* Di Francesco Franceschini
lunedì 10 giugno 2013
Tra rabbia e passione, ventiseiesima puntata
Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una
torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina
e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere:
AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline:
Fine anni settanta
Rating: PG, slash,
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e
del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso
in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta
Michele
arriva all’ospedale ed entra nella sala d’aspetto del pronto soccorso,
piegandosi in due dal dolore alla milza: non si è fermato un attimo dalla
piazzetta a lì, la fitta non lo fa respirare, il sudore comincia a cadere a
grandi gocce dalla fronte. Non c’è nessuno al pronto soccorso in quella sera
d’agosto, solo l’infermiera dell’accettazione che lo guarda spaventata, temendo
un pazzo. E pazzo lo è Michele, ma folle di paura: non può essere il suo Diego
quello che hanno quasi ammazzato. E poi che vuol dire quasi ammazzato? O si
ammazza o non si ammazza! Dio che dolore,
non passa...
L’infermiera
si avvicina e gentilmente gli impone di sedersi. Michele scrolla la testa e
tenta di parlare, ma non ce la fa.
La
giovane lo prende per le spalle e lo fa accomodare sulla sedia, poi prende un
bicchiere d’acqua e glielo porge, facendolo bere. Un po’ alla volta Michele si
riprende, respira e la ringrazia.
“Senti,
io ho bisogno di sapere se hanno portato qui il mio amico oggi, nel pomeriggio.
L’ho saputo adesso, ma non so, non sono sicuro, io spero di no, ma ho paura… se
ti dico il nome, tu me lo dici se è qui?” Parla a spizzichi Michele.
L’infermiera
annuisce: “Dimmi il suo nome e io guardo sul registro. È un tuo amico hai
detto?”.
Michele
non risponde ma le lacrime che spuntano nei suoi occhi rispondono per lui.
Prende aria, e poi scrollando i ricci risponde: “Anche molto di più di un amico
per me. Si chiama Diego, Diego Perrone. Puoi guardare ora?”.
L’infermiera
non ha bisogno di guardare sul registro: il nome è noto a tutto l’ospedale
ormai, dopo che hanno sentito tutta la storia. Si siede vicino a lui: “Sì, è il
nome del ragazzo che hanno portato qui oggi. Non posso dirti molto. L’hanno
operato per sistemargli il braccio, aveva il tendine spezzato dal proiettile. È
molto… lo hanno picchiato molto, ha le costole rotte e…”.
Michele
la guarda: “E…?”. Lei scrolla la testa, non ha il coraggio di dirgli tutto, ma
Michele insiste, la prega, finché lei con gli occhi lucidi a vedere tanto
dolore, non gli spiega tutto per filo e per segno. Anche la violenza
sessuale... anche.
Michele
è tramortito, siede senza forze sulla sedia, le braccia a ciondoloni, come se
fosse un pupazzo. L’infermiera toglie dalla tasca un anello: “Aveva questo
stretto nella mano, il dito era ferito, spellato”. Michele tende la mano per
averlo, ma lei è indecisa; le mostra le dita e la ragazza vede lo stesso anello
all’anulare di Michele. Solo a quel punto glielo porge, gli restituisce
l’anello di Diego in silenzio.
Piangendo
sommessamente Michele lo bacia e se lo infila al mignolo. Gli è un po’ largo
anche lì. Ha le manine così piccole lui,
come quelle di una ragazza. “Posso vederlo? Solo un attimo, per favore”
Michele la implora. Lei non sa cosa fare, ma gli fa pena Michele, una pena
immensa. Si alza e chiama la collega dell’astanteria, le spiega brevemente la
situazione, anche lei rimane sconvolta. Le dice di farlo accomodare.
Michele
va: è notte ormai, nessuno gira per i corridoi. L’infermiera gli fa cenno di
seguirla, e lo porta fino alla stanza di Diego. Michele lo vede e chiude gli
occhi: non è il suo Diego, non è il suo ragazzo quello, non può essere lui.
Non
avrebbero dovuta inventarla, la vita. Si stava meglio senza...*
Gli
prende la mano, vede il dito quasi scarnificato. Lo bacia, poi gli bacia la
fronte, gli occhi, il naso delicatamente, come un soffio. “Diego... Diego mio
che t’ha fatto, che t’ha fatto” calde lacrime cadono dai suoi occhi.
