Michele si sveglia di soprassalto, ammantato nel proprio sudore. Di nuovo, l’incubo, quello in cui sua madre, dopo sette giorni d’agonia, muore, lasciandogli solo quel monile, quella croce un tempo appartenuta a suo padre che lei aveva conservato per lui, per poterla un giorno consegnare a suo figlio. Magari da vecchia, come tutti sperano. Invece no, quell’incubo ricorrente per Michele, altro che non è che un ricordo, un ricordo di quindici anni prima. Aveva ventidue anni all’epoca Michele, e studiava già a Roma. Anche lei si era trasferita con lui nella capitale, diceva sempre: “Che me ne sto a fare a Molfetta quando posso essere utile a mio figlio?”. Un giorno che lui aveva dimenticato un trattato da allegare all’esame, lei si era offerta di portarglielo. Così, partì dalla loro casa in affitto in zona Tiburtina per arrivare all’università. Agata però imboccò per imperizia, forse per la fretta di arrivare, una strada a senso unico, tranciando uno scooter che sopraggiungeva nella direzione opposta. I due della moto finirono a terra. Padre morto sul colpo, ragazzo di tredici anni in coma. E per lei, finita a sua volta addosso a un palo della luce, il destino aveva riservato una costola maligna che le aveva perforato il cuore. E dopo una settimana di agonia era per l’appunto morta nello stesso ospedale dove Michele avrebbe iniziato a lavorare circa sei anni dopo. Troppe cose brutte aveva portato quel maledetto trattato. Ma la sua brillante carriera non aveva subito nessun intoppo.
domenica 9 giugno 2013
La croce sul petto, capitolo 2
Titolo: La croce sul petto
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica
Michele si sveglia di soprassalto, ammantato nel proprio sudore. Di nuovo, l’incubo, quello in cui sua madre, dopo sette giorni d’agonia, muore, lasciandogli solo quel monile, quella croce un tempo appartenuta a suo padre che lei aveva conservato per lui, per poterla un giorno consegnare a suo figlio. Magari da vecchia, come tutti sperano. Invece no, quell’incubo ricorrente per Michele, altro che non è che un ricordo, un ricordo di quindici anni prima. Aveva ventidue anni all’epoca Michele, e studiava già a Roma. Anche lei si era trasferita con lui nella capitale, diceva sempre: “Che me ne sto a fare a Molfetta quando posso essere utile a mio figlio?”. Un giorno che lui aveva dimenticato un trattato da allegare all’esame, lei si era offerta di portarglielo. Così, partì dalla loro casa in affitto in zona Tiburtina per arrivare all’università. Agata però imboccò per imperizia, forse per la fretta di arrivare, una strada a senso unico, tranciando uno scooter che sopraggiungeva nella direzione opposta. I due della moto finirono a terra. Padre morto sul colpo, ragazzo di tredici anni in coma. E per lei, finita a sua volta addosso a un palo della luce, il destino aveva riservato una costola maligna che le aveva perforato il cuore. E dopo una settimana di agonia era per l’appunto morta nello stesso ospedale dove Michele avrebbe iniziato a lavorare circa sei anni dopo. Troppe cose brutte aveva portato quel maledetto trattato. Ma la sua brillante carriera non aveva subito nessun intoppo.
