sabato 1 giugno 2013

La croce sul petto, capitolo 1

Titolo: La croce sul petto
Autore: giusipoo     
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Drammatico/Romantico/Introspettivo/Grottesco/Erotico
Rating: PG, slash, NC 13
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica.

9 mesi circa più tardi...



Fuori piove e Diego non ha nessuna voglia di alzarsi. Dovrebbe, perché il locale che gestisce insieme a Loris, suo socio, è da qualche ora scoperto. Ci hanno piazzato un bengalese che è sì in gamba, ma non è lo stesso. Gira la testa e guarda il suo compagno stravaccato accanto a lui. Dopo una partita alla Wii, due birre e una navigata su internet, si è buttato al letto. Hanno parlato lui e Loris, si sono accarezzati un po’ ma non hanno fatto l’amore. Sono quasi le otto di sera, è ora che uno dei due si muova, appuri che al Luky Ville vada tutto bene, come conferma il silenzio dei rispettivi cellulari. “Vado io Lò, mi sono stufato di stare in casa a sentire il rumore della pioggia”
“Ma in bicicletta Diè?” Loris fa una smorfia. Stava quasi dormendo. “Ti accompagno io” Diego non può guidare per un po’. La patente gli è stata sospesa per aver superato di tanto un limite di velocità. Un mese di stop. E mancano ancora diciotto giorni. Ma a lui non importa, preferisce la bici, soprattutto per evitare il traffico che a Roma, sopratutto a quell’ora, lo rende particolarmente claustrofobico. E lui un po’ ne soffre di claustrofobia. Invece in bici si sente libero, si sente che non può accadergli niente di spiacevole, anche se piove. Si godrà le gocce d’acqua, qualcuno lo prenderà per pazzo. “Le cose vanno bene, potremmo comprare uno scooter” Loris glielo propone accarezzandogli i capelli indisciplinati e infilandogli una ciocca dietro l’orecchio. “No, non sono da scooter io. Tanto tra una ventina di giorni potrò guidare di nuovo, se proprio mi serve la macchina. E poi non pioverà sempre no? A Roma non piove mai” pensa alzandosi e poi affacciandosi alla finestra. Gli piace vivere là, lontano dalla sua città di origine. Si sente protetto nella grande metropoli, uno dei tanti. Un numero. Dopotutto cos’è un orfano se non un numero? Un errore nel sistema... così lo definì il suo primo avvocato, per un furtarello quando aveva quindici e mezzo. Diego si rende conto che sta pensando, che sta pensando troppo. Mentre adesso deve vestirsi, procurarsi un kway e andare nella loro sala giochi per l’incasso giornaliero. “Faccio una pasta Diè, torna presto che così per quando torni te la scodello bella fumante nel piatto”
“Spaghetti alla chitarra per me!” Risponde ed è già sul ciglio della porta della loro stanza. Ma poi si ricorda che quello sdraiato sul letto è il suo ragazzo, anche se a volte si sentono amici, quasi fratelli e basta. Due che convivono. Allora torna dentro, sale sul letto e gattonando lo raggiunge, lo abbraccia e lo bacia. Lo seppellisce di bacetti. “Basta dai! Pare che non ti dovrò vedere più sgorbietto!” “Il tuo sgorbietto potrebbe essere colpito da un fulmine, che ne sai?” “Oh finire sotto un autobus! Stai attento!” Diego sorride, felicissimo di sentirlo così apprensivo e dopo un ultimo bacino a fior di labbra se ne va.
Fuori per fortuna sta spiovendo. Se continuava il temporale non avrebbe sul serio preso la bici. Ma quattro gocce ancora le fa e coperto nel suo giubbino si addentra per Centocelle. È un peccato che li non sia come a Torino, non ci siano i portici dove coprirsi un attimo o addirittura sfrecciare tra i passanti, come faceva qualche volta da ragazzino. Troppo tempo è passato, troppi anni gli sembra. Lui, di anni, ne ha solo ventiquattro però.
Ormai manca poco alla sala giochi e deve solo attraversare la Palmiro Togliatti. Peccato che un autobus da lontano lo punti. Forse l’autista era distratto, magari da qualche signora inopportuna che chiede informazioni, o da qualche turista sempre inopportuna. Non si sa com’è ma Diego, per sfuggire al mezzo Atac, è costretto a deviare all’improvviso per via dei Pioppi dove sta sopraggiungendo una Punto che lo prende di striscio. E si ritrova riverso, privo di coscienza sull’asfalto.
Quando si sveglia Diego non è più a Centocelle ma pochi chilometri dopo, al pronto soccorso del Policlinico Casilino. Le prime parole che sente dire sono: “Dobbiamo fargli la tac... a ti sei svegliato, come va, dormito bene?” Confuso, Diego annuisce allo sconosciuto di cui vede soltanto la barba dietro gli occhialetti e la cuffietta bianca che raccoglie i capelli. “Allora? Quante sono queste?” gli mostra due dita. Meccanicamente il contuso risponde che sono due. “E tu ti chiami Diego Perrone, sei nato nel millenovecentottantanove a Torino? E di professione fai il carpentiere?”
