giovedì 6 dicembre 2012

2 Pianeti, Terza parte

                                    

Titolo: 2Pianeti
Sottotitoli: Una famiglia e un sogno per 2 (1)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,  
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e non per insinuare qualcosa!
WARNING: Rigorosamente NC 17 per scene di sesso esplicite



Una famiglia e un sogno per 2 (1)



Quando torna, Diego è ancora sotto la doccia. Michele sorride e sente di aver bisogno di un caffè. Va a prepararlo e torna di là; con la tazza in mano guarda fuori dalla finestra, non piove più ma il cielo è carico di nubi nere che passano davanti alla luna.
Sente arrivare Diego e si volta. Ha solo una salvietta legata alla vita. Spera che abbia tenuto sotto le Grigioperla! Scalzo, Diego prende la tazzina di caffè che Michele ha preparato per lui e comincia a girare per la stanza, toccando qua e là, spostando oggetti, guardando i vinili, tirando fuori tutti i libri, tutto con una mano sola, l’altra regge il caffè.
Michele è un po’ in ansia, se arriva vicino alle sue collezioni… è capace di buttare per terra e rompere qualsiasi cosa quella bestiola!
“Senti Diego, lascia stare adesso. Come stai? Va meglio?”.
Diego gli regala un sorrisone: “Oh va molto meglio, mi ci voleva una doccia fresca”.
Prende e si avvicina a Michele, guardando a sua volta dalla finestra; “Ancora brutto tempo? Ma in Puglia non c’è sempre il sole?”.
“Sì, l’hai portato tu da Torino il nevischio vicino al mare. Aspetta che chiudo le imposte, sennò domani mia mamma mi fa le pare!” Sporgendosi Michele acchiappa le persiane e mette il catenaccio, quindi richiude la finestra.
“Fa freddo Michi” dice Diego a bassa voce, una voce un po’ roca adesso, e appoggiandosi contro la sua schiena inizia a dargli bacini sulla base della nuca, dove finiscono i capelli cespugliosi. Michele si volta, cosicché sono uno di fronte all’altro. Cauto Diego gli mette le braccia attorno al collo e alzandosi in punta di piedi inizia a baciarlo piano, tanti piccoli bacetti attorno alle labbra, tante piccole leccatine, fino a che Michele non schiude la bocca e subito Diego infila la sua lingua per un bacio più profondo, intimo. Michele fa un sospiro, mentre stringe Diego forte tra le braccia e risponde al bacio con una passione a cui non pensava di poter arrivare.
“Diego, mi fai impazzire” sussurra Michele in un momento in cui la bocca rimane libera, ma per poco, Diego ricomincia a baciarlo senza saziarsi, affamato.
All’improvviso le braccia di Diego si slacciano dal collo di Michele, corrono giù ad accarezzarlo sul petto, mentre la bocca scivola tra la barba, la lingua segue il profilo, scende a solleticargli il collo, ancor più giù. Gli imprigiona i capezzoli, li succhia, li morde piano.
Le mani slacciano i bermuda, che il pugliese indossa in qualsiasi stagione quando è a casa, li cala giù fino alle caviglie insieme ai boxer. Michele è privo di volontà ancora una volta. Questo ragazzo non conosce il suo potere. O forse lo conosce benissimo; io sono in suo potere! Riuscendo incredibilmente a dominare i sensi, lo blocca: “Diego ascolta: sei sicuro, cioè, io non sono sicuro che…” niente, Diego non dà segno di ascoltarlo, ormai è in ginocchio davanti a lui, la sua bocca esplora l’ombelico di Michele, scende ancora un poco. E già più sicuro di sé questa volta, gli prende il sesso, lo accarezza, lo coccola, e finalmente… ecco, ecco l’anellino che mi farà impazzire, io sono impazzito, io sono… a Michele, questa volta sobrio, sembra come se fosse la prima volta che l’anellino lo percorre, su e giù; più lento, ma più deciso. E vede il viso di Diego, vede la bocca di Diego, il piercing che tanto lo eccita.
“Diego mio, non fermarti ti prego, ti prego” la voce gli esce strozzata. Diego non si ferma, felice di sentirgli perdere il controllo un’altra volta nella sua bocca.
Anche Michele cade in ginocchio, stordito, prende il viso di Diego tra i palmi, gli bacia le labbra umide e, accarezzandolo, lo esplora fino a trovare il sesso teso e vibrante. Lo prende tra le mani e, continuando a baciarlo con passione sempre più forte, lo fa godere a sua volta.
Sfiniti, si lasciano cadere a terra, incuranti delle piastrelle fredde. Continuano a baciarsi ancora un po’, ma dolcemente ora, poi Michele si appoggia la testa di Diego sul petto, e lo coccola con una tenerezza estrema.
Diego solleva la testa per guardarlo. “Michele…” sussurra fissando gli occhi, dove vede ferme le lacrime. “Michele, cosa c’è che non va?” una nota di panico si insinua nella sua voce che risulta acuta.
“Va tutto bene piccolo, va tutto bene. Sei straordinario sai?” e lo pensa davvero, Diego gli si sta insinuando non solo nei sensi, ma anche nel cuore. Non sa bene come gestirà questa situazione, e non vuole nemmeno pensarci ora, ora che Diego lo sta guardando con un sorriso bellissimo, un sorriso che finalmente gli si rispecchia negli occhi.
“Io ti amo, lo sai Michi? Ti amo” così, semplicemente Diego gli offre il suo cuore. “Non l’ho mai detto a nessuno... ”
“Lo so” Michele non sa più che dire ma gli fa a sua volta un gran sorriso: “Vieni Diegone, andiamo a dormire un po’ adesso, che sei pallido e con delle occhiaie terribili. È ora di riposarsi un po’.”
Lo prende per mano portandolo verso la camera da letto.
Diego si addormenta quasi subito tra le sue braccia, dopo avergli sussurrato ti amo ancora una volta. Michele tenta di pensare, ma si sente in pace, tranquillo e rilassato. “Massì, ci pensiamo domani” dà un bacino sulla fronte a Diego che sorride nel sonno, e si addormenta anche lui.

