sabato 6 ottobre 2012

Il cassetto dei sorrisi, capitolo cinque






Capitolo 5


Titolo: Il cassetto dei sorrisi  
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy Baby, di Diego Perrone



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In un terribile venerdì di Ottobre, lasciai l’appartamento di Elettra che, durante quei tre anni di convivenza, era divenuto pure il mio. Un mix di impulsività, confusione mentale e vigliaccheria, mi fu fatale. Mai scelta più sbagliata, lasciare la mia ragazza con quella rapidità, sperando di farla franca in qualche modo. L’illusione di un bambino, come quando a undici anni bigiai la scuola ed incrociai mio padre che tornava dal lavoro, mentre incedevo sotto un acquazzone tremendo. Mi riportò a casa bagnato fino alle mutande e con una faccia severa che mi terrorizzò. Immaginai quali punizioni tremende mi aspettassero per il comportamento scellerato, non meno per essermi bagnato così. Ma a parte togliermi la tv per una settimana, non accadde nulla. Mentre con Elettra non fu solo una questione di punizione. Il giorno dopo la mia fuga (ero temporaneamente tappato in casa del mio amante) si presentò in ufficio con due occhi rossi e la rabbia di una pantera lasciata da troppo tempo senza cibo. Le sue urla echeggiarono per tutto il piano e anche oltre. Provai a difendermi ma, alla fine, riuscì a strapparmi una mezza confessione riguardo ad una ipotetica amante di cui inventai un nome lì per là: Laura. Ovviamente minacciò che mi avrebbe fatto licenziare, che sarei rimasto senza una lira, tutte cose prevedibili. In verità non fece niente di tutto questo. Non mi restituì la mia roba, così per un po’ di tempo girai con gli stessi vestiti, fino a quando non mi decisi per un Outlet fuori Milano e mi rifeci da capo il guardaroba.
Forse non l’ho detto, ma anche Elettra lavorava nella ditta di famiglia, settore marketing. Dunque, per motivi contingenti, ero costretto ad incontrarla. Lei non mi teneva il muso, anzi: mi mandava segnali contraddittori. Un giorno la trovavo che ridacchiava vicino alla macchinetta del caffè, un altro che guardava fuori dalla finestra in corridoio, con le braccia conserte e l’aria afflitta.
Gli amici mi cercavano per capire cosa stesse succedendo. Uno di questi, Emiliano Rocchi, un agente immobiliare amico di amici, mi prese da una parte durante una pausa pranzo. Era il tipico milanese alla cummenda, ciuffo alla Elvis e grandi basette. Armato d’un un sorrisetto in stile cameratismo maschile, mi pungolò: “Dove la tieni nascosta? Scommetto che è una bambolina appena uscita dal liceo, pervertito!” sghignazzò mettendomi a disagio con tutto il bar, composto per di più da impiegati e agenti di commercio. “Allora? È meglio della Elettra? Ti ha fottuto il cervello di sesso, vero?”
Rassegnato a dovermelo subire, tipo punizione o castigo divino, negai: “No, è anche sesso, ma non solo sesso. Mi sono innamorato... di... questa persona...” arrancai imbarazzato.
“Persona? Sarà mica un trans che la chiami persona? Mica ti sarai messo appresso a una di quelle con il lombrico? Una donna con quel qualcosa in più” altre risate da caserma. Messo in chiaro con Emiliano che in quel bar era mia intenzione tornarci, continuò con lo stesso tono fastidioso e canzonatorio. 

