venerdì 21 settembre 2012
Diventare grandi
1
Pairing: Diego –
Michele
Au
I personaggi mi
appartengono, ho solo preso in prestito i nomi.
Rating: Per ora Pg
Come
ogni sera vaga per la città senza una meta precisa. Torino è a sua completa
disposizione. Bighellona con gli amici o da solo. Sembra sia in cerca di
qualcosa che non trova mai. Non sa neanche lui cosa sia. Sente che la sua vita
non è solo scuola la mattina, giri in motorino durante il pomeriggio e sbronze
fino a stordirsi la sera tanto che durante le ore di lezione non può fare altro
che addormentarsi sul banco. Diego spera che prima o poi ci sia qualcosa in
serbo per lui, una via d’uscita a questa routine che lo lacera dentro e che lo
costringe a ubriacarsi, a provare qualunque droga in circolazione. Dicono che è
un ribelle, un fallito. Così lo definiscono i professori e i suoi genitori. Si limitano
ad etichettarlo. Lui invece si considera un diverso, un artista. Sì perché a
lui piace scrivere, di come si sente, di quel mondo al quale sente di non appartenere.
È il ’68. L’anno delle rivolte
studentesche, delle manifestazioni dei lavoratori. Torino è al centro di tutte
quelle agitazioni e ovunque possono vedersi gruppi di ragazzi con striscioni o
scuole occupate. Ma Diego non si è mai interessato di politica o dei diritti degli studenti. Ha solo una cosa
in mente: sballare per non pensare. Sfreccia con la sua vespa per le vie del
centro, passa sotto i portici. È notte e può fare quello che vuole. Urla, la
sua voce rimbomba sotto i portici. Gli amici dietro di lui, Dado e Vale, non
riescono a stargli dietro. Sembra un pazzo. Ha preso una nuova pasticca dal
Secco, uno di quelli che gli forniscono le pillole colorate che lo fanno tanto
sballare. Diego si alza in piedi, i capelli chiari al vento, si sente
invincibile. Improvvisamente preme il freno, il ciclomotore si piega di lato
buttandolo a terra e va a finire contro dei tavolini di un bar. Non c’è nessuno
nei paraggi, i portici sono deserti, ma si sente una musica dolce provenire da
uno dei palazzi poco lontano. Una voce che lo attrae e una chitarra ad
accompagnarla. Si rialza in piedi sgrullandosi i pantaloni color prugna. Gli
occhi castani vagano alla ricerca della provenienza di quella voce. È maschile,
calda e profonda. Sembra provenire da un portoncino un po’ nascosto.
Ridendo
sguaiato, Dado lo raggiunge seguito da Vale: “Tutto bene? Hai fatto un volo? Credi
d’essere un uccello?” lo sfotte. Il viso punteggiato di lentiggini e i capelli
del colore delle carote.
Diego
neanche lo sente. Si avvia come stregato verso la fonte dell’attrazione. “Ehi,
dove cazzo vai!” gli grida dietro, ma ormai è già davanti al portone. Lo
osserva, è piccolo, di legno con un batacchio al centro a forma di testa di
drago. Lo osserva ammaliato. Riflette sul fatto che non l’ha mai notato in
precedenza, che lì ci passa tutte le mattine per andare a scuola, senza fare
caso a quello strano drago con le fauci aperte, minaccioso e temibile. Apre la
bocca e lo fissa con gli occhi sgranati. Lo sfiora, poi ride. È l’effetto della
pasticca che ha preso. Gli prende la ridarella, poi spinge il portoncino.
L’interno è buio, ma alla fine di una piccola scala intravede una luce. La
musica viene da lì.
Dado
e Vale lo raggiungono, il primo lo afferra per la giacca, ma Diego lo strattona
e con l’aria di un bambino che sta per compiere una marachella, mormora: “Io
scendo”
“Per
fare che? Dai andiamo da Cisco, lì ci sono ragazze a volontà!” lo strattona
Dado “Non puoi entrare!”