“Sì... sì sono io” risponde tremante. Smessa la voce ironica, l’internista gli aggiusta i capelli indisciplinati come se fosse un bambino. “Tranquillo, hai un bel bernoccolo e hai dormito una mezz’ora. Vediamo se la tua zucca è ancora apposto, se mai prima lo fosse”.“Cosa mi è successo? Ricordo solo di essere stato investito”. “E sei caduto dalla bicicletta” poi si rivolge a due colleghi, ma un attimo dopo l’attenzione è di nuovo per Diego. “Io comunque sono Michele. Ecco, mi rendo conto che è stato un modo un po’ caotico di conoscerci il nostro, ma vedo che anche tu sei di Centocelle dunque abitiamo vicini Diego, e dimmi, mentre aspettiamo che ti vengano a prendere per la Tac, ti va di raccontarmi perché un torinese vive a Roma?” Preso alla sprovvista risponde vago: “Non lo so... è un caso!” Diego non vorrebbe farsi vedere confuso perché non lo è affatto, è che proprio non gli va di raccontare la storia della sua vita a un dottore sconosciuto, proprio no. Non gli piace essere giudicato, dagli sconosciuti specialmente. Dovrebbe dire, se fosse sincero, che dopo essere stato affidato ai servizi sociali, è scappato dalla casa dei genitori affidatari, ha rubato per non morire di fame. È entrato in un brutto giro di spacciatori e è finito in un riformatorio nella capitale. Ecco come ci sono finito a Roma. “Va bene torinese, non ti preoccupare, veniamo a domande più importanti: sei allergico a qualcosa? Farmaci o, non so... uova!”.“No, no, niente...”.“Operazioni importanti?” Il medico lo vede sbiancare e poi toccarsi il petto. “Trapianto di cuore, da bambino”
Il medico lo conforta sorridendo come se avesse rivelato un’appendicectomia: “E con il nuovo come va? Meglio del vecchio immagino, se vai pure in bicicletta!”.“Sì, certo, faccio tutto praticamente. Va bene. È il mio cuore” lo dice quasi a giustificarsi, guadagnandosi così una carezza.
“Posso chiamare qualcuno? I tuoi genitori, la tua ragazza”.“Sì, sì grazie. Loris, fammi chiamare lui” Diego fornisce il numero del cellulare del suo compagno e subitamente Michele lo gira ad un’infermiera, la quale promette che lo farà chiamare entro poco. “Ora devo lasciarti Diego. Hai avuto il tuo momento di gloria, ora devi lasciare spazio ad altri pazienti. Tu resta qui immobile e se ti viene da vomitare o qualsiasi altro sintomo tu avverta, chiamami o chiama qualcuno, ok?”.“Va bene, grazie... grazie” ripete Diego stiracchiando un sorriso ammansito. Gli è simpatico quel dottore, a pelle. Certo non vorrebbe trovarsi là, ma, tutto sommato, si sente a suo agio in quel pronto soccorso. Non ama gli ospedali, ovviamente no, visto che ci ha passato metà dell’infanzia, ma il pronto soccorso, dove ci sono tutte quelle persone accoglienti che si prendono cura di quei danni subiti per incuranza o per disgrazia, per qualsiasi motivo, quel lungo gli sembra a sé, come se non facesse veramente parte dell’ospedale. Come se lì si passasse per sostare un po’ e poi andare via. E poi lui degli ospedali ricorda soprattutto pareti dipinte con elfi del bosco, fatine e maghi, clown che rallegrano i bambini. Lettini colorati e le facce scure dei genitori. Lui solo di sua madre. Poi l’operazione, il cuore di un altro. Un bambino di nove anni che ricomincia con in petto un cuoricino tutto nuovo, di una persona morta però, come gli ricordava ogni giorno sua madre, tra una bevuta e l’altra. Tra un trascoloro e l’altro. Diego strizza gli occhi: troppa luce in quella stanza. Non fa bene al suo mal di testa. Si sente come dopo una sbronza. A causa della madre alcolizzata lui ha sempre cercato di non esagerare con l’alcol ma conosce la sensazione e poi Loris gli ha spiegato che se si passa un po’ il segno con il bere, si finisce per immunizzarsi. Bere distende i nervi, permette di vedere le cose con una lucidità che da sobri non  si ha. Permette di sopportare la paura. Di superare certi blocchi. Per fortuna che c’è Loris, che c’è stato sempre Loris... quante volte lo ha pensato Diego, quante volte si è chiesto cosa ne sarebbe stato di lui se il destino non avesse incrociato le strade di quei due ragazzini, chiusi in quel riformatorio per disadattati. Non si sono mai divisi, da quando Diego aveva sedici anni e Loris diciassette.
