mercoledì 9 aprile 2014
New fic!!!!!!!!!!!! Stella cadente
Titolo: Stella cadente
Autori: Annina, giusipoo
Pairing:
Diego /Michele
Davide/Gabriele
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo/Eros
Rating: PG,
slash, NC 13
Disclaimer: Non stiamo insinuando niente. Come sempre è tutto frutto di fantasia.
I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi solo per
ispirazione artistica.
“E dai Davie, cosa ti
costa? Da una vita non facciamo una vacanza, sempre chiusi là dentro a
lavorare, ultimamente non vuoi nemmeno più uscire la sera, sei una piaga. Lo
sai a che ora sei tornato stanotte? Alle due! E non perché ti sei andato a
divertire, perché hai dovuto finire a tutti i costi un lavoro. Non si può
andare avanti così” abbandonando la birra sul tavolino, Diego incrocia le
braccia, decisamente seccato e appoggia la testa al muro prendendosi i raggi
del sole sul viso.
Sono le due del
pomeriggio e l’astro splende in un cielo azzurro e pulito grazie al vento che
dalla mattina sta soffiando dalle Alpi. La splendida temperatura mite in quella
giornata è un invito a fare una passeggiata, magari sul lungo Po o nel parco,
invece ormai è ora di tornare ai rispettivi lavori, e gli occupanti dei
tavolini vicini a quello dei ragazzi si alzano e se ne vanno con aria
rassegnata.
Anche Davide è già in
piedi e guarda l’amico che ad occhi chiusi se ne sta ancora allungato sulla
sedia, il panino a metà e la birra pure.
“Diego, è tardi dai,
torniamo. Ne parleremo stasera ho delle cose urgenti e…”.
“No cazzo! Non c’è
niente di urgente e ne parliamo adesso! È da un’ora che te la meno e non mi hai
nemmeno dato una risposta decente, se non un ‘ma no, non possiamo’. Cosa non possiamo? Perché cazzo non
possiamo?” anche Diego si è alzato in piedi e ora è davanti all’amico con aria
bellicosa: gli arriva a malapena alla spalla e deve allungare il collo per
guardarlo negli occhi.
Il ragazzo del bar che
esce per raccogliere piatti e bicchieri li guarda ridendo: “Oh, che isteria
oggi voi due! Vi si sente discutere da dentro”.
“Impossibile, con lui
non si discute, in tre parole ti stronca qualunque idea” Diego torna a sedersi
e acchiappa il panino, mangiandolo rabbiosamente.
Paolo, il barista, amico
d’infanzia dei due, guarda Davide, pur non aspettandosi una risposta: lo
conosce bene anche lui e sa che Diego ha ragione: due parole e per lui
l’argomento è chiuso. Non perché sia arrogante, anzi, è la persona più alla
mano che conosca, e nemmeno perché gli piace far arrabbiare gli altri, ma non
ritiene necessarie le discussioni inutili: non si può, inutile parlarne ancora.
“Diego, se vuoi rimanere
fai pure, io vado perché ho tre computer da consegnare entro stasera; e
stanotte ho fatto tardi per sistemare il tuo giochino”.
Diego incassa ma
ribatte: “L’avrei fatto io stamattina, non c’era bisogno che facessi notte per
quello; e comunque il mio giochino come lo chiami tu, ci porta un bel po’ di
soldini in cassa, caro!”.
Davide alza gli occhi al
cielo nascondendo un sorriso, mentre Paolo, nel frattempo rientrato, torna
da loro con un vassoio e tre tazzine: “Guaranà per tutti, offro io. Adesso voi
due da bravi la piantate, perché conoscendovi ormai vi siete arroccati ognuno nella
propria posizione, così non ne uscite. Stasera vi aspetto qui a cena, vi
ricordate vero la cena vegana? Dai Diego non sbuffare vedrai che ti piacerà”.
