Titolo: Diventare grandi
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini AU
Rating: NC17
Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro.
*****
Dopo
essersi riempito lo stomaco, Diego si unisce al gruppo raccolto intorno alla
ragazza con la chitarra, la stessa moretta della sera precedente. Le dita
sfiorano le corde creando una musica dolce e coinvolgente. Il ragazzo si guarda
intorno. Alle pareti scrostate poster raffiguranti Jimmy Hendrix e striscioni
con i simboli della pace, avevano sostituito gli orari delle lezioni e degli
esami. Le aule che fino a pochi giorni prima raccoglievano folle di studenti
sono piene di sacchi a pelo, coperte e altro utile per una lunga permanenza.
Michele gli è di fronte, le gambe incrociate all’indiana, una canna tra le
labbra e tra le mani un foglio. Quel ragazzo affascina Diego più di quanto
vorrebbe. Abbarbicata a Michele la stessa ragazza che lo aveva baciato la sera
precedente e non può fare a meno di chiedersi se stiano insieme. Senza che se
ne renda conto li fissa, mentre la gelosia s’infiltra lentamente dentro di lui.
In quel momento il ricci incontra il suo sguardo e Diego finge di guardare
altrove, ma questi si alza e gli si avvicina allungandogli la mano.
“Vieni!
Facciamo un giro!”
Diego
gliela stringe con forza, la presa e salda e non la lasciano neanche quando
sono entrambi in piedi.
Michele
sorride, poi ritira la mano per solleticarsi la barba: “Ti faccio vedere la
nostra tana!”
“Grande!”
il giovane è eccitato, tutto gli sembra
bello e perfetto.
“Sei
stanco?”
“Per
niente” Diego scuote energico la testa, con tutta quell’adrenalina in corpo non
riuscirebbe neanche a chiudere occhio.
“Bene,
la notte è giovane, come te”
“Tra
due mesi faccio diciotto anni!” replica piccato che lui lo consideri un
ragazzino.
“Allora
sei grande!” lo prende scherzosamente in giro. “Se fa irruzione la polizia
cerca di svignartela”
Diego
sgrana i suoi grandi occhi castani: “Polizia?”
“Già,
quelli credono di risolvere tutto con la violenza, mentre noi vogliamo solo che
siano rispettati i nostri diritti!”
“Ma
che male facciamo a stare qui?”
“Sei
così ingenuo” Michele gli sorride. “Vogliono controllarci, metterci a tacere.
Vedi questo?” si alza il pantalone fino al ginocchio. Una lunga cicatrice ormai
sbiadita fa capolino tra i peli.
“Cazzo!”
si lascia sfuggire Diego sconvolto. “Ma… che figli di puttana!”
“Un
manganello durante una marcia” continua lui riabbassando il pantalone a zampa.
Anche
se non sa chi fosse, Diego sente odio per quell’agente e per tutti quelli come
lui.
“Ma
non sono loro, è il sistema. Ci vuole tutti pecore, omologati e senza volontà o
idee”
“Io
per questo sto qua!” confessa il ragazzo emozionato, le sue parole si imprimono
a fuoco nella sua anima, fino a diventare parte di lui.
“Sono
contento che sei venuto. Dai, continuiamo il giro!” e lo tira verso un’aula in
fondo al corridoio.
È
spaziosa, la cattedra posta su una pedana in modo che il docente sia
sopraelevato rispetto agli allievi, un chiaro segno di superiorità. Alla
lavagna delle formule matematiche che Diego neanche prova a capire, per lui la
matematica è come una scienza occulta. Preferisce le lettere, la storia.
I
banchi sono ancora al loro posto, segno che quell’aula non è stata ancora
occupata.
“Non
ci capisco niente” Diego si passa le dita nei capelli indisciplinati.
“Anche
io agli inizi, ma sai mi piace disegnare, ideare progetti. Per questo ho scelto
architettura” a Michele brillano gli occhi e Diego sente di avere qualcosa in
comune con lui, la passione per le arti. Nel proprio caso si tratta della
scrittura
“Me
li fai vedere?” ma si pente immediatamente di essere stato così invadente
“Scusa”
“Non
sono interessanti” e lo guarda intensamente “Tu invece?”
