martedì 17 settembre 2013

Sui gradini di San Francesco, tredicesima puntata



Titolo: Sui gradini di San Francesco
Autori: Annina         
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, ho preso in prestito i nomi solo per ispirazione artistica.


Capitolo XIII


Appena si sente meglio, Michele si accascia sulla sedia, impietrito. Cerca con gli occhi Gaetano, il suo amico più caro dopo Diego, quello che sa anche più di tutti di legge, anche se non è iscritto a giurisprudenza. Gaetano sente il suo sguardo e si volta, si avvicina e gli appoggia le mani sulle spalle. “Io credo che si possa provare a telefonare, o ad andare, ma temo che sia tutto inutile. Ma proviamo. Faccio io? Chiamo la Questura”.
Maria annuisce: “Vai Tano, prova, almeno sapere se lo lasciano tornare, se dobbiamo portargli qualcosa” rituffa il viso nel fazzoletto, non può pensare che lo trattengano.
Gaetano va al telefono, accostando la porta. Dalla cucina lo sentono parlare, si rianimano: “Parla, qualcosa gli stanno dicendo, sono cinque minuti che è al telefono” Laura si allunga a prendere un biscotto, poi non sa se mangiarlo. Maria l’accarezza e le fa cenno di mangiare: “Sono i preferiti di Diego, quelli con la ciliegia”. Michele annuisce: “E’ così buffo quando li mangia: li rosicchia tutt’intorno, e per ultima mangia la ciliegina… non lo terranno dentro vero?” guarda gli amici intorno, ma hanno tutti la stessa espressione smarrita.
Gaetano torna e si siede accanto a Michele. Un attimo per raccogliere le idee e comincia: “Allora, la Questura non mi ha detto niente, ma mi hanno dato nome e numero dell’avvocato d’ufficio che gli hanno assegnato. Era appena tornato, stava per chiamare lui, Diego si è raccomandato, gli ha dato lui il vostro numero; dice che non solo i parenti possono chiedere di vederlo, ma anche gli amici, ma che non crede che possiamo farlo per ora, perché ci sono le indagini in corso. Comunque bisogna chiederlo al Giudice Istruttore. Intanto possiamo portargli vestiti, spazzolino. L’hanno…” la voce gli si spezza; Michele lo abbraccia e lo incita a continuare. “Dice… ehm, l’hanno già tradotto alle Vallette. Diego ha chiesto i suoi libri per studiare, che tu sai quali sono, e le tele con gli acquerelli e i colori. E ci manda a dire che ci vuole bene, e a te Michè di credergli, che non ha fatto niente”.
Sei paia d’occhi si guardano nel silenzio. Il primo a riprendersi è Michele che alzandosi sussurra con una voce non sua: “Vado a preparare la sua roba, poi vado a cercare Fabri e lo ammazzo”.
“Non dire cazzate Michele, tu non vai a cercare proprio nessuno. Prepara tutto che poi andiamo alle Vallette, non perdiamo tempo. Ti aiuto” Gaetano si alza, imitato da tutti i ragazzi che li seguono in camera di Michele, mentre Maria cerca di riordinare la cucina, ma è troppo sconvolta, e gira a vuoto.
“Fabio prendi lo zaino di Diego. Magliette e calzoni. Il pigiama non lo usa, non ce l’ha, gli metto le tute. Spazzolino e roba per il bagno. Cazzo ne so, cosa gli portiamo?” Michele lancia lontano quello che ha in mano e si siede, la testa tra le mani, troppo sconvolto per pensare con lucidità. Laura gli va accanto e lo abbraccia, parlandogli piano, cercando di calmarlo, quindi prende tutto quello che sa che può servire e lo mette nello zaino. Michele, un po’ più calmo aggiunge i colori e le tele; prende il libro di Neruda, rilegge ‘Perché tu possa ascoltarmi’, e tra le lacrime mette un segno sulla pagina: è sicuro che Diego capirà il messaggio. Un paio di romanzi di fantascienza, fumetti. Per ora basta, poi si vedrà.
Escono velocemente, mandando un saluto a Maria, che in cucina sta spiegando al marito appena rientrato quel che è successo. Lei li rincorre e dà a Michele una scatola di biscotti: “A Diego piacciono tanto. Chissà se gli daranno il tè” la voce si spezza ancora. Lui la abbraccia stretta, poi la guarda negli occhi: “Basta piangere mà, vedrai che ce lo ridanno presto. Vai, vai da papà ora” Michele la spinge in casa, e scende i gradini a due a due, precipitandosi fuori e salendo sull’auto di Danilo che lo sta aspettando col motore già acceso.
Davanti alla casa circondariale si fermano sul marciapiede a guardare, senza trovare il coraggio di andare oltre. Il pensiero di entrare li atterrisce, ma ancora di più li sconvolge sapere che il loro amico è dietro quel muro di cinta, in una qualche celletta angusta, solo con i suoi pensieri. Forse è proprio dietro una di quelle finestre che sembrano tanti occhi rivolti verso la libertà.
Li lasciano entrare, ma non vanno oltre la portineria. “Ma non possiamo proprio vederlo? Non siamo parenti ma vive a casa mia, con i miei, è più che se lo fossimo” a Michele non sembra possibile sapere che Diego è lì dentro da qualche parte, e lui non può nemmeno dirgli di stare tranquillo, che andrà tutto bene.