Autore: giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Drammatico/Romantico/Introspettivo/Grottesco/Erotico
Rating: PG, slash, NC 13
Michele si sveglia di soprassalto, ammantato nel proprio sudore. Di nuovo, l’incubo, quello in cui sua madre, dopo sette giorni d’agonia, muore, lasciandogli solo quel monile, quella croce un tempo appartenuta a suo padre che lei aveva conservato per lui, per poterla un giorno consegnare a suo figlio. Magari da vecchia, come tutti sperano. Invece no, quell’incubo ricorrente per Michele, altro che non è che un ricordo, un ricordo di quindici anni prima. Aveva ventidue anni all’epoca Michele, e studiava già a Roma. Anche lei si era trasferita con lui nella capitale, diceva sempre: “Che me ne sto a fare a Molfetta quando posso essere utile a mio figlio?”. Un giorno che lui aveva dimenticato un trattato da allegare all’esame, lei si era offerta di portarglielo. Così, partì dalla loro casa in affitto in zona Tiburtina per arrivare all’università. Agata però imboccò per imperizia, forse per la fretta di arrivare, una strada a senso unico, tranciando uno scooter che sopraggiungeva nella direzione opposta. I due della moto finirono a terra. Padre morto sul colpo, ragazzo di tredici anni in coma. E per lei, finita a sua volta addosso a un palo della luce, il destino aveva riservato una costola maligna che le aveva perforato il cuore. E dopo una settimana di agonia era per l’appunto morta nello stesso ospedale dove Michele avrebbe iniziato a lavorare circa sei anni dopo. Troppe cose brutte aveva portato quel maledetto trattato. Ma la sua brillante carriera non aveva subito nessun intoppo.
Nervoso si tira su a sedere. Eccola ora la
sua vita, pensa guardandosi intorno. Solo a trentasette anni in quel palazzo di
via Degli Ulivi 18. Nessun amore, pochi amici con cui uscire ogni tanto, per di
più colleghi, nemmeno un gatto a fargli compagnia. Ora però ho una nuova
ossessione a farmi compagnia. Di nuovo il ciondolo di sua madre tra le mani,
per un attimo, prima che l’infermiera arrivasse per prendere la scatoletta e
portarla di nuovo all’incidentato. Diego,
si chiama Diego, Diego Perrone e abita appena a due chilometri da qui. Ecco, ora ci vado, gli faccio le poste sotto
casa e poi vediamo se non mi restituisce il ciondolo di mia madre, quel ladro
maledetto! Formulato il pensiero rabbioso, torna lentamente a ragionare con
razionalità. “Non me lo darà mai! È un malvivente. Anzi, sono due malviventi!
Altro che coppietta gay!” Si ritrova a parlare da solo. Lo sguardo cade sul
piccolo acquario in cucina. Gli unici abitanti della sua casa, quei due
pesciolini rossi. “Ma sì, parlo con voi: Ettore e Achille, tutto ok?” Dopo aver
scherzato con i pesci rossi, prende dal frigo la busta del latte e la caraffa
del caffè freddo che ha preparato il giorno prima. Infila la tazza di latte nel
microonde e, dopo trenta secondi, la tira fuori per macchiare con il caffè
freddo. Mentre inzuppa i biscotti, una certa calma si impadronisce di lui. Un cauto interessamento. Farà finta, si
dice, di passare dalle parti di Via delle Betulle per caso, dopotutto è sempre Centocelle no? E io ci
vivo! E poi gli chiederà come va la testa, se ha più avuto emicranie e se
magari vuole passare in pronto soccorso per farsi vedere. “Gli potrei offrire
un caffè o un tè o una birra. Sì, con quei tatuaggi e i piercing sembra più il
tipo da media, magari ghiacciata” dopo aver di nuovo parlato da solo, Michele
si alza e ripone la tazza con il cucchiaino nel lavandino, li laverà poi.
Controlla fuori dalla finestra se il cielo sopra il suo quartiere è ancora
scuro o ha intenzione di cambiare. Eppure è primavera. Tra poco sarà di nuovo
estate. Si ritrova a sorridere all’idea del caldo, del mare, il ritorno
dell’estate gli mette allegria. Con lo spirito migliore rispetto a quando si è
svegliato nel suo letto, ammantato di sudore, Michele decide che è arrivato
proprio il momento di farsi una bella doccia e andare a lavorare. Il tempo
passa e se non si sbriga nessuno timbrerà il cartellino al suo posto.