“Come no, mi ci mancava
solo del becchime a cena per farmi stare bene. Oh va bene Paolo, ci vediamo,
grazie del caffè” Diego infila la mano nei capelli portandoseli nervosamente
indietro e si incammina, mentre Davide abbraccia Paolo e poi segue Diego: a lui
il becchime, come lo chiama Diego, piace, vive di pasta e insalata e poco
altro.
Anche Elisa è uscita dal
bar e insieme a Paolo guarda i due amici che si allontanano, Diego mani in
tasca e sinuoso, Davide lento e dinoccolato. Sorridono con tenerezza: “Quei due
vivono in simbiosi da una vita, e da una vita litigano almeno una volta al
giorno” fa Elisa finendo di sparecchiare. “Potrebbero sembrare una coppia di
sposi di mezza età, e invece sono una coppia di amici cresciuti insieme
dall’asilo e finiti a fare lo stesso lavoro”
“E il bello è che oltre
a lavorare insieme, convivono pure. Sono così carini” Elisa li guarda sparire
dietro l’angolo.
Paolo ride mentre
finisce di pulire i tavoli: “Sono carini, hai ragione, ma ti ricordi com’erano
vent’anni fa? Ti ricordi che cos’erano?”.
Elisa lo guarda male,
non sopporta che si parli male di qualcuno, e lui si risente: “No Isa, non li
sto prendendo in giro, non lo farei in loro assenza, ma dai, pensaci”.
Elisa raccoglie le
ultime tazze ed entra nel bar nascondendo un sorriso: non vuole darla vinta a
Paolo, ma sì che se li ricorda. Da due bimbetti secchi secchi e coi capelli
rasati, praticamente due gocce d’acqua, sono usciti due adolescenti
completamente diversi. Diego si era fermato a una statura appena ragionevole e
aveva continuato a rasarsi la testa, mentre Davide aveva raggiunto la
rispettabile altezza di un metro e novanta almeno e si era lasciato crescere i
capelli. Lunghi, scuri, ondulati. “Guarda che ti vedo che ridi sotto i baffi!
Gli stessi baffi sottilissimi e radi che Davide si ostinava a portare, sotto a
quel testone di capelli indisciplinati, crespi. Un cespuglio”.
Ridono tutti e due ora,
poi Elisa si riprende: “Beh, nessuno di noi era una meraviglia a quell’età. Oh,
va bene Paolo, loro erano proprio buffi, d’accordo”.
Paolo torna serio
ripensando a quegli anni: “Il fatto di essere anche gay non li ha aiutati di
certo. Li avevano tutti contro, e loro sempre in trincea, uno accanto all’altro,
chiusi, ripiegati su loro stessi. Per fortuna c’eravamo anche noi a difenderli”
scuote la testa pensando alla stupidità di certa gente, poi abbraccia Elisa che
si è intristita: “Coraggio cugina, tirati su e finiamo di sistemare, che c’è da
preparare il becchime” ridendo ricominciano a mettere a posto il locale in previsione
della cena.
Sono le sette di sera
ormai, e Diego e Davide stanno ancora lavorando alacremente. Non si sono
scambiati una parola per tutto il pomeriggio, Diego stavolta è proprio
arrabbiato con l’amico. Perché lui in vacanza ci vuole andare assolutamente,
lui deve andare. Assolutamente. Si sente talmente triste che gli occhi gli si
riempiono di lacrime. Davide, che ogni tanto lo guarda di sottecchi, vede i
suoi occhi farsi lucidi. E no, così non va, pensa. Non è soltanto una vacanza,
non si piange per una vacanza, c’è sotto qualcosa di diverso. Si morde la
lingua, vorrebbe chiedergli ma sa che se Diego non gliene ha parlato è perché
non vuole prediche da lui. Come può fare per scoprirlo? Ne parlerà stasera alla
cena, forse Elisa o la Vale, loro forse possono cercare di capire cosa si è
messo in testa Diego. Però non gli piace vederlo così triste, nemmeno un po’.