“E
chi lo dice! Io vado, cacasotto!” e liberatosi dalla stretta Diego si avventura
giù per le scale che sono ripide. Il palazzo sembra antico, le scale
dissestate, manca anche il corrimano. L’alcool ingurgitato e la droga gli
annebbiano la vista rendendo le gambe molli. Inciampa, ma riesce a non cadere
faccia a terra. La voce lo attrae come una falena con la luce. È troppo curioso
di conoscere il proprietario di quella voce così bella e sensuale da
penetrargli fin dentro le viscere. Si avvicina alla fonte della luce, una
stanza enorme nella quale sono ammassate decine di ragazzi e ragazze. Sempre
più sorpreso e incuriosito, si avvicina tentando di non farsi scorgere. Vuole
osservare senza essere visto a sua volta. Nell’aria una nuvola di fumo e un
profumo di cannabis. Diego ispira, poi da un’occhiata più approfondita. Gli
occhi si posano sulle varie facce, sui vestiti multicolori e soprattutto sulle
ragazze dagli abiti leggeri e corti che lasciano le gambe scoperte. La sua
attenzione è attirata da un giovane dai capelli ricci e barba al centro,
affiancato da due ragazze. Una con i capelli corti a caschetto, tra le braccia
una chitarra, mentre l’altra ha lunghi capelli neri e seno prosperoso. Diego
ipotizza che siano tutti universitari. Diego fissa come inebetito il ragazzo
riccio, è lui che canta. Quasi non riesce a credere che quella voce così
melodiosa provenga da quell’omaccione vestito con una camicia a quadri, jeans a zampa e una fascia stretta sulla fronte. Entra nella sala e si appoggia alla parete,
le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo fisso su di lui Quando
questi termina la sua canzone chiude per un attimo gli occhi, poi partono le urla
e gli applausi.
“Michele,
Michele!” esultano i ragazzi, mentre le giovani sembrano tutte sospirare per
lui. Diego comprende che è lui il leader e che è un agitatore di folle. Per un
attimo desidera anche lui far parte di quel gruppo, ma più di tutto, ha bisogno
di essere parte di qualcosa.
Quello
che tutti chiamano Michele si alza in piedi. È alto, molto alto, snello e con
delle gambe lunghe in pantaloni cadenti e sdruciti. Non è bello ma ha qualcosa
che attira. Le ragazze sembrano pendere dalle sue labbra e anche Diego si sente
rimescolare tutto. Quando comincia a parlare Diego socchiude le labbra attento
ad ascoltare ogni parola.
“Fratelli,
grazie per il vostro sostegno, ma ora voglio parlarvi di quello che sta
accadendo in Italia, in questo paese ormai preda del governo. Noi dobbiamo
manifestare per opporci alle ingiustizie di questa classe politica” si ferma. “Privilegia
le classi agiate, impedisce a chi non ha i soldi di frequentare l’università.
Il diritto allo studio è sacro e dobbiamo lottare perché siano eliminate queste
discriminazioni”
Un
urlo di approvazione si alza dalla folla infervorata. Segue con ardore il
comizio di Michele, così come anche Diego.
“Domani
occuperemo la facoltà. Siamo in pochi, ma anche nelle altre Università si
stanno mobilitando!” Michele continua alzando la voce e alzando le braccia.
In
quel momento i suoi occhi scuri incontrano quelli di Diego e il giovane
infiltrato si sente come nudo. L’effetto della pillola che ha preso sta ormai
scemando e ne è contento. Vuole essere nel pieno dei suoi sensi, vuole
comprendere e assimilare ogni suono, odore e parola.
Le
labbra dell’oratore si aprono in un sorriso sincero, poi esclama: “Abbiamo un
nuovo amico tra noi. Vieni avanti!” e allunga la mano per invitarlo a sedere
tra loro.
Diego
è intimidito, ma avanza facendosi largo tra i ragazzi seduti e prende posto
accanto ad una brunetta con le trecce. Lei gli sorride con dolcezza, ma lui si
volta di nuovo verso Michele, il quale lo scruta curioso. “Dicci il tuo nome,
bel biondino!” e sorride, gli occhi brillano.
“D-
Diego” balbetta.
“Benvenuto
Diego. Abbiamo bisogno di giovani come te”
“Grazie”
arrossisce. Diego non si è mai sentito così vulnerabile e intimidito da
qualcuno. Di solito è strafottente e spaccone.
Michele
torna a parlare, a illustrare le sue idee. Diego è soggiogato da quell’uomo,
dal carisma e dall’energia che trasmette. Si sente forte, pronto ad affrontare
il mondo intero.
Quando
il comizio ha termine, Diego si alza per andarsene, ma non vorrebbe. La musica
riprende, le ragazze iniziano a ballare tra loro. I maschi si uniscono
strusciandosi. Diego si gratta la testa, quel posto gli sembra il regno dei
balocchi, il paese delle meraviglie. Lui la fidanzata non ce l’ha. Gli piace divertirsi,
provarci con tutte, ma le brave ragazze lo considerano strano e attira come una
calamita solo quelle che causano problemi. In quella stanza intravede un paio
di brunette che gli accendono qualche voglia.
