giovedì 13 giugno 2013

Sui gradini di San Francesco, settima puntata



Titolo: Sui gradini di San Francesco
Autori: Annina         
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica.



VII Capitolo

Non ha voglia di tornare in casa, gli sembra di soffocare al solo pensiero. Si incammina e raggiunge i gradini di San Francesco, sperando di trovarvi almeno Gaetano o Fabio, ma non ci sono. C’è solo Fabri in compagnia di un ragazzo che Diego non ha mai visto prima. Fabri lo vede e lo chiama: “Oh Diego, sei solo stasera? Il tuo ragazzo ti ha lasciato?” Diego lo picchierebbe volentieri, ma fa finta di niente e si siede lì accanto, sempre sperando nell’arrivo degli amici.
“Non dirmi che Michele è partito per la Puglia e ti ha lasciato qui da solo! Non ci credo! Che stronzo!” lo guarda con un ghigno antipatico.
“Piantala Fabri. Certo che è andato in Puglia e io lavoro, non ci posso andare quest’anno. Non potevo certo chiedergli di non partire”.
“No certo, doveva arrivarci da solo. Forse non ti ama così tanto come sembra no?”. L’altro ragazzo ascolta in silenzio, curioso.
Diego si azzittisce: l’ha pensato anche lui, sono giorni che pensa la stessa cosa. Se mi amasse resterebbe, se mi volesse davvero bene non mi abbandonerebbe qui, non ora. L’ha pensato, certo ma poi si è detto che non può, che Michele è un bravo ragazzo attaccato alla sua famiglia. Sente le lacrime che pungono dietro agli occhi, ma non vuol dare a Fabrizio la soddisfazione di vederlo piangere, non è più un bambino.
Nel frattempo il ragazzo ha rollato una canna e la passa a Fabri che l’accende, fa un paio di tiri e poi la passa a Diego, che non si fa pregare.
Fabrizio si rivolge al ragazzo nuovo: “E’ buona ‘sta roba Nicola, va bene. Hai portato anche il resto?”. Nicola annuisce e gli passa un pacchettino di stagnola. “Vuoi provare anche tu? Diego vero ti chiami?”. Diego annuisce: “Sì, Diego. Che cosa dovrei provare?” lo guarda curioso.
Fabri guarda Nicola con un sorriso bieco, poi si rivolge a Diego: “Dai prova. Io la sto usando da un po’ e sto da dio. E’ brown”. 
Diego rimane a guardarlo con gli occhi spalancati: “Eroina? No, sei fuori! Con quella roba ti ammazzi!”.
“Macchè Diego sveglia! Ti puoi gestire benissimo; poi non c’è bisogno di bucare no? La puoi sniffare. Dai prendi” apre un pacchettino minuscolo e divide in due la polvere. Metà la sniffa lui, e porge il resto a Diego che cerca di resistere. Poi si sente così male, così solo che pensa che per una volta ma sì, lo farà. Solo per stasera, per tirarsi su. Prende la stagnola e guarda la polvere nocciola, poi guarda Nicola.
“Certo che bucando è molto più bello, non potete immaginare la differenza. Ma per stasera fate così, domani ve ne riporto se volete, e vi posso procurare anche le siringhe”. Fabri gli schiaccia l’occhio mentre Diego pensa ancora solo per stavolta, poi con una rapida sniffata si aspira tutta la roba. Il gusto amaro all’inizio lo schifa, ma l’effetto si fa sentire subito. Si ritrova calmo, non sereno ma calmo. Si corica sui gradini e osserva tranquillo il viavai delle persone che passeggiano. Fabri lo guarda col solito astio, ma Diego non se ne accorge.
Nessun’altro degli amici si fa vivo e verso mezzanotte Diego si tira su a fatica dai gradini per tornare a casa. “Oh Diego, ti fai vivo domani? Noi andiamo fin giù al Trifoglio, se vuoi venire con noi. Alle nove qui”. Diego fa un sorrisino e annuisce: “Vedrò. ‘Notte”.
Diego lentamente si allontana e arriva a casa. Salendo le scale sente che vorrebbe essere ovunque ma non lì. Con un sospiro infila le chiavi nella toppa ed entra in casa. La zia seduta davanti alla tv, lo apostrofa subito: “Diego, dovremmo parlare noi due…” ma lui le fa un sorrisino passa oltre e si chiude in bagno.
Si guarda allo specchio: che occhi strani, enormi. Belli però. Poi pensa che no, quelli di Michi sono più belli.
Quando poco dopo si butta sul letto prende il cuscino dove dorme di solito Michele, se lo stringe tra le braccia e sospira: è sicuro di sentire il suo profumo. Riesce a non piangere, pensa che quella roba è veramente buona, fa stare bene. Ma non la prenderò più, Michele mi ucciderebbe se lo sapesse. 
La mattina seguente a colazione non può fare a meno di scontrarsi con Viola, e ora tutto l’effetto benefico di quel che ha preso la sera prima è svanito. 
“Senti Diego, dovresti andartene, trovarti una casa e andare, e lasciarmi in pace, non posso continuare a convivere con te, soprattutto adesso, non ha più senso”.
