giovedì 18 ottobre 2012

Il cassetto dei sorrisi, settimo capitolo ed epilogo




Capitolo 7


Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Romantico/Introspettivo  
Rating: NC 17
Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy Baby, di Diego Perrone



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Il disastro arrivò inesorabile. Ora ricordo tutto. Per un po’ di tempo l’ho rimosso. Durante un tremendo acquazzone, Diego era già al lavoro, Gabi si venne ad infilare nel mio letto. Accadde tutto rapidamente, a metà strada tra un gioco perverso e l’espiazione di un peccato, uno sfogo di qualche cosa a lungo cercata, nascosta, censurata. Un po’ fece lei un po’ feci io, non voglio dare tutta la colpa a questa strana adolescente tedesca che mi ero ficcata nella casa mia e del mio ragazzo. Fu così rapido che non so come riuscii comunque a portarla al piacere. Dopotutto da anni non scopavo con una donna. La cosa divenne una consuetudine come quella di girovagare per la città. Avevamo piacevolmente sostituito il cinema, o la mostra, o solo di girare a vuoto, con qualcosa di piacevole e più umido. Non era amore, di questo nei fui certo fin dall’inizio. Lussuria, ecco cos’era e per me era nuovo, dopotutto, come penso si sarà capito, con la mia ex Elettra non facevamo certo fuochi d’artificio. Con Diego sì e la differenza sostanziale tra lui e Gabi era la novità, e il fatto che in quei mesi di vita matrimoniale con il mio compagno, il sesso, per quanto estremamente piacevole nell’atto, aveva perso quel ‘che’ di proibito che c’era all’inizio. Ecco, con la ragazzina mi sentivo di nuovo trasgressivo. Forse era solo di trasgressione che avevo bisogno, probabilmente me n’ero panciuto troppo all’inizio della mia relazione con Diego e ora che sembrava tutto così ordinario e per niente proibito, ne sentivo di nuovo il bisogno. Ero un drogato. Devo dire che stemmo ben attenti a non farci scoprire e io non mi sentivo nemmeno tanto in colpa. Diego era felice, io ero felice e pure Gabi lo era, almeno così mi sembrava, per questo non riuscii a spiegarmi quella sua partenza improvvisa, a sei mesi dall’inizio della nostra relazione. Mi lasciò con una letterina stile infantile, che si preoccupò di infilarmi nel portafogli per paura che la trovasse Diego. Diceva più o meno che aveva trovato ospitalità a Parigi e siccome era da tempo suo sogno andarci, era stato bello ma basta, ciao. Spiegava pure di sentirsi in colpa per Diego, che pagava per noi tutti le bollette e i viveri, io però m’incazzai e quando tornò Diego gli buttai le braccia al collo disperato come se mi fosse scappata di casa davvero la figlia. Non piansi ma da quel giorno senza Gabi la mi apatia si trasformò in rancore. Ce l’avevo con tutto e tutti. Iniziavo le giornate dicendomi: che ci faccio qui? Perché non ho un lavoro? Che senso ha la mia vita? E ovviamente ben presto Diego smise di tollerare la mia rabbia che con il tempo si trasformò in freddezza. Divenni un misantropo.

Ricordo tutto nitidamente, come la maggior parte dei figli ricorda il giorno nel quale gli viene annunciata la morte del genitore o la sua malattia. Eravamo invitati per la festa di Halloween a casa di amici. Io dissi a Diego che poteva pure andare lui ma io non me la sentivo. Era molto peggio di essere apatici, era fare gli stronzi, fuor di dubbio che fosse così. E Diego s’incazzò. Riversò su di me tutto il rancore che aveva trattenuto in quei mesi. Io lo fissai incredulo rinfacciarmi tutto, compreso che non lavorassi. Mi diede del mantenuto e alla fine sbottai. Siccome mi facevo schifo io e volevo fare lui schifo, ma più schifo che mai, gli rivelai di me e Gabi. Non dimenticherò mai i suoi grandi occhi da cucciolo allargarsi e poi riempirsi di lacrime. Mi lanciò tanta di quella roba. Una lampada mi colpì in pieno petto e una scheggia di vetro mi si conficcò sullo zigomo.
“Spero che tu muoia dissanguato, fuck you” era uscito talmente di testa che per metà parlava inglese, l’altra italiano. Ad un certo punto iniziò a blaterale in olandese, che non era certo una lingua che gli avevano insegnato a scuola, ma che dopo oltre due anni, parlava benissimo. Senza tamponarmi la ferita, mi accoccolai al divano pregandolo di perdonarmi, piangendo fino a singhiozzare. Dissi che ero pentito e che non volevo perderlo, sarei morto altrimenti. Lo pensavo davvero. Le lacrime pizzicavano la ferita aperta. Un dolore che non sentivo più. Diego mi perdonò davvero infine, ma non andammo alla festa e da quella sera dormii sul divano.
Alla fine scoprii che il vago permesso studio che mi permetteva di vivere con Diego a Rotterdam, era scaduto. Ne avevamo parlato tante di quelle volte e tra lo scherzoso e il serio, avevamo detto che avremmo risolto tutto sposandoci. È evidente però che ora Diego non avesse nessuna intenzione di sposarmi, così, il diciotto novembre, presi tutto quello che avevo nella casa di Diego e me ne tornai in Italia.



