lunedì 10 marzo 2014
I binari dell'amore
Titolo: I binari dell'amore
Autori: Annina
Pairing: Diego
Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo
Rating: PG, slash, NC 17
“Il treno delle
ore undici e cinquantacinque proveniente da Lecce per Milano Centrale arriverà con
tre ore di ritardo…”. La voce nell’altoparlante non ha ancora finito di dare
l’annuncio che già un coro di proteste e bestemmie si alza dal binario cinque.
I passeggeri
raccolti armi e bagagli si avviano verso il sottopassaggio parlando e sparlando
fra loro dei treni veloci e che poi tanto una volta si viaggiava meglio, almeno
i treni erano in orario. Sanno perfettamente che non è vero, ma uno sfogo è uno
sfogo. Comunque almeno sono bloccati a Bologna, hanno tutto il tempo di farsi
un piatto di lasagne e magari farsi anche un giro in Piazza Maggiore che in
cinque minuti ci si arriva, ed è dicembre, ci saranno i mercatini.
La folla ronza
via lentamente, il marciapiedi ora è deserto, rimane solo un ragazzo in piedi
vicino a una panchina, uno zainetto in mano; indossa la divisa delle Ferrovie
dello Stato, il cappello sembra pesare sulla sua testa e infatti se lo toglie
appoggiandolo alla panchina. Si siede a gambe incrociate, il viso triste e gli
occhi pieni di lacrime.
Una collega che
passa lì davanti non può fare a meno di notare il ragazzo che fissa i binari
coi grandi occhi nocciola; si ferma e si china a guardarlo con un sorriso
lieve: “Hey ragazzo, qualche problema? Non ti senti bene?”.
Lui solleva il
viso per guardarla e solleva le spalle: “Questi maledetti treni non sono mai in
orario, vero?”.
Lei gli si siede
accanto con una smorfia: “Vero. Io ho finito per fortuna, ora me ne vado a
casa. Aspetti il Lecce?”.
Il ragazzo
annuisce indeciso se mordersi le unghie o tormentarsi uno dei piercing che
porta qua e là per il viso. Opta per non scegliere e mentre si divora un dito,
fa girare nervosamente l’anellino sul labbro.
La ragazza
rimane un attimo indecisa se fargli ancora compagnia o andare a casa a farsi
finalmente una doccia calda. Sceglie la seconda ipotesi, il collega è carino ma
non mostra nessun interesse per lei, e quindi tanto vale andare, fa anche un
freddo cane.
“Guarda,
comincia a nevicare. Beh, vado collega. Dai, ci sono cose peggiori che un paio
d’ore di ritardo” gli fa un cenno con la mano e corre via leggera nella brutta
divisa.
Che ne sa lei
che ci sono cose peggiori? Non sa niente, non sa che lui stava aspettando il
suo amore che arriva da Lecce, e che
aveva già organizzato di passare tre ore chiusi in quella pensioncina carina a
due passi dalla stazione. Ha prenotato la stanza, a lui non frega niente delle
lasagne o del Nettuno. No, le lasagne le adora se è per quello, e anche la
piazza di Bologna è tanto bella, ma da un mese lui e il suo amore non riescono
a incontrarsi, sempre su un treno diverso, mai cinque minuti per vedersi.
Guarda
l’orologio e sospira: sono passati solo una trentina di minuti, ne devono
passare ancora… quanti? Centocinquanta. Maledette Ferrovie. Ora sta anche
nevicando forte, ci mancherebbe che ritardasse anche di più: almeno un bacio
vorrebbe scambiarlo. L’idea era un po’ più completa veramente, ma almeno un
bacio. Che poi il suo amore non ama le effusioni in pubblico, sta a vedere che
non riuscirà ad avere nemmeno quello.
Toglie dallo
zainetto una cuffia che infila subito lasciandone uscire solo un paio di ciuffi
biondi e infila i mezzi guanti. Tanto non è in servizio ora, fa un po’ come gli
pare. Ancora un paio d’ore da aspettare: prende il libro di fantascienza, ma la
vera fantascienza gli sembra avere un minimo di tranquillità per riuscire anche
solo a sfogliare una pagina.