Gli si avvicina e si inginocchia accanto a lui, impegnato a sistemare la
ventola di un vecchio computer: “Piccolo, andiamo a prepararci dai, che Paolo
ci aspetta”.
Piccolo… solo Davide ha
il permesso di chiamarlo così, perché Davide è più che suo fratello, se glielo
dice qualcun altro si adombra, non dice niente e se ne va. Gli amici lo sanno,
gli è rimasta questa fissa di essere bassetto, e nonostante tanti gli abbiano
detto che non importa, che è carino così, poi insomma non è mica tanto piccolo,
niente da fare, per lui è un problema, se lo porta dietro dall’infanzia.
“Magari non vengo io
stasera, finisco di sistemare questo accidente di dinosauro, poi ho delle
magliette da fare, cioè dei disegni per delle magliette, e…” Diego si
azzittisce all’occhiata dell’amico.
“Andiamo Diè, vieni che
ci andiamo a vestire e poi andiamo a cena. Ti prometto che stasera riparliamo
di quella vacanza, va bene? Vieni” lo prende per mano e spente tutte le luci
del laboratorio, chiudono e percorrono pochi metri, fermandosi davanti al
portone della palazzina accanto. Al piano rialzato c’è il loro appartamento,
una casina arredata semplicemente, il loro rifugio da quasi otto anni. Davide
con un sorriso spinge Diego nella sua stanza e dopo essersi cambiato, torna in
salotto e lo ritrova vestito di tutto punto, seduto sul divano a gambe raccolte
e testa bassa. Ci siamo, lo sapeva che qualcosa non andava. Gli si siede accanto
e gli accarezza i capelli ancora umidi dopo la doccia. Ora Diego li porta
sempre corti, ma con un bel ciuffo sopra alla fronte che tutti gli amici
scompigliano appena ne hanno l’occasione.
“Dimmi cosa c’è Diego,
da oggi che penso che c’è qualcosa che non va, e ora ho la conferma, quando ti
siedi così a testa bassa, vuol dire che sei triste. Raccontami piccolo”.
Diego scuote la testa ma
gli si appoggia sulla spalla, in silenzio; Davide lo stringe forte, gli dà un
bacino sulla fronte, le labbra strette. Non sopporta di veder soffrire il suo
amico: “Diego, ma cosa c’è dimmelo”.
Diego tira su col naso e
solleva il viso a guardarlo: “Com’è che a noi non ci vuole mai nessuno Davie?
Cioè capisco io, ma nemmeno tu sei stato mai fortunato in amore. Non una vera
storia d’amore in quasi trent’anni Davie. Cosa c’è che non va in noi?”.
Davide aspetta un po’ a
rispondere, in fondo deve dargli ragione; passata la fase dell’adolescenza
dove, ricorda con un sorriso, erano veramente due strapennati, ora non si può
dire che siano malaccio, ecco. I suoi capelli si sono dati una calmata e ora si
appoggiano lunghi e morbidi sulle spalle, il fisico non era più così tanto
secco, non come a vent’anni almeno. E anche Diego è così carino ora, con i suoi
occhioni belli grandi, sgranati, la sua espressione dolce. Eppure non hanno
avuto nessun amore fortunato, almeno finora. Solo avventure da poco conto, all’inizio
giusto per testare che fossero davvero gay, e non una specie di amorfi
asessuati, poi per mere esigenze fisiche.
Ora Davide guarda gli
occhi di Diego ancora sollevati e gli sorride: “Che ne so Diego, magari abbiamo
avuto Saturno contro, e da domani tutto andrà meglio perché arriverà Venere a
darci una mano. Vedrai che arriverà qualcuno anche per noi piccolo, ma non devi
starci così male, siamo giovani Diè, abbiamo tempo”.