Gli ribadiscono che nemmeno i parenti probabilmente potranno parlargli, è in custodia, le indagini sono appena iniziate. La guardia vuota lo zaino, controlla tutto quanto meticolosamente: “Guardi che non abbiamo messo niente di che, sono solo vestiti e libri” Danilo non riesce a tacere, prendendosi una gomitata da Fabio. Il secondino fa finta di niente, finisce il controllo, poi risistema tutto e li congeda. Michele tenta ancora di parlare: “Ma solo un attimo, cioè fatecelo almeno vedere, non so nemmeno se è vivo o morto! Ma non si fa così però!”.
“Senta questa è la legge, non sono io a decidere; le hanno già detto che deve fare richiesta al Giudice, che se lo riterrà opportuno vi darà il permesso per incontrarlo. Ma le posso assicurare che è vivo anche se non si direbbe: da quando l’han portato qui si è rannicchiato sulla branda e non si è più mosso. Ma sta bene, si fidi, è una reazione normale. Ora per favore se volete favorire l’uscita”.
Trascinando con loro un Michele le cui gambe sembrano non voler rispondere ai comandi, i ragazzi escono dall’edificio. Il clangore del cancello che si chiude alle loro spalle si ripercuote sui loro cuori. Michele, appoggiato al muro di cinta, si lascia lentamente cadere a terra con la testa tra le mani. Non piange, non ci riesce, vorrebbe, ma non ce la fa, si sente una pietra al posto del cuore. Il mio cuore è rimasto là con lui.
“Andiamo Michele, alzati che non possiamo fare niente qui purtroppo” Gaetano gli tende la mano, lo tira in piedi. Stanno ancora un attimo a guardare le finestre nel buio della sera: Fabio piange sommesso, Laura singhiozza abbracciata a Danilo. Solo Michele ha gli occhi asciutti.
Nel frattempo il secondino si reca nella cella dove è in custodia Diego: lo ritrova ancora come prima, quando gli han portato una cena che giace dimenticata sul tavolo, ormai fredda e immangiabile, se mai è stata commestibile.
“Perrone, ti hanno portato un po’ di roba prendi” la guardia tende lo zaino a Diego, che vedendolo ha finalmente una reazione, appoggia le gambe a terra e sussurra: “Chi? Chi è venuto a portarmelo?”.
“I tuoi amici, erano tutti in compagnia” Diego non ascolta più, si precipita alla finestra e salendo sulla sedia che sta lì sotto guarda attraverso le sbarre: c’è tutto un cortile di mezzo, poi una recinzione, la palazzina degli uffici e il muro di cinta. Non si vede nemmeno la strada da lì, al piano terra, ma sa che loro sono ancora lì fuori, lo sente.
Il secondino vista la reazione improvvisa è pronto a chiamare rinforzi, ma capisce subito che Diego non pensa nemmeno a fuggire. Con le mani strette alle sbarre, Diego piange in silenzio, le lacrime rotolano sul suo viso e bagnano la maglietta.
“Scendi Perrone da bravo tanto da lì non vedi niente. Non farmelo ripetere, chiudi e scendi” la guardia gli si avvicina e gli tende la mano: non teme reazioni, ha capito che il ragazzo è a posto.
Diego scende e si asciuga occhi con le mani; guarda la maglietta bagnata, gliel’ha regalata Michele, c’è scritto “Everybody need somebody to love”, l’hanno visto insieme The Blues Brothers, è piaciuto molto a tutti e due.
Tirando su col naso guarda il secondino; questi osserva quegli occhi grandi, sinceri si direbbe, e pensa che è un peccato che un ragazzo così sia arrestato per spaccio, un vero peccato; gli tende di nuovo lo zaino. Diego lo prende e lo ringrazia, lasciandolo ancora più stupito: non è certo il classico delinquente. Chissà. Esce mentre Diego seduto all’orientale sulla branda si accinge ad aprire lo zaino: “Mi scusi” la guardia rimette dentro la testa in attesa “chi gliel’ha dato lo zaino, cioè…”. “Un capellone alto con la barba. Buonanotte”.
Diego toglie tutto dalla sacca: c’è un armadietto nell’angolo, e vi stipa gli abiti. Appoggia sulla sedia vicino al letto i libri universitari e tiene il resto sul letto. Dà un’occhiata ai libri di Ballard, e li mette sulla sedia insieme ai fumetti. Si guarda intorno nella stanzetta: sarà tre metri per tre, angusta, fredda. Un solo letto per fortuna o per sfortuna non lo sa. No, non sarebbe riuscito a dividerla con qualcun altro, è già così piccola, gli sembra che le pareti si stiano restringendo. Prende la scatola e la apre: i biscotti con la ciliegia. Nonostante tutto gli esce un sorriso. La richiude e finisce anche lei sulla sedia.
Finalmente rimane solo l’ultimo libro: le poesie di Neruda. Diego lo prende e lo apre alla pagina segnata dallo scotch blu: legge la poesia e annuisce. In quel momento la luce si spegne, rimane acceso solo un lumino verde sopra la porta. Diego sente i battiti del cuore accelerare: è troppo buio, è troppo stretto lì. Se ci fosse Michele almeno, se ci fosse Michele non avrebbe paura. Con il libro stretto al cuore, Diego si corica sulla branda, la schiena appoggiata al muro, gli occhi sbarrati a cercare la luce.