L’infermiera gli fa un cenno, deve andarsene ora. Michele non vorrebbe, ma
ubbidisce, non può mettere nei guai l’infermiera. Sente Diego lamentarsi, gli
sembra che gli scoppi la testa dal dolore. Come può lasciarlo lì? Da solo? Il
suo piccolo, il suo compagno, il suo amore? Ma deve, e Michele esce e se ne va
dall’ospedale, raggiungendo suo padre a casa. Lo trova ancora seduto al tavolo
della cucina, gli occhi pesti. Non ha l’animo di raccontargli i dettagli, ma a
Salvo non servono i dettagli. Capisce subito che è successo qualcosa di troppo
brutto. Senza una parola, Michele si siede vicino a lui. Abbracciandolo, scoppia
in rauchi singhiozzi, il padre lo abbraccia e lo coccola, come quando era bambino.
Lo tiene stretto e piange insieme a lui.
Il
giorno dopo tutti i giornali e telegiornali nazionali danno risalto alla
notizia del carabiniere suicida e di quello pestato. Bisceglie è in tumulto. Da
Roma giungono alcune alte cariche della polizia e non mancano anche i
giornalisti della Rai. È in un clima quasi surreale che si svolgono le
indagini. Ma gli inquirenti non hanno molto tra le mani. Si sa solo che il
carabiniere suicida ha lasciato una lettera e quella lettera non la fanno
vedere per adesso.
Tra
i bar, tra le spiagge affollate, tra la gente, non si parla d’altro. Poi
Ferrero era di Bisceglie. Era. “Tutti a dire poverino, che pena. Intanto ha
quasi ammazzato di botte un ragazzo!” Pazienza lo afferma sconvolto. Ora tutti
gli amici di Michele sono coalizzati attorno a lui. La voce girava ma nessuno
ci credeva. L’Ortica omosessuale e che se la fa con un carabiniere! Certo che
se ne dicono di cazzate! O che sogno è questo? Invece era tutto vero e lui non
aveva detto niente. Però nessuno si tira indietro, persino i colleghi
dell’Eganap lo coprono con il caporeparto per lasciarlo libero di tornare
all’ospedale.
Dopo
aver passato la notte a consolare suo padre, a piangere con lui, Michele va
dagli amici e accompagnato da loro torna all’ospedale. L’infermiera carina che
lo ha accolto la sera prima ora non c’è, al suo posto una donna magra di una
certa età. “Ci sono i genitori di Diego Perrone. Sono arrivati giusto pochi
minuti fa” gli fanno sapere di fronte alla porta della stanzetta.
“Ma
Diego ancora dorme?”
“Non
dorme, ma non parla. Il neurologo sta arrivando da Bari. Forse ha battuto la
testa” l’infermiera si allontana per raggiungere e parlottare con le colleghe.
Guardano Michele con pena. Il pettegolezzo è già girato, pensa lui. “Cazzo mi
frega” confida a Pazienza che lo esorta a restare calmo. Dopo circa mezz’ora
una coppia esce dalla stanza di Diego. Lei è piccola con i capelli castani
chiari un po’ imbiancati sul davanti. Ha il viso sconvolto. Accanto a lei un
uomo molto più alto, canuto. Michele non resiste e li raggiunge. Sono genitori
di Diego, deve parlare con loro: “Come sta?”
La
donna, gli occhi vitrei, lo guarda come se fosse un fantasma: “Lei chi è?” Il
tono è diffidente. Michele lo capisce. “Sono un amico, un amico di Diego. Mi
dica come sta signora” Michele quasi la supplica. Se occorresse si
inginocchierebbe.
“Non
è in pericolo di vita ecco. Così dicono, però non parla, non ti guarda. Sembra
assente” e poi scoppia il lacrime aggrappandosi all’uomo accanto a lui.
“Abbiamo viaggiato tutta la notte. Ora andiamo a riposare, scusateci” fa lui
educatamente. E si allontanano superando i due amici.
“Cazzo
è sveglio, io ci vado”
“Michele,
aspetta! Non sei un parente, magari ti fanno storie”
“Non
mi frega se me ne fanno. Pazienza tu aspetta qui” Michele non sente ragioni.