Chiude gli occhi ora Diego, basta pensieri, basta ricordi! Nel frattempo un dottore nuovo viene da lui e dopo la visita, aiutato da due infermiere, viene trasferito in barella in un altro reparto. Un attimo prima però di entrare in ascensore, intravede l’altro dottore, Michele. In quel momento è serio e contrito ma appena sente lo sguardo del giovane addosso, torna sorridente e gli fa un cenno con la mano, un sorrisino. È colto da un brivido Diego ora. Lo ha riconosciuto. Istintivamente si tocca il ciondolo che porta sempre attaccato al collo. È lui... è.... cazzo. Era accanto a me poco fa, ci parlavo ma non l’avevo riconosciuto! Si morde il labbro inferiore. L’infermiera prova a leggergli nel pensiero: “Te lo dovrai togliere per la tac, insieme anche al resto. I piercing possiamo coprirli ma il girocollo con la croce è meglio che lo togli”.“Non preoccuparti” aggiunge l’altra infermiera: “Ti verrà restituito tutto dopo l’esame” tornate a chiacchierare tra loro, finalmente l’ascensore giunge al piano. Dopo altri metri di corridoio Diego viene fatto scendere dalla barella con molta attenzione. “Spogliati dietro il separé e appoggia gli effetti personali nell’apposito contenitore”.“I documenti te li hanno già presi in accettazione, quando eri privo di conoscenza. Ora arriva il neurologo, stai tranquillo. Tra poco sarà tutto finito” Diego fa sì con la testa. Una volta dietro il separé si spoglia con fare timido. Non si può certo dire che abbia un buon rapporto con il proprio corpo: un po’ per via della sua scarsezza fisica, come la definisce lui. Così piccolino, magro, in un’epoca che predilige tutto ciò che è big. Uomini che mostrano muscoli pompati e sorrisi smaglianti. Anche il suo sorriso non è al massimo, ma in fondo a chi importa. Poi non si sente a suo agio per quel segno che ha sul petto, quella cicatrice che mai gli permetterà di dimenticare da dove sono iniziati tutti i suoi guai. La sua croce. Il cuore di un ragazzo morto che ha iniziato a battere dentro le sue ossa, annidandosi nelle sue cellule. Sono vivo grazie a lui... che ne è stato del mio cuore? Finito dentro una discarica per rifiuti ospedalieri, o dentro una teca per essere studiato. E mentre si accarezza la cicatrice un attimo, i pensieri si confondono: pensa che tutto sommato nessuno lo ha mai fatto sentire brutto per quel segno. Sicuramente non Loris. Lui che prima o dopo ogni momento d’intimità la bacia, l'accarezza. Lui che lo ha fatto sempre sentire la persona più bella del mondo, più importante del suo mondo. Lui, che malgrado i tanti momenti bui che la sua mente attraversa, resta sempre guascone e complice. Perché loro, prima che amici, soci e amanti, sono fratelli. Ora finalmente è pronto, nel suo buffo camicie di carta. Un’infermiera gli copre i tre piercing sul viso e poi lo invita a sdraiarsi in quella specie di carrellino. “Se hai un attacco di claustrofobia spingi questo pulsante” e gli sorride affabile.
Dura meno di venti minuti e quando viene riportato in pronto soccorso, di nuovo vestito, Diego viene raggiunto da Michele, il dottore che lo ha visitato per primo. È tornato per ragguagliarlo delle sue condizioni. “Per fortuna sei apposto Diego. Solo una leggera commozione celebrale, e siccome anche il tuo cuore è apposto, per stanotte ti teniamo qui in osservazione”. “Oh, io...” Diego è spaesato. Pensava che lo attendessero notizie infauste. In verità non riesce a smettere di pensare che Michele avrebbe potuto accorgersi del suo ciondolo, quando lo ha visitato. Quello che gli rubò la sera della sua prima ed ultima rapina a mano armata e di cui non ha voluto liberarsi. E se invece se ne è accorto? “Ah, dimenticavo: in accettazione è arrivato tuo fratello” “Loris, è arrivato?”“Lo faccio passare” prima di andarsene Michele gli assesta una leggera pacca sulla spalla: “In bocca al lupo Diego, e torna a trovarci ma sulle sue gambe, va bene?”.“Grazie dottore” e poi gli sfugge: “Devono ridarmi gli effetti personali”.“Non c’è problema, chiedo subito alla collega”.“Non si preoccupi” Diego si morde la lingua, pentito di ciò che ha detto. Se Michele scoprisse quel ciondolo, ricollegherebbe lui e Loris alla rapina e allora sì che sarebbero guai seri! Eppure c’è altro, altro che lo turba... quel ciondolo era di sua madre, ha chiesto che non gli venisse sottratto non per il valore economico ma perché era un ricordo. Io l’ho conservato perché non ho niente di mia madre io, niente... però non so, non so se è stato giusto. Diego è pentito di tutto. Prima di quel ciondolo rubare non mi sembrava poi un così grosso peccato. Qualcosa di malvagio. Ma quel ciondolo.... ora si rende conto. Quasi sarebbe tentato di parlarci, ora che lo guarda bene negli occhi, bellissimi e scuri. È un bell’uomo, un bel tipo. Dalla parlata non di Roma sicuro. Ma non riesce nemmeno a capire da dove, anche se qualcosa nel modo di parlare gli ricorda Loris. Che proprio in quel momento fa irruzione. “Diego” lo abbraccia, si abbracciano.