Il giorno appresso all’incidente, Diego
torna al lavoro normalmente. In pronto soccorso non è riuscito molto a dormire
ma la mattina dopo, appena tornato a casa, si butta sul suo letto e ci resta fino alle tre del pomeriggio. Lo sveglia Loris, abbracciandolo da dietro. Il
cerottone sulla nuca glielo rende ancora più tenero. Lui, così piccolino, che
ha sempre alimentato negli altri: o voglia di malmenarlo, con la convinzione di
schiacciarlo con facilità essendo per l’appunto poco fisicato, o di coccolarlo,
proteggerlo, accudirlo. Di certo per Loris è stato sicuramente più forte la
seconda. Ma nell’istituto correttivo dove si sono conosciuti, di brutti ceffi
che tentavano di usare la faccia di Diego come punchball, ce n’erano e Loris,
col suo metro e ottantacinque e le spalle larghe, fin dall’inizio si è rivelato
angelo protettore dei suoi connotati.
“Come stai”. “Benissimo. Andrò io in sala
giochi oggi. Tu anche sei stanco, e non hai dormito per niente stanotte”
“Ma sono tornato a casa, come volevi tu”
“Sì ma non hai dormito. Io ti conosco! Tu
senza di me non dormi, e io lo stesso” tirando su con il naso, a Diego scappa
un sorrisetto: “Certo che siamo due piaghe, così attaccati l’uno all’altro.
Come si fa”
“Ma dai che va bene! Diego, va bene ti
dico! Tu sei il mio amore, il mio fratellino, il mio socio e il mio ragazzo,
no? È bello e basta” lo stringe a sé e Diego si gusta la compattezza dei
pettorali sulla sua schiena. È sempre stato così, è vero. Sono cresciuti
insieme, si sono trovati insieme. Ora non ha altri che lui, e non cerca altro.
Le prove d’amore reciproche se le sono date tutte, come quella volta, appena
nove mesi prima, che Diego è tornato a delinquere per lui, per fare quel colpo
finale che avrebbe permesso a Loris di accaparrarsi la sala giochi. L’idea di
fare irruzione durante una riunione di condominio era stata di Diego. In realtà
partiva da una sua battutina: “Che noia le riunioni di condominio Lò,
succedesse mai qualcosa di eccitante. Che la vicina si spogliasse nuda o che
arrivasse qualcuno armato a derubarci” così aveva detto in previsione della
loro riunione. Loris la aveva metabolizzata e, alla fine, era passato tra i
palazzi di Centocelle a cercare l’appuntamento, attendendo che qualcuno
lasciasse il portone aperto. Lo aveva trovato. Era stato facile, la pistola,
ovviamente scarica, ce l’aveva. I passamontagna ce li avevano. E così, grazie a
quel gruzzoletto, erano riusciti a lasciare l’anticipo per la sala slot e ora
gli affari andavano bene. “E come non può andare bene in un quartiere ghetto
dove la gente sta senza lavoro e appena ha quattro soldi li butta nelle
macchinette!” Così aveva detto Loris, da tempo dietro a quella licenza, a
quell’affare e così era stato. Loris e Diego avevano rubato nella loro vita, ma
dopo i nove mesi e mezzo di detenzione, da maggiorenne questa volta, Diego
aveva giurato a se stesso che mai più ci sarebbe ricascato. Non avrebbe più
commesso un crimine, avrebbe rigato dritto. Ma poi Loris, persuasivo come
sempre, gli aveva offerto la possibilità di tornare a delinquere, e questa
volta con una pistola in mano, lui che le armi le schifa, lui che le armi non
le sa nemmeno usare. Ma tanto a due vecchietti basta poco per spaventarli. Così
gli aveva ricordato, ed era andato bene. L’emozione si sa, gioca brutti
scherzi, e Diego aveva rimosso tutto dell’episodio in toto. Loris ne conservava
ogni dettaglio e se non fosse stato per i contanti, i telefonini e l’oro che
avevano raggranellato, il torinese avrebbe potuto tranquillamente affermare che
non fosse mai accaduto. È come se non ci
fossi mai stato in quella stanza. Non ricordo niente, niente di niente!
