sabato 19 ottobre 2013

La valle delle meduse, capitolo tre

Titolo: La valle delle meduse
Autore: Giusipoo
Pairing: lo scoprirete leggendo
Genere: AU/Commedia/Romantico/Erotico/Introspettivo
Rating: PG, slash, 

Disclaimer: come sempre è tutto frutti di fantasia. I nomi di luoghi possono essere veri ma usati solo per ispirazione artistica 

Per vederci qualcosa, dovettero improvvisare un falò. E per fortuna che Paolo, uno dei ragazzi rimasti, aveva dietro l’occorrente dall’anno prima. Certo, le fascine risultarono un po’ umidicce e gli accendini non erano buoni come gli svedesi, però alla fine funzionò. Riuscirono a trovare il mare in quel buio pesto. Grazie proprio a quel buio per Michele non fu poi così tremendo spogliarsi e sopportare l’idea che Diego fosse nudo accanto a lui: non lo vedeva! Ma poteva sentirlo ridere, scherzare, giocare, insomma essere in un contesto di divertimento giovanile spensierato come non gli era mai successo, tutto questo perché i suoi avevano deciso di farlo nascere vecchio. Un vecchietto saggio che sapeva già quale sarebbe stata la strada nella sua vita. Lo vedevano già maturo i suoi, così portato per gli studi, così ubbidiente, non avrebbe mai deviato la strada dalla retta via. E allora come mai quella notte si trovava in una spiaggia lontano chilometri da casa sua, al buio, a fare il bagno di notte?
Li sentiva ridere, lo sentiva ridere. Seguì la voce di Diego, quella voce che tanto gli piaceva, per non perderlo di vista e fu sicuro di aver visto la sua figuretta uscire dalle tenui acque della baita per andarsi a riparare sotto dei teli di fortuna. Finalmente, al baluginare del fuoco ora bello vivace, lo scovò. Mentre gli altri rollavano canne e intonavano canti in dialetto locale, vide Diego in un angolino, sdraiato tra le braccia del ragazzo che lo aveva accompagnato al concerto. Una gran frenesia lo avviluppò: da una parte era dispiaciuto, geloso, ferito. Dall’altra, sollevato dall’avere, quanto meno, una possibilità. Per quanto andasse male almeno al biondino dei suoi sogni piacevano gli uomini! Almeno su questo poteva stare tranquillo. Non lo avrebbe rifiutato perché maschio, perché insignificante, brutto e peloso magari, ma non perché geneticamente uomo. Li osservò per quel poco che le fiamme gli permisero. Sembrava ancora più bello in fase amorosa e lo adorò ancor di più Michele, novello Aschenbach di Morte a Venezia, che trova il suo Tadzio prima di morire. Lui però non voleva morire, non poteva morire! Non ora che i lavori alla valle erano iniziati e lui doveva far in modo che non si fermassero. Che la scalata dei Salvemini non conoscesse intoppi. In quella valle iniziava e finiva la sua vita, lo sapeva. Sarebbero cresciuti i suoi figli, i suoi nipoti persino. Con i profitti dei numerosi appartamenti lui e suo padre sarebbero diventati tra i palazzinari più ricchi della regione, invidiati e rispettati. E Marina avrebbe portato un bel brillante sull’anulare. Tutto questo sembrava anni luce rispetto al suo attuale stato. E ora se ne stava seduto su uno scoglio, a rodersi il fegato dall’invidia, dalla gelosia, per qualcosa che non gli apparteneva nemmeno. Che non era nemmeno passata tra le sue mani. Gli venne da piangere. Cupido lo aveva mirato e colpito una domenica qualsiasi di inizio estate e ora il suo cuore già sanguinava. Diego non lo voleva, era ovvio! E poi il suo ragazzo era molto più carino di lui. Fece per andarsene, nei suoi vestiti umidi, fece pochi passi ma non più di sei che un braccio lo bloccò. “Michele, te ne vai senza salutare? Che succede”. Era Antonello. Michele si girò e, per un attimo fu tentato di spiegargli tutto. Tanto quei ragazzi erano fatti tutti in quella maniera, pensò, omosessuali. Magari non tutti ma almeno la maggior parte di loro, o se non erano gay forse di larghe vedute. Chissà... ma non lo fece, non raccontò niente. “Contavo di asciugarmi in moto, con l’aria ancora calda. In realtà non è che mi freghi molto se l’aria è calda” iniziò a piangere. Non aveva previsto quell’isteria. Commosso e affascinato Antonello lo abbracciò ed iniziò a piangere a sua volta, come contagiato. Poco dopo arrivò anche il fidanzato di Anto, Gabriele che non chiese nemmeno cosa avessero e li abbracciò entrambi ma senza piangere, solo per confortarli. Ripresosi dallo sconquasso, Michele cercò di riacquistare padronanza di sé e andarsene. Schizzare via con la moto lontano da quella comitiva, da quella situazione. Da Diego. “Michele con la tua sensibilità ti sei guadagnato la stima di Antonello. Fa anche a me un certo effetto veder piangere un uomo grande e grosso come te. Ma a volte le sbronze prendono male. Resta ancora un po’. Tra poco ci saranno i fuochi. Sono belli i fuochi da queste parti”. Gabriele lo spronò ma lui non volle saperne e dopo averli baciati entrambi sulle guance, guadagnò la strada.
Guidò per chilometri con le lacrime che gli pungevano ancora la pelle. Il sale e la sabbia mischiati nelle mutande, una calma piatta e una realtà: l’indomani avrebbe dimenticato tutto, per fortuna. Ci sarebbe stato da sudare al comune per via di certe delibere che non erano passate. Con il suo avvocato avrebbero trovato una soluzione. I veri uomini trovano soluzione, i codardi scuse, aveva letto da qualche parte. E la sua scusa quale era per stare così male in quel momento? Essersi scoperto omosessuale a trent’anni? E non sapere nemmeno se poi gli sarebbe piaciuto farlo. Alle tre e venticinque finalmente arrivò davanti casa sua. Prima di andare a letto si fece una lunga doccia e, con apparentemente tutte le tracce di Diego e della sua band alle spalle, si buttò nel suo letto.