Epilogo


Un incubo, ogni giorno da quel giorno fu un incubo per me. Il rancore che avevo nei confronti dell’ormai mio ex per non avermi impedito di andare via, per non aver nemmeno avverato una delle mie tante fantasie romantiche sul fatto che amandoci come ci amavamo, non mi avrebbe fatto partire, restarono mere illusioni. Orgoglio di innamorato ferito. Diego si mostrò poi per quello che era, un torinese freddo e arrabbiato che non sopporta di essere preso in giro dallo spaccone del sud. E io ci tornai in quel sud che ormai non aveva né ricordi e né sapori. Mi chiusi nel mio scantinato-laboratorio, dove un tempo disegnavo i miei fumetti, i miei schizzi, sognando la gloria, di diventare un facoltoso fumettista del nord. In ogni modo facoltoso uomo arrivato. Un fottuto figlio di puttana con le palle. Ma le palle non le avevo e anziché ricominciare a disegnare, ricominciai a scrivere, ma non a penna. Complice anche in nuovo notebook che mi regalai vendendo tutto l’oro che avevo, c’è da dire che mia madre lo conservava per me e non ne fu felice, ma io dovevo mangiare, tirare avanti, visto che non lavoravo e che non avevo nessuno che mi mantenesse. In ogni modo iniziai a riportare quei foglietti che avevo conservato, a trascrivere la mia storia con Diego dall’inizio. Rinominai il file: Gli amanti dei Navigli. Era bellissimo, ogni volta che finivo un capoverso piangevo lacrime vere. Ogni volta che terminavo un capitolo, provavo a chiamare Diego. Ma lui non rispose mai. Il libro costatava di otto capitoli. Ma a l’ultima telefonata non risultò più raggiungibile, quella linea era stata disattivata.
Mandai in giro quel libro, non perché davvero pensassi di guadagnarci qualcosa, ma lo trovavo così insopportabilmente bello e realistico che volevo farlo leggere ad altri, raccontare ad altri la parte bella della nostra storia, quella che finiva bene, con noi fuori dall’Italia a vivere d’amore, a pettinarci davanti allo specchio, (anche se con i miei sarebbe stato difficile). Mi illudevo che quelle tante parole messe in fila avessero un senso, almeno negli occhi degli altri. Nemmeno i nomi cambiai, fregandomene di eventuali denunce. Il risultato fu che il libro venne pubblicato nel 2008 da una piccola casa editrice di Bari e in poco tempo ristampato dalla Baldini&Castoldi, di Torino. Il resto lo immaginerete. Divenne un successo, anche perché, immagino, prima di me nessuno in Italia era stato in grado di descrivere una storia omosessuale così, priva di retorica ma piena di coraggio. Uscii dal mio seminterrato, feci presentazioni, persino a Torino. Mi ritrovai invischiato nel successo e nei soldi, e mi godetti quell’alito di felicità apparente che i soldi possono darti. Tutti mi chiedevano di Diego, e io dicevo che si sbagliavano, che era solo una storia di fantasia. Finché nel 2010 ricevetti una strana email di un Perrone hotmail che non conoscevo, ma subito risposi di sì alla proposta di incontrarci a Roma, dove avrebbe soggiornato una settimana per via di un congresso. Ero felice perché certo che si trattasse del mio Diego.
Ma no, non poteva essere lui, non aveva mai risposto alle mie chiamate e all’ultima aveva persino staccato il telefono. Ma partii per Roma in treno, pieno di tante speranze. Siccome Perrone mi aveva chiesto una copia del libro, io ero armato di una copia nuova di stampa e delle migliori intenzioni di farmi perdonare, di dare un senso a tutta quella sofferenza, quel disastro. Di ricominciare da capo.
Lo vidi sotto il tabellone degli arrivi, i capelli simili a Diego, anche il sorriso un po’ sbilenco, strano. La sua strana smorfia.
Ma non era Diego. Non aveva i suoi piercing e nemmeno la sua bellezza.
“Piacere Andrea” si presentò, non mi ci volle molto a capire che si trattava del fratello di Diego, lo svedese. Noi lo chiamavamo così perché viveva in Svezia.
“Piacere Michele” risposi. Il cuore mi batteva all’impazzata, non so se più per la delusione o per la felicità di trovarmi un Perrone di fronte.
“Sediamoci dai” mi propose sicuro di sé di fronte ad un tavolino di un bar all’aperto. In questo era diverso da Diego, sembrava scaltro, avvezzo a trattare con estranei. Diego ed io invece eravamo insopportabilmente timidi in certe situazioni.
“Ho letto il tuo libro e sono onorato che ti sia dato la briga di venire fin qui a portarmelo. Ma ho dimenticato la mia copia a casa e volevo un autografo”
“Per così poco... come sta Diego?”
“Perché non lo sai?” il sorriso gli morì sul viso sostituito da un’espressione dura. “Mi prendi in giro?”
Mi cadde un cucchiaino e mi affrettai a raccoglierlo. Il suo sguardo era glaciale.
“Ma dunque non sapevi niente e hai scritto questo fantastico libro su mio fratello? Ti ringrazio, i miei genitori te ne saranno sempre grati”
“Come sta Diego” ripetei balbettante e tremante.
“Che vuol dire come sta, è morto! Si è buttato da un ponte, e devo dedurre che era talmente depresso  e ubriaco. Ho forse omesso che la causa eri tu” via la maschera e nel cesso i modi gentili. Mi gettò in faccia il suo Martini Dry. “Era questo che volevo leggere nei tuoi occhi, bastardo figlio di puttana. Hai ridotto quel povero ragazzo un alcolizzato e mia madre una larva umana. Sei mesi fa anche mio padre ha tentato di uccidersi con dei sonniferi. Ma non c’è riuscito” oscillò la testa.
“Basta così” alzai in aria il braccio e lo bloccai, incapace di sentire oltre. Scappai nel bagno della stazione. Mi asciugai con dei tovaglioli, ma maglietta e giacca restavano inesorabilmente bagnate. E guardandomi allo specchio per pochi istanti, fissai senza pace il segno sotto l’occhio, quello che mi aveva procurato la scheggia della lampada, la maledetta sera in cui avevo rivelato che razza di merda fossi al mio grande amore. Come se accarezzando lei potessi ritrovare un pezzetto di Diego, ormai un sogno onirico, qualcosa di spazzato via dalla realtà. E in quell’attimo, riflesso nello specchio, rividi il volto di Diego e mi sembrò come se fossimo di nuovo a casa nostra, come mi guardava tutte le mattine prima di uscire, con gli occhi pieni d’amore, rivolgendomi alla fine un sorriso, uno di quei rari sorrisi che sembravano costargli così tanto, talmente da tenere un cassetto dei sorrisi nella sua scrivania ben sigillato, per regalarne soltanto a chi davvero amava.
Perché un sorriso non si dovrebbe mai donare a caso. O per un proprio tornaconto.