Tra un po’ meno
di una settimana sarà il trentun dicembre: guarda la neve che vortica sui
binari e pensa alla persona che proprio in quel giorno di un anno fa gli ha
cambiato la vita. L’ultimo dell’anno e lui doveva lavorare, ma non era un
problema, le feste da calendario non lo esaltavano, e con gli amici festeggiava
praticamente ogni sabato, non avevano bisogno di farlo anche quel giorno, qualcuno
di speciale da amare non l’aveva in quel momento, quindi forse essere in
servizio era anche meglio. Poi a lui il suo lavoro piaceva, l’aveva scelto
proprio per poter girare un po’ con i treni, una sua passione fin da piccolo,
quando si recava alla stazione solo per vederli passare: gli amici lo
prendevano in giro per questo, e lo chiamavano Iggy, per via di Trainspotting.
Diego sbuffa, cerca
l’orologio, ancora un’oretta: si sta congelando ma non gli va di entrare nella
confusione della sala d’aspetto, e resta lì bivaccato sulla panchina.
Era stato un bel
viaggio Torino - Lecce, poca gente sul
mezzo dove lui era capotreno. Prima della partenza andò nella cabina di guida
per salutare il macchinista e rimase sorpreso: non era uno dei soliti colleghi,
ormai si conoscevano tutti. Si presentarono: lui era Michele, veniva da
Molfetta, vicino a Bari. Era stato distaccato per un anno a Torino, c’era
carenza di personale, lui aveva accettato volentieri, gli piaceva conoscere
posti nuovi.
Chiacchierarono
per un po’, prima che Diego andasse a fare il suo lavoro di capotreno, e mentre
girava vagone per vagone per controllare i biglietti non riusciva a togliersi
da davanti quegli occhi così neri e così profondi e quei riccioli ribelli che
Michele teneva prigionieri in uno scaldacollo. Sentiva che in meno di un quarto
d’ora si era innamorato: e chi lo dice che ci vuole più tempo, a volte basta un
minuto, quindici erano già tanti. Non vedeva l’ora di tornare nella cabina di
guida e conoscere un po’ meglio quel magnifico macchinista.
A Lecce erano
amici, e Michele lo invitò a dormire a casa sua anziché nel solito albergo
delle ferrovie, e Diego non ci pensò nemmeno un attimo ad accettare.
Sul treno di
ritorno erano praticamente fidanzati, e Michele lasciò volentieri la stanza che
divideva con un collega per trasferirsi da Diego, nella piccola casetta che
aveva ereditato dai nonni, dalle cui finestre si vedeva il Po in lontananza.
Un anno
fantastico e pieno d’amore, Diego lo aveva presentato anche ai suoi, insomma
tutto andava per il meglio, finchè le ferrovie non avevano comunicato la fine
del distacco di Michele: doveva subito tornare in servizio a Bari.
Per loro fu un
dramma: erano riusciti a farsi dare turni simili per cui quando non viaggiavano
insieme, comunque avevano gli stessi orari, e ora improvvisamente Michele non
c’era più.
Ora era un mese
esatto…
“Il treno delle
ore undici e cinquantacinque proveniente da Lecce per Milano Centrale è in arrivo
sul binario cinque…”.
Diego alza gli
occhi, non si era nemmeno accorto che il marciapiede nel frattempo si era
riempito di viaggiatori, più tranquilli dopo il pranzo nonostante la neve. Ecco
la locomotiva, ecco il suo Michele finalmente. Prende cappello e zainetto
e comincia a correre verso la testa del
binario scansando a malapena i trolley e sbattendo contro diverse persone che
lo guardano malevole, ma senza infierire troppo, occupati come sono a cercare il
modo di salire per primi.
Michele sta
passando le consegne al collega, quindi scende precipitosamente e va verso
Diego, che si trattiene dal saltargli al collo, sa che a Michele darebbe fastidio.
“Diego mio, mi
spiace così tanto non riuscire nemmeno oggi a stare insieme un po’; il tuo
treno parte tra poco vero? Non sei riuscito ad avere un cambio?”.