Quando Diego si sveglia quella mattina, è ancora tra le braccia di Michele questa volta. Non come a Dresda, che era finito in un angolo di un letto senza angoli. Ora che il piumone lo copre, fin sul collo e sotto di lui c’è Michele, un calorifero umano, ha caldo. Apre un occhio ed inizia a spulciare l’ambiente circostante. Dalle persiane entra un pizzico di luce e da fuori gli giungono i rumori della provinciale poco lontana. Rombare di automobili, moto, camion. No, da casa sua riesce a udire a mala pena la sirena della polizia o dell’ambulanza perché sta sull’attico, quinto piano di un palazzetto vecchio al centro di Torino. Mai come ora è felice di non trovarsi là, ma in Puglia, tra le braccia di Michele. Se esistesse una scala della felicità da uno a dieci, posso tranquillamente dire che mi trovo tra nove e dieci, pensa stirandosi e tendendosi ancora più addosso all’amante che ancora se la dorme alla grande.
Michele è solo mezzo sveglio quando si ritrova la mano di Diego tra le gambe. “Che hai in mente?” gli sussurra piano con un sorrisetto più che soddisfatto.
“Allora fai solo finta di dormire, imbroglione” ma poi senza preavviso lo molla. Esce dall’intricato blocco di piumone e lenzuola e nudo, si avvia verso la sala da pranzo in cerca dei suoi vestiti. “E mi lasci così?” Michele è allibito e ovviamente infastidito.
“Mi usi come il tuo giocattolino sessuale” scherza Diego mentre si riveste. Poi spiega: “Come avrai notato non ho portato una valigia, e ho sempre quel problema del telefonino. Non vorrei che a mia madre o, sia mai, a mio padre, venisse voglia di sapere se sono ancora vivo. Fosse altro perché se mi rapissero sarebbero costretti a pagare il riscatto. Per le apparenze, mica perché ci tengono davvero” nel frattempo si è infilato le Grigioperla, i jeans, maglietta, felpa. “Ho bisogno di vestiti, di recuperare la sim e di comprare un Iphone nuovo”
Michele è sbalordito: “Ho capito, usciamo a fare shopping!” non lo dice ma avrebbe preferito mille volte continuare a gustarsi la sega di Diego. Non tanto per la sega in sé per sé, quanto perché non ha proprio voglia di uscire. È freddo, anche se il tempo sembra essersi rimesso ma poi c’è pure altro che lo preoccupa. “Strano che mia madre non abbia ancora bussato, avrà sentito che ho fatto tardi”
“Intendi dire che piomberà qui come se niente fosse? Ha le chiavi?”
“Per questo ho messo il chiavistello. Secondo me però ha capito che ero con qualcuno” Michele ora si è alzato. Recupera una tuta dall’armadio e quando è vestito e pronto per uscire, trova Diego nel suo cucinino minimale che si è già preparato un cappuccino e inzuppa gli abbracci del mulino bianco, con una pace d’animo invidiabile. Michele lo capisce, Diego è un bambino al Lunapark. È un bambino schifosamente ricco a cui i genitori hanno detto: ecco, ormai sei grande. Hai tutti i soldi che ti pare ma ti prego, risparmiaci di farti da genitori perché sei un adulto e te la puoi cavare da solo. Gli è chiara la situazione. Con un’infinta pena per lui, gli bacia la fronte, mentre però già pensa che forse ora lui è felice di essere ospite in quella casa così lontana dalla sua, con in mente tutta una serie di esperienze da fare, cose da vedere, momenti da vivere. Ma poi? Che succederà quando il lunapark sarà diventato ormai stantio, stuprato in qualsiasi angolo?