“Io
cosa?”
“Quel
segno che hai lì?”
Diego
abbassa la testa, lo sguardo fisso sul pavimento.
“Tuo
padre ti ha picchiato e sei scappato di casa, vero?” la sua voce è calma, priva
di alcuna recriminazione o giudizio.
Non
ottenendo un diniego da parte sua, Michele si rende conto di avere indovinato.
Si avvicina e gli appoggia una mano sulla spalla. “Qui siamo tutti uguali, i
genitori si sentono in diritto di comandare, sta a noi decidere se permetterlo
o meno”
“Già,
quel bastardo mi ha dato uno schiaffo, ma mi sono preso la soddisfazione di
chiamarlo fascista perché quello che è” si scosta indietreggiando di un paio di
passi. “Se torno mi ammazza” fa una risatina nervosa.
Michele
lo scruta attratto dalla personalità di quel ragazzino così giovane, ma già
così coraggioso da abbandonare tutto. È tutto quello che non era lui alla sua
stessa età, troppo preso dagli studi e dalle sue passioni per comprendere che
la vita proletaria lo stava avviluppando come una piovra. Solo all’università
si è reso conto di quali fossero i veri ideali e quanto si dovesse lottare per
far rispettare i propri diritti e soprattutto per realizzare i propri sogni.
“Non
ci torni! Tu resti qui con noi, ma a scuola ci vai!”
“Perché?”
resta a bocca aperta.
A
quella domanda più che inutile, Michele gli lancia un’occhiataccia “Non c’è
proprio niente che ti piace?”
“Sì”
annuisce con una strana luce ad illuminargli il volto “la storia e la
letteratura”
“Abbiamo
uno storico. E dimmi, qual è il tuo periodo preferito!”
“Rivoluzione
francese e anche …il medioevo”
“Mi sento un po’ Danton in questo momento,
solo che non decapito i nobili”. Si avvicina a lui, la bocca sfiora l’orecchio
di Diego “Qualche testa merita di cadere, ma sono per la non violenza”
Diego
ha un fremito, quel contatto lo turba, il suo alito caldo contro la propria
pelle, la voce calda e profonda. “Io sarò Saint Just”
“Era
un personaggio interessante” commenta Michele “ma non fa una bella fine”
Diego
alza le spalle “Nessuno la fa”
“Hai
ragione” scoppiando a ridere Michele gli circonda le spalle con un braccio.
“Dai, raggiungiamo gli altri”
Diego
vorrebbe darsi una botta in testa per non pensare a lui in quel modo, ma non
riesce a controllare il suo corpo e soprattutto il cuore che batte come dopo
una corsa. Spera solo che Michele non se ne accorga.