Aveva giurato a Loris, il quale gli aveva garantito che era davvero l’ultima
volta che rubavano. Diego non si sarebbe più trovato nei guai a causa sua.
Diego finalmente riesce a staccarsi dall’abbraccio del compare. Si alza e dà
un’occhiata fuori. Il sole è ancora bello arzillo nel cielo. “Sai cosa mi va?
Da morire! Un bel cappuccino e cornetto”
“Beh, alle quattro del pomeriggio mi sembra
normale”
“Per me è come se fosse mattina” si
massaggia distrattamente il cerotto sulla nuca e dopo un bacetto sulle labbra a
Loris si va a cambiare.
Alla sala giochi che gestisce insieme a
Loris non succede mai niente di speciale. Il solo rischio concreto è che
qualcuno litighi o tenti di rubare. Diego però sa di che pasta sono fatti i
suoi clienti e riconoscerebbe subito qualcuno diverso, venuto là con cattive
intenzioni. Lo sa e chiamerebbe subito Loris, se riconoscesse un
malintenzionato. Così arriva di nuovo la sera e l’orario di chiusura. Nei
giorni successivi non accade niente di nuovo e una settimana dopo Diego non
porta già più il cerotto. Non pensa più al temporale, all’autobus che lo ha
fatto finire sotto ad una macchina e alla successiva caduta dalla bicicletta. È
tornato a pedalare su e giù per le salite ripide del quartiere, sempre con il
volto disteso e sorridente. Bello giugno,
bella la stagione, come ogni anno, da quando ha scelto di vivere a Roma con
Loris, sa che d’estate andranno al mare, alla loro spiaggia a Castel Fusano che
è immersa nella macchia mediterranea, con il mare fondo appena entri che a
Loris sembra di essere in Calabria, da dove viene lui. Tipo ad Amantea o a
Scalea, che il mare è subito alto e che dagli scogli si può fare i tuffi. Ha
promesso a Diego, così innamorato del mare, che un giorno lo porterà dai suoi
parenti, a Roccella, e poi andranno al mare. Sicuro. Deve solo superare le sue
resistenze. Con quei pensieri leggeri che alleggeriscono anche l’anima,
finalmente Diego giunge sotto il portone di casa sua. Loris gli ha dato il
cambio e a lui ora il compito di fare spesa: ha in mente di preparare la pasta
fredda, così per quando tornerà Loris sarà già tutto pronto e mangeranno
insieme ascoltando musica, magari del vinile. Loris ha la passione per i vecchi
dischi e Diego la condivide. Tira fuori le chiavi dalla tasca quando si sente
picchettare dietro la spalla.
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Michele frigge all'idea di prendersi una bella rivincita su quel ladruncolo dal visino d'angelo. Diego invece è come in una bolla,pensa solo alla sua vita con Loris, alle prossime vacanze e godersi il sole. Scommetto che presto la sua esistenza subirà un bello scossone perchè un bel dottorino irromperà come un tornado a sconvolgerla.
RispondiEliminaHai studiato, per l'interrogazione di lettura ti do un 7+. A quando la tua?
EliminaDue ragazzi che si vogliono bene, un bene indotto dal periodo oscuro che hanno trascorso insieme, ma pur sempre di bene si tratta, un terzo, buono, gentile e solo: nessuno che gli vuole bene, tranne i pesci forse, ma sono così insensibili i pesci rossi, non ti dimostrano mai niente, si tengono tutto dentro.
RispondiEliminaE allora si vorrebbe che arrivasse tanto bene anche a lui, e che gli arrivasse da qualcuno in particolare... ma sai che comunque vada, uno dei tre soffrirà, e ti dispiace.
Niente, non pensiamoci, godiamoci questo bel giugno romano,in attesa dell'estate... que sera sera.