Diego si riaccoccola fra
le sue braccia senza aggiungere altro, sospirando. Davide lo tiene stretto, gli
massaggia piano la schiena e gli riempie i capelli di bacetti. Il suo amico è
fragile, lo sa, già in un paio di occasioni, quando due storie che Diego
sperava potessero diventare qualcosa di più che un flirt erano fallite, aveva
dovuto ricostruirlo pezzo per pezzo. Il suo Diego è un ragazzo dolce e lui gli
vuole un bene che supera l’amicizia, anche se non è amore. O comunque è un
amore diverso, ecco. Gli solleva il viso e lo guarda con una faccia buffa: “Dai
Diego, adesso ti tiri su che Paolo ci aspetta, vedrai che avrà preparato tante
cosine buone. Oh, non fare quella faccia incredula, ti piaceranno invece. Dai
piccolo, fammi un bel sorriso”.
Diego lo guarda serio
ancora per un attimo, apre la bocca per parlare ma la richiude e gli fa un
sorriso, non proprio gioioso ma tenero: “Lo sai che ti amo vero Davie? Ti amo
da morire, sei più di mio fratello, sei più di un mio amico. Peccato che non ci
siamo innamorati noi due, pensa come sarebbe bello. Che sfiga!”
Il sorriso adesso è più
allegro e Davide scoppia a ridere: “Hai proprio ragione amico, staremmo così
bene noi due. Ma che vuoi farci, noi siamo le orfanelle maltrattate delle
favole Diè, dobbiamo solo aspettare che arrivino i nostri principi azzurri a
salvarci”.
Diego ora ride davvero:
“Oh, ho in mente ben altro che un principe azzurro! Quello che voglio io non è
tipo da tutina di raso! Dammi un bacio Davide e andiamo a vedere cosa ci
propinano al Felix. E grazie che mi stai sempre vicino”.
Davide annuisce: “E come
farei senza di te? Sarebbe come non avere le braccia, o gli occhi o… andiamo
va’, che poi mi ti monti la testa” un bacio sulla bocca, un altro sorriso e,
biciclette sottobraccio, scendono in strada e pedalano verso il loro bar
preferito.
Stare con gli amici ha
aiutato Diego a non pensare per un po’, ma è durata poco. Già dopo cena, preso
l’Iphone in mano, sul viso del ragazzo è tornato l’alone di tristezza. Ora,
seduto di nuovo fuori dal Felix a godersi l’arietta fresca che lo ritempra,
dopo quella giornata di fine giugno decisamente estiva per Torino, una notifica
gli ricorda che l’amore della sua vita, quello che si è messo in testa sia
l’amore della sua vita, è a quindicimila chilometri lontano da lui che canta.
Non lo sa nessuno, persino a Davide lo ha nascosto, lui che ogni cotta che
aveva correva a sfogarsi con l’amico, ma prima con la Vale, che era sempre
prodiga di consigli. No, questa volta no, Diego ha preferito tenere tutto per
sé. Chiude gli occhi e rivive per la centosettantesima volta almeno, il momento
in cui lui lo ha abbracciato; un abbraccio assolutamente asessuale, fraterno,
dolce, privo di un secondo fine. Lo ha abbracciato perché lui si trovava là, al
concerto di quel cantante indie finito a Torino per caso, lui che vive a
Milano, anche se è pugliese e ha lasciato la sua calda terra di origine solo a ventidue
anni, per poi trasferirsi nella capitale meneghina a cercar fortuna, lavoro.
Diego sa tutto di lui tramite i social, il cantante che si fa chiamare con quel
nome buffo, Rezzacapa, ma il suo nome d’anagrafe è Michele e Diego pensa sempre
che sia un bellissimo nome, adatto a lui, come l’arcangelo, che sicuramente
sarà stato bello. Lui non è credente ma gli piace pensare che i protagonisti
del vangelo siano tutti belli. Lui vede sempre la bellezza negli altri, persino
in se stesso ogni tanto, ma sono di più le volte che si sente inadeguato.