Diego la guarda stranito: “Ma sei fuori? Ma dove vuoi che vada? E poi vattene tu, questa è anche casa mia”.
La zia comincia a urlare: “Casa tua un cazzo! Ma cosa credi che ti lascerò restare ancora per molto? Scordatelo! Troverò un modo vedrai se non lo trovo!”.
“Ma sticazzi” Diego ingolla il caffè scottandosi, prende una manciata di biscotti e se ne va sbattendo la porta. Attraversa senza guardare rischiando di esser messo sotto dall’autobus. Ormai è un’abitudine. Pensa a Michele, al giorno che lo aveva aspettato fuori dall’Accademia, la sorpresa, la gita in campagna, l’amore tra i pioppi lungo il Po. Sgranocchiando un biscotto decide di andare a piedi al negozio, tanto non è lontano e ha voglia di muoversi. Michele non ha telefonato. Forse dovrebbe farlo lui, tanto non sarà andato a letto, sarà là con tutti gli zii e i cugini a festeggiare l’arrivo. Gli torna il magone. Fruga nella borsa alla ricerca di un gettone e poi si guarda attorno, cercando una cabina. Un gettone non basta di sicuro, ma il distributore non funziona naturalmente. Fa niente, basta sentire la sua voce: fa il numero e resta in attesa. Al quarto squillo risponde proprio Michele: “Diè, sapevo che eri tu! Come stai piccolo?”. E’ così lontana la sua voce: “Bene Michi, bene. Tutto a posto tu? Il viaggio?”. “Bene sì. Sai che…”. Finito. Un gettone non bastava, lo sapeva. Adesso è quasi peggio, avrebbe voluto chiacchierare un po’ con lui. Lo farò stasera. Ora non ha più voglia di andare a piedi, si ferma ad aspettare l’autobus.
Tornando dal lavoro si compra un pezzo di focaccia e si chiude in camera sua a mangiare. Viola non c’è, ma non vuole rischiare di incontrarla, dovesse tornare.
Passa la giornata ad ascoltare musica nella sua stanza, intristendosi sempre di più. Prova un paio di volte a chiamare in Puglia, ma nessuno risponde. Fabio è andato a casa dei cugini in montagna e per due settimane non ci sarà. Chiama Gaetano, chiama Danilo, non trova nessuno. Dove cazzo sono finiti tutti. 
Alle otto sente rientrare Viola, quindi si veste ed esce velocemente. Pensa che non potrà andare avanti per molto in questo modo. Arrivato sui gradini trova Fabri e Nicola che lo aspettano. “Gli altri?” chiede Diego. 
“Non vengono han detto. Se vuoi ci siamo noi due, sennò vedi tu”. Con un po’ di riluttanza Diego li segue: non ha voglia di sedersi in piazzetta da solo, ma non si sente nemmeno a posto con Fabri. Con l’auto di Nicola si dirigono verso la discoteca, a una mezz’ora dalla città. Nel parcheggio Diego fa per aprire la portiera, ma i due lo fermano: “Cazzo fai, aspetta un attimo. Noi ci facciamo una pera, sei con noi?”.
Diego scrolla la testa: “No, no, io non me la sento”.
“E dai cazzo, sta’ in compagnia no? Dai” Fabri e Nicola intanto si danno da fare a sciogliere la roba in un cucchiaio, e ne tirano due centilitri per ogni siringa. Fabri si gira verso Diego e gliela porge: “Tieni, è già pronta. Sai come fare no?” quindi si fa la sua iniezione. Diego lo osserva perplesso, poi alza le spalle: massì, cos’ha da perdere? Per una volta poi. Almeno mi farà stare bene. Con la sciarpina si stringe il braccio magro, dove però le vene sporgono già ben visibili. Ci vuole un po’ a decidersi a far entrare l’ago, ma alla fine ce la fa, ed è fortunato, è subito in vena. L’effetto sale subito: Diego sente un gran calore che sale, una bella sensazione che prende alla nuca e poi alla testa. Si appoggia al sedile, non è sicuro di potersi reggere subito in piedi. “Bel flash, vero?” chiede Nicola sorridendogli. Diego annuisce, quindi scende e segue gli altri verso il locale, con le palpebre un po’ pesanti e un sorriso leggero sulle labbra.
La serata scorre via liscia, incontra vecchi amici, conosce gente nuova ed è in uno stato di grazia. Solo quando tornati a casa Fabri gli comunica che il giorno dopo non ci sarà, gli prende l’ansia. Nessuna voglia di rivederlo, certo, però… “Bene, ci becchiamo in giro allora” fa Diego, avviandosi verso casa.
Il giorno dopo, domenica, Diego non si sveglia che a mezzogiorno. Sente la zia trafficare in cucina, e decide che non si muoverà dalla stanza finchè lei non uscirà, anche se vorrebbe telefonare a Michele. Da un’autoradio che passa sotto casa Stevie Wonder canta Master Blaster. Inspiegabilmente lo infastidisce, mentre solo la sera prima gli era sembrata così bella. Ieri sera tutto sembrava più bello. E Michele non chiama. Chiude i vetri nonostante la temperatura torrida, accende la radio e si ributta sul letto. La malinconia comincia a serpeggiare in lui, e nemmeno a farlo apposta la radio gli propone Firenze di Ivan Graziani. Il groppo che gli stringe la gola sembra volerlo strangolare; si gira e soffoca i singhiozzi nel cuscino. Si sente troppo solo, è troppo solo e non sa come reagire. Sente la porta chiudersi, la casa finalmente è libera. Si alza mentre le lacrime continuano a scendere e va a farsi un bagno, sperando che lo rilassi, ma non ha un gran successo. 
