sabato 8 giugno 2013

Tra rabbia e passione, venticinquesima puntata




Titolo: Tra rabbia e passione (cronaca di una torbida relazione fra trulli ed onore)
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Storico/Commedia/Erotico/Romantico/Introspettivo
Storyline: Fine anni settanta
Rating: PG, slash, 
Disclaimer: si intenda tutto frutto della fantasia e del talento delle autrici. In verità i personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e basta

Capitolo 25



A casa, Michele ha consumato la suola delle scarpe a furia di andare avanti e indietro dal tavolo al balconcino: Diego doveva essere già lì da ore. Dove è finito? Perché non chiama? Salvo guarda il figliolo, ansioso a sua volta. Forse quello che temeva è già accaduto? Michele si siede da parte a lui, che gli mette un braccio intorno alle spalle, e rimangono lì abbracciati, in attesa del piccolo Diego, o quanto meno di sapere che fine abbia fatto.
Le lancette dell’orologio della parete girano lente ma inesorabili. Ormai si sono fatte le dieci di sera e di Diego non si hanno notizie.
“Pà, io non ce la faccio più. So che gli è successo qualcosa, lo so. Avrebbe chiamato altrimenti, lui è preciso in queste cose. Poi non mi farebbe mai stare qui ad aspettarlo, sa che mi preoccupo per lui”.
Michele si alza per l’ennesima volta e si affaccia ancora al balcone. Sta ancora piovigginando, ma molto meno di prima, quando il temporale ha quasi fatto allagare le strade. Non si vede il suo Diego, non si vede: è paura quella che gli prende lo stomaco. Non ha toccato cibo e anche suo padre ha digiunato e non certo per solidarietà ma perché è preoccupato a sua volta. Michele guarda il balconcino del palazzo di fronte: Diego ci si era riparato la prima volta che era venuto lì da lui. Pioveva anche quel giorno. Era lì, piccolino, che lo salutava con la mano. Ora non sa cosa pagherebbe per vederlo là o da qualsiasi altra parte, dove sei amore... Basta, deve uscire, cercarlo da qualche parte. Non sa dove, ma non può più starsene lì a tormentarsi. Rientra, s’infila un impermeabile e saluta il padre: “Esco, non vado avanti così; tu resti qui così se chiama trova qualcuno. Ciao pà”. Salvo lo accompagna alla porta e prima di lasciarlo andare lo abbraccia stretto: “Stai attento anche tu Michè, stai attento; e trovalo quel ragazzo, portalo qui presto”. Mentre Michele scende velocemente le scale, Salvo si prende il viso tra le mani: ha una brutta sensazione Salvo, la stessa che ebbe quando sua moglie andò a fare la visita per quella tosse che non passava. Ora come allora non si aspetta niente di buono.
Michele si copre la testa col cappuccio e si dirige verso il corso, guardandosi in giro. Non sa perché, gli sembra che ci sia tensione a Bisceglie, ma forse è lui che la sente, è la sua paura che esce, che gli gira intorno.
All’ospedale intanto Diego è stato visitato e in seguito ai risultati delle lastre è stato operato: il proiettile è uscito per fortuna, ma ha reciso un tendine. L’equipe medica, dopo una rapida consultazione, decide di operare subito per non rischiare che il braccio rimanga offeso, e anche perché più si aspetta più sarebbe poi difficile recuperare il tendine.
Ora è a letto col petto fasciato e con diverse costole rotte o incrinate. Ma tutti dicono che è stato fortunato, gli organi interni non hanno subito danni nonostante la violenza dei colpi ricevuti. Se il corpo è martoriato, coperto di tagli e lividi, il viso è quasi irriconoscibile: gli occhi tumefatti, un labbro spaccato, graffi ovunque. Il bel nasino all’insù si è inspiegabilmente salvato, unica parte intatta in mezzo alla devastazione. Dorme Diego, dorme il sonno indotto dell’anestesia, e si lamenta debolmente. Intorno a lui un via vai di dottori e infermiere: nessuno di loro sa ancora chi è questo ragazzo che è stato così orribilmente torturato, picchiato e violentato sulla spiaggia. Negli abiti recuperati dai due pescatori non sono stati rinvenuti documenti e i carabinieri chiamati dal pronto soccorso non hanno ancora avuto modo di vederlo. Era ancora sotto i ferri quando sono arrivati. Dopo quasi un’ora di operazione, lo hanno messo in una stanzetta da solo, forse per una forma di pietà, per non esporlo alla curiosità degli altri pazienti o dei parenti in visita.