Per qualche giorno Michele si comportò autonomamente. Faceva tutto quello che doveva fare stile robot. Solo alla sera, salutata sua madre, e tornava a letto, un dolore acuto gli attanagliava lo stomaco. Ripensando al motivo sorrideva tra sé: e per sua fortuna che non era successo niente allora, se bastava quel poco per farlo stare così!
Una quindicina di giorni dopo le pressioni da parte dei contrari alla costruzione de La valle delle meduse, ancora convinti di riuscire a bloccare i lavori, occuparono il municipio con un sit-in di protesta. Michele quella mattina aveva lasciato a casa il solito look giacca e camicia e non solo perché faceva caldo! Per consolarsi dai suoi guai aveva fatto shopping in centro con Marina e la sua scelta era caduta su una camicia Hawaiana in voga in quel periodo che gli ricordava Miami vice e un bermuda verde, sandali aperti, molto casual. Sperando di non incontrare nessuno, passò di fronte al municipio, strada obbligatoria per arrivare dal suo avvocato, e fu in quel momento che tra i dissidenti riconobbe i ragazzi del concerto! Il viso si tinse prima di un rosso porpora e poi divenne bianco come un foglio di carta. Antonello saltò in piedi e lo venne ad abbracciare. “Che fine hai fatto Michele! Eh, ragazzi! C’è Michele il sensibile!” Tutta l’attenzione dei seduti a gambe incrociate fu per Antonello e per Michele detto il sensibile. Questi si schermì ma quando tra gli altri scovò Diego, occhi spiritati, enormi, che lo guardavano in silenzio, capì che scappare non serviva a niente. Avrebbe potuto andarsene da Taranto, dalla Puglia, dall’Italia, persino dal mondo, quel ragazzo ormai aveva conquistato ogni sua cellula. Non c’era verso: Michele Salvemini si era innamorato di Diego e ora avrebbe provato a se stesso di essere umano, e non un computer da programmare.
Oscillando un po’ come una spiga di grano mossa dal vento, Michele si mosse per andarsi a sedere in mezzo agli altri partecipando così al sit-in. Poco importava che avesse un appuntamento con il suo legale, o che qualche passate avrebbe potuto riconoscerlo. In pratica stava protestando contro se stesso e chiunque avrebbe potuto sputtanarlo. Ma Michele aveva allacciato gli occhi a Diego e niente e nessuno lo avrebbe fatto tornare razionale. “Ciao Michele, anche tu al sit-in? Mi fa piacere” lo accolse per poi creargli un posticino tra lui e una ragazza che fumava convulsamente masticando parole in dialetto stretto. Parole contro quegli stronzi che volevano costruire i palazzi in un posto così bello. La valle. Michele finalmente raggiunse quel posto che nel suo cuore valeva milioni di dollari. Una volta seduto, immaginò di avere un sorriso ebete di fianco a lui, con le braccia a stretto contatto. Nel frattempo Antonello era finito tra le braccia amorose del suo boy. Ma del “boy” di Diego, del quale non se ne sentiva in quel momento bisogno, non c’era nemmeno l’odore.
“Ho una fame” disse Diego accarezzando il ciondolo che Michele portava al collo con il simbolo della pace. Un altro suo vezzo, come quello dei capelli da sessantottino. Quella confidenza mandò completamente in pappa il cervello dell’ingegnere, il quale provò a dire qualcosa ma rimase a bocca aperta. E non disse più nulla. Tornò un bel ragazzo con i capelli lunghi. In mano l’occorrente per fare dei panini e tutti ci si fiondarono, per primo Diego. Mangiucchiando, iniziarono una conversazione. “Dimmi qualcosa di te Michele, come sei finito al Pecora Nera a vedere il concerto dei miei amici, dimmelo”. “Oh..., beh, non è niente di che. Faceva caldo e io avevo la moto, no? Così ho deciso di fare un giretto verso il mare, per un po’ di frescura, e poi entrare nel locale per una birra. Tutto qui” “Sì, certo. Non per la musica”.
“Mi piace la loro musica!” Si affrettò a precisare, non temendo di sembrare un lecchino. “È un genere che mi interessa molto il loro. Mentre mi piacerebbe vedere un concerto tuo... ehm” s’impappinò. Ora davvero rischiava di sembrare troppo interessato. Ma ebbe la reazione che voleva. Diego s’illanguidì allungandosi verso di lui e sbattendo le ciglia, assicurò: “Assolutamente sì! Il diciassette suoniamo a Torricella. È un po’ lontano da qui ma tu hai la moto. Sarà facile no?”
“Vengo senz’altro il diciassette a vedervi suonare. Sono curioso” con gli occhi negli occhi Michele immaginò i giorni che lo dividevano dal concerto dei Medusa. Pensò che lui e Diego sarebbero dovuti andare al mare insieme. Se non proprio loro due da soli insieme, quanto meno con gli altri. Ma tra gli altri c’era il suo ragazzo... dunque? Come risolvere questa faccenda? Per stemperare l’emozione della vicinanza, domandò: “Che genere fate, sempre elettropop?” Azzardò.
“Mmmm, non proprio, anche se a me piacerebbe cimentarmi in qualcosa di più sperimentale. Noi facciamo punk, o post punk che è preferibile come definizione....” sorridendo dolcemente si interruppe per smollare un ennesimo morso al panino. Michele restò affascinato dal rigagnolo di olio che gli sporcava il mento e notò per la prima volta che il ragazzo aveva un piercing sul labbro inferiore. Come aveva fatto a non notarlo? Forse perché ero troppo preso a guardargli il culo? O gli occhi... sì... vai, gli occhi... Sogghignò. Diego capì cosa lo aveva colpito. “Guardi questo?” si toccò l’anellino che sporgeva. “Oh, non ti piace? Non mi dirai che sei un perbenista? Un professore perbenista... E ora mi darai anche del frocio...” ma lo disse sorridendo e Michele iniziò a respirare con difficoltà. “No, mi piace... anche se io non potrei mai, cioè penso che mi darebbe fastidio...”
“Invece io non potrei mai portare il pizzetto. Immagino che mi irriterebbe e poi sono troppo selvaggio, non troverei mai il tempo di curarlo. Mi faccio la barba quasi ogni giorno perché al mio ragazzo dà fastidio quando ci baciamo. Tu conosci Nico, vero?”