Nemmeno se arrivasse il presidente della repubblica in persona a dirgli che non
deve entrare in quella stanza esiterebbe. Infatti entra e lo trova così: semi
seduto, le braccia abbandonate al corpo, lo sguardo vacuo, vuoto. “Diego, sei
sveglio, Diego!” Michele gli si butta addosso stando attento a non fargli male.
Gli bacia la fronte, le guance, gli accarezza il labbro tumefatto. Si accorge
solo allora che qualcuno si è anche preoccupato di tagliare via i baffi. Forse
per scongiurare un’infezione si dice. “Diego, Diego!” Lo esorta ma è rigido
come un pupazzo. Come se stesse baciando un manichino, o una salma. “Diego,
ascolta Diego. Cos’hai? Cosa ti senti? Fa male vero? Non ce la fai a parlare
non è così? Ma mi riconosci vero? Sono Michele, Michi come mi chiami tu. Sono
Michele tuo” nessuna reazione. Diego continua a fissare davanti a sé un punto
indefinito. Dove sarà con la testa?
“Oddio Diego, che ti hanno fatto? Hai battuto il capo? È qualcos’altro? Soffri
tanto amore mio, è così?” Michele si piega sulle gambe e piange. Per un
attimo gli sembra che la mano di Diego si sposti per toccarlo. In effetti si
alza un pochino ma poi torna a toccare le lenzuola, come priva di forze. “Diego,
non ce la fai a muoverti? Aspetta un attimo. Dobbiamo recuperare no? Come
quando si sta tanto tempo al freddo e dopo si intorpidisce tutto. È tu sei
stato al freddo. Lo sappiamo. Ti aiuta Michele tuo, va bene? Mi fai almeno un
sorriso, un cenno” il volto del ragazzo s’incupisce ancora di più. Ma non una
sola emozione traspare. Gli occhi sempre sbarrati, enormi. “Diego ma tu mi puoi
sentire? Se mi puoi sentire sbatti le palpebre, va bene? Una volta è sì”
Michele aspetta ma Diego le palpebre le sbatte, ma solo quando non ne può più.
È un caso, è un riflesso. Michele è sconvolto. Si butta di nuovo con la testa
sulle gambe di Diego e ricomincia a piangere.
“È
morto, è come se fosse morto. In coma vigile dicono. Non ci capiscono un
cazzo!” Stravolto da tutto si getta su una sedia e si copre gli occhi. Ha
parlato con i dottori Michele che non hanno avuto problemi ad esporgli la
situazione, una situazione che non è ancora molto chiara nemmeno a loro.
Intanto al pronto soccorso sono arrivati anche gli altri compagni di Michele a
sostenerlo. “Stai calmo, lo portano a Bari hanno detto, no? Lì hanno le
macchine migliori per capire che cosa è successo”
“Ma
se dicono che l’arto reciso non avrà problemi. Se poi alla fine sono solo un
sacco di botte e non è in pericolo di vita, perché non parla! Perché sembra un
pupazzo! Che gli è successo” Michele con la mani nei capelli ha uno scatto di
nervi. Prende a calci le sedie, non è da lui. Cercano di farlo calmare ma
un’infermiera si stranisce e chiede loro di uscire tutti dalla sala d’aspetto.
“Qui c’è gente che soffre”.
Ma
Michele non ci sta e vuole avere l’ultima parola: “Sapesse quanto soffro io!” Di
nuovo tra le lacrime torna in strada. Poi cerca di pensare positivo, tanto
ormai il fondo lo ha toccato già. Diego ha un trauma, come dicono tutti ormai,
per quello che gli è stato fatto. Il pensiero dei racconti che girano, che ha
intravisto sui giornali, tenta di piegarlo. Rapito, malmenato, violentato! È
tutto tremendo. Il suo piccolo Diego, mentre pensa che ha dormito insieme a lui
appena due sere prima. Il lunedì mattina si era svegliato tra le sue braccia,
con i suoi baci. Avevano pure fatto l’amore, sotto la doccia. Poi si erano
salutati per darsi appuntamento a quel pomeriggio. Si erano infrascati nel
solito posto tra i trulli e gli ulivi. Lo stesso dove hanno trovato Alfredo
morto suicida. È fin troppo facile capire cosa sia successo. “Se vogliono
gliela spiego io la versione dei fatti!” Fa Michele vedendo passare davanti
loro un gruppo di carabinieri.