Il maresciallo Camporeale e l’appuntato Doria sono in piedi in corridoio senza nemmeno sapere perché stanno perdendo tempo lì, visto che la vittima dell’agguato dorme e non possono interrogarlo. E senza documenti come fanno a capire chi è e da dove viene? Chi lo ha soccorso ha raccontato che non parlava già più e dunque potrebbe essere uno straniero, magari uno di quelli che ogni tanto salpano di notte, dalla Jugoslavia. Magari un regolamento di conti tra bande dell’est. Ce ne sono di storie così, i carabinieri lo sanno bene. Il loro dovere è aspettare e aspettano, tanto non possono mica andare a cercare un fantasma, un fantomatico carabiniere che picchia, che spara, che stupra. Finalmente arriva una giovane infermiera. I capelli raccolti sotto la cuffietta e l’aria stanca. “Continua a dormire, è sotto anestetici potenti” fa sapere ai due.
“Possiamo entrare a dare un’occhiata?” domanda Camporeale. “Magari se è uno che abbiamo preso di recente lo riconosciamo. Questi delinquenti sono recidivi, tendono sempre a rimettersi nei guai”
“Seguitemi”. Li accompagna all’interno della stanza inospitale. Nell’aria odore di disinfettante e puzza di chiuso. Il maresciallo si accosta al capezzale del giovane. Camporeale lo guarda attentamente, poi sbarra gli occhi mentre un brivido lo percorre da parte a parte. “Doria, dimmi tu... io... noi, lo conosciamo. Guarda anche tu e dimmi che non è lui”.
Doria si avvicina a sua volta per guardare meglio il viso il giovane: “Cazzo marescià. È Perrone, è Diego Perrone, l’agente di Torino”.
Camporeale si toglie il cappello e si gratta furiosamente la testa, quindi si gira verso l’infermiera e le ordina di chiamare immediatamente il medico che ha fatto l’accoglienza, tutti quelli che c’erano.
L’infermiera obbedisce e corre verso il pronto soccorso. Dopo pochi minuti arrivano due medici e l’infermiera che ha spogliato Diego della maglietta. Camporeale li sottopone a un vero e proprio interrogatorio, mentre Doria prende appunti. Ogni tanto un flebile lamento arriva dal letto: al maresciallo par di capire aiutami, ma non comprende l’altra parola.
I carabinieri tornano al capezzale del collega, forse vorrebbero dire qualcosa, ma non ce la fanno, e rimettendosi il cappello escono a capo chino, dirigendosi verso la centrale.
Giunti in caserma chiamano a raccolta tutti i militari e convocano anche quelli che sono a casa.
La caserma è in piena agitazione. A Molinari, l’agente abruzzese che divide la stanza con Diego, insieme ad Orrù, in licenza da due giorni ormai, viene ordinato di fare un sopralluogo. Ma il ragazzo non sa bene cosa cercare né perché. Dopo una ricerca laboriosa, da un libro di poesie nascosto dietro una serie di magliette ordinatamente, sfugge un foglio ripiegato. È la bozza della lettera di dimissioni che Diego ha buttato giù qualche sera prima. Turbato, la prende e la porta immediatamente al maresciallo.
Dopo aver inforcato gli occhiali, Camporeale la legge un paio di volte. “Perrone non ci ha mai fatto capire che voleva dimettersi” in quel momento non riesce a fare un collegamento tra il pestaggio e le dimissioni ma è comunque colpito, soprattutto per non aver percepito il conflitto che stava vivendo un suo agente. Colto da un dubbio subitaneo, si guarda intorno: “Ma Ferrero dov’è? L’avete chiamato? Sono molto amici cazzo, sarà sconvolto”. L’agente di guardia comunica che non sono riusciti a trovarlo. I genitori hanno riferito che non è tornato a casa oggi. “Fanculo. Quando lo verrà a sapere…”. Camporeale sente qualcosa che lo turba, non capisce cosa, come un presentimento. Il cervello va veloce, come ogni volta che inizia un’indagine. Tante tessere sparse, un puzzle. E in quel puzzle sembra tutto cielo, o mare. Difficile metterle insieme. Scrolla la testa, lui non crede ai presentimenti, è un razionale, è un carabiniere. Lui crede ai fatti e i fatti sono tanti e confusi. Il pensiero torna a quel povero ragazzo martoriato all’ospedale. Aiutami, diceva. Il maresciallo sente le lacrime pungergli gli occhi.
Schiarendosi la voce urla un paio di ordini, e manda un’auto a prelevare i due pescatori che hanno accompagnato Diego all’ospedale.
Due auto dei carabinieri partono immediatamente verso le case dei pescatori, mentre altre due iniziano la ronda per le vie di Bisceglie, senza sapere esattamente cosa o chi cercare.
  