Michele fu tentato di annuire ma per non sembrare impiccione fece no con la testa. Avrebbe preferito non toccare quell’argomento. Dunque si chiamava Nicola il suo rivale. Si metteva male... era molto più bello di lui! “Beh oggi non c’è, lui lavora al porto. È una specie di scaricatore. Molto virile vero?” Fece una risatina femminea e sgraziata e non si sa bene come mai, a Michele quel ragazzo piacque ancora di più, proprio per quella risata. E poi notò un altro dettaglio. “Tu non sei tarantino vero? Hai un modo di parlare strano...”.  Diego fece un sorrisetto: “Ah te ne sei accorto? I miei sono da quaggiù ma si sono trasferiti a Torino quando io dovevo ancora nascere e mia sorella aveva giusto un anno e mezzo. Mio padre lavorava in una ditta di infissi. Poi però ha perso il lavoro, quando avevo sedici anni e così siamo tornati qui. Non me lo sono tolto l’accento, anche se un po’ sì. Ma si sente tanto?” “Ora che ci penso, sì! Si sente tantissimo Diego” ammise Michele avvicinando di poco il volto al suo. Diego si rese conto di quanto il suo interlocutore, quello che credeva essere il suo ex professore all’accademia, fosse non solo dolce, intrigante ma anche tanto, tanto carino. Ma chi era ‘sto Michele che faceva il carino con lui, che ci provava con lui? Chiuse gli occhi e smise di pensare. Appoggiò la guancia sulla spalla e Michele se lo accoccolò addosso stringendogli il braccio attorno alle spallette. 