Seduti sulla
panchina in capo al mondo, si guardano negli occhi: quelli di Diego sono
dilatati, non vuole piangere davanti a Michele, anche se si sente morire. “No
Michi, non ce l’ho fatta, siamo sotto ferie, figurati se accettano un cambio;
ormai mancano dieci minuti. Non potevi accelerare?” sorride Diego guardando il
suo compagno, i riccioli più lunghi rispetto a un anno prima, oggi trattenuti
in una coda, qualche riccio ribelle che sfugge e che Diego vorrebbe tanto
spostargli dietro l’orecchio, e poi vorrebbe tanto accarezzargli la barba nera,
e baciarlo e…
“Se avessi
potuto avrei decollato amore mio, ma non ce l’ho fatta, troppi problemi. Vieni
che ti accompagno al tuo binario intanto” con un braccio gli circonda le spalle
e Diego si sente un pochino meglio, ma proprio poco.
“Devi salire
cucciolo, mancano cinque minuti, devi sistemare” Michele spinge il compagno
verso i gradini. Si sente male tanto quanto lui, ma è meno emotivo, riesce a
superare un po’ meglio la situazione, invece Diego è così tenero si vede che è
talmente addolorato da star male. Non parla nemmeno, lui che non starebbe zitto
un attimo.
“Va bene Michi,
vado. Il prossimo incrocio dei nostri treni dovrebbe essere fra una decina di
giorni vero? Per l’ultimo io smonto alle nove di sera, tu invece a quell’ora
dove sarai?”.
“Dovrei essere
più o meno a Pesaro. Sali Diego, va bene che il capotreno sei tu e puoi decidere
di fischiare più tardi la partenza, ma non mi sembra il caso di farsi picchiare
a Santo Stefano. Fai il bravo amore, ci rifaremo presto, faremo le ferie più
belle che nessuno abbia mai fatto e faremo l’amore venti ore su ventiquattro.
Quattro per mangiare qual cosina e via da capo! Forza, salta su” data
un’occhiata in giro gli dà una pacca sul sedere, strappandogli un sorrisino
mogio.
Si salutano e
Diego si dirige verso la cabina di guida; pensa che se potesse si
licenzierebbe, ma poi? Mentre cammina si sente prendere e girare e di colpo si
ritrova tra le braccia di Michele: lo guarda come se vedesse un fantasma: “Che
succede Michi, che fai? Se ci vedono?”.
“Al diavolo, se
ci vedono ci vedono, se dà fastidio si gireranno; non ce la facevo più a stare
senza almeno un bacio Diego, io lo so che sono ombroso, lo so che tu sei tanto
più cucciolo, ma ti amo, ti amo, ti amo e anch’io non resisto più senza di te”.
Lo spinge contro la parete della cabina e lo bacia con una passione tale che
Diego sente che si scioglierà come la neve, lì sul pavimento del treno e
nessuno sentirà più parlare di lui.
Si guardano
negli occhi come se non si conoscessero, se si vedessero per la prima volta e
si innamorassero ancora una volta.
“Vieni,
scendiamo che faccio partire ‘sto treno Michi. Grazie, so quanto ti è costato
farlo sai? Ti amo chiusone, ti amo da morire. Copri le orecchie che poi ti
fanno male, lo sai che tu col freddo non ci vai d’accordo. E sei venuto a stare
a Torino per di più. Eri venuto a Torino. Ma ci tornerai vero? Te lo daranno il
trasferimento. Bene dai, devo partire. Amore, ti amo. Che cosa fantasiosa da
dire vero? Io…” Michele gli mette un dito sulla bocca: “Sei tornato il mio
Diego chiacchierone per fortuna; quando taci è quando soffri, e io non voglio
farti soffrire. Ci torno a Torino, fosse l’ultima cosa che faccio nella vita,
mi incatenerò davanti al Ministero piuttosto, ma vedrai che me lo danno il
trasferimento. Ciao cucciolo” ancora un bacio a fior di labbra, poi Diego
prende il fischietto e dà la partenza al treno, sale e rimane dietro al
finestrino a guardare Michele che si allontana. Veramente è lui che si
allontana, Michele è fermo sul marciapiede che lo saluta.