Chiuso nel giubbino di tela leggero, Diego ripercorre gli avvenimenti che lo
hanno portato ad innamorarsi di Michele. Sette mesi prima, in una di quelle
serate che non vuoi uscire perché fa troppo freddo, e sei troppo stanco, e
Davide aveva pure un po’ di febbre, Elisa, Vale e Paolo lo avevano esortato ad
andare con loro a sentire il loro amico comune, Antonello, esibirsi ad un Arci
dove era possibile bere un cocktail decente a prezzo basso e ascoltare buona
musica. E siccome Diego ad Antonello voleva decisamente bene, aveva accettato
di lasciare a casa Davide per andare ad ascoltare l’amico chitarrista. Certo,
Antonello era strano, così come Enea il suo ragazzo, un po’ come tutti gli
artisti, lui che di artistico ha solo la passione smodata per il disegno che
poi lo ha portato a diventare creativo per una collezione di maglietta a tema renne,
renne non solo natalizie. Poi però ha anche aggiunto i tassi, le marmotte e ora
sta seriamente pensando di buttasi sui gufi, anche se gli sembra un tema già
abbastanza trattato. Ma a lui i gufi piacciono troppo, sono animaletti notturni
come lui. Diego ci andò quella sera all’Arci a sentire suonare Antonello, ma
poi arrivò un altro di quei cantanti sconosciuti che con una chitarra in mano,
dentro un maglione con le renne, devo
regalargli una maglietta..., e una cascata di ricci sparati in testa, il
pizzetto e gli occhi neri stupendi, ha iniziato a cantare le sue tarantelle in
pugliese. Rezzacapa quella sera riscosse quasi più successo di Antonello, più
successo di tutti, facendo intristire Paolo, Vale e Elisa, e sì, anche lui.
Però...
Diego, insicuro, dopo
aver lottato contro la sua proverbiale timidezza, si era avvicinato all’artista
sconosciuto per congratularsi con lui, e questi lo aveva abbracciato come se
fosse un amico, un fratello, o si trovassero in qualche raduno di comunione e
liberazione. Diego si era ubriacato del profumo di quei capelli che aveva
potuto annusare per un attimo, in punta di piedi, mentre si lasciava stringere
dall’omaccione alto, bellissimo, almeno secondo i suoi canoni. Se non fosse
stato sicuro di sciuparlo, il suo primo travolgente amore, durante la via del
ritorno avrebbe stordito gli amici su quanto era bello Michele, su come era talentuoso,
su come gli piacevano i suoi sorrisi, un po’ timidi e un po’ audaci, le sue
belle mani a strimpellare, la sua voce calda, la sua parlata pugliese. “Vi
aspetto a Milano ragazzi, non tornerò tanto spesso a Torino” aveva detto a fine
esibizione. E Diego, dopo aver piaciato ogni cosa trovata sui social di
Rezzacapa, aveva giurato a se stesso che sarebbe tornato da lui, a Milano,
avrebbe dichiarato il suo amore e poco importava se lui avrebbe riso di
quell’amore. Poteva morire con la coscienza a posto: ci aveva provato. Ma poi,
quando sembrava tutto deciso, al prossimo
evento, al prossimo evento mi prendo Davide e si va, si va a Milano, che vuoi
sia un’ora e mezzo di macchina, magari due, si va, si va. Ecco, quando
sembrava giunto il momento, giusto ad Aprile, Michele aveva annunciato di
essere stato contattato da un bellissimo resort in Madagascar, dove avrebbe
suonato le sue tarantelle ai turisti di tutto il mondo. Non si poteva mica
rinunciare a un’occasione così, pagato (e bene) per stare in vacanza tutto
l’anno, in un paradiso tropicale poi. Il cuoricino già compromesso di Diego,
per qualche secondo si era semplicemente fermato, il sangue si era fermato, il
cervello arreso all’evidenza: non era destino. Ora Michele sarebbe volato via
dall’Italia, e Torino – Andavadoaka non è certo Torino - Milano. Eppure, dopo
lo scoramento iniziale, anziché rassegnarsi, tra una foto condivisa e l’altra
di Michele in costume (causa di tante notti insonni e sogni sempre più audaci)
aveva iniziato a maturare la volontà di partire, andare da lui. Una vacanza in
quel resort, il Laguna blu. Perché no? Il costo non era poi così esorbitante,
almeno per uno che si guadagna un concreto stipendio e arrotonda con le
magliette vendute anche su Internet. Andando per tentativi, aveva provato a
parlarne con Davide; da solo mai, non ci sarebbe riuscito. Ma Davide sembrava
irremovibile. Almeno fino a quella notte, a casa loro, dopo la cena vegana.
