domenica 29 luglio 2012

L'uomo cannone



Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini

Genere: real person slash


Tutto ciò si consideri frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro.



Era una calda giornata a Molfetta. Non abbastanza da potersi definire torrida ma sicuramente troppo per il look scelto dal cantautore. Indossava una felpa di cotone a righe bianche e verdi e sotto un paio di jeans scoloriti. A quel clima non si sarebbe mai abituato Diego, avvezzo al caldo nella sua Torino solo dalla metà di Giugno a quella di Settembre, e non certo alla metà di Aprile! Alle dodici e ventotto si trovò per la prima volta di fronte alla casa natia di Michele Salvemini. Quando il collega la sera prima gli aveva annunciato che era invitato a pranzo da sua madre, sulle prime era rimasto un po’ interdetto. Conosceva già i genitori di Caparezza ma non era mai stato a casa loro. In piedi dinnanzi al portoncino rosso che spiccava nell’androne ornato di piante grasse di varie dimensioni, tossicchiò per darsi un contegno. Con la scartata dei pasticcini sulla destra e la bottiglia di vino, un rosso del Gargano, si sentiva come un fidanzato che per la prima volta va a casa dei genitori della sua ragazza per presentarsi. Sì, e magari chiedere la mano della figlia! Ridacchiò all’idea. Lui e Michele stavano diventando grandi amici, dopo le collaborazioni tra i Medusa e il gruppo di Caparezza, la featuring di Io vengo dalla luna, gli aveva dato una certa popolarità, ma loro erano solo amici, si ricordò, dunque non aveva senso che si sentisse così nervoso. Era immotivato. Ad aprire venne il suo amico che vedendolo, fece un sorriso dolcissimo per poi attirarlo in un abbraccio. Diego assicurò le paste, convinto che con la sua mole massiccia e i modi spicci, Michele le avrebbe rese immangiabili. “Attento le rovini” sussurrò imbarazzato. I contatti fisici così stretti al quale avrebbe dovuto essere abituato, continuavano ad imbarazzarlo. Non c’era niente da fare: il torinese ricalcava abbastanza lo stereotipo del ragazzo misurato e un po’ freddino, nonostante l’aspetto alternativo e rockettaro. Michele Salvemini, con i suoi abbracci, baci e coccole varie, era degno rappresentante il calore de profondo sud, della sua Puglia. “Hai portato le pastarelle? Proprio da bravo ragazzo” si sentì dire da un Michele sprizzante entusiasmo da tutti i pori. Diego non fece in tempo a chiedersi perché fosse così felice che sentì le sue labbra sul collo per un bacio inaspettato. “Mia madre sta cucinando dalle sei, pronto per un vero pranzo?”“Ci proverò” fu la risposta del torinese sempre più inquieto. Michele lo scortò lungo uno stretto corridoio e dopo un dedalo di stanze, giunse il vociare degli altri ospiti. C’era la nonna di Michele, il figlio di lei, ossia il padre di Michele, un’amica di famiglia con marito a seguito, la sorella di Michele e poi, dietro un camice da laboratorio tipo pasticcera, la mamma di Caparezza, un donnone alto e dinoccolato, proprio come il figlio.“Tu sei Diego, proprio uno stecchino di ragazzo, ma mangi?” disse provando a non parlare in dialetto stretto, ma Diego Perrone non capì un accidente comunque e con i suoi occhi da cucciolo si rivolse all’amico, in una muta richiesta di una spiegazione. Michele oscillò la testa: “Mamma, parla più piano sennò non ti capisce Diego”“Eh, quante storie” lei fece un cenno con la mano poi si ritirò in un’altra stanza, e l’ospite diede per scontato che fosse la cucina. Michele presentò Diego al resto degli ospiti definendolo -il mio grande amico- e questo fece piacere al giovanotto, anzi arrossì e si sentì di nuovo imbarazzato. Tutti lo guardavano come se si aspettassero da lui i resoconti di qualcosa di eccezionale che lui e Michele avevano fatto o stessero per fare o semplicemente che spiegasse il perché di questa grande amicizia. Ma Diego non era in grato di fare nessuna delle suddette cose. Aveva la mente annebbiata dall’aperitivo che la sorella di Michele gli aveva gentilmente offerto. Reggeva bene la birra, lui, il vino pugliese genuino e rosso sanguigno, no! Un po’ rimbambito dall’alcol si andò ad appoggiare sulla balaustra dell’ampio terrazzo che affacciava sul golfo. Osservò il mare da lontano, le barche, qualche gabbiano. Si sentì felice e pensò seriamente che avrebbe voluto vivere a Molfetta. Fosse altro per non essere costretto a subirsi tutti quei chilometri ogni volta che doveva collaborare con Caparezza. Era soprapensiero quando le braccia di Michele gli circondarono la vita. Le grosse mani scure si posarono sul petto: “Il mio piccolino è pensieroso” si sentì mormorare ad un passo dall’orecchio. Le vibrazioni della sua voce lo fecero rimescolare. Istintivamente piegò la testa da un lato e Michele ci si tuffò per dargli altri baci sul collo. “Sei tanto carino lo sai?” gli disse ridacchiando. “Così biondino e cucciolo, tutto da amare”“Non sono mica un cane!” si ribellò ma Michele continuando a ridere, si addossò ancora di più a lui piegandolo addosso al parapetto. “Non ci posso fare niente, mi sai tenero, mi