giovedì 24 ottobre 2013

Sui gradini di San Francesco, quindicesima puntata



Capitolo XV


La domenica lavorano frenetici e verso sera la casa è ormai a posto, pronta per essere abitata. “In settimana prendo su Gioia e mamma e vado a comprare un po’ di tappeti e di biancheria”.
“Io sento il Ciga, quello delle macchinette: se c’è la possibilità di comprare un flipper usato, lui sa dove e come fare. Se lo troviamo spendendo poco, glielo regaliamo tutti, va bene?” Gaetano sorride soddisfatto all’idea.
La settimana successiva passa e non finisce, Diego non può ancora ricevere visite, Fabrizio è irreperibile.
L’unica novità bella arriva il giovedì: Gaetano ha finalmente trovato un flipper usato a una cifra abbordabile, e i ragazzi vanno tutti alla casa per assistere alla consegna.
Michele ha le lacrime agli occhi quando vede arrivare il solito furgoncino guidato da un Gaetano entusiasta. Tutti assieme lo scaricano e lo portano nella soffitta, agghindandolo con un enorme fiocco. “Diego lo adorerà, gli piace così tanto giocarci, fin da piccolo, ve lo ricordate?”. Se Michele è commosso, gli amici non lo sono meno.
“Me lo ricordo sì, era l’unico che doveva salire sulla sedia per giocarci, ma era anche quello che vinceva più partite. Il nostro Diegone” Fabio non nasconde una lacrima, mentre a tutti sembra di rivedere quel piccoletto che arrivava di corsa nel bar, e rinunciava al gelato per farsi una partita.
Michele si allontana respirando forte per scacciare le lacrime: “Basta, portatemi fuori per piacere, andiamo da qualche parte, stasera non ce la faccio più, mi sento soffocare”. Terminano la serata in birreria, ma l’atmosfera è satura di tristezza, non c’è niente da fare, Diego manca troppo.
Il sabato Michele carica in macchina la madre e Gioia e vanno a fare acquisti. Tornano solo verso sera, con l’auto carica di biancheria per la casa, tappeti e tre amache. “Vorrei farvi vedere la casa, ma penso che sia meglio lasciare che la veda Diego per primo. Non vi offendete vero?”. La mamma e Gioia lo baciano, una per guancia: “Fai bene Michè, avremo tempo per vederla”. Gioia gli sorride: “Io veramente vorrei vederla, ma cercherò di fare la brava. Speriamo che Diego si sbrighi a tornare”.
Incredibilmente nonostante i pensieri, o forse proprio a causa di quelli, il lavoro all’Università procede a gonfie vele. Per non pensare Michele vive solo per quello, va anche il sabato e la domenica, e alla fine della settimana successiva gli vengono consegnate due buste: in una il rinnovo dell’impegno lavorativo per i prossimi due anni, nell’altra il primo stipendio.
Salendo sull’auto per tornare a casa gli viene in mente di fare un salto al negozio dove Diego lavora. Non ha più parlato con la proprietaria, chissà se pensa di tenerlo ancora a lavorare lì oppure no.
“Diego? Ma certo che lo aspetto; io non ci credo a questa cosa, c’è un errore per forza. E’ un alternativo, è strano, anche pazzo se vuoi. E’ un artista ma non è un delinquente. Non ucciderebbe una mosca, figuriamoci se… E’ un caro ragazzo e lo aspetto!”.
Michele le stringe la mano commosso. Anche lei come tutti ha trovato facile voler bene a quello scricciolo che è il suo ragazzo.
Si guarda intorno in quel negozio di oggetti e stoffe che arrivano direttamente dall’oriente e che piacciono così tanto a lui e a Diego. In un angolo vede diverse cose gettate a caso, come dimenticate e si avvicina: cuscini ricamati, un grande tappeto, persino un vecchio materasso giallo-oro arrotolato, non troppo spesso ma morbido.
“Ah, quello è quel che resta della svendita che ho fatto la settimana scorsa. Dovrò buttare tutto ormai non ha più mercato: sta arrivando la nuova roba che sono andata ad acquistare. Sai che io vado direttamente sul posto a fare spesa? Beh, dovrebbe arrivare entro una settimana, devo fare posto”.
Senza nemmeno pensare Michele mette mano alla sua busta: “Compro tutto io, o almeno quel che posso. Mi piace tutto e Diego ne sarà entusiasta, gli farò un angolino come piacciono a lui, diventerà un bellissimo rifugio”.
La signora lo guarda e sorride: “Bene, carica tutto in macchina, non voglio niente per quella roba; non voglio fare la splendida, l’avrei buttata no? Ma un regalo a Diego voglio farlo: gli piacciono i portacandele, prenditi questo” gli allunga un grande albero di sottile metallo nero, con vasetti di vetro colorato attaccati ad ogni ramo. “Una candela per ogni vaso, vedrai che meraviglia quando è acceso” confeziona velocemente i vasetti nella velina e glieli passa.
Michele compra ancora qualche oggetto, un pacco di incenso “questo è quello preferito da Diego, lo avevamo provato proprio il giorno che lo hanno… preso. Tieni, anche questo ve lo regalo. Vi porterà fortuna. Spero”.
Caricata la Renault Michele torna dalla signora Jole e l’abbraccia: “Lei è una persona meravigliosa sa?”. “Certo che lo so, che ti credi?” Jole sorride ma gli occhi tradiscono l’emozione. “Dai un bacio a Diego per me quando lo vedrai e digli che lo aspetto, che ho bisogno di lui, non posso mica fare tutto io qui!”. Disciolto il magone con le battute, si salutano come vecchi amici e Michele torna a casa.
E’ ancora presto, non ha voglia di rientrare; fa due passi fino ai gradini per vedere se trova qualcuno degli amici. Danilo e Fabio sono lì con Laura e Anita. Si siede accanto a loro, mentre anche Gaetano arriva correndo, in tenuta ginnica.
