola.
“Michele ma allora! Mi stai facendo preoccupare e parecchio. Senti preferisco chiudere la telefonata, arrivo lì aspettami” e Roberta riattacca.
Michele appoggia il cellulare a terra senza nemmeno preoccuparsi di spegnerlo. Continua a guardare quelle due api, quel messaggio che Diego ha voluto lasciargli, quasi a dirgli “ti amo ancora nonostante tutto, nonostante tu non mi voglia con te”.
Dopo un quarto d’ora Roberta arriva, apre con la chiave che Michele le ha lasciato per ogni evenienza ed entra in casa cercandolo in tutte le stanze, visto che pur chiamandolo ad alta voce non riceve risposta.
Lo trova ancora seduto nella stanza verde immobile, gli occhi che fissano uno strano disegno sul muro.
Si inginocchia vicino a lui in silenzio e lo abbraccia accarezzandogli teneramente i capelli.
“Cosa significa quel disegno Michi? L’hai fatto tu?”. Lui scrolla la testa e finalmente la guarda. Roberta in quei profondi occhi neri vede soltanto disperazione.
“Vieni Michele andiamo di sotto a sederci. O preferisci metterti a letto? Come vuoi tu, tanto io stanotte rimango qui con te, non ti lascio di certo in queste condizioni. Andiamo” raccoglie il cellulare spegnendolo, quindi gli prende le mani facendolo alzare e lo accompagna in cucina, facendolo sedere al tavolo.
“Preparo qualcosa? Ti va di mangiare?” non ricevendo risposta prepara due tazze di latte, prende il barattolo del miele e un pacchetto di biscotti e appoggia tutto sulla tavola.
“Forza adesso tira fuori tutto Michi: che cosa è successo tra te e Diego? Perché quello è il problema vero? E’ successo qualcosa di brutto tra voi” Roberta gli prende le mani e aspetta.
“Sono stato uno stronzo Roberta. No davvero, ho combinato un casino. L’ho sentito al cellulare che diceva a qualcuno che sarebbe tornato a Torino, non ho capito più niente. Invece di chiedergli di restare con me l’ho maltrattato. Un barbaro, mi vergogno così tanto” coprendosi il viso con le mani sussurra “non lo vedrò più Rò. Non so come fare, come lo cerco? Non so il suo cognome non ho il suo cellulare, non lo vedrò più ed  è tutta colpa mia”.
Roberta rabbrividisce a quelle parole “No Michele lo cerchiamo, ti do una mano io. Vedrai che qualcosa ci inventiamo” ma sa benissimo anche lei che non sarà facile.
“Andiamo a sentire all’Hotel no, ci daranno il suo nome. O lo cercheremo sui Social, ormai ci sono tutti lì, lo troviamo”.
“Io non ci sono sui social perché dovrebbe esserci per forza lui? E all’Hotel non ce lo daranno il nome, c’è la privacy”.
“Bene, vedremo. Intanto domani il bar rimane chiuso e noi facciamo tutto il possibile per trovarlo. Mi spieghi il disegno della camera? O preferisci di no?”.
Michele ci pensa su, poi scuote la testa “l’ha lasciato Diego, stamattina presumo, ieri sera non c’era. Siamo noi, le due api siamo noi. Adesso non ho voglia di spiegarti. Vado a dormire” appoggia il vaso di miele che ha tenuto in mano per tutto il tempo e si alza, subito seguito da Roberta che come annunciato, stanotte dormirà con lui.
La stanchezza e la precedente notte passata in bianco permettono a Michele di dormire per buona parte della notte, e la mattina seguente lo vede già un po’ più ottimista. Lo cercherò e lo troverò, mi ascolterà lo so e tornerò qui con lui, realizzeremo insieme il nostro sogno
Roberta è felice di vederlo un po’ più sollevato e mentre fanno colazione parlano di quello che conviene fare.
“Per prima cosa andiamo all’hotel e chiediamo. Loro possono dirci tutti i suoi dati. Vedrai che ce lo dicono dai. Troviamo una scusa valida, tipo che ha dimenticato a casa tua qualcosa e che hai perso il suo numero di telefono”.
“Una bella coppia di cialtroni che ci perdiamo tutto! Comunque proviamo. Andiamo?” Michele freme al pensiero che nel giro di poco potrebbe aver già risolto il suo problema.
Michele guida in modo talmente spericolato che Roberta è  costretta a fargli osservazione, e in breve parcheggia davanti all’hotel.
Purtroppo i gestori sono irremovibili: i dati sono coperti dalla privacy e loro sono spiacenti ma non possono fare niente per aiutarlo. D’altronde il ragazzo sa dove è stato, se vuole rientrare in possesso di ciò che ha perso sa come fare. Nemmeno l’offerta di denaro fatta al ragazzo che sta alla reception ha successo.
Tornano a casa e si danno da fare a cercare nei social qualcuno che si chiama Diego e che abita a Torino. Niente da fare, troppo vaghe come informazioni. E nemmeno gli amici computerizzati di Roberta sanno come aiutarli. Michele si rituffa nella disperazione.

3 commenti:

  1. Che tristi questi due capitoli. L'idillio sembra finito per sempre. La paura di essere stato usato e che i sentimenti di Diego non siano sinceri hanno portato Michele a punirlo, a fargli del male. Per fortuna ha compreso la gravità delle sue azioni e soprattutto che Diego l'amava davvero e che ora rischia di perderlo per sempre. Sono convinta però che in un modo o nell'altro riuscirà a ritrovare Diego e a fargli capire che si è comportato come un pazzo sconsiderato. Non è giusto però che li fai soffrire così nelle tue fic. Uff perchè devono sempre farsi del male per poi ritrovare la felicità uno tra le braccia dell'altro? Ti prego, falli rincontrare presto. Già sto male a saperli separati

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  2. Forse hai ragione, li faccio soffrire un pò, ma la vita non è sempre in discesa. E poi se loro fossero meno chiusoni, si fossero parlati un po', non sarebbero arrivati a questo punto.
    Colpa loro quindi, non mia...
    Comunque, vedrò cosa posso fare per dar loro una mano! :o)

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    1. No, non sei troppo drammatica, anzi... forse nessuno di noi lo è abbastanza. Il capitolo è davvero triste, si sente tutta l'angoscia dei nostri ragazzi che a modo loro, entrambi, hanno sbagliato: Diego ha peccato di insensibilità, nn comprendendo che bastava solo chiarire le cose perché quello Michele voleva, e basta, e Michele ha ovviamente sbagliato ad agire così impulsivamente, a non chiedere. Dopotutto 10 giorni sono un po' pochini per capirsi, anche nelle piccole sfumature.. la cosa però più bella di questo capitolo sono sicuramente le api della stanza verde, che ovviamente se da una parte aumentano l'angoscia per le sorti della neocoppia, accendono quel lumicino di speranza. Sensibile e profondo come sempre cara... ;)

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