Cinque giorni
sono passati da Santo Stefano, sono le nove e Diego scende mestamente dal treno,
col suo solito zainetto sulle spalle. Va bene che a lui non importa festeggiare
la fine dell’anno, ma è diverso dagli anni precedenti, quest’anno era anche
l’anniversario, un anno d’amore col suo Michele, che in questo momento dovrebbe
arrivare più o meno a Pesaro. Sotto la neve, che cade fitta anche oggi, prende
un taxi, non ha voglia di aspettare l’autobus, e torna alla sua casetta; la
vede buia e triste nella via, tutte le altre bene o male sono illuminate con
qualche lucina intermittente a rallegrare un po’ l’ambiente. Ma cosa vuoi
rallegrare, senza Michele si sente un nulla.
Dopo la doccia
si butta sul divano e fa partire un po’ di musica. Non ha fame e non ha voglia
di niente. Non ha nemmeno telefonato agli amici per sentire cosa fanno, tanto
non avrebbe voglia di andare da nessuna parte, vuole solo stare lì accucciato a
pensare al suo amore.
In quel momento
anche Michele è a Torino e sta correndo verso casa di Silvio, un amico di Diego
col quale è diventato quasi un fratello. Silvio è una persona bella, una di
quelle difficili da trovare, sempre disponibile e non solo per gli amici, per
tutti quelli che possono avere bisogno, animali compresi.
“Ciao Silvio,
allora, sei riuscito a fare quello che ti ho chiesto? Sì? Sei davvero unico”.
“L’ho fatto
volentieri, se penso a quanto sarà felice Diego, povero cucciolone. E’ talmente
triste da un mese a questa parte che non sappiamo più come fare per tirarlo su.
Anche tu però Michele, sei dimagrito un bel po’ mi sembra. Ah, l’amore” si
guardano sorridendo e si scambiano un abbraccio.
“Poi mi
spiegherai come diavolo ti è venuta in mente un’idea simile, ma è bellissima.
Sei riuscito ad avere l’uso di un treno… in disuso!”.
“Ho brigato
parecchio, ma sono contento di avercela fatta. Tu hai portato lì tutto quello
che ti ho detto? L’hanno pulita bene? Ho chiesto aiuto a un paio di amici
dell’impresa, che dovevano anche portare un fungo…”.
“Sì Michi
tranquillo, è più pulita di casa mia e c’è il fungo che sta già riscaldando l’ambiente.
A che ora ti portiamo il ragazzo? Tra un’ora, va bene; adesso esco e raggiungo
gli altri. Tu fatti la doccia, vestiti fai come se fossi a casa tua, tieni le
chiavi. Ciao Michi, ci vediamo domani spero, manchi molto a tutti noi”.
Michele si
prepara frenetico e poi acchiappato un taxi si fa portare alla stazione.
Raggiunge il vagone, una vecchia carrozza azzurra in disuso, interamente
ricoperta di graffiti. I colleghi glielo hanno spostato su un binario morto, un
po’ in disparte nella zona dei treni merci. Sale e lo trova tiepido e
perfettamente pulito. Sono rimaste solo tre o quattro poltrone a bordo, ma sono
più che sufficienti, e c’è anche un tavolino che ora Michele sta imbandendo con
una tovaglia rossa e le prelibatezze che Silvio gli ha fatto trovare. Il fungo
fa un po’ di luce, ma lui mette anche tre candele sul tavolo e altre disseminate
qua e là. Sempre più agitato guarda dal finestrino, trattenendosi dal
telefonare, Diego potrebbe capire, sa che non usa il cellulare quando guida e
vuole che la sorpresa sia completa.
Nel frattempo
gli amici stanno faticando a convincere Diego a uscire di casa, lui voleva solo
andare a letto tranquillo a pensare a Michele che è a Pesaro e che non vede da
un mese, anzi cinque giorni, ma un mese senza di lui a casa, a letto.
Silvio a un
certo punto lo mette alle strette: “Diego adesso basta, la pianti o dobbiamo
telefonare a Michele e dirgli come ti stai comportando e farti convincere da
lui, così lo facciamo soffrire un po’ di più no? Che se sa che sei in casa da
solo lui ci soffre e tu lo sai. Vestiti Diego, sbrigati, che dobbiamo andare
dalle parti della stazione, è una festa un po’ particolare”.