Michele resta a guardarli. Non sembra l’abbraccio tra due fratelli, e il bacio sulle labbra che si schioccano conferma che non lo sono sicuro. Una collega gli passa vicino e gli sussurra: “Proprio una bella coppietta gay”. “A me ha detto che era suo fratello”.“E sì, come no” lei ridendo se ne va.
Come attratto da una morbosità che non gli appartiene (Michele è uno che se li fa nel vero senso della parola, gli affari suoi) resta là da una parte a sentirli parlare, ma riesce a cogliere poco di quello che si dicono. L’autobus, la sala giochi che sì è tutto ok. Se resti qui tutta la notte io dormo qua fuori. Ma no torna a casa da Viola. Michele sospira. Chissà perché si sente geloso. Forse perché io non ho nessuno? Nessuno che si preoccupa per me. Nessuno che dormirebbe in sala d’aspetto per me. Poi scorge arrivare da lontano l’infermiera con gli effetti di Diego. “Aspetta, glieli porto io” come attratto da una forza invisibile, Michele non resiste e sbircia dentro la scatoletta. Sono quelle cose strane, un po’ magiche che ogni tanto succedono. E si ritrova tra le mani la sua croce. 

5 commenti:

  1. Siamo già in piena magia, ed è appena iniziato tutto: mi ci sono ritrovata avviluppata come in una ragnatela, e non avrei voluto uscirne. E io se tocco una ragnatela sclero di solito! Sai cosa? La coppia Diego/Loris fa una tenerezza immensa, Michele solitario anche di più: lo so già che comunque vada, dovrò avere a tiro la scatola dei kleenex.

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    1. è tutto un work in progress ma la tematica di per sé è bella pesa... ma tu i kleenex tienili sempre a portata di mano... ;)

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  2. Noooo, non puoi far finire il capitolo così. Sadica! Bellissimo l'incontro tra Diego e Michele, si vede che c'è un'immediata sintonia tra loro. Erano destinati a rincontrarsi , forse per sistemare le cose o per iniziare una nuova amicizia. Peccato che Michele abbia riconosciuto il ciondolo, ma qualcosa mi dice che non denuncerà Diego, è rimasto troppo colpito da quel pulcino dagli occhi da cucciolo, teneri e bisognosi d'affetto. Il fatto che sia geloso di Loris lo dimostra ampiamente. Ti prego non farci attendere troppo con il prossimo capitolo, mi piace da matti

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    1. Grazie tesoro, spero di avere sempre tempo di andare avanti, non dovrebbe durare molto però!

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  3. Io sono qui in trepidante attesa. Sai quanto amo le cose che scrivi perchè ci metti tanta tanta passione e poi sono troppo belle. <3

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