“Allora, prendi quel
catalogo. Laguna blu. Il posto è fantastico, ma sono dieci ore di volo, lo sai?
Non eri tu quello che da piccino non voleva prendere l’aereo per andare a
trovare i parenti in Calabria?”
Diego si stizzisce,
sulla difensiva ribatte: “Non era per l’aereo, ma per i cugini che mi davano
prima del frocetto e poi cercavano di molestarmi. Tu non puoi capire!”
“Ah certo, è vero! Non
sono mica frocio io! Io non so niente dei bulli, già. Ti ricordo che una volta
quelli del quinto C tentarono di infilarmi una bottiglietta nel culo”
“Ma dai che non facevano
sul serio! Però, povero, avevi solo sedici anni, vieni qui, abbracciami. Allora
ci andiamo? Domani, in agenzia dico”
Davide risponde
all’abbraccio stringendosi il piccoletto addosso, come se fosse un ragazzino da
coccolare e proteggere: “Beh, se mi stai proponendo di spendere le uniche due
settimane di ferie che ho in un paradiso tropicale, anziché a Savona con i
miei, come sempre da qualche anno a questa parte, ci faccio un pensierino ok. E
poi come farei a rompermi le palle da solo laggiù? Senza di te?”
“Ti amo! Cioè, mi dici
di sì! Ti amo Davide, ti amo e basta!” Irrazionalmente felice, Diego bacia il
viso dell’amico ovunque, poi si mette a ballare, isterico, salta da una
poltrona all’altra, sulle sedie, sul tavolino, tipo invasato. Ben presto i
vicini iniziano a bussare: “Cazzo Diego! Sono le due, datti una calmata. Ora
fila a nanna. E aspetta, ti dico. Non pretenderai che cacci tremila euro senza
sapere perché vuoi andare proprio là? Non sono uscito con sessanta alle
superiori per poi laurearmi con un anno di anticipo e il massimo dei voti,
vincere ogni anno una borsa di studio, per farmi prendere dai fondelli da te e
dai tuoi dannati occhi da cucciolo. Chi c’è al Laguna blu? Spara!”
Diego assume un’aria
fintamente rassegnata e poi, dopo essersi torturato il piercing sul labbro per
un secondo di troppo, annuncia: “L’amore della mia vita”.
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Meraviglioso inizio. Diego sempre più dolce e in cerca del vero amore. Davide più razionale e pratico. Si completano e sono sicura che sarebbero una coppia più che spettacolare anche se come si fa a competere con un bel riccio pugliese col pizzetto che per di più suona e canta? Diego è talmente cotto che farebbe di tutto per raggiungere "L'amore della sua vita" in quel resort. Sono curiosa di vedere se Davide ne sarà un pò geloso. Non fatemi aspettare troppo per il seguito. Brave ragazze, so già che mi prenderà un casino.
RispondiEliminaSe Annina è d'accordo, postiamo anche domani... siamo state troppo tempo con le mani in mano. :)
EliminaNon proprio con le mani in mano, direi più sui tasti del pc! Quindi dopo tanto lavoro mi sembra giusto postare più che si può! Pronti? ;)
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