Tutti ridono vedendo quella specie di orsacchiotto in calzoncini e canottiera. “Beh, non avete mai visto qualcuno fare jogging? Cosa ci sarà da ridere” ma ridacchia anche lui sotto i baffi: “Se non mi metto a fare movimento diventerò una barca! Come farete voi a restare così in linea!”.
“Forse perché mangiamo la metà di quel che mangi tu!” ride Danilo tirandogli un pugno nella pancia.
Michele li guarda sorridendo, ma il sorriso si smorza immediatamente vedendo arrivare dal vicolo Fabrizio e Nicola. Seguendo lo sguardo di Michele anche gli altri si voltano e li vedono. 
Nicola passa tranquillamente salutando, ma Fabrizio fa una risatella guardando Michele, che scatta immediatamente in piedi e gli si para davanti: “Cosa ti fa ridere così tanto Fabri? Spiegamelo” i pugni serrati lungo i fianchi e il viso pallido e stirato di rabbia, Michele fa paura, e Fabrizio indietreggia di qualche passo mentre gli altri si dispongono intorno.
“Ragazzi per favore, non abbiamo bisogno di altri problemi, Michele ti prego” anche Laura e Anita si sono alzate, cercando di calmare gli animi.
Nicola guarda Michele dritto negli occhi: “c’è qualche problema particolare?”. A Michele tornano in mente le parole di Diego: “Mi ha dato un bacio…” sente la sua risata allegra “ma io amo un Otello nero, barbuto… che me ne faccio di quel fighetto”. Scrolla la testa Michele, gli sembra di sentire ancora il fiato caldo di Diego su di lui mentre lo baciava dopo.
Fa un grosso sospiro: “Chiedilo a tuo cugino, lui lo sa. Vero Fabri? Sei stato tu vero a fregare Diego? Dillo, dillo prima che ti ammazzi, dillo bastardo dillo!” la voce di Michele sale man mano che sale la rabbia e gli amici si affrettano a trattenerlo mentre sta per lanciarsi contro Fabrizio.
“Michè calmati perdio, calmati! Fermo, non è così che aiuteremo Diego, Michè fermo” Gaetano lo trattiene con tutte le sue forze, e Michele respira profondamente fino a calmarsi un po’, annuendo: “Avete ragione voi, mi calmo, tranquilli sono calmo”.
Nicola lo fissa ancora, poi si gira verso Fabrizio: “E’ vero Fabri? C’entri qualcosa tu con l’arresto di Diego?”.
Fabrizio lo guarda con aria beffarda: “E se fosse? Provatelo! Non potete farmi niente, e quello stronzo si becca almeno due anni di sicuro. Così impara”.
Michele sente le gambe tremare; si ficca le mani nei capelli e si risiede sul gradino: “Ma perché, perché ce l’hai così tanto con noi, con lui? Che ti ha fatto? L’hai sempre odiato, picchiato, gliene hai fatte di tutti i colori. Ma questa è troppo grossa, troppo Fabri”.
Nicola guarda il cugino che lo ripaga con un’occhiata di fuoco: “Mollami Nico, non sono cazzi tuoi. Sì, mi sta sul cazzo Diego. Lo sai per chi se n’è andato di casa mio padre vent’anni fa? Lo vuoi sapere? Per sua madre! Sì cazzo! Io non avevo nemmeno cinque anni, e lui se ne andava per quella troia. Non avevamo un soldo, mia madre si è ammazzata di lavoro per mantenerci a me e ai miei fratelli, è riuscita a darci da mangiare, ma non è più stata lei, non ci ha mai più fatto una carezza, non ne aveva più né il tempo né la voglia. E quello stronzo se n’è andato per stare con lei, la madre di Diego, che non l’ha nemmeno preso in casa, no, lei è rimasta nel suo bell’appartamento col suo piccolo Diego. Dio come l’ho odiato, come lo odio”. Lo guardano tutti sgomenti. “Ma Fabri, la mamma di Diego è morta quando è nato lui! Non sai quello che dici” sussurra Michele, sempre con le mani nei capelli.
“Certo! E allora chi è quella stronza che vive con lui?”.
“E’ sua zia Viola, una stronza sì, è l’unica cosa che hai azzeccato, una stronza come te che lo odia come te” risponde Gaetano, visto che Michele sembra aver perso i contatti con tutto.
“Va bene, sua madre o sua zia, chi cazzo se ne frega, l’importante è che lui adesso si accorga di cosa vuol dire stare male”. 
Nicola ha gli occhi stretti in due fessure quando prende Fabrizio per un braccio e lo strattona via: “Andiamo che io e te dobbiamo fare due chiacchiere” sibila “Ciao a tutti. Michele puoi non credermi ma mi dispiace. Diego è un caro ragazzo, mi è simpatico”.
Michele annuisce in silenzio, livido; gli amici, ancora sconvolti, gli si avvicinano, si siedono con lui che sembra stare molto male. “Diego deve capire cosa vuol dire stare male? Proprio lui che… lasciamo perdere. Sentite, nessuno faccia mai parola con Diego di tutta questa storia. Lui è talmente sensibile che sarebbe anche capace di sentirsi in colpa nei confronti di quel maledetto. Vado a chiamare l’avvocato, gli dirò di questa storia, per quel che può servire” Gaetano, Danilo e Laura lo accompagnano, rimangono solo Fabio e Anita. “Ti accompagno a casa dai, c’è buio ormai” Fabio le tende la mano per aiutarla ad alzarsi. Anita sta ancora piangendo e Fabio le toglie le lacrime con delicatezza: “Non piangere più, vedrai che si risolverà tutto. Ti va un gelato? Anzi una pizza, vista l’ora, tu non hai fame?”. Lei gli sorride e Fabio si perde nei suoi occhi verdi: com’è che non aveva mai notato prima quanto sono belli? Le da un bacio timido sulle labbra e Anita si stringe a lui con un sospiro. Poi abbracciati si allontanano nel buio della sera.