“Come mi presenterai a mia suocera? Come l’amico misterioso o gli dici subito che sono il tuo ragazzo?” lo domanda sorridendo e con un baffo di latte e caffè sopra il labbro.
“Certo, certo, scherza pure tu, ti diverti? Tu non sai com’è mia madre. Anche se fossi stato dotato di tette e vagina sarebbe stato un inferno. Chi è, dove l’hai conosciuta, che lavoro fa. E smettila di ridere, ci sono passato già! Cosa ti fa ridere, vagina ti fa ridere?”
“No, scusa” Diego si piega sul tavolino: “Sono già pazzo di tua madre. Cioè ti adora, te ne rendi conto?”
“Sì, certo, mi adora. Mi soffoca! In ogni modo niente storia che ti ho trovato a Figline e passaggi vari. Gli dirò che sei il nipote di un mio collega di Torino e sei a Bari per un concorso. Vigile del fuoco... no, così basso non è credibile. L’arma? Mmm.... prendono proprio tutti!”
“No, ho i tatuaggi. Proviamo con qualcosa di più credibile. Tipo: mediatore culturale... o no... aspetta, no. Ancora meglio: Mediatore linguistico!” poi mostra la lingua e la fa ruotare a mulinello. È ancora sporca di biscotti e cappuccino. “Mettila dentro, fa schifo. A proposito: se ti serve uno spazzolino non comprarlo, ti regalo il mio di ricambio”
“Oh...” Diego fingendo una gratitudine estrema, inizia a ballare per la cucina: “Uno spazzolino! Il primo regalo del mio amore! Che emozione! Dobbiamo festeggiare” sempre danzando, lo raggiunge e gli si sale sopra a cavalcioni. E lo bacia. Quando sono entrambi a corto d’aria, provano a guardarsi negli occhi, ma i volti sono troppo vicini per riuscirvi. “Potevamo restare anche in casa tutto il giorno. Uscivo io a fare spesa. Che te ne fai dei vestiti, del telefono. Tanto non ti permetterò di chiamare nessuno e ti costringerò a girare sempre nudo... ”
“L’idea mi strapiace Michi! Sarò tipo un angioletto. Ma che dico: un diavoletto. Un diavoletto per te. Un diavolo tentatore” ammicca. Ma poi si rialza. “Niente da fare, il telefono mi serve. Ho ‘sta maledetta sensazione che mi cercheranno, sul serio. Andiamo dai”.
Quando fa per aprire la porta, Diego viene quasi sdraiato da un grosso cane nero. “Bello!” lo urla non preoccupandosi degli abitanti del piano di sopra. E mentre l’ospite prende confidenza con il cane di casa rotolandosi con lui nel prato umido, Michele esce a sua volta in giardino. “Ulisse, il solito casinista!” grida verso il suo cane. Ma, intanto, si guarda intorno, in attesa della madre. Difatti, cinque minuti più tardi: “Michele! Eccoti!”