Nel suo girovagare, Michele cerca di avvicinarsi alla Caserma dei carabinieri, pur senza averne l’intenzione. Che non è solo la sua tensione a fargli vedere cose che non ci sono. Per non parlare di quell’elicottero della polizia che non la smette di girare. Ma da per scontato che si cerchi qualche incendio. Ce ne sono tanti d’estate, i piromani non mancano mai. Pensa che staranno aiutando la forestale. Ma è proprio davanti alla stazione dei carabinieri che capisce che qualcosa è successo davvero. Le finestre della palazzina sono tutte illuminate, come non succede mai, forse giusto a natale. Ci sono militari davanti al portone che parlano concitati. Allora Diego è rimasto bloccato in caserma, ecco perché non è andato da lui! Si dice che sarà successo qualche casino e hanno messo tutti reperibili. Un filo di sollievo nel cuore di Michele. Rimane però la paura per i rischi che può correre, ma almeno sa che non gli è successo niente. Forse è uscito in perlustrazione, non è riuscito a telefonare perché non lo hanno mai lasciato un secondo da solo. Si spiega tutto. Ma che sarà successo allora? Dopo qualche attimo concitato, decide di chiamare il Paz, forse lui sa qualcosa, era sicuramente alla radio. Và alla cabina nella piazzetta e fa il numero di Andrea.
“Ortica, non potevi essere che tu a quest’ora! Cosa vuoi? Non ti fai quasi più vedere, e mi chiami che son quasi le undici?”.
“Hai ragione Pazienza, ma ho qualche impegno personale, comunque tornerò presto a darmi da fare. Sentimi ora, sentimi bene: sai cos’è successo che c’è tutto un brulicare di carabinieri in giro? La caserma è illuminata a giorno è c’è un’agitazione della madonna. Non sai niente? Quindi non c’entriamo noi, almeno. Va bene Paz, scusa, domani ti giuro che passo”. Sì, ci torno alla radio, ci torno e magari mi porto anche Diego... si dice, il respiro è ancora faticoso però. Lo posso presentare come il mio amore? E perché no? Tra i nostri ideali è difendere le minoranze, la libertà del singolo individuo contro l’omologazione di massa. Bravo Michele, belle parole, belle speranze. Ora però calmati, no? Perché cazzo l’ansia non accenna a diminuire? Con quei pensieri continua a passeggiare intorno alla stazione dei carabinieri. Vede tornare due auto che si infilano in caserma a sirene spiegate. Allunga il collo per vedere se Diego è a bordo ma figuriamoci, sono troppo lontano! Un lumicino gli si accende all’improvviso: il fornaio! Cazzo, è proprio lì dietro l’angolo, sempre aperto. Magari qualcosa è arrivato fin lì.
Entra nel panificio e viene accolto da un saluto corale, lo conoscono tutti lì. Compra un bel pezzo di focaccia, il pensiero che probabilmente a Diego non è successo niente gli ha fatto tornare un po’ di fame: “Ma allora che mi dite? Cosa sta succedendo, che c’è tutto questo spiegamento di forze?”. Il panettiere, un omino piccolo e baffuto lo guarda sorpreso: “Non ne sai niente Michè? Hanno quasi ammazzato uno oggi, sulla spiaggia di fuori, quella dei pescatori. L’hanno picchiato fino a farlo a pezzi, e glie’hanno pure messo in culo si dice” Michele sbianca. “Ah, ma non è finita qui! Quelli che lo hanno trovato dicono che è stato un carabiniere. Che poi ha sparato ed è corso via su una gazzella. Nemmeno dei carabinieri puoi più fidarti. Mah. E ora dimmi Michè, papà come sta?”.
Michele rumina la sua focaccia. Va giù ma non ne sente il sapore. C’è qualcosa di stonato in quello che gli ha raccontato il panettiere, qualcosa non quadra. “Sta bene, grazie” mormora distrattamente uscendo dal negozio seguito dagli sguardi sorpresi dei fornai. Non ha salutato né tanto meno pagato. “A Michì io segno è, segno!”  gli grida il fornaio dietro.
Mentre cammina in trance, Michele riflette fino a che un pensiero gli rimbalza nel cervello: e se quello picchiato fosse Diego? Sulla spiaggia dei pescatori, la stessa dove quasi fan fuori lui. Diego. E il carabiniere scappato Alfredo, quel fottuto bastardo di Alfredo! La focaccia cade a terra mentre Michele ha uno scatto e fa per lanciarsi nella caserma, ma si blocca: non gli direbbero mai niente, figuriamoci, anzi, magari lo fermerebbero anche. No, è in ospedale che deve andare, lì qualcosa gli diranno, passerà dal pronto soccorso, dirà che sta cercando il suo amico, che non lo trova, qualcosa farà. Corre ora Michele, come se avesse le ali ai piedi. Non piove più, qualche stella sta timidamente uscendo nel cielo, ma per Michele è buio. Buio pesto.