4 commenti:

  1. Non sono più proprietaria di un cuore. L'ho perso qui, tra le righe di questa stupenda, realistica, cruda storia. Ora scusami, ma devo andare a piangere.

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  2. Sto piangendo come una scema. Questa storia mi ha davvero commosso come non accadeva da tanto. Ancora non riesco a capacitarmi che Diego si sia ammazzato, che non potrà esserci un lieto fine a questa stupendo amore che mi ha tenuto incollata a questo schermo.E' raro che io mi commuova così per una fic ma tu ci sei riuscita, mi hai davvero ridotto ad uno straccio. Davvero stupenda e struggente. Ho adorato ogni singola frase e spero che presto ci donerai un altro pezzo del tuo cuore perchè è questo di cui si tratta, un pezzo del tuo cuoricino che sei riuscita a riversare sulle pagine di word.

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    1. Che dire... grazie.... vi voglio bene.... sentitevi Cambia semmpre ora, magari riuscissi a fare davvero cose così profonde e commoventi come ha fatto lui

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  3. Vorrei dirti tante cose, ma rimangono tutte dentro.
    Forse domani, un pò più a freddo, ma ora non ce la faccio, mi ha preso un pò troppo. Non potrei ascoltare Cambia sempre ora, non supererei la notte. Già così non mi basteranno le lacrime.
    Stupenda comunque, grazie di cuore.

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