2 commenti:

  1. Michele in compagnia di quei ragazzi si sente vivo come non lo è mai stato. Sembra quasi che la sua vera vita sia iniziata da quella sera al Pecora nera. Si lascia guidare dall'istinto, non sta a pensare se quello che fa sia giusto o meno anche a costo di incasinarsi la vita. In fondo è per amore che lo fa. Per la prima volta Michele è davvero innamorato, tanto che quaasi non pensa agli ostacoli che incontra sul suo cammino. E Diego sta cominciando a rendersi conto che Michele stia penetrando sotto la sua pelle fino a diventare parte di lui stesso.

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  2. Una situazione decisamente esplosiva, e non solo per i fuochi d'artificio che Michele non ci ha lasciato vedere.
    Michele ama Diego, Diego amerà Michele tra un po', ma riuscirà il biondo post-punk a passare sopra al fatto che Michele l'ha tradito ancora prima di conoscerlo?
    Forse dipende da quanto sono forti i suoi ideali ma non credo che sarà facile passare sopra al fatto che il cattivo della situazione, quello contro cui stanno manifestando, è proprio quello che l'ha abbracciato al sit-in.
    E non so se basterà a Michele spiegare che la vita che ha vissuto finora, non è la sua vita, non quella che si è scelto ma quella che gli è stata imposta fin dalla nascita.
    Molto carino Diego, troppo bello questo Michele così tormentato. Speriamo che alla prossima festa possano vederli abbracciati, i fuochi.

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