Nella
sala comune sembra iniziata un festino a base di sesso, droga e vino, un mare
di corpi si muove sinuoso. Una danza collettiva, accompagnata da una musica
irlandese di arpe. Michele si lancia nei balli, saltellando da una parte
all’altra, mentre Diego si limita a restare in disparte e a osservare. Per la
prima volta nella sua giovane vita si sente felice, parte di qualcosa. Un
giovane con le basette folte e i capelli lunghi oltre le spalle gli si avvicina
porgendogli una pillola. Senza esitare Diego caccia la lingua. Ha proprio
bisogno di sballare, così quando pochi minuti dopo la mente si svuota di ogni
pensiero e le membra diventano leggere come piume, si lascia andare. La vista si
annebbia, ma Diego non se ne preoccupa, non è certo la prima volta che si fa di
LSD. La musica lo avvolge come una coperta, i suoni si amplificano e Diego
ondeggia muovendo lento le braccia. Un corpo si addossa contro la schiena e lo
spinge verso il centro della sala. Percependo il suo calore, Diego si volta e
labbra umide si poggiano sulle sue. Per un attimo spera si tratti di Michele,
ma le forme sono troppo minute perché sia lui. Anche se deluso, risponde
al bacio abbandonandosi alle sensazioni che la droga amplifica. Capta ogni
odore, sapore o suono. Senza accorgersene si ritrova steso su un sacco a pelo,
senza maglietta e con Syria, la rossa che lo aveva già baciato poche ore prima,
seduta in grembo. Lei si abbassa a sussurrargli qualcosa nell’orecchio. Diego
volta la testa, Michele dall’altra parte della stanza è accanto ad una
finestra, le gambe della brunetta avvinghiate alla vita. Quello che vede non
lascia adito a dubbi e ricacciando indietro le lacrime di delusione, distoglie
lo sguardo. Tenta di concentrarsi su quello che gli sta facendo Syria, la osserva
armeggiare con la cinta dei pantaloni e abbassare la zip. Vorrebbe fermarla, ma
quando sente le labbra avvolgerlo, inarca la schiena investito da una miriade
di sensazioni. Intorno a lui canti, gemiti e altri suoni che non riesce a
distinguere. Fantastica che a dargli piacere sia Michele e non una sconosciuta
della quale non gli importa nulla. Il respiro diventa affannoso, immagina la
sua bocca, la lingua e la barba a pizzicargli le cosce, la pelle. Con un gemito
soffocato raggiunge l’apice troppo in fretta.
“Merda”
impreca.
La
ragazza si stende su di lui, il capezzoli nudi sfiorano il suo torace. Non dice
nulla, gli bacia la bocca socchiusa, poi raccolta la sua roba, si allontana.
Stremato,
Diego chiude gli occhi addormentandosi profondamente.
Qualcuno
nel passare urta il sacco a pelo di Diego che scatta seduto. Il sole che filtra
tra le persiane gli duole agli occhi, la testa gli batte come se lo avessero
percosso con una mazza e la bocca è impastata. Guardandosi intorno, frammenti
di quello che è accaduto la notte precedente cominciano a riaffiorare, ma
ancora non ricorda come sia arrivato a quel sacco a pelo e soprattutto perché è
nudo. Con lo sguardo cerca gli abiti e li localizza sopra una montagna di
coperte. Facendo attenzione a non scoprire lembi imbarazzanti del suo corpo,
allunga la mano per raccoglierli. Rivestitosi con una velocità che farebbe
invidia a Speedy Gonzales, si avvicina affamato al banco adibito a mensa, alla
ricerca di qualcosa di appetitoso con cui riempire lo stomaco. Oltre ad un
termos con caffè e dolci di dubbio aspetto e profumo, niente soddisfa il suo
palato esigente. Decide di sgattaiolare fuori e fare una colazione degna di
questo nome. Nell’uscire sbatte contro Michele.
“Ehi,
quanta fretta!” lo afferra per le braccia.
Diego
alza lo sguardo, sul naso il leader del movimento porta un paio di occhiali da
vista e i capelli raccolti in una fascia nera. “Sto in ritardo” ma in realtà
della scuola non gli frega niente, desidera solo riempire lo stomaco.
“Ancora
qui stai! Diego!” lo rimprovera con una voce stridula che a Diego suona quasi
femminea. Solo che a vederlo Michele non ha niente di femminile. Anzi, è un maschio
con tutti i crismi. Il ricordo di lui avvinghiato alla brunetta torna
prepotente, così come la gelosia.
Lo
stomaco del più giovane brontola causando l’ilarità del compagno: “Mangia
prima! Assaggia dolce di farro e carote della compagna Luisa”
Al
solo pensiero, Diego inorridisce e storce la bocca per il disgusto: “No,
preferisco un maritozzo al bar!”
“Si
tratta come un signorotto il nostro piccolino qui!” Michele gli aggiusta il
colletto del giubbetto.
Le
dita sfiorano la pelle e al contatto con le sue mani calde, Diego avverte un
brivido di eccitazione.
Michele
apre la bocca per parlare, poi, come se non sapesse che dire, la richiude.