La mamma di Michele arriva sorridendo e vede un ragazzo coricato sul prato con il cane che gli sta leccando coscienziosamente tutta la faccia e, per niente infastidito, ride festosamente abbracciandolo.
Lo sguardo della nuova venuta va dal ragazzo a Michele, in piedi lì vicino, con le mani letteralmente nei capelli. “Miche’, non mi presenti il tuo amico?” lo guarda interrogativa.
“Ah… sì…  certo mamma te lo presento subito… io…lui è…” Michele improvvisamente ha perso tutta la sua favella.
Diego si alza agilmente, si pulisce la mano sui jeans e la tende alla signora Salvemini facendole un bel sorriso. “Piacere mamma di Michele, io sono Diego, il figlio di un collega di Michele. Michele è stato tanto gentile da ospitarmi a casa sua, perché devo fare un corso qui all’Università di Bari. Sono arrivato ieri sera”.
Santina è favorevolmente impressionata dal sorriso e dal garbo del giovane, e guarda severamente il figlio. “Non me ne avevi parlato. Ma cosa gli hai dato a cena ieri sera, non gli avrai mica rifilato un panino e via, che figura” s’interrompe sentendo il rumore del cancello, che si apre al passaggio della figlia.
“Ciao ma’, che succede?” baciandola su una guancia, Barbara guarda Diego e Michele; quest’ultimo ha ancora le mani nei capelli.
“No ma’, te l’avrei detto oggi no? È arrivato tardi, lo sono andato a prendere col camion…”
Diego, nel frattempo stringe la mano anche alla sorella di Michele e spiega: “No, Michele è stato molto gentile, mi ha portato al ristorante ieri sera, e poi mi ha fatto dormire nel suo letto” quest’ultima parte la dice con aria maliziosa.
Due paia d’occhi ugualmente neri si fissano interrogativi in quelli di Michele.
“Certo, mica faccio dormire un ospite sulla brandina no? Gli ho ceduto la mia camera, in brandina ho dormito io” Michele fulmina con gli occhi Diego, saettandogli un implicito: con te facciamo i conti dopo.
“Bene, noi ora andiamo a fare spese: Diego ha perso il cellulare, e vuole ricomprarne uno subito perché teme di aver perso già un mucchio di telefonate degli amici o dei suoi…” appena dette queste parole, Michele si pente. Voleva dargli una lezione, ma si rende conto di averlo ferito.
Diego infatti abbassa gli occhi e diventa silenzioso, s’inginocchia a terra e riprende a coccolare Ulisse, al quale non sembra vero di leccarselo ancora un po’.
Sentendosi un barbaro, Michele prende Diego per un braccio e lo fa rialzare: “Dai andiamo a fare le spese”.
“Oggi pranzate da noi allora” grida la mamma inseguendoli per il giardino.
“No ma’, mangiamo qualcosa fuori, abbiamo da fare un bel po’” Michele cerca di allontanarsi velocemente.
“Va bene, allora stasera vi aspettiamo senz’altro, va bene? Ciao Diego, Ciao Miche’” la mamma lo abbraccia e lo bacia.
“Nemmeno fossimo in partenza per l’Alaska, sempre drammatica mia madre” Michele si avvia veloce verso la macchina.
Diego lo segue silenzioso a testa bassa, le mani in tasca, e sempre silenziosamente si accomoda in auto.
Michele parte e dopo qualche minuto si gira verso Diego: “Cazzo, va bene sono stato uno stronzo, potevo evitarmela la battuta. Però tu provochi a volte! Anzi spesso”.
Diego alza le spalle continuando a tenere lo guardo fisso al finestrino: “Non preoccuparti Michele, non è successo niente”.
“Già, intanto non parli da un quarto d’ora, tu che di solito accumuli parole su parole, e sei fermo con le mani in mano. Cosa ancora più inusuale per te. Conoscendoti!”
“Conoscendomi da quanto? Tre giorni?” ribatte con tono di sfida.
“Mi sono bastate le ore passate con te nell’Ortica. Il Diego che conosco io avrebbe già cambiato tre cd, alzato il riscaldamento, fatto partire i tergi…”.
“I tergi potresti farli partire tu, visto che piove già da cinque minuti e non si vede un cazzo dal finestrino, io non so come fai a guidare” Diego si gira a guardarlo e finalmente abbozza un sorriso.
Michele già più sollevato, aziona il tergicristalli e prosegue sulla provinciale fino a quando, una ventina di minuti più tardi, entrano nel parcheggio dell’imponente Centro Commerciale.
“Bene, buttiamoci nel delirio degli acquisti!” e Michele con aria sofferente si appresta ad entrare.
“Trovo i centri commerciali ancora più tristi degli autogrill” fa Diego mentre cercano un negozio di telefonia per vedere se insieme al cellulare nuovo può recuperare i dati della sua sim perduta.
Finalmente rintracciano un centro Tim dove Diego rientra in possesso della sua linea. Infatti, appena acceso gli arrivano le telefonate di Steff, evidentemente preoccupato per la mancata settimana bianca!