Tornati in piazzetta Michele e gli altri non sanno che fare, non vorrebbero mai dividersi, se ne stanno lì a ciondolare, impotenti. Il primo a decidere di andare è Michele: “Ci vediamo ragazzi. Se potrò fare qualcosa domani bene, altrimenti andrò alla nostra casa, lavorerò un po’”.
“Se non ti diamo fastidio, verremmo anche noi. Eravamo già d’accordo con Diego che saremmo venuti ad aiutarvi” Danilo aspetta una risposta e Michele annuisce: “Certo che vi voglio. Venite in macchina con me, tanto a dormire torno qui”.
“Bene allora. Tano e Fabio? Ci siete no?” Gaetano risponde subito di sì, ma Fabio è qualche passo più in là, girato verso la piazzetta e non risponde. “Oh, Fabio, per domani ci sei?” Danilo urla ma Michele gli fa un cenno, si avvicina a Fabio e lo vede che si asciuga gli occhi: gli appoggia una mano sulla spalla in silenzio.
“Certo che vengo, sì. Scusate ma non riesco a pensare a Diegone chiuso in una stanzetta, proprio lui, non ce la farà” a Fabio tornano le lacrime. “Perdio Fabio piantala. Certo che ce la fa, non lo terranno mica per sempre là dentro, dovranno liberarlo e alla svelta” urla Gaetano. Nessuno si sente di dar voce al pensiero che li attanaglia: e se lo condannassero? Si salutano dandosi appuntamento per l’indomani alle dieci.


1 commento:

  1. Sono meravigliosi gli amici di Diego, tutti uniti per lui, per tirarlo fuori da quell'inganno ed è meraviglioso Diego a non abbattersi, a non cedere alla disperazione più totale, malgrado la sua claustrofobia. Capitolo estremamente commovente. Grandissimo plot quando Michele annuncia di voler uccidere Fabrizio, e se non fossero proprio quegli amici così fidati e così uniti a fermarlo, noi sappiamo che lo farà. Ama troppo il suo ragazzo per accettare una giustizia simile. In certi casi, anche le persone più pacifici possono brutalizzarsi quando colpiti così nel profondo. Forse perché non possono accettare che qualcuno mini una cosa così bella... e loro la cosa più bella ce l'hanno, il loro amore.

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