ispiri coccole. Gli altri del gruppo sono dei brutti ceffi, barbuti e scuri. Mi piace la tua pelle chiara” mentre lo confidava con sincerità, accarezzò la guancia liscia: “E anche questo anellino sul labbro, invece di farti apparire un duro mi sembri ancora più tenero. Un bambino che si dà arie da grande” sospirò. Sospirò anche Diego, eccitato da quel contatto non meno dalle parole di Michele. “Cazzo sei un poeta, ma che penseranno di noi se ci trovano così? A pomiciare sul balcone?” gli scappò, ora era più nervoso di prima. Lo sentì ridacchiare, un altro bacio sul collo e poi togliersi. “L’antipasto è in tavola, diamoci dentro che mia madre pensa che sei troppo magro, vuole farti prendere due chili oggi” Diego si voltò verso di lui e sorridendo nervosamente lo seguì. Il tavolo era già imbandito di ogni ben di dio. Olive, una serie di affettati, pane e pomodoro, una focaccia ripiena di qualcosa che solo dopo averla assaggiata, Diego capì ch’era merluzzo. Poi arrivarono i primi, una serie di primi. Diego provò ad assaggiare tutto ma poi gli venne presto la nausea del cibo abbondante e abbondantemente condito. E Michele, seduto di fronte a lui, lo cercò con lo sguardo. “Mamma smetti di riempire il piatto a Diego, sennò non arriva ai secondi”“Ma non ha mangiato nulla il ragazzo” ringhiò nel suo dialetto la donna. Diego non comprese ma fece uno sguardo implorante a Michele. Non ne poteva più. Oltre ai manicaretti elargiti dalla madre, c’era pure il continuo e generoso rimbocco del bicchiere da parte di Salvemini senior. E a metà pranzo il suo collega famoso capì che doveva salvarlo. Quando arrivarono le varie carni, pesci e contorni, Michele chiese a Diego di seguirlo. Alzandosi un po’ claudicante per il troppo cibo e il troppo vino, seguì l’amico. Saliti sopra una scala in muratura, arrivarono alla stanza di Michele da ragazzo, che si trovava in mansarda. Diego notò che c’erano poster di Jimy Hendrix e altre icone degli anni sessanta. Poi vide l’equalizzatore e altri strumenti. Giunto alla libreria, ampia e ben fornita, iniziò a curiosare. “Hai un sacco di libri” disse riferito all’ampio scaffale. “Li ho letti tutti durante l’adolescenza, prendi pure quello che vuoi” Diego pensò che in previsione del lungo viaggio di ritorno, un libro avrebbe fatto comodo. Scelto un Hermann Hesse qualsiasi si buttò su una poltrona polverosa. La fuliggine si alzò attorno a lui come se fosse il fumo artificiale dei concerti. Iniziò a sfogliare il libro ma poi, sebbene così brillo e stralunato, si accorse di Michele che, seduto ai suoi piedi, lo fissava con insistenza.“Mi dici che cazzo vuoi?” lo riproverò ridendo: “Da quando sto qui non fai che guardarmi come se fossi un dolcetto o una strafiga!” Michele poggiò una mano sul suo ginocchio: “Davvero ti guardo così? Non mi sembrava, sai?” ma lo stava prendendo in giro e ben presto lo aggredì di nuovo a suon di baci. Ma Diego, ancora stranito, non si ribellò, e lo accolse tra le sue braccia. Il sudore della folta capigliatura del rapper emanava un odore maschile forte ma non sgradevole. “Vuoi provarci con me Michele?” chiese accarezzandogli le ampie spalle per poi aggrapparsi ai bicipiti, lasciati scoperti da una maglietta nera a mezze maniche.“Voglio che sei parte di me” rispose semplicemente lui per poi posare un bacio leggero sulle labbra rimaste schiuse. Ma Diego, reso audace dal troppo vino in circolo, tirò fuori la lingua per trasformare il bacio affettuoso in qualcosa di più sessuale. Ma Michele si scansò: “Non ti voglio infoiato per il vino, piccolo. Quando sarà il momento dei baci alla francese ti voglio assennato...” un ultimo bacio sulla fronte. “Sei bellissimo e sei mio“ concluse restando abbracciato a lui.Quel gesto, non meno la dolcezza della voce di Michele resero l’attimo dolce, romantico. Un momento irripetibile da ricordare per sempre. Poco dopo, però, un rumore per nulla romantico seguito da un odore altrettanto sgradevole cambiò tutto. Evidentemente il troppo cibo e la pressione del fisico pesante di Michele addosso alla sua pancia, avevano creato un problema di flatulenza imprevisto.“Caspita!” ridacchiò il pugliese. “il mio Diego Perrone... l’uomo cannone” .A ruota anche Diego rise rispondendo poi: “Non ce la fai a non creare una rima, eh?”“Però è carina dai” sghignazzò: “Da ora in avanti sei Diego Perrone, l’uomo cannone” uno schiaffetto amichevole alla coscia e poi lo aiutò a rialzarsi dalla poltrona prendendolo per mano. Nessuno dei due poteva sapere che circa dieci anni dopo quell’appellativo lo avrebbe gridato a migliaia di spettatori ai piè di una dichiarazione d’amore unica e tutta loro. Ed entrambi avrebbero ricordato il momento nel quale quel nomignolo aveva preso vita.

2 commenti:

  1. Questa FIC… questa FIC è un capolavoro!!! xD

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  2. Che fic dolce. Mi è piaciuta tantissimo. La sorpresa di Michele nel ritrovarsi il suo Diego sotto casa e la fretta poi di entrare in casa per potersi salutare degnamente.

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