Per
giorni la situazione non cambia. Le indagini parlano di resa dei conti, di
dissidi interni, nessun accenno al delitto passionale. Eppure è quello che
tutti pensano, soprattutto dopo che la lettera di Alfredo è stata resa nota.
Una settimana dopo il fattaccio, Diego viene ricondotto da Bari a Bisceglie, ma
la prognosi non è stata ancora del tutto sciolta. Fisicamente è a posto. Il
braccio, con un po’ di fisioterapia tornerà come prima. Le costole anche, i
lividi spariranno prima o poi. Le ferite si cicatrizzeranno. Il giovane è il
salute. Le analisi non evidenziano nulla di che. Ma allora che ha? “In testa
non ha niente dicono, ma io so che non è così” Michele è sempre all’ospedale.
Come a Bari lo è a Bisceglie. Non ha potuto prendersi più giorni di ferie ma
appena esce dal lavoro si precipita da Diego. Anche se la scena è sempre la
stessa: Diego buttato sul letto che guarda il vuoto. Un’infermiera che lo
imbocca e lui mangia. Un’altra che lo aiuta ad alzarsi, a camminare per scongiurare
le piaghe da decubito, e lui si alza, cammina. I genitori sono già tornati a
Torino. Dopo tutto hanno un lavoro entrambi da mantenere e di questi tempi non
è cosa da poco. Hanno un altro figlio. Michele non riesce a credere che siano
davvero riusciti a tornare alle loro vite così, come quando il loro figlio era
un ragazzo normalissimo, che nuotava, indagava, prendeva un Campari al bar,
rideva e faceva l’amore. Ora sembra un vaso di fiori. Bello a vedersi, nutrito
e irradiato dal sole, ma immobile. Diego si lascia vivere. Non fa altro.
Abituati ad averlo sempre tra i piedi, dottori e infermieri finiscono per
consideralo un parente e si rivolgono a lui quando arriva il momento delle
dimissioni. “Per noi è inutile tenerlo in ospedale. Certo, è da poco che ha
cominciato a mangiare da solo, a vestirsi da solo. Ma di passi avanti ne ha
fatti”
“Ma
non parla professore!” Michele lo interrompe. La sua non è una recriminazione
ma un urlo disperato: “Non ride, non piange. Si alza, va al cesso. Mangia e si
allaccia le scarpe da solo. Ma lo ha visto anche lei, no? Non riconosce nessuno
cazzo! È come se fosse...” non gli viene la parola a Michele e lui viene in suo
soccorso. “Autistico. Il termine è autistico. E non è un caso. Ora Diego vive
come in una bolla. Un mondo tutto suo. È bloccato. È un blocco protettivo che
attua il cervello a seguito di enormi stress emotivi. Può succedere dopo un
trauma come quello. La storia è piena di soldati scampati alla guerra e tornati
a casa in perfetta salute ma ridotti come vegetali”
“E
dopo? Ci si riprende professore? Si torna come prima?” Michele si aggrappa a
lui disperato.
“Ammetto
di non avere mai approfondito questo tema e dunque la mia risposta signor
Salvemini caro è: non lo so! Ma esistono centri che si prendono cura di questi
casi... ”
“Centri
di igiene mentale. Ce l’hanno detto. Ma Diego non è pazzo! Diego è solo malato
nel cuore, dottore. Il suo cuore è ferito”
“Se per cuore intende la sua anima Salvemini,
sì, penso che sia questa la diagnosi giusta. Si prenda cura di lui. Tanto qui
non ha nessuno e l’arma non può fare molto per lui. Gli daranno una pensione,
un indennizzo. Ma se vuole tentare di aiutarlo, non lo lasci più solo. Gli faccia sentire tutto l’affetto che sente. Se è il suo cuore il malato, lei solo
può curarlo” con un sorriso sghembo il dottore lo saluta e se ne va. * Di Francesco Franceschini
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Bellissimo e tristissimo. Anche se sono di nuovo insieme, qualcosa li separa, un dirupo insormontabile che è la mente di Diego nascosta in un posto che Michele non riesce a raggiungere.Nonostante tutto Alfredo non è riuscito a separarli. Incrocio le dita per il prossimo capitolo.
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