Si attacca al telefono e riprova a sentire gli amici, ma non è fortunato nemmeno oggi, nessuno risponde men che meno Michele. 
Cazzo Diè, stan tutti aspettando te. Va in cucina ma non ha fame, si fa un caffè e prende un biscotto dal pacchetto. 
Ormai sono le sei: Diego è combattuto se uscire a fare un giro o se restare in casa ad aspettare la chiamata di Michele. Alle otto dopo aver riprovato a chiamare inutilmente, si veste ed esce sbattendosi la porta alle spalle.
Arrivato in piazzetta non trova nessuno sui gradini: a questo punto sperava almeno nella presenza di Fabri, che non è certo suo amico, ma in questi giorni è stato comunque utile per svagarsi un po’. 
Si siede e si guarda attorno: poca gente, probabilmente sono tutti a cena. Cosa ci faccio qui? Sta per alzarsi e tornare a casa quando sente la voce di Gaetano che lo chiama: “Diego! Oh! Allora come stai? Michele ti ha chiamato?” gli dà una pacca sulle spalle e lo guarda attentamente: “Sei pallido. Ti ho chiamato ieri sera, oggi siamo andati al fiume, speravamo che venissi anche tu, ma non ti abbiamo trovato. Laura ha riprovato stamattina, ma tua zia ha detto che non c’eri”.
“Che stronza! C’ero eccome, ero a letto, sono stato a letto fino a un’ora fa. Mi spiace, sarei venuto volentieri. Anch’io vi ho chiamati tutti in questi giorni, ma non vi ho mai trovato” Diego si ributta a sedere sui gradini, mentre Gaetano gli si inginocchia accanto: “Che c’è che non va? A parte il fatto che Michele è partito dico”.
Diego scrolla la testa scontroso: “Non c’è niente. Cioè… niente”. In quel momento arrivano anche Danilo e Laura che si siedono accanto a loro. Diego si sente un po’ meglio, sentiva il bisogno della compagnia degli amici, quelli veri. Danilo prende subito la parola: “Senti un po’ Diego, è vero che in questi giorni sei uscito con Fabri? No perché gira ‘sta voce; a me sembra strano ma tutto può essere”.
Diego non risponde, mentre Gaetano rimane stranito: “Davvero Diego? Sei uscito con Fabri? Ma sei scemo? Lo sai o no che strada sta prendendo quello? E poi non ci sei mai andato d’accordo”.
“Sì ci sono uscito, e allora? E’ vero che mi è sempre stato sulle palle, ma in questi giorni guarda caso, c’era solo lui qui, e a me non andava di restare da solo, va bene? Poi sono cazzi miei” Diego incrocia le braccia e si appoggia al muro della chiesa ad occhi chiusi.
Danilo e Gaetano si guardano mentre Laura annuisce: lei l’aveva detto a Danilo di chiamare Diego, che era in una situazione di disagio sicuramente, ma lui si era dimenticato. 
“Va bene Diego hai ragione, siamo stati degli idioti, avremmo dovuto stare con te in questi giorni, ma è andata così; comunque adesso mi fai il piacere con quello non ci esci più. Lo sai o no che è dentro un giro che non va neanche un po’ bene?” Gaetano gli scrolla una spalla con decisione.
Questo fa solo arrabbiare di più Diego, che già si sente in colpa per essere stato tanto stupido da prendere quella roba da Fabri: “E Michele? Sono due giorni che non si fa sentire. Non solo è partito…” vorrebbe mordersi la lingua, non vuole che gli amici pensino che ce l’ha con lui perché se n’è andato lasciandolo solo.
“Beh, ma cosa pretendevi che facesse? Che rimanesse qui e lasciasse andare i suoi da soli nonna compresa? E poi lo sai che scende solo in estate a salutare i suoi parenti. Dai Diego, ragiona” Gaetano gli parla calmo ma deciso, col solo risultato che Diego si alza di scatto: “L’ultima cosa di cui ho bisogno è una predica Tano! Vi saluto, è meglio se torno a letto. Era meglio se ci restavo a letto” si allontana velocemente lasciando gli amici stupiti, mentre Laura lo rincorre e gli prende il braccio, fermandolo: “Diego ascoltami, non fare così, loro volevano solo…”.
“Non ho bisogno nemmeno di una psicologa Laura, ti ringrazio. Non ho bisogno di niente, va bene?” si toglie di dosso la mano della ragazza, poi con uno sforzo le sorride: “Scusa Laura, sono un po’ teso ma non ce l’ho con te. Grazie per il sostegno comunque” le fa ciao con la mano e se ne va.