Diego lo guarda
ancora un po’ sfidandolo, ma Silvio prende il cellulare e Diego scrolla la
testa e con un gesto della mano come per scacciare una mosca li fa entrare in
casa e va a vestirsi.
Torna con i
jeans e il solito maglioncino rosso a pallini bianchi: glielo ha regalato
Michele un anno prima, lo metterebbe tutti i giorni se non avesse paura di
rovinarlo. Ora ha bisogno di averlo addosso, per sentirsi un po’ con lui.
Escono e Silvio guida
velocemente per le vie di Torino, mentre sul sedile posteriore gli altri amici
ridacchiano tra loro. Diego è seccato, anche quelle risatine lo infastidiscono:
“Beh, si può sapere che cosa avete da ridere lì dietro?”.
“No, non lo puoi
sapere, ma secondo me quando vedi a che festa stiamo andando, ridi anche tu”
risponde Anto, subito azzittito dagli altri.
Diego alza le
spalle, non crede proprio che riderà, non si divertirà nemmeno, anzi vorrebbe
essere già nel suo letto a rivedere le foto sue e di Michi. Improvvisamente gli
viene il magone, e con le lacrime agli occhi guarda Silvio che guida con un
sorriso felice sulle labbra: “Silvio senti, mi riporti a casa? Davvero io non
mi sento, non sono dell’umore”.
Silvio lo guarda
appena: “Siamo arrivati piccolo, non fare storie. Sì sono sicuro che il posto è
questo. Vieni, ci aspettano”. Tutti in fila, sotto la neve che cade, si avviano verso un cancelletto che si apre
nella siepe che va parallela ai binari dello scalo merci.
“Ma dove diavolo
stiamo andando…” a Diego manca la voce quando gli amici lo lasciano davanti
alla carrozza salutandolo con un bacio e
tornando verso la strada. Quando la portiera si apre e vede comparire Michele,
a Diego gira la testa. Michele gli tende la mano e lo aiuta a salire il basso
gradino; una volta a bordo Diego si guarda attorno allibito: profumo di
incensi, candele, una stufa e una tavola imbandita e…
“Michi, sei
vero? Io ho paura di essere ancora sul divano di casa, ma se è un sogno ti
prego non svegliarmi”.
Michele lo
avvolge in un abbraccio e lo bacia con tenerezza che via via diventa passione.
Quando lo lascia a Diego manca anche il respiro: “No, non è un sogno. Michi
come hai fatto?”.
Lui gli prende
la mano e lo accompagna al tavolo, facendolo sedere e sedendosi accanto a lui.
“Non starò lì a dirti ogni cosa, ma mi hanno aiutato tutti quando ho spiegato
quello che volevo fare. Diego, non ce la facevo più a starti lontano; quando ti
ho visto a Santo Stefano per quei dieci minuti, dopo è stato un inferno. Appena
messo piede in stazione sono corso in segreteria, ho chiesto, implorato e
minacciato e alla fine mi hanno concesso due giorni. Si cucciolo, ho due giorni
e li hai anche tu, li ho chiesti io per te, ma ora basta spiegazioni. Abbiamo
anche tante cose buone da mangiare, ce le ha preparate Silvio vedi?”.
“Io non ti
chiedo altro Michi, non chiedo altro che starti vicino e vivermi questi due
giorni come se fossero gli ultimi. Ma ora non ho intenzione di mangiare
nient’altro che te” così dicendo Diego lo sdraia sulle poltroncine che ai
pendolari sembravano tanto scomode, ma a loro sembra di stare in un letto del
Grand Hotel, se mai vi fossero stati una volta.
Noncuranti che
qualcuno possa anche avvicinarsi, si spogliano con frenesia crescente e si
ritrovano nudi.