A parte i quaranta minuti di traffico in più alla mattina e la mancata corsetta sul tapiroulant, la mia vita non cambiò poi troppo. Ero sempre fidanzato, avevo un lavoro, qualche amico mi era rimasto e in più c’erano quelli di Diego, pochi in realtà. A parte il fatto che avevo quasi del tutto chiuso con l’alcol, nonostante ridessi sempre, l’unica differenza significativa era che mi sentivo amato. Una sensazione in quasi trent’anni che mi era estranea. E amavo. Amavo già, però siccome di Diego amavo tutto, ma non sopportavo più il suo divano letto, e neppure di dividere l’appartamento con due tardo adolescenti poco avvezzi alla pulizia, iniziammo a cercare un appartamento tutto nostro, ovviamente sempre dalle parti dei navigli, per non contravvenire al nostro atavico nomignolo. Ne trovammo uno nella zona più a est. Un appartamentino di cinquanta metri quadri a seicento euro al mese. Tra un vedovo e una coppia di punkettari che presero subito in simpatia Diego per via dei piercing. E per un anno e mezzo, per quanto ricordo ora, fu il periodo più felice della mia vita. Un inverno poco rigido, un estate giunta di botto e poi di nuovo l’inverno.
Il secondo Natale della mia convivenza con Diego però, trovai una sorpresa sotto l’albero per niente piacevole. La Odero S.p.a. mi aveva declassato a semplice impiegato, senza motivo. Era un’ingiustizia e passai interi pomeriggi a parlare con consulenti del lavoro, i quali tutti finivano per chiedermi cosa avessi fatto per far incazzare così il mio capo. E siccome a Gennaio una delle tante aziende a cui Diego aveva mandando il curriculum negli ultimi tre anni aveva bisogno di lui, io decisi che non avevo più bisogno di lavorare nella ditta della mia ex ragazza. Mi licenziai e pretesi la liquidazione, mandando ulteriormente in bestia Elettra. Ovviamente volevo seguire il mio ragazzo.
Diego fu assunto nell’ufficio customer service di un’azienda si software olandese dove si sarebbe occupato principalmente di rapporti con l’estero.  
Ecco che siamo piombati nel Marzo del 2005 ed inizia questa strana fase della mia vita dove ci siamo Diego ed io a Rotterdam e lui tutto il giorno o quasi dietro ad un centralino e io a bighellonare per la città, a fare la spesa nei mercatini, ad aggiustare qualcosa nel malinconico appartamento che gli aspettava. Una fila di case dietro la nostra il cimitero. Immalinconito e annoiato iniziai a pensare morte. Forse perché un anno prima avevo spento le trenta candeline. Diego non si lamentava mai del fatto che non lavorassi, che non facessi un granché a parte cucinare ogni tanto e la spesa. Non navigavamo certo nell’oro e nonostante questo usufruivamo di una donna delle pulizie, una polacca sui cinquanta, che veniva ad occuparsi della casa una volta alla settimana. Così eravamo esentati o quasi dalle pulizie domestiche. E anche quando i soldi della mia liquidazione finirono, Diego continuò a non lamentarsi di nulla: pagava le bollette e mi lasciava accesso al conto in comune. Il problema fu che iniziai ad annoiarmi. Cominciavo a sentirmi come quelle mogli isteriche che aspettano il marito per litigare sulle quisquiglie. Non potevo nemmeno lamentarmi che non mi portasse mai a cena fuori visto che ci andavamo almeno due volte alla settimana. Ma allora che c’era? C’era che non riuscivo più a vivere di solo amore e che lo stress che Diego incamerava durante il giorno, volente o nolente, si riversava nel nostro menage. Nonostante questo, Diego sembrava sereno. Dopotutto stava vivendo il suo sogno: lavorava fuori dall’Italia, viveva con la persona che amava. C’era poco da fare, era un forzato della felicità, come lo rinominai io. Condannato ad essere felice. E un innato masochismo mi spinse ad iniziare a minare la nostra felicità. Ora me ne rendo conto.

2 commenti:

  1. Nooo, arriva la crisi!!! (>o<)
    Questa storia continua a tenermi incollata come una cozza ad uno scoglio. E' semplicemente perfetta sotto ogni punto di vista!

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  2. Lo sapevo che la routine avrebbe portato Michele a stancarsi. Diego dovrebbe fare qualcosa per impedirgli di andarsene. Sento ch e sta per arrivare la botta e che Michele deciderà di lasciarlo. Spero avrà il buon senso di non farlo. Amo questa storia ogni giorno di più.

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