Laura torna dai ragazzi e li aggredisce: “Ma siete scemi? Lo evitate per due giorni e poi lo trattate così? Con quello che ha passato Diego, il minimo era che proprio adesso che Michele è partito voi passaste ogni momento libero insieme a lui senza fargli delle menate. Che poi anche Michele… poteva per una volta restare qui, non gli costava niente. No Gaetano non guardarmi così, è il tuo amico, ma ha sbagliato. Il suo ragazzo aveva bisogno e lui l’ha abbandonato. Punto”.
Gaetano e Danilo non ribattono, anche loro in fondo la pensano come Laura riguardo a Michele; per il resto se non si sono trovati è stata solo una serie di circostanze sfortunate. Si siedono sui gradini ma non parlano nemmeno, la serata è rovinata ormai.
Diego arriva sotto casa e vorrebbe già tornare sui gradini, ma non se la sente di affrontare altre prediche. Sente un rumore alle spalle e si gira spaventato, trovandosi faccia a faccia con Nicola. E’ bello Nicola e sempre molto gentile, ma non sa perché gli piace anche meno di Fabri, il suo sguardo soprattutto lo inquieta.
“Ciao Diego, sono stato dai miei amici e uscendo ti ho visto. Ti serve qualcosa? Fabri non c’è stasera, ma se vuoi io ne ho da darti”.
Il respiro di Diego accelera: quasi quasi… almeno si tirerebbe su di morale, la serata è stata ancora peggio della giornata. “Va bene, ma non ho soldi con me, devo salire a prenderli”.
“Non ti preoccupare, me li darai domani. Tieni per quattro anche cinque volte qui ne hai, fanno cinquanta”. Gli allunga una pacchettino di stagnola che Diego afferra infilandolo subito in tasca. 
“Va bene Nicola grazie. A domani allora”. Nicola lo abbraccia e si allontana lungo la via, lasciando a Diego la sensazione di aver abbracciato Giuda. 
Sale e si porta in camera il necessario per la preparazione: cucchiaio, limone come gli ha spiegato Fabrizio. Sentendosi in colpa infila l’ago e preme lo stantuffo, quindi si butta all’indietro sul letto. 
Passato il flash passano anche i sensi di colpa. Si rialza e sistema tutto quanto in una scatola nell’armadio, poi va in corridoio e prova a fare il numero di Michele. Risponde la zia, Michele è già uscito, deve dire qualcosa? 
Diego ringrazia e riattacca. Senz’altro ha chiamato prima quando lui era fuori. Non sta bene come la sera prima oggi. Non va proprio niente per il verso giusto. Va a letto e se non altro si addormenta subito.