“Diego, non startene lì così immobile, cerca di collaborare, mi dicono che non parli e non mangi niente, dobbiamo risolvere questa situazione”.
“Non parlo? Forse non sei al corrente: da tre settimane vivo solo qui dentro. Con chi dovrei parlare?” Diego, seduto come al solito a gambe incrociate sul letto, si stringe nelle spalle “Guarda dottore, non preoccupatevi, semplicemente diciamo che ho perso un po’ il gusto della conversazione”.
“Non è il caso di fare dello spirito Diego. Perché non mangi nemmeno? Va a finire che ti ricoverano” lo psicologo insiste seduto di fronte a lui.
“E chi fa dello spirito? Cosa vuoi che mangi, sto seduto qui ventiquattrore su ventiquattro, nessuna attività se non leggere, che non richiede certo un grande spreco di calorie; quello che mando giù è più che sufficiente. Poi io sono abituato alle orecchiette con la salsiccia o con le cime di rapa se è venerdì! E il cuoco di questo ristorante fa un purè pessimo. E io me ne intendo di purè, lo adoro. Non vi prenderete mai le stelline sulla guida Michelin” si appoggia alla parete e chiude gli occhi. Non si sente bene, gli gira sempre la testa, ma non lo ammetterebbe mai con quel tipo “provi lui a stare qui dentro anche solo un paio di giorni”. 
“This is the end, my only friend, the end…” Diego canticchia e lo psicologo lo guarda: “Questa canzone…”. Diego gli pianta in faccia gli occhi nocciola: “Tranquillo, è solo una canzone, sono solo i Doors, e io non sono Jim Morrison: ma sei teso!”.
“Va bene, se fare lo spiritoso ti fa star meglio, continua pure Diego. Però so che lo sai che devi tenere di più a te stesso”.
“Io a me stesso ci tenevo, e tenevo alla mia vita che nonostante un po’ di sfighe stava funzionando benissimo. Là fuori ho un compagno, la sua famiglia che è anche la mia, degli amici, l’università… mi dici che cazzo ci faccio qui dentro? Mi dici perché? Se mi sai rispondere, forse mi avrai aiutato davvero. Non ho fatto niente, e non è la solita frase che dicono tutti sai? Io non ho davvero fatto niente, e mi trovo qui, nel nulla, al buio e in tre metri per tre. Sì dottore, ho paura del buio e degli spazi stretti anche. E ho voglia di parlare, ma con Michele, coi miei amici, ho anche voglia di mangiare, ma una lasagna magari, con la mia famiglia adottiva. Aiutami dottore, prova a ridarmi la mia vita, fammi tornare felice”. Diego riprende a giocherellare con l’anellino che porta al naso.
“Ascoltami Diego, farò il possibile per farti avere un colloquio con i tuoi, parlerò col Giudice, va bene? Ma devi avere pazienza”.
“Ti sembra che io abbia dato segni di impazienza? Non mi pare. Non ho rotto niente, non ho scaraventato il cibo contro il muro, con quanto che fa schifo, non ho preso a pugni la porta gridando di farmi uscire che sono innocente. Non ho nemmeno tentato il suicidio, e ti assicuro che ho avuto voglia di fare tutto quello che ti ho appena detto. Si, tutto, compreso il suicidio: attaccarmi alle sbarre della finestra. Che bella fine vero? Dicono che se ti impicchi hai un orgasmo prima di morire, lo sapevi? Ma poi ho pensato che non era il massimo, e che preferisco un altro tipo di orgasmo. Non scandalizzarti dottore dai. Stiamo solo parlando, non è quello che volevi? E a proposito, io non ho i miei, ho Michele io. Ho solo lui. Poi la sua famiglia e tutti gli amici, ma io ho Michele. E lo voglio con lui il colloquio. Fammi vedere Michele, e poi ti giuro, mangerò fino all’ultima stellina spappolata in quel che chiamano brodo, reciterò la Divina Commedia, tutta, ne inventerò anche dei pezzi se vuoi proprio sentirmi parlare. Ma portami Michi”.
Alla fine del lungo discorso, Diego tira un profondo respiro, ma il nodo che gli si è formato in gola non si vuole sciogliere e le lacrime rotolano sulle guance scavate. Diego non le toglie, le lascia scendere, non per fare il drammatico, solo non ne ha la forza.
Lo psicologo lo guarda disarmato da quella tristezza: il ragazzo ne è assediato, si può vederne l’alone che lo circonda.
“Ora vado, è tardi sono quasi le otto. E non hai mangiato nemmeno stasera Diego. D’accordo me l’hai detto, mangerai quando ti porterò Michele. Posso tornare a trovarti vero?”.
Diego alza le spalle: “Certo, se mi dici quando, non prendo altri appuntamenti”.
Suo malgrado il medico ride: “Sei più tosto di quanto si creda, vero? Domani vado in Tribunale con il tuo avvocato. Ciao”.
Diego alza una mano e gli fa ciao. Prende il libro di poesie e ne legge una a caso, come fa sempre anche Michele. Ora ha preso la stessa abitudine. Poi senza deporre il libro spegne la luce, prima che la spengano dall’interruttore generale. Almeno quello lo decide lui. Torna a gettarsi sul letto: ha freddo solo con la tuta, dovrebbe ficcarsi sotto le coperte, ma non gli va, non lo sa perché, ma ha deciso che sotto non andrà finchè starà chiuso li dentro. Disteso sulla schiena, gli occhi al soffitto. Ha fatto progressi in quelle settimane: prima stava solo rannicchiato contro al muro a cercare protezione, ora non più. Sempre stringendo il libro pensa a Michele: mai come quella sera gli manca. No, non è vero, gli manca sempre allo stesso modo. Riuscirà a vederlo, almeno cinque minuti, solo cinque minuti? Se li farebbe bastare. Solo stringergli la mano, farmi passare un po’ di forza da lui. Sono così stanco. Michele. Come vorrebbe essere con lui adesso, ad accarezzargli i lunghi riccioli ribelli, a baciarlo sul collo solo per avere l’occasione di fiutarlo. Gli scappa un sorriso. Ha sempre avuto questo bisogno di sentirne il profumo, anche quando non stavano ancora insieme, magari dopo aver fatto una lotta delle loro ruzzando sul letto o per terra, ma anche da ragazzini. “Ma che ti fiuti!” gli diceva Michele allontanandolo con uno spintone, ridendo. 
Adesso però non mi allontana più. Diego infila il naso nel libro ma non è nemmeno lì quel buon odore di aria, di erba e di mare. Chissà perché il mare, come se se lo fosse portato dalle origini. Pensa Diego, sogna, ricorda. Ricorda il primo bacio sotto la pioggia, ricorda la prima volta che si sono amati nel letto di Michele, soffocando anche i sospiri. E il momento più bello, sul tappeto di narcisi. Rivede gli occhi neri di Michele offuscati dalla passione, gli pare di sentire le mani che tenevano le sue, i suoi baci, i morsi. Il suo respiro si fa più pesante mentre la mano scende a toccarsi tra le gambe; il sesso imprigionato nei boxer gli fa male. Lo libera, è frenetico ora: lo impugna e si massaggia velocemente, mentre con la mano destra continua a tenere il libro stretto sul cuore. Michele, Michele, Michele amami! Immagina la sua mano, è la sua bocca a muoversi su di lui, la sente, sente la barba solleticargli la pelle, si inarca e con un ultimo convulso movimento Diego finalmente viene. Il fuoco d’artificio però si smorza subito nel buio. Non è lì Michele, non era lui che lo amava. Le prime lacrime scendono silenziose, ma l’angoscia sale e Diego si ritrova a singhiozzare, rauco, mentre si raggomitola sul letto, le spalle contro il muro, in cerca di protezione, come se fossero le braccia del suo amore.

4 commenti:

  1. Che capitolo mozzafiato. Finalmente si è scoperto il motivo dell'astio di Fabri nei confronti di Diego, Spero che Nicola lo faccia ragionare. Intanto Diego si spegne in quelle quattro mura, la sua fiamma si affievolisce ogni giorno che trascorre senza il suo Michele. Lui è il suo faro e senza di lui non è nulla come il faro è inutile senza una luce ad illuminarlo. Michele prepara la casa per quando tornerà da lui, e con queste rivelazioni la sua speranza di riportarlo a casa, tra i loro tulipani, si fa più forte

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  2. Commovente, straziante, esaltante, avvincente e via via con gli aggettivi superlativi il monologo, di Diego, perché di monologo si tratta. Davvero da brividi. C'è racchiuso tutto: lui, il suo essere, il carattere, in particolare le sue debolezze ma anche la sua forza. Ma soprattutto c'è la storia d'amore con Michi, il suo grande amore. Non dico che passa in secondo piano il proseguo dell'arredo del futuro nido d'amore (e che amore....) o della brava Iole, e anche della sconvolgente dichiarazione di Fabrizio, che si stava avvelenando l'anima per qualcosa che nemmeno esiste. A questo proposito qui Nicola mi piace molto. L'ho sempre trovato un personaggio interessante e a differenza di te tifavo un po' per lui, magari per un bacetto... ehehehe, giusto per sfizio, tanto io credo nella coppia. Non sarebbe successo niente no? Però sopra a tutti questi avvenimenti, capitolo davvero ricco, c'è sicuramente il dialogo tra Diego e lo psicologo. A noi non ci piace dare voti, giudizi, ma se proprio fossi costretta a farlo, ti darei un bel dieci con lode mia cara. Mi hai lasciato senza fiato, e a me ce ne vuole.........

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    1. Grazie, sei tu a lasciarmi senza fiato! Hai ragione, in questo caso la casa che va avanti ad abbellirsi in attesa di essere abitata dai due ragazzi è davvero un contorno. Sono contenta di essere riuscita a trasmettervi tutto quello che passa per la testa di Diego, i suoi 23 anni di sfighe che lui non considera nemmeno grazie al fatto che sta col suo Michele, e che gli sono improvvisamente ripiombate addosso ora che è costretto a rimanere solo.
      Nicola... forse potrà pensare tra qualche tempo di dargli un bacetto, in fondo non è male quel ragazzo, ma la storia con Michi è troppo nuova e troppo grande ora perchè Diego possa considerare chiunque altro :)
      Grazie ancora...

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