I baci non si
contano nemmeno più, si interrompono solo a tratti per guardarsi negli occhi,
accarezzarsi, rendersi conto che è vero, sono proprio loro, sono proprio lì,
stanno proprio per fare l’amore. Michele è estasiato mentre Diego corre con la
bocca sul suo collo, scende sul petto, lo fiuta, lo accarezza e quando arriva
al suo sesso lo bacia tenero, lo coccola, sussurra parole dolci, e finalmente
lo accoglie tra le labbra, lo percorre su e giù mentre Michele gli accarezza i
capelli, e mormora a sua volta parole incomprensibili. Quando Diego torna a
baciarlo sulla bocca Michele ride e piange allo stesso tempo: “Diego quanto mi
sei mancato, quanto ti volevo, baciami ancora Diè, cucciolo mio”. Non sanno
nemmeno quanto tempo passano tra i preliminari, ma non vorrebbero finire mai; è
Diego a chiederlo, a implorare Michele: “Ora Michele, ti prego ora, io non
posso aspettare di più”. Solo allora Michele si spinge in lui, con tenerezza
anche in questo, fino alla fine, quando proprio non possono più resistere e
diventano frenetici, e si gridano il loro amore. Non è mezzanotte ma loro le
campane sono convinti di averle sentite.
Poi stanno lì a
coccolarsi, a sbaciucchiarsi ridendo come due adolescenti.
“Un regalo così
è da fine del mondo, non potrò mai dimenticare questa notte Michi. Sei il mio
amore grande, non esiste un altro Michele al mondo” Diego si rannicchia addosso
a lui, accoccolato al suo petto, si fa piccolo mentre lui lo stringe protettivo
e gli bacia i capelli.
“Non la
dimenticheremo mai no. Diego come sto bene ora, come se avessi cancellato tutto
il dolore di quest’ultimo mese. Cucciolo mio, non esiste neanche un altro Diego
al mondo. Guarda com’è freddo fuori, e come stiamo bei calducci qui. Vuoi
mangiare ora?”.
Si guardano
negli occhi e si sorridono: hanno tutta la notte per mangiare. Si baciano, si
abbracciano ancora più stretti di prima, e sì, probabilmente sono campane
quelle che sentono, anche se non è ancora mezzanotte, mentre fuori dai
finestrini illuminati dalla tenue luce delle candele, continua a nevicare.
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Che meraviglia! Diego così innamorato che quando non è con il suo amore non riesce neanche a vivere. Sopravvive solo nell'attesa del prossimo fugace incontro. Davvero intensa e magica questa storia tanto che in alcuni momenti mi sono sentita triste proprio come Diego. Per fortuna che ci sono gli amici che organizzano quella sorpresa che finalmente lo riporta alla vita donandogli di nuovo il sorriso
RispondiEliminaHa un bellissimo profumo di inverno, di binari, persino l'odore delle persone in attesa, pronte a spingere per salire sul loro treno, che le porterà da qualcuno che amano. Sì perché i treni esistono da sempre per questo: avvicinare le persone che amano. In questa strana e piccolissima, meravigliosa, storia, il capotreno e il macchinista dai treni invece sono divisi. Sì, prima uniti perché fanno parte dello stesso gruppo, ferrovieri, gente che si sposta, che non perde tempo a pensare a "casa" ma che divengono casa l'uno dell'altro appena si conoscono, appena l'amore sboccia. E che amore! Ma c'è un treno che deve andare, quello di Diego a Bologna e qui l'odore cambia, è amaro, è triste. La neve non è più romantica quando la vedi cadere sulle spalle di chi lasci. Il lieto fine però è dietro l'angolo, ma l'angoscia di un San Silvestro che è pure anniversario da solo, la senti eccome. Ma per fortuna l'ultimo degli odori che ci arrivano nonostante la lettura olfattiva ancora non l'abbiano inventata, è proprio quello che preferisco: l'odore della passione! Che scatta, inesorabile, nel vecchio convoglio in disuso. Standing ovation per te amica mia!
RispondiEliminaOltre alla mia passione per i nostri ragazzi, si aggiunge quella, nota, per i treni e le stazioni. Trovo che il treno sia il mezzo più romantico che esista, per viaggiare insieme o per gustarsi l'attesa di un incontro, vivendolo in anticipo.
RispondiEliminaPartenze e arrivi, qualcosa ne sappiamo anche noi no? Che ogni tanto ci si trova su un binario, sarebbe meglio sul marciapiede ma preferisco dire binario, mi dà l'idea del movimento, e ci si scambia un pò di affetto, fino alla prossima partenza, fino al prossimo ritorno.
Grazie per i complimenti, baci a voi.
sono passati 8 anni, quando posterete un'altra fanfiction? :(
RispondiElimina