3 commenti:

  1. No, no, non mi piace per niente l'avviata che ha preso il racconto. Diego non può essere così incosciente e cominciare a drogarsi. Michele torna presto altrimenti non so cosa gli può succedere. Mio dio che magone.

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    1. Sì Ale ma lo ha fatto invece! No, beh, ma come ragiona? Brutte compagnie. Io speravo che almeno questo Nicola portasse un po' di brio, in assenza di Michele, invece porta solo rogna. Io sono contraria alle dipendenze, qualsiasi, figurati all'eroina che ha tenuto a bada una generazione, forse anche due diciamo. Bisogna essere proprio a terra, o molto influenzabili, o tutte e due le cose. Non giudico però ti viene da dire: ma se non vuoi bene a te stesso, almeno non farti male per chi magari di bene te ne vuole. E più che spaventarmi Nicola, mi spaventa quella acida della zia Viola che è più pericolosa di una spacciatrice. No, davvero ha preso una brutta piega... ora bisogna capire come uscire fuori dal tunnel...

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    2. A volte non si ragiona, a volte si è giovani e non ci si pensa, a volte le cose capitano e basta. E qui stiamo parlando di giovani, con tutte le problematiche del caso. L'eroina scoppiò negli anni '80, e continuò nei '90 portandosi via molti ragazzi. Non condannabili secondo me, probabilmente i migliori, i più sensibili. Ma tanti ne son saltati fuori per fortuna. Abbiate fede.

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