Imbarazzato
Diego abbassa al testa e mormorando un mezzo saluto lo oltrepassa.
“Oggi
c’è un’assemblea” gli rammenta.
“Non
me la perderei per nulla al mondo” confessa un po’ troppo ad alta voce.
Michele
gli sorride dolcemente e Diego arrossendo sparisce oltre la porta.
Dopo
aver fatto un’abbondante colazione ed essere rimasto bloccato da una
manifestazione degli operai di una fabbrica siderurgica, riesce a raggiungere
il Cavour. Gli studenti sono ancora in attesa fuori i cancelli e nonostante
siano quasi le nove, nessuno sembra avere fretta di entrare. Diego intravede
anche Dado e Vale appoggiati ad un albero e gli fa un cenno di saluto con la
mano. Vedendolo arrivare così tranquillo sulla sua Vespa, i due prima si
fissano increduli, poi ciondolando, lo raggiungono.
“Che
c’è? Si taglia oggi?” domanda Diego entusiasta all’idea di non trascorrere le
prossime ore chiuso in un’aula chino sui libri.
“Sciopero”
risponde Vale dando una pacca sulla spalla all’amico. “Ti è andata bene, ma
ieri Pagliai era nero”
“Che
cazzo mi frega, tanto mi sega quel bastardo” alza un pugno.
“Piuttosto,
è dall’altra sera che non ti si vede in giro!” commenta Dado curioso.
Diego
ridacchia: “Siete scappati come dei conigli!” li prende in giro.
“Figurati,
già sono nei guai, ci manca solo un’effrazione” si giustifica Dado alzando le
spalle.
“Se
come no. Cacasotto”
L’amico
gli sferra un pugno nello stomaco “Smettila stronzo!”
“Ehi”
protesta, ma non è abbastanza forte da fargli male.
“Piuttosto,
si può sapere che blaterava tuo padre? Ha chiamato dicendo che te la sei svignata
da casa”
“Quel
fascista di merda!” sbotta l’interpellato. “Mi ha picchiato e urlando come un
pazzo mi ha cacciato!” indica la guancia violacea.
“Cazzo
e dov’è che dormi?” Dado abbassa la voce e gli sussurra nell’orecchio “Vieni da
me, ho della roba”
“Ho
un posto” replica misterioso Diego.
“Tu
non ce la racconti giusta, Perrone. Dai, scommetto che c’è di mezzo una”
Diego
alza gli occhi al cielo, poi sorride malizioso: “Stanotte ho un vago
ricordo di una che mi faceva un bocchino spettacolare”
“Cosa?”
domandano insieme i due increduli.
“Che
cazzata! Figurati se ti fanno un bocchino. E chi era questa?”
“Una
grande, dell’università”
Dado
e Vale scoppiano a ridere “Sì, certo. Raccontane un’altra!”
“Ma
è vero. Sto nella facoltà di Architettura occupata, ormai faccio parte del loro
movimento” insiste mettendo il broncio.
Ancora
dubbiosi, i due fingono di credergli, poi stanchi di restare ad attendere
decidono di svignarsela. La mattinata è tutta per loro.
Wow, questa storia diventa sempre meglio... tutti quei momenti sensuali fra i due sono una piccola e piacevole tortura... per me che leggo e per il povero Diego, così attratto dal "capo" Michele! xD
RispondiEliminaAspetto impaziente il seguito! <333
E molto capo branco il nostro Michele... sempre più sensualità già, però non vorrei cuagliassero troppo presto, perché a qualcuno piace soffrire... iihihiihi
RispondiEliminaX ale: hai messo due dialettismi, menagre e conti che non c'entrano né con la regione e né con l'epoca e li ho corretti, e ho tolto strafiga perché non mi suona con il linguaggio del 68
RispondiEliminaGrazie per la dritta, la prossima volta starò più attenta. Ragazze siete le mie tesore. Adoro questa storia e soprattutto adoro loro due, li sento vivi. Vi farò soffrire ancora un pò si, l'attesa rende tutto più dolce.
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