“Resta”
fa una voce alle sue spalle. “Qui sei tra amici”
Diego
si volta di scatto e trovandosi davanti Michele trattiene il fiato. “Grazie. È
che… ho lasciato degli amici qui fuori”
“Ormai
saranno andati via!” l’altro ride divertito.
“Vi
riunite sempre qui?” domanda Diego toccando con la scarpa un pezzo d’intonaco
staccatosi dalla parete. Quella stanza sembrava abbandonata da anni.
“Non
sempre” risponde scrutandolo con estrema attenzione. Gli appoggia una mano
sulla spalla. “Sei il benvenuto se vuoi unirti a noi”
Una
fanciulla li raggiunge quasi ballando, tra le dita una sigaretta di cannabis.
La porta alle labbra di Michele, poi dopo avergli scoccato un bacio sulla
bocca, si allontana.
Lui
la segue con lo sguardo e Diego apre la bocca per dire qualcosa, ma poi
preferisce tacere.
È
terribilmente eccitato da tutta la situazione.
“Sei
simpatico” Michele avanza di un passo, è molto più alto di lui quindi Diego per
guardarlo negli occhi deve piegare la testa all’indietro. “Non ti ho mai visto
in facoltà! Non frequenti architettura, vero?”
“No,
io…” si vergogna di confessare la sua vera identità, che in realtà, lui è solo
un liceale che probabilmente neanche verrà ammesso agli esami di maturità.
Scuote la testa: “Sto al Cavour”
Le
labbra di Michele si aprono in un piccolo sorriso, poi annuisce: “L’avevo
capito, sei così minuto, ma se ti interessa la nostra causa puoi occupare con
noi oppure frequentare alle riunioni. Chi se ne frega”
“Grande!
Sì!” nello sguardo del piccolo Diego una nuova luce, così luminosa che anche
Michele ne resta affascinato.
“Che
dolce” allunga il braccio per scompigliargli i capelli.
Diego
si scansa: “Smettila!”
Michele
ride “Unisciti agli altri, dai”
“Meglio
che vado. Mi aspettano! Ci vediamo in giro” e senza attendere una sua replica
si precipita fuori dalla stanza.
“Ciao
Diego” sente la voce dell’attivista e prova una strana sensazione.
Può
sentire il suo cuore battere come un pazzo e si da dell’idiota per essere
scappato in quel modo. Ma si dice che se non fosse andato via subito forse non
l’avrebbe fatto più. Michele è carismatico, affascinante e quando parla sente
che le sue idee possono essere anche le sue. Facendo le scale due a due, fischietta
felice.
Il
motorino è dove l’ha lasciato, ma Dado e Vale non ci sono più. Anche se sa dove
trovarli quella sera non ha alcuna voglia di stare con loro. Torna in sella
alla sua vespa e si avvia verso la periferia. Preferisce la solitudine. Ha un
suo posticino speciale, nelle campagne. Un luogo dove non ha mai portato
nessuno, neanche le compagne di classe che tentava di rimorchiare. Prima di
ritirarsi, deve trovare da bere e anche qualcosa con cui sballare. Ci pensa su
e decide che sballarsi da solo è noioso. Preferisce restare sotto un albero ad
aspettare l’alba. Guarda l’orologio al polso. Mancano solo cinque ore. Solo.
Scoppia a ridere. La vespa è diretta verso un boschetto poco fuori città, sono
pochi alberi, ma da ragazzino aveva sempre immaginato di trovarsi nella
foresta. In un quarto d’ora raggiunge il posto e dopo aver messo il cavalletto,
si avvia verso il suo albero preferito. Siete sull’erba umida, si bagna i
pantaloni, ma non gli importa. Il cuore trabocca di emozione.
Gli
batte ancora forte nel petto, quasi come quando ha baciato Emanuela della III
E. Appoggia la schiena al tronco e sospira, ma ben presto la posizione scomoda
lo costringe a togliersi il giaccone e usarlo come cuscino.
L’aria
è fredda, ma lui sembra non accorgersene. Il corpo è caldo, brucia. Pensando alla
serata diversa appena trascorsa, si addormenta.
Etichette:
AU,
Caparezza,
Diego Perrone,
fanfiction,
slash fanfic,
storie a capitoli
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Le premesse di questa storia sono grandiose!!! Non vedo l'ora di leggere come proseguirà! Mi hai fatto "sentire" l'atmosfera del 68 così vividamente! Voglio il prossimo capitolo!!! <333
RispondiElimina