La seconda tappa e Mediaword. Il fornitissimo negozio di elettronica, scatena il bambino piccolo che è in Diego, il quale, zampettando e guardandosi intorno con occhi spiritati, si lascia veramente andare. Dopo essersi preso l’I-phone più recente, si butta sui giochi elettronici, quindi l’ultimo modello di I-pod, e fa per lanciarsi verso i cd.
“Scusa Diego, pensi di lasciare qualcosa anche agli altri? Guardati!”.
Diego si gira verso Michele con gli occhi scintillanti, le braccia cariche di roba: “Ho visto che questi giochi non ce li avevi. Assassin’s Creed è bellissimo, non puoi non averlo! Così stasera facciamo una giocata! Ah, ce l’hai un joy per me? Sennò ne prendo uno” e Diego parte in quarta verso lo scaffale della X-box.
“Ce l’ho, ne ho un casino, rilassati. Andiamo alla cassa” Michele prende Diego per le spalle e lo spinge verso l’uscita.
A mezzogiorno decidono di andare a mangiare qualcosa.
“Non al Mc Donald’s di sicuro. Andiamo là, al baretto all’angolo, lo conosco. Fanno anche piatti caldi” ordina Michele.
“Sempre l’etica che esce fuori…” Diego lo prende in giro.
“Sì, l’etica e anche perché ci tengo alla mia salute! Sai cosa infilano negli hamburger questi qua? No? Beh, informati caro quando mangi qualcosa, proprio tu che ingurgiti tutto come se…”
“Michele, sono d’accordo con te, andiamo a mangiare al baretto e poi andiamo a fare la spesa, dai”.
Mentre consumano un piatto di pasta al sugo, Diego, tutto contento, tira fuori dalla borsa l’I-pod e lo passa a Michele: “Questo è tuo, hai detto che il vecchio era rotto, no?”.
Michele esita. Qualcosa gli rode dentro: “Senti... grazie... Diego, vedi, non è che devi spendere per forza pile di soldi tutti i giorni perché puoi farlo; guarda quanta roba” indica le buste accatastate da una parte. “Ma cosa te ne fai”.
Diego lo guarda stranito: “E adesso? Da dove arriva questa paternale? È solo un regalo per te Michi, mi avevi detto che non ce l’avevi più”.
Michele scuote i riccioli, non vuole ferire ancora i sentimenti dell’amico, ma dentro si ripete per l’ennesima volta che non potrà mai funzionare tra loro, che Diego si stuferà di lui quando troverà un nuovo diversivo, qualcuno o qualcuna che lo incuriosirà di più, che lo stordirà di più, perché alla fine è un bambino viziato e basta, che pensa sul serio che la sua vita sia così triste e monotona da volere solo quello, un diversivo ogni giorno.
Ma quando più tardi al supermercato Diego riempie il carrello con le cose più assurde, si arrabbia davvero. Si stanno dirigendo verso la cassa e il loro carrello, a vista d’occhio è il più pieno di tutti. Michele non parla, si morde il labbro per non dire niente. Ma Diego, dopo l’ubriacata di acquisti, si accorge che qualcosa proprio non va. “Michele, me lo dici cosa hai? Mi dici questa volta dove cazzo ho sbagliato”
Questi lo aggredisce: “Dove cazzo hai sbagliato? Ma guarda qui!” indica la roba con le confezioni più inutili, tra cui anche otto chili di cibo per cani! “Guarda che merda prendi! A chi serve tutta ‘sta immondizia? Per chi? Siamo in due, non so quanto starai a casa mia tu, magari domani prendi e te ne vai, e hai fatto un carrello colmo, e adesso cos’è quella torta gigantesca? Per chi?” Michele quasi urla ormai.
“Ma per stasera, mangiamo da tua mamma, non possiamo non portarle niente” Diego è allucinato, non capisce la rabbia che Michele gli sta scaricando addosso. Non capisce le parole di Michele. I suoi dubbi da dove provengano, il suo disappunto. Diego sente così puro l’amore che ha per lui da non riuscire davvero a comprendere perché faccia così, perché non si fidi.
“Ma è mia mamma, io non porto mai niente quando vado a mangiare da mia mamma!”.
“Ma non è la mia, io sono un ospite, devo portare qualcosa” Diego è a un passo dalle lacrime ormai “e la spesa è per te, per noi, cioè io mangio come un lupo, ti sto in casa, mi sembra il minimo riempirti la dispensa” guarda Michele e poi con decisione gli strappa il carrello dalle mani e lo spinge verso la cassa.













1 commento:

  1. Perchè Michele deve bistrattare il piccolo Diego quando vuole solo fargli dei regali? Io penso che Michele tema che Diego voglia comprare il suo affetto con degli oggetti. Non comprende che in realtà il suo è solo un gesto d'amore. Diego è cotto, stracotto di Michele e vuole solo dimostrarglielo. Spero solo che Diego riesca a calmarlo, a dimostrargli che le sue paure sono infondate, che non lo lascerà solo perchè si è stancato come un bambino con un giocattolo.

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