Camporeale e Doria stanno interrogando i due pescatori; nell’angolo un giovane agente scrive a macchina il rapporto. Il ragazzo ha lo sguardo allucinato a sentire quello che questi raccontando.
Quei miseri resti erano Diego, quell’agente così carino, serio. La faccia di Camporeale è affranta: i due uomini spiegano con dovizia di particolari com’era il carabiniere che dopo aver sparato, si è gettato di corsa dalla spiaggia alla macchina di servizio. Ma chi è? Chiama il piantone e gli dice di controllare le auto in garage: dopo poco gli risponde che ne manca una, la 26, ferma perché aveva qualche problemino al motore, doveva essere revisionata.
Doria si prende la testa tra le mani: la descrizione che hanno dato del carabiniere è fin troppo precisa. Uno dei due pescatori si è proprio trovato faccia a faccia con lui. Doria e Camporeale si guardano, ma non hanno il coraggio di fare il nome del collega, l’unico che manca all’appello.
Congedati i due testi, Camporeale si alza e comincia a misurare il perimetro dell’ufficio camminando avanti e indietro, mentre Doria mormora: “Non ci posso credere, non può essere lui” Camporeale si ferma a guardarlo: “Eppure non è qui, nessuno lo ha visto e manca anche una macchina. Doria, che facciamo?”.
“Non so Maresciallo. Ma la polizia bisogna avvisarla”
“Bisogna avvisarla di cercare una gazzella numero 26!” rabbioso con una manata afferra l’apparecchio.
Un’ora più tardi a Gaetano viene comunicato che è stata rinvenuta l’auto dei carabinieri mancante, in una radura isolata tra Bisceglie e Trani, con a bordo un cadavere. E quel cadavere è vestito da carabiniere. Quel cadavere è Alfredo Ferrero.
Il Maresciallo e l’appuntato si precipitano in macchina e si recano nel luogo del ritrovamento. Terminata la statale, imboccano una stradina sterrata e le ruote sgommando lasciano dietro un fitto pulviscolo bianco. Le auto dei carabinieri accompagnate si arrampicano sulla collina, stretta tra i muri a secco e roghi. L’auto, già accerchiata dalle pantere della polizia, si trova tra la fitta vegetazione, in piena campagna. Non ci sono abitazioni, al massimo qualche trullo incustodito. Sotto, il mare sembra lontano, un tutt’uno con il cielo blu e le stelle brillanti.

Alfredo Ferrero si è sparato un colpo al cuore con la pistola di servizio. Sul sedile del passeggero, macchiata da qualche schizzo di sangue, una lettera. Non toccano niente, non possono toccare niente. Prima dovrà passare il reparto scientifico per i rilievi, saranno già in arrivo da Bari. Camporeale si allenta la cravatta e, respirando pesantemente, si allontana dietro un muretto e vomita. Vomita anche l’anima, mentre Doria si piega in due, appoggiato al cofano dell’auto 26, le mani sul viso a coprire le lacrime.

1 commento:

  1. Eccomi a commentare questo fantastico ma terribilmente triste capitolo. Dovevo metabolizzare il tutto prima di farlo. I nostri due ragazzi stanno affrontando davvero un momento terribile. Diego tutto pesto ed incosciente su un letto d'ospedale e Michele in ansia per le sue sorti. Il suo cuore gli dice che gli è successo qualcosa infatti si ritrova prima alla caserma e poi in ospedale. Ora sono separati da qualcosa più grande di loro, ma Michele come spinto da una forza invisibile si sta avvicinando a Diego e presto saranno di nuovo uniti. Una cosa non capisco del capitolo precedente, perchè quell'infermiera